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Spazio e paesaggio tra ecocritica e teoria postcoloniale.

Trauma, spazio e intertestualità

2.2 Spazio e paesaggio tra ecocritica e teoria postcoloniale.

Nella prefazione a The Future of Trauma Studies, Michael Rothberg sostiene che al fine di ampliare lo spettro di indagine della teoria del trauma nel mondo contemporaneo occorre inserire in agenda quei problemi che caratterizzano in modo problematico la nostra modernità, come la globalizzazione, la guerra e le varie forme di neo-imperialismo36. Rothberg, in particolare, cita due casi di imperialismo moderno: lo sfruttamento in chiave neoliberale dei paesi del terzo mondo e il cambiamento climatico generato dalla logica capitalista occidentale. Questo orientamento va nella stessa direzione di quell’ethic potential37 su cui Craps e Buelens riflettono nel rapporto tra trauma studies e letteratura postcoloniale.

Negli ultimi anni l’attenzione della critica letteraria nei confronti delle questioni ambientali ha gradualmente portato a una convergenza che, a partire dagli anni ‘90, si è

      

celebrazioni, date particolari e esposizioni: cfr. P. NORA, ‘Between Memory and History: Les Lieux de Mémoire’,

Representations, (translated by M. Roudebush), N. 26, 1989, pp. 7-24.

34 É. GLISSANT, Le discours antillais, Paris, Éditions du Seuil, 1981, p. 199.

35 La poetica di Glissant ruota attorno alla realtà creola dei Caraibi in seguito alle vicende storiche e politiche della

colonizzazione francese. Il suo discorso, tuttavia, ha un valore universale che egli rende attraverso la metafora della mangrovia, la cui rete rizomatica diviene l’emblema delle relazioni tra le varie parti di un sistema complesso: cfr. É. GLISSANT, Poétique de la relation, cit. In The Lowland, la mangrovia costituisce un elemento caratteristico sia

del paesaggio paludoso di Calcutta, precedente alle bonifiche eseguite dagli inglesi nel XVIII secolo, sia di quello della costa del Rhode Island.

36 Cfr. M. ROTHBERG, ‘Beyond Tancred and Clorinda: Trauma Studies for Implicated Subjects’, in G. BUELENS,

S. DURRANT, R. EAGLESTONE (eds), The Future of Trauma Theory: Contemporary Literary and Cultural Criticism, cit.,

pp. xi-xviii.

37 S. CRAPS, G. BUELENS, ‘Introduction: Postcolonial Trauma Novels’, cit., p. 3. L’introduzione mette in risalto il

carattere ibrido del romanzo postcoloniale-traumatico, le cui forme di rappresentazione letteraria oscillano tra uno stile postmoderno (auto-riflessivo e anti-lineare) e un realismo che riproduce in modo fedele le storie dimenticate nelle periferie del mondo. Come già accennato nel capitolo precedente, la sovrapposizione tra realismo e influenze postmoderne è un tratto che caratterizza anche la narrativa di Jhumpa Lahiri.

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articolata in modelli teorici noti come ecocriticism, o environmental criticism, e geocriticism38. Il rapporto tra letteratura e ambiente si fonda sullo studio del paesaggio naturale nella connessione tra la vita e la storia dell’essere umano e lo spazio fisico di cui la letteratura, in quanto strumento espressivo, è mezzo di testimonianza e osservazione. Tuttavia, se l’orientamento iniziale dell’approccio ecocritico è stato di stampo nazionalista, soltanto con le prime sovrapposizioni tra ecocritica e teoria postcoloniale si è assistito a “transnational and cosmopolitan webs of connection” che mettono in contatto il locale e il globale39. Dal dialogo tra postcolonialismo ed ecocritica sono emersi i punti deboli di entrambi gli approcci: la continua denuncia dei progetti coloniali e imperiali da un lato, e le campagne per la difesa della purezza dell’ambiente dall’altro. Se ancorati ai propri orientamenti teorici, postcolonialismo e ecocritica rischiano infatti di rimanere strumenti sterili di affermazione di quel capitalismo,

      

38 Il termine ecocriticism fa la sua comparsa nel mondo accademico statunitense a partire dai primi anni ’90 come

sostengono Glotfelty e Fromm nel loro lavoro seminale: cfr. C. GLOTFELTY, H. FROMM (eds), The Ecocriticism Reader: Landmarks in Literary Ecology, Athens, University of Georgia Press, 1996. La prima ondata di studi

ecocritici, influenzata, tra gli altri, dagli scritti di Raymond Williams in The Country and the City (1973) e di Leo Marx in The Machine in the Garden (1964), ha come oggetto lo studio del genere pastorale in ambito britannico (William Wordsworth) e americano (Henry David Thoreau). La poesia pastorale viene interpretata come risposta ai cambiamenti che la crescente industrializzazione stava generando nel paesaggio naturale circostante. Sin dagli inizi, il dibattito ecocritico si è sviluppato lungo due linee di discussione: da un lato, l’approccio noto come deep

ecological, che concepisce la cultura e la natura come entità separate e distinte, benché correlate; dall’altro,

l’approccio denominato social ecological, che si fonda su una stretta continuità tra ambiente e storia, legame che si manifesta attraverso l’azione dell’uomo sul paesaggio naturale. Sebbene il termine ecocriticism sia un omnibus term negli studi letterari di orientamento ambientalista ed ecologico, altri hanno preferito l’espressione environmental

criticism: cfr. L. BUELL, U. K. HEISE, K. THORNBER, ‘Literature and Environment’, Annual Review of Environment

and Resources, N. 36, 2011, pp. 417-440. Altre importanti pubblicazioni in ambito ecocritico sono: L. COUPE (ed.), The Green Studies Reader: From Romanticism to Ecocriticism, London, Routledge, 2000; M. P. BRANCH, S. SLOVIC

(eds), The ISLE Reader: Ecocriticism 1993-2003, Athens, University of Georgia Press, 2003; L. BUELL, The Future of Environmental Criticism, Malden, Blackwell Publishing, 2005; G. GARRARD, Ecocriticism, Oxon, Routledge, 2012; G.

GARRARD (ed.), The Oxford Handbook of Ecocriticism, New York, Oxford University Press, 2014; S. OPPERMANN

(ed.), New International Voices in Ecocriticism, Lanham, Lexington Books, 2015; K. HILTNER (ed.), Ecocriticism: The Essential Reader, London and New York, Routledge, 2015; A. CARRIGAN, ‘Nature, Ecocriticism, and the Postcolonial Novel’, in A. QUAYSON (ed.), The Cambridge Companion to the Postcolonial Novel, New York, Cambridge University Press, 2016, pp. 60-80; e R. T. TALLY (ed.), The Routledge Handbook of Literature and Space, Oxon,

Routledge, 2017. Sulla storia e sulla definizione del geocriticism, invece, un punto di riferimento sono gli studi condotti da Robert T. Tally: cfr. R. T. TALLY (ed.), Geocritical Explorations: Space, Place, and Mapping in Literary and Cultural Studies, New York, Palgrave Macmillan, 2011. Tally eredita la lezione del suo maestro Bernard Westphal,

che ha introdotto lo studio della geocritca: cfr. B. WESTPHAL, La Géocritique. Réel, fiction, espace, Paris, Minuit, 2007.

Sulla convergenza tra ecocritica e geocritica è stata recentemente pubblicata una raccolta di saggi che mette in evidenza il legame tra i due approcci critici: cfr. R. T. TALLY, C. M. BATTISTA (eds), Ecocriticism and Geocriticism:

Overlapping Territories in Environmental and Spatial Literary Studies, New York, Palgrave Macmillan, 2016.

39 L. BUELL, U. K. HEISE, K. THORNBER, ‘Literature and Environment’, cit., p. 421. Le prime pubblicazioni

sull’incrocio tra ecocritica e studi postcoloniali sono i saggi ‘Ecological Imperialism’ di Alfred W. Crosby e ‘Green Imperialism’ di Richard H. Grove. Entrambi gli studi, raccolti in The Post-Colonial Studies Reader (1995), analizzano gli effetti del colonialismo dai tempi della colonizzazione fino all’inizio del XX secolo: cfr. A. W. CROSBY,

‘Ecological Imperialism’, in B. ASCHCROFT, G. GRIFFTHS, H. TIFFIN (eds), The Post-Colonial Studies Reader,

Abingdon, Routledge, 2006, [1995], pp. 494-497; R. GROVE, ‘Green Imperialism’, in B. ASCHCROFT, G.

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delle politiche neoliberali, e della globalizzazione selvaggia che entrambe le discipline mettono in discussione40.

In un contributo recente, Rob Nixon41 cerca di far dialogare l’ecocritica con gli studi postcoloniali analizzando il romanzo The Enigma of the Arrival (1987) di V. S. Naipaul. Secondo Nixon, Naipaul si inserisce nella lunga tradizione della English pastoral (seguendo il modello legato a Thomas Gray, William Wordsworth e Thomas Hardy) e ne scardina la purezza, contaminando le immagini pastorali con i ricordi dei migranti nelle piantagioni di zucchero di Trinidad e Tobago. Il romanzo, dunque, rappresenterebbe una sorta di “postcolonial pastoral”42 in cui, attraverso il motivo dell’hortus conclusus, Naipaul dissemina uno spazio saturo di amnesia storica con il paesaggio e i ricordi della colonizzazione. Nixon traccia un percorso di ibridazione tra “ethics of place and experience of displacement”43, in cui il carattere spurio e transnazionale del modello postcoloniale, con la sua enfasi sulle storie marginali e periferiche del passato, è sovrapposto all’immagine della natura pura dei primi studi ecocritici che, al contrario, prevedevano il distanziamento dalla storia e una chiusura nel perimetro di un paesaggio naturale incontaminato. Attraverso la convergenza tra i due ambiti critici, Nixon intravede la possibilità di correggere le blind spots dei due modelli: da un lato, ibridizzando una natura vergine e senza tempo, così legata alle specificità di un territorio; dall’altro lato, mitigando la critica imperialistica con le questioni ambientali specifiche di un dato luogo. Per Nixon, il postcolonial green può essere un modo per estendere il canone letterario in chiave comparatistica, anche se l’impressione che emerge dal suo ragionamento è che sia la teoria postcoloniale, e non l’ecocritica, ad uscirne più rinvigorita da questo confronto critico44.

      

40 DeLoughrey e Handley descrivono, ad esempio, la sterile lotta che certe associazioni ambientaliste hanno

condotto per la difesa della flora e della fauna locale, sottolineando l’esito paradossale di battaglie che hanno portato alla creazione di un paradiso che “benefits elite tourists rather than local people”: E. DELOUGHREY, G. B. HANDLEY, ‘Introduction: Towards an Aesthetics of the Earth’, in ID. (eds), Postcolonial Ecologies: Literatures of the

Environment, New York, Oxford University Press, 2011, p. 21.

41 R. NIXON, ‘Environmentalism and Postcolonialism’, in A. LOOMBA (ed.), Postcolonial Studies and Beyond,

Durham, Duke University Press, 2005, pp. 233–51.

42 Ivi, p. 239. 43 Ivi, p. 236.

44 Come osserva Mukherjee, i primi teorici del discorso postcoloniale (Said, Bhabha e Spivak) hanno spesso

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Nella stessa direzione di un dialogo tra ecocritica e teoria postcoloniale, Graham Huggan insiste sulla convergenza tra un modello critico di stampo prevalentemente occidentale con quello postcoloniale che, a suo parare, è stato principalmente incentrato sulle questioni delle “settler colonies and issues of indigenous land rights”45. Esplorando sia testi narrativi, come il romanzo The White Bone (1998) di Barbara Godwy, sia saggi, quali The Cost of

Living (1999) di Arundhati Roy e The Lives of Animals (1999) di John M. Coetzee, Huggan

propone una riformulazione della environmental imagination che sia in grado di tracciare possibili percorsi di trasformazione del pianeta nella direzione di una environmental citizenship46 che punti a immaginare “alternative worlds, both within and beyond the realm of everyday human experience, which might reinvigorate the continuing global struggle for social and ecological justice”47. Per Huggan, la convergenza tra ecocritica e teoria postcoloniale può agevolare un ampliamento degli interessi critici del postcolonialismo, mentre quest’ultimo contribuirebbe ad infrangere “the tendencies of some Green movements towards Western liberal universalism and [white] middle-class nature-protection elitism”48.

Sulla scia di questi studi seminali sull’intersezione tra studi postcoloniali e ecocritica, sono apparsi numerosi volumi che hanno indagato varie questioni ambientali, tra cui il cambiamento climatico, la giustizia ambientale, e le trasformazioni del paesaggio in territori

      

MUKHERJEE, Postcolonial Environments: Nature, Culture and the Contemporary Indian Novel in English, New York,

Palgrave Macmillan, 2010, p 50. Il “faint glimmer” che Mukherjee individua in questi studiosi viene illuminato da Bill Ashcroft, Gareth Griffths e Hellen Tiffin, i quali in Key Concepts in Postcolonial Studies includono il lemma

ecological imperialism, e in The Post-Colonial Studies Reader inseriscono i contributi su ecological imperialism e green imperialism di Crosby e Grove: cfr. B. ASCHCROFT, G. GRIFFTHS, H. TIFFIN (eds), Key Concepts in Postcolonial Studies, London, Routledge, 2001, [1998]. Infine, va sottolineato che anche Pramod K. Nayar dedica un capitolo

al ruolo dello spazio e dell’ambiente nel suo volume sulla teoria postcoloniale: cfr. P. K. NAYAR, Postcolonialism: A Guide for the Perplexed, London and New York, Continuum, 2010.

45 G. HUGGAN, ‘“Greening Postcolonialism”: Ecocritical Perspectives’, Modern Fictions Studies, Vol. 50, N. 3, 2004,

p. 703. Il contributo è stato successivamente incluso nello studio di Huggan sulla teoria postcoloniale: cfr. G. HUGGAN, Interdisciplinary Measures: Literature and the Future of Postcolonial Studies, Liverpool, Liverpool University Press, 2008.

46 Il concetto environmental citizenship è tratto da Deane Curtin: D. CURTIN, Chinnagounder’s Challenge: The Question of

Ecological Citizenship, Bloomington, Indiana University Press, 1999. Questo elemento sarà esaminato in relazione a

Jhumpa Lahiri, soprattutto nell’ottica della environmental world citizenship formulata da Ursula Heise, come accennato nell’introduzione della tesi: cfr. U. HEISE, Sense of Place and Sense of Planet: The Environmental Imagination of the Global, cit., p. 61.

47 G. HUGGAN, ‘“Greening Postcolonialism”: Ecocritical Perspectives’, cit., p. 720. 48 Ivi, p. 702.

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non-occidentali49. L’agenda del green postcolonialism include l’analisi delle tracce migratorie scaturite dalla storia della colonizzazione, ancora oggi visibili nel suolo dei territori colonizzati. In questa ottica, il paesaggio, con le sue stratificazioni e i cambiamenti apportati dall’uomo, diventa uno spazio della memoria (memory place) in grado di tradurre l’alterità e rifletterla non soltanto in chiave antropologica, ma anche attraverso il linguaggio della natura stessa.

Il paesaggio sembra quindi rappresentare un luogo di riflessione sull’identità attraverso l’identificazione e la proiezione. Nella sua costruzione di una “temporal consciousness”50, lo spazio naturale si configura come un luogo di rivelazione e di comprensione epifanica da parte del soggetto che lo contempla, oppure come un archivio che simula e raffigura, secondo il principio della posticipazione dell’evento, il trauma del proprio passato. Queste considerazioni fanno del paesaggio il punto di convergenza tra ecocritica, studi postcoloniali e trauma fiction, nella misura in cui esso diventa uno spazio di traduzione e rappresentazione di identità marginali e aliene che, prive di una cittadinanza etnica e culturale stabile, si riflettono nelle variazioni e nelle sovrapposizioni che lo spazio naturale loro offre. Inoltre, intersecandosi con vicende personali e storiche, il paesaggio assolve la funzione di correlativo oggettivo, veicolando quelle che Hartman chiama “retrieved memories”51, segnali più o meno fantomatici di un passato nostalgico o di una assenza malinconica.

      

49 Studi significativi in questa direzione sono i seguenti:G. HUGGAN, H.TIFFIN (eds), Postcolonial Ecocriticism:

Literature, Animals, Environment, Oxon, Routledge, 2010; B. ROOS,A.HUNT (eds), Postcolonial Green: Environmental Politics and World Narratives, Charlottesville, University of Virginia Press, 2010; E. DELOUGHREY, G. B. HANDLEY

(eds), Postcolonial Ecologies: Literatures of the Environment, New York, Oxford University Press, 2011; E. DELOUGHREY, J. DIDUR, A. CARRIGAN (eds), Global Ecologies and Environmental Humanities: Postcolonial Approaches, Abingdon, Routledge, 2015. La seconda edizione del volume di Huggan e Tiffin è apparsa nel 2015 in seguito alle numerose pubblicazioni che si sono gradualmente succedute sull’incrocio tra i due discorsi critici. In ambito prettamente indiano, con uno studio su Roy e Ghosh tra gli altri, si veda il volume di Mukherjee: cfr. U. P. MUKHERJEE, Postcolonial Environments: Nature, Culture and the Contemporary Indian Novel in English, New York,

Palgrave Macmillan, 2010. Un riferimento alla questione ambientale lo traccia anche Prabhat K. Singh nel suo discorso sul romanzo indiano contemporaneo in lingua inglese: cfr. P. K. SINGH, ‘The Narrative Strands in the

Indian-English Novel: Needs, Desires and Directions’, in ID. (ed.), The Indian English Novel of the New Millennium, New Castle Upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2013, pp. 1-27. Per tutti questi studiosi, il romanzo The

Hugry Tide (2004) di Amitav Ghosh rappresenta un testo esemplificativo del green postcolonialism (o postcolonial ecocriticism). Nella sua enfasi sulla conservazione dell’ecosistema indiano, Ghosh raffigura la storia di luoghi e

popolazioni dimenticate, illuminando in particolare la funzione liminale del waterscape. Una simile operazione, con effetti diversi, la ritroviamo anche in The Lowland di Jhumpa Lahiri, come vedremo nel quinto capitolo della tesi, proprio alla luce di un confronto con il romanzo di Ghosh.

50 A. WHITEHEAD, ‘Geoffrey Hartman and the Ethics of Place: Landscape, Memory, Trauma’, cit., p. 285. 51 G. H. HARTMAN, ‘Trauma within the Limits of Literature’, cit., p. 261.

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Unaccustomed Earth e The Lowland sovrappongono la malinconia di cittadini espatriati alla

voce, altrettanto malinconica, della flora e della fauna del Rhode Island e del Bengala. Tuttavia, più che descrivere lo sfruttamento del territorio indiano, come fanno Roy o Ghosh52, Lahiri sovrappone identità e spazio attraverso il dialogo tra il paesaggio americano e quello indiano, al punto da sfocare i confini dei due mondi che animano la sua riflessione estetica. Lo stesso New England, di cui il Rhode Island è parte, è stato territorio di colonizzazione e sedimentazione di nuove popolazioni, sin da quando i Pilgrim Fathers vi si stanziarono nel XVII secolo. A conferma dell’importanza che Lahiri attribuisce allo spazio geografico, la scrittrice ha contribuito con una descrizione del Rhode Island, lo stato in cui è crescita dall’età di tre anni, in un‘antologia che descrive i cinquanta statinord-americani53. Nel saggio, Lahiri identifica il suo status di soggetto in transito in un suolo così segnato da migrazioni e mutevolezza ambientale, dove la difficoltà di trovare una radicamento sembra essere allievata soltanto dalla presenza dell’Oceano Atlantico che, con la sua “unwavering indifference”54, ha accolto la scrittrice facendola sentire felice e ‘a casa’.

Se, storicamente, il New England è stato associato all’epopea americana e collegato a voci, come quelle di Hawthorne e Thoreau, ritenuti gli spokesmen nazionali del luogo, Lahiri contamina la purezza di questo paesaggio con le tracce dei flussi migratori provenienti dall’India della seconda metà del XX secolo, cercando di collocarsi nel canone della letteratura

      

52 Dopo la pubblicazione di The God of Small Things (1997), Roy ha assunto posizioni ambientaliste radicali sul

fenomeno della globalizzazione e sull’impatto che le politiche neo-imperialiste hanno avuto nell’India del boom economico: cfr. A. ROY, ‘Capitalism: A Ghost Story’, Outlook, 20 March 2012. URL: http://www.outlookindia.com/article/capitalism-a-ghost-story/280234. Amitav Ghosh, invece, esplora il mondo delle contraddizioni globali in romanzi come The Shadow Lines (1989) e il già citato The Hungry Tide (2005).

53 Il saggio, di notevole importanza in relazione al ruolo che il paesaggio del nord-est atlantico assume in The

Lowland, raffigura il Rhode Island come uno spazio eterogeneo, sia nella morfologia territoriale che nella

mescolanza etnica della popolazione. Il piccolo stato americano viene raffigurato come un posto ambiguo e ingannevole che, pur non essendo insulare, presenta, agli occhi di chi vi è cresciuto come una cittadina aliena, i contorni sfuggenti del luogo di transito dei vacanzieri estivi e dei pendolari tra Boston e New York. Il territorio sovrappone “salty ponds” e “numerous inlets and peninsulas” che conservano le tracce della storia della prima colonizzazione inglese, come il noto Worden Pond in cui ebbe luogo il Great Swamp Massacre a cui Lahiri allude in The Lowland. Inoltre, le minoranze hanno storicamente trovato residenza in questo piccolo stato: puritani, battisti, e quaccheri hanno ulteriormente ibridizzato un territorio già ricco di stratificazioni, in cui grandi pensatori, come Emerson e Thoreau, e scrittori, tra cui Hawthorne, hanno esaltato “with perfect sweetness the independence of solitude”: J. LAHIRI, ‘Rhode Island’, in M. WAILAND, S. WILSEY (eds), State by State: A Panoramic Portrait of America, New York, Harper Collins Publishers, 2008, pp. 391-401.

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occidentale. In questo modo, l’elemento naturale diventa una rete che ingloba le vicende personali e i percorsi della storia, spazio di riflessione e costruzione di identità displaced. La geografia degli spazi evocati da Lahiri richiama quelli che Iain Chambers ha definito migrant

landscapes, paesaggi che narrano le storie di dislocazione culturale, uno spazio che “engenders

our very sense of existence and discloses its possibilities”55. Questi landscapes-in-movement implicano un processo di costante cambiamento che, filtrato attraverso il vasto flusso migratorio umano, assume i contorni di uno spazio in grado di comprimere il tempo oltre che la sua stessa morfologia fisica56. La scrittura di Lahiri si pone quindi come amalgama che universalizza i temi specifici della migrazione con quelli più generali della condizione umana.

Nella narrativa di Jhumpa Lahiri si dà ampio spazio alla descrizione naturale, mettendo in evidenza come la natura possa contemporaneamente fungere da archivio affettivo della memoria e da interlocutore che incorpora e amplifica lo status transnazionale dell’immigrato. Da un lato, la natura accoglie i ricordi del passato, dall’altro, essa emerge come una presenza in grado di superare il trauma della perdita. Se nel suolo e nelle piante sono sedimentati i segni del passato e le caratteristiche di un determinato luogo57, benché frutto di cambiamenti legati sia all’evoluzione geologica che agli interventi dell’uomo, l’acqua, al contrario, e il mare, in particolare, rivestono una funzione quasi salvifica58. Nel suo essere privo di confini geopolitici e nella sua valenza di luogo liminale, di transito, il mare diventa nella scrittura di Lahiri una sorta di homeland alternativa in cui sentirsi a casa. Il tipo di Heimat che la narrativa di Lahiri

      

55 I. CHAMBERS, Migrancy, Culture, Identity, London and New York, Routledge, 1994, p. 16. In questo caso,

Chambers si riferisce soprattutto allo spazio metropolitano contemporaneo in cui si manifestano i processi di decolonizzazione e riterritorializzazione.

56 Il riferimento è al valore polisemico dei contested landscapes: cfr. B. BENDER, M. WINER (eds), Contested

Landscapes: Movement, Exile and Place, London, Bloomsbury, 2001, p. 5.

57 In un’intervista Lahiri parla della metafora botanica della transplantation e dell’America come un paese di

“transplanted populations”: cfr. G. LEYDA, ‘An Interview with Jhumpa Lahiri’, Contemporary Women’s Writing, Vol. 5, N. 1, 2011, p. 79. URL: http://cww.oxfordjournals.org/content/5/1/66.short?rss=1&ssource=mfr.