• Non ci sono risultati.

La scrittura della migrazione tra malinconia e anti-malinconia.

Malinconia o anti-malinconia? Motivi del gotico e della geocritica in Unaccustomed Earth

4.1 La scrittura della migrazione tra malinconia e anti-malinconia.

Alcuni periodi storici, come il Rinascimento, il Romanticismo e la tarda Modernità, sono stati descritti come malinconici per l’impatto che il passato, con i suoi retaggi culturali e psicologici, ha avuto su di essi. Questa tendenza ha contribuito a rendere il sentimento malinconico un tropo che ha forgiato la civiltà occidentale, contaminando ambiti disciplinari diversi, come gli studi di genere, etnici, postcoloniali e letterari1. Lavori recenti, condotti soprattutto a livello letterario, e specificatamente narrativo, hanno messo in evidenza come la malinconia non sia soltanto una risposta patologica al senso della perdita, ma anche una strategia compensativa, una valenza paradossale che Middeke e Wald sintetizzano affermando

1 Nell’ambito degli studi di genere, contributi significativi sono Soleil noir. Dépression et mélancolie (1987) di Julia

Kristeva e The Psychic Life of Power: Theories in Subjection (1997) di Judith Butler. Riguardo la questione etnica e il suo intreccio con la malinconia, si ricorda il già citato The Melancholy of Race: Psychoanalysis, Assimilation and Hidden Grief:

Race and American Culture di Anne Cheng (1997), mentre per gli studi postcoloniali va segnalato il lavoro di Paul

Gilroy in Postcolonial Melancholia (2005), che estende le riflessioni già esposte in After Empire: Melancholia or Convivial

Culture? (2004). Nel filone degli studi letterari, nello specifico in ambito anglofono, si segnala la raccolta curata da

130

che “studying, reflecting on and representing melancholia […] means both a diagnosis of crisis and an avenue to new shores”2.

Nell’introduzione a The Literature of Melancholia: Early Modern to Postmodern, Middeke e Wald invitano a riflettere sul fatto che “literature in general and the novel in particular can break ‘the melancholic spell’, […] it can develop a reaction to loss which enables ethical agency”3. Due contributi raccolti nel volume portano in evidenza come il personaggio malinconico susciti nel lettore una reazione eticamente motivata e come il genere narrativo sia per natura anti-malinconico. Secondo Pieter Vermeulen, il romanzo contemporaneo offre soluzioni alternative alla dialettica freudiana tra lutto e malinconia, configurandosi come “a vehicle for productive and resolutely post-melancholic linkage of loss and identity”4. I primi corollari di questa posizione anti-malinconica sono quelli che rimandano al recupero della realtà fisica e delle relazioni con l’esterno in luogo di una eccessiva focalizzazione sull’io. Nell’accezione freudiana, infatti, mentre il lutto è descritto come un processo risolutivo del senso di perdita, quasi una sorta di tradimento da parte del soggetto che esperisce la perdita, la malinconia si manifesta come una forma di resilienza, un attaccamento fedele all’oggetto perduto che sfocia nella perdita di interesse verso il mondo esterno. Per Žižek, questo dualismo, trasferito in ambito postcoloniale, induce gli immigrati a contatto con nuove realtà a “retain the melancholic attachment to their lost roots”5.

Come già evidenziato nel capitolo precedente in relazione ai discorsi critici sulla nostalgia, anche la malinconia si articola come forma di resistenza etnica e culturale. Le dinamiche della restorative nostalgia esaminate in Mrs. Sen o in una Ashima appena giunta negli Stati Uniti sono esempi paradigmatici di identità malinconicamente vincolate al proprio senso

2 M. MIDDEKE, C. WALD, ‘Melancholia as a Sense of Loss: An Introduction’, in ID. (ed.), The Literature of

Melancholia: Early Modern to Postmodern, cit., p. 22.

3 Ivi, p. 18. Il riferimento è ai saggi di Johan Geertsema e Pieter Vermeulen in cui si discute il superamento della

malinconia intesa come patologia. Mentre Geertsema esplora Slow Man di Coetzee come testo che rielabora il senso della perdita attraverso il working through di forme di ingiustizia sociale, Vermeulen vede nel romanzo realistico contemporaneo (David Mitchell e Tom McCarthy) esempi di post-melanchonic fiction che spostano il focus dal realismo psicologico e sociale al recupero di una realtà autentica.

4 P. VERMEULEN, ‘The Novel after Melancholia: On Tom McCarthy’s Remainder and David Mitchell’s

Ghostwritten’, in M. MIDDEKE, C. WALD (eds), The Literature of Melancholia: Early Modern to Postmodern, cit., p. 255.

131

della perdita, intrappolate nei traumi che la migrazione ha loro provocato. Anche la malinconia, come la nostalgia, implica un “attachment” alle radici che apparentemente sembra provocare solo dolore e sofferenza. Rispetto a questa immagine ‘negativa’ del temperamento malinconico, analisi come quelle di Vermeulen mettono in risalto le modalità di ethical agency nella narrativa contemporanea, che sarebbe in grado di liberare il soggetto dal suo isolamento psicologico, favorendo una sorta di “recovery of the world”6.

Occorre tuttavia sottolineare che lo stesso Freud, in ‘L’Io e l’Es’, aveva riabilitato la funzione costruttiva della malinconia7 intesa come incapacità di compensare la perdita e fedele rispetto verso l’oggetto perduto. La malinconia, infatti, mostra alcuni punti critici che paradossalmente la letteratura, e il romanzo in particolare, sembrano illuminare e superare. In primo luogo, se il malinconico, così come Freud lo descrive, è affetto da disprezzo, “avvilimento del sentimento di sé”8 e senso di svuotamento del mondo, un simile disinteresse non dovrebbe generare alcun desiderio di affetto e relazione verso il mondo esterno. La scrittura, al contrario, costituisce una dimostrazione del paradosso sotteso a questa dinamica. Per Geoffrey Hartman, la letteratura offre il vantaggio di creare una connessione tra sofferenza e capacità di assorbimento e superamento del dolore. La scrittura, inoltre, implicherebbe una contraddizione che Hartman individua nell’evento traumatico della perdita: l’evento è registrato più che esperito e si manifesta “in the form of a perpetual troping of it by the bypassed or severely split (dissociated) psyche”9. Da un punto di vista narrativo, inoltre, la poetics of trauma, come sottolinea Roger Luckhurst, ha un’articolazione in cui le parole “have

played around with narrative time, disrupting linearity, […] working backwards towards the inaugurating traumatic event”10. Il romanzo, e la scrittura più in generale, si configura quindi come forma anti-malinconia dal momento che, anche nella sua veste realistica, esso si articola

6 P. VERMEULEN, ‘The Novel after Melancholia: On Tom McCarthy’s Remainder and David Mitchell’s

Ghostwritten’, cit., p. 262.

7 Cfr. capitolo 1, paragrafo 4, nota 71. 8 S. FREUD, ‘Lutto e Malinconia’, cit., p. 194.

9 G. H. HARTMAN, ‘On Traumatic Knowledge and Literary Studies’, New Literary History, Vol. 26, N. 3, 1995, p.

537.

132

in mondi di invenzione oppure, nelle parole di Thomas Pavel, in “paesaggi ontologici”11 che sconfinano la frontiera tra realtà e finzione. La letteratura, in tal senso, è un modo per dar voce ai traumi di una data sofferenza e la narrazione concretizza le ferite in un contesto temporale preciso, facendo del romanzo un mezzo anti-malinconico che abbandona e tradisce il senso di perdita. Dando nuova forma all’oggetto perduto, il genere narrativo, in conclusione, compie un gesto di infedeltà verso il senso di sofferenza dal momento che narrativizza e temporalizza la perdita, spingendola oltre il perimetro del mondo interiore del personaggio malinconico.

Un ulteriore blind spot del discorso critico sulla malinconia è la già accennata confusione tra loss e lack, in cui, secondo Žižek, “the melancholic confuses loss and lack and interprets lack as loss”12. Per Žižek, l’attaccamento malinconico è problematico poiché dirottato non su un oggetto realmente perduto, ma su ciò che non è mai esistito o non è mai stato posseduto. Lo split del malinconico favorisce una ricerca che procede verso due direzioni opposte: da un lato, il malinconico rifiuta ciò che lo circonda, da un altro, egli idealizza qualcosa che probabilmente non ha mai avuto. In questa prospettiva, la malinconia non è antonimo del lutto e, soprattutto, “non sarebbe la reazione regressiva alla perdita dell’oggetto d’amore, quanto la capacità trasformativa di far apparire come perduto un oggetto inappropriabile”13, configurandosi come attaccamento persistente ad un oggetto perduto o mai posseduto.

In continuità con questo quadro teorico, nel presente capitolo vedremo come Lahiri rivaluti il temperamento malinconico, guidando i suoi personaggi oltre il senso di sofferenza. Negli ultimi due libri la scrittrice sembra elaborare un modello di depatologizzazione della malinconia, inserendosi in una tendenza propria della narrativa contemporanea che vede nella valorizzazione della malinconia una risposta al trauma. Questa reazione, tuttavia, non scaturisce in un’esaltazione della malinconia che viene abbracciata tout court. Al contrario, essa procede verso la definizione del sé e superamento della vulnerabilità. In questo senso sono

11 T. G. PAVEL, Mondi di invenzione. Realtà e immaginario narrativo, (traduzione di A. Carosso), Torino, Einaudi, 1992,

[1986], p. 207.

12 S. ŽIŽEK, ‘Melancholy and the Act’, cit., p. 658. Cfr. capitolo 1, paragrafo 4. 13 G. AGAMBEN, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, cit. pp. 25-26.

133

importanti le riserve avanzate da Greg Forter e Seth Moglen sui limiti interpretativi del discorso freudiano. Forter suggerisce che il lutto non sia un meccanismo che, attivandosi in modo automatico e immediato, cancella facilmente il ricordo dell’oggetto perduto, e che la malinconia non rappresenti l’unico modo per tutelare la perdita. Egli enfatizza l’impatto della società sulla costruzione del sentimento malinconico e la sua riflessione sembra essere in linea con le parole di Moglen, secondo il quale la malinconia ha a che fare con “the social forces that have destroyed the object or made it unavailable”14. I due critici suggeriscono che dietro la malinconia si nasconda un disagio sia psichico che sociale, ma come osserva Forter:

[…] the appropriate response is to try to change that order — not to embrace melancholia but to defuse the melancholic’s self-aggression by altering the psychosocial conditions that make the lost object/identity hateful to her or him in the first place.15

Le seconde generazioni di Lahiri oscillano tra incapacità di accettazione e voglia di connessione. Come un’armatura narcisistica che ostacola qualsiasi forma di relazione e contaminazione culturale, la malinconia, nel modello freudiano, prevede assenza o negazione del desiderio. Tuttavia, come puntualizza Lacan, l’accesso alla verità dell’inconscio avviene quando il soggetto si eclissa in una aphanisis “in which the subject loses his or her symbolic consistency and disintegrates”16. L’oscillazione tra presenza e assenza è una dialettica che per Régis Durand caratterizza la rappresentazione letteraria del soggetto postmoderno. Durand paragona l’aphanisis a una forma di “desertification of meaning”17, tratto tipico della narrativa contemporanea in cui il conflitto tra soggetto isolato e il mondo esterno si gioca tra ricerca di un equilibrio precario e bisogno di affermazione costante dell’uno sull’altro.

Occorre precisare che il ricordo del passato, da cui l’attaccamento malinconico è alimentato, è un meccanismo con cui solo alcuni possono identificarsi. La non diretta

14 S. MOGLEN, Mourning Modernity: Literary Modernism and the Injuries of American Capitalism, Stanford, Stanford

University Press, 2007, p. 15.

15 G. FORTER, ‘Against Melancholia: Contemporary Mourning Theory, Fitzgerald’s The Great Gatsby, and the

Politics of Unfinished Grief’, Differences, Vol. 14, N. 2, 2003, p. 140.

16 S. ŽIŽEK, ‘Melancholy and the Act’, cit., p. 681. Cfr. capitolo 1, paragrafo 4, nota 83.

17 R. DURAND, ‘On Aphanisis: A Note on the Dramaturgy of the Subject in Narrative Analysis’, Comparative

134

esperienza del trauma impedirebbe, infatti, la condivisione di una sofferenza che pure si manifesta in un mondo globalizzato in cui la scrittura diffonde realtà dimenticate o ignote ai lettori. Benché Lahiri non abbia vissuto direttamente certi episodi della storia indiana, l’eredità di uno smarrimento identitario esperito per complesse vie indirette si articola proprio in una dialettica controversa. L’ambiguità tra loss e lack, che condiziona il malinconico, contamina anche la scrittura e la vicenda biografica di Lahiri che sembra avvertire in maniera più dolorosa il vuoto identitario. La posizione dell’immigrato di seconda generazione è caratterizzata da un dissidio più lacerante poiché, rispetto ai propri genitori, essi non hanno un senso radicato di patria e origine. Personaggi come Gogol o i protagonisti di Unaccustomed Earth vivono l’esperienza della morte come un trauma che pervade il loro diasporic imaginary, un immaginario segnato da un senso di loss che, come osserva Dutt-Ballerstadt, “becomes a loss of both root and route. It is a loss of root given that these parental figures are the only reminder of an on- going basis for this second generation regarding their ties to their ancestral homeland”18. Privi di punti di riferimento o di ricordi reali da custodire, i figli della migrazione oscillano tra desiderio di appartenere e voglia di vagare, vivendo una distorsione anamorfica in cui “the melancholic, in his unconditional fixation on the lost object, in a way possesses it in its very loss”19. Come il volto di Giano bifronte, la malinconia in Lahiri guarda contemporaneamente al passato e al futuro, una transizione che Žižek paragona a una “shadow of the future separation”20, un paradosso che nelle parole di Agamben corrisponde a “un’intenzione luttuosa che precede e anticipa la perdita dell’oggetto”21.

Nelle pagine che seguono intendo esaminare le traiettorie che la malinconia intraprende in alcuni racconti di Unaccustomed Earth (2008), in cui essa, a mio avviso, si articola in due modi diversi. Nella sua manifestazione più dolorosa, la malinconia ostruisce l’elaborazione della perdita. Nel contempo, tuttavia, la narrazione riformula, attraverso l’enfasi su una realtà

18 R. DUTT-BALLERSTADT, ‘Double Displacement, Homelessness and Nomadism: Questions of Belonging in

Jhumpa Lahiri’s Narratives’, cit., p. 58.

19 S. ŽIŽEK, ‘Melancholy and the Act’, cit., p. 660. 20 Ivi, p. 661.

135

geografica che oscillando tra vari luoghi riesce a collegare i ricordi e le storie delle persone che su questi paesaggi vivono, la ricerca di una connessione affettiva con l’esterno. Unaccustomed

Earth, insieme a The Lowland, come i titoli stessi suggeriscono, illustra l’importanza delle

dinamiche spaziali, della realtà fisica e geografica. Sia i racconti che il romanzo condividono tratti stilistici comuni, dall’alternanza delle voci narranti a immagini di lutto e sepoltura. Il realismo lirico si tinge di una materialità geocritica con cui lo spazio fisico si sovrappone alla centralità del soggetto. Dando voce al paesaggio, Lahiri recupera una poetica dello spazio in cui identità, memoria e esperienza sono connesse in un dialogo intersoggettivo e interculturale, mentre l’io sembra estinguersi dietro l’ombra dell’aphanisis lacaniana. Intrecciando elementi cari alla geocritica e all’ecocritica, in particolare la multifocalizzazione, la polisensorialità e la referenzialità22, con aspetti propri del discorso postcoloniale, come l’ibridazione e il recupero della memoria, Lahiri crea, dunque, una dimensione estetica che fa del paesaggio sia un palinsesto in cui sono depositati i ricordi privati, sia un elemento non-umano o quasi umano, luoghi dell’affetto dove umani e spazio si condizionano a vicenda in chiave anti-malinconica.