Dalla diaspora alla transnation: isotopie nostalgiche tra realismo, postmoderno e off-modern
2.3 La postcolonial nostalgia della vita domestica tra fratture affettive e transizione identitaria.
3.3.2 Gli orizzonti della transnation tra passato e futuro.
L’episodio del New Hampshire si pone come spartiacque del romanzo, collocandosi alla fine del capitolo 6, e quindi a metà romanzo, nel luglio del 1995. Mentre la prima parte di The
Namesake condensa i primi ventisette anni di Gogol, l’altra metà copre un asse cronologico
ridotto, tra il 1996 e il 2000. La vicenda che segna il climax della scissione identitaria di Gogol/Nikhil è la morte di Ashoke, che è il simbolo di una model minority di successo poiché adotta il dress-code americano e vive con relativa facilità l’assimilazione nel mondo culturale statunitense. Ashoke muore improvvisamente a seguito di un infarto durante un breve soggiorno di ricerca a Cleveland e, nella dialettica tra gain e loss, Gogol/Nikhil sembra aver bisogno della morte del padre per fare i conti con l’identità cosmopolita che quest’ultimo gli ha lasciato in eredità. Tuttavia, prima di approdare alla dimensione della transnation, che nelle parole di Bill Ashcroft corrisponde a un “future without dimensions”187, l’eroe deve liberarsi dello spettro nostalgico delle origini attraverso il passaggio dalla malinconia all’elaborazione del lutto del padre defunto.
Come precisa Freud in ‘L’Io e l’Es’, il primo oggetto di desiderio del bambino è catalizzato dalla figura paterna che diviene oggetto di identificazione primaria e fonte di legame malinconico. La morte di Ashoke risveglia il bisogno di identificazione con la figura paterna e con quanto Ashoke rappresenta, un’eredità esemplificata dalle parole di Ashoke dopo la rivelazione a suo figlio dell’incidente in treno: “You remind me of everything that
186 B. ASHCROFT, ‘Transnation’, cit., p. 83. 187 Ivi, p. 82.
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followed”188. Il ragazzo prende coscienza della valenza positiva che la sua nascita ha portato nella vita del padre e, dopo la morte di Ashoke, comincia ad abbracciare le tradizioni bengalesi che ha sempre respinto. Durante la funzione religiosa, Gogol si rade totalmente il capo, una scena che, da bambino, aveva visto fare allo stesso Ashoke dopo la telefonata dall’India che annunciava la morte del padre di quest’ultimo. I ricordi del passato inseguono l’eroe del romanzo come fantasmi che infrangono tutti i confini spazio-temporali. Al termine del periodo di lutto, Gogol/Nikhil è in treno di ritorno a New York e rievoca una scena trascorsa da bambino con suo padre. Come in molti momenti chiave che hanno una valenza epifanica o trasformativa, l’episodio avviene in treno, luogo di transito e di attraversamento spaziale. Osservando dal finestrino la costa, Gogol ricorda la giornata trascorsa con i genitori a Cape Cod. Lui e suo padre avevano camminato, tenendosi per mano, lungo un’insenatura stretta, sotto gli occhi preoccupati di Ashima, in un’atmosfera burrascosa, pregna di immagini di morte, come un gabbiano morto, e onde che “flowed in two directions”189. Ashoke si rende conto di aver dimenticato la fotocamera per immortalare il luogo e chiede a suo figlio di archiviare nella memoria il ricordo:
“Try to remember always,” he said once Gogol had reached him, leading him slowly back across the breakwater, to where his mother and Sonia stood waiting. “Remember that you and I made this journey, that we went together to a place where there was nowhere left to go”.190
Rievocando le parole paterne, Gogol eredita il valore del viaggio come simbolo di un percorso complicato. L’escursione a Cap Code è l’emblema del più arduo viaggio della migrazione della famiglia Ganguli e del problematico percorso di assimilazione. In un paesaggio liminale, tra la costa e l’oceano, Gogol non solo si muove in un interstizio, ma attraversa anche il confine temporale. Ricongiungendo un ricordo dell’infanzia con il presente e il futuro, Lahiri mostra la fluidità spazio-temporale che contraddistingue i cittadini exorbitans della sua narrativa.
188 J. LAHIRI, The Namesake, cit., p. 124. 189 Ivi, p. 186.
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Un ulteriore passo verso l’elaborazione del lutto di Gogol/Nikhil è il matrimonio combinato. Dopo la morte di Ashoke, l’eroe si allontana da Maxine e dall’idea di America che la sua famiglia veicola e decide di sposare Moushumi, figlia di bengalesi, di cui ha un vago ricordo durante una delle tante feste trascorse assieme dalle rispettive famiglie. Nata in Inghilterra, dove originariamente i suoi genitori erano emigrati191, Moushumi ha vissuto negli Stati Uniti, trasferendosi successivamente a Parigi, in una sorta di esilio volontario verso un’altra dimensione culturale: “immersing herself in a third language, a third culture, had been her refuge ― she approached French, unlike things American or Indian, without guilt, or misgiving, or expectation of any kind”192. Il carattere transnazionale e cosmopolita della giovane donna è simboleggiato anche dall’etimologia bengalese del suo nome, “a damp southwesterly breeze”193, e dalla sua determinazione a mantenere il proprio cognome paterno dopo le nozze, rinnegando una tradizione secolare per le spose indiane. Dopo un viaggio a Parigi, nella primavera del 1999, Gogol si rende conto del valore trasformativo che il superamento dei confini può generare: “he admires her, even resents her a little, for having moved to another country and made a separate life. He realizes that this is what their parents had done in America. What he, in all likelihood, will never do”194. Moushumi, infatti, come cittadina nomadico-globale, “who moves through space and across national borders”195, non riesce ad arrestare la sua continua ricerca di innesti interculturali e, ad un anno solo dal matrimonio con Gogol, riprende la sua relazione con Dimitri Desjardins, con cui condivide interessi letterari simili196. Anche nel caso della moglie di Gogol, Lahiri ricorre all’onomastica
191 Moushumi è un personaggio con tratti autobiografici. Come Jhumpa Lahiri, è nata nel Regno Unito, ha
vissuto negli Stati Unit e ha cercato una terza via, linguistica e culturale, di realizzazione personale.
192 J. LAHIRI, The Namesake, cit., p. 214. 193 Ivi, p. 240.
194 J. LAHIRI, The Namesake, cit., p. 233.
195 S. AHMED, Strange Encounters: Embodied Others in Post-Coloniality, London, Routledge, 2000, p. 77
196 Nelle pagine conclusive del capitolo 10, Lahiri condensa una serie di riferimenti letterari: Dimitri pubblica
recensioni su Der Spiegel e Critical Inquiry, mentre Moushumi sta lavorando a un articolo su PMLA. Quando Moushumi compare per la prima volta, da bambina durante una festa di famiglie bengalesi, è intenta a leggere
Pride and Prejudice, isolata rispetto agli altri bambini. Inoltre, Moushumi ricorda che la prima volta che ha
conosciuto Dimitri, il giovane stava leggendo L’uomo senza qualità di Robert Musil, mentre la donna aveva ricevuto in dono da Dimitri una traduzione in lingua inglese de Il rosso e il nero di Stendhal, con una dedica in cui il suo nome era stato reso come “Mouse”. Infine, i due amanti posseggono gli stessi libri, tra cui The Princeton
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bengalese come allegoria culturale. Nel nome della donna, passato e presente sembrano essere assenti, mentre il futuro assume la valenza di un movimento imprevedibile.
Nell’ultimo capitolo, ambientato durante il Natale del 2000, in transito verso il terzo millennio, Lahiri descrive il processo trasformativo di Gogol/Nikhil e di Ashima verso lo spazio della transnation, in cui “the past thus becomes the medium of transformation, the medium of the future”197. Ashima, in particolare, è il personaggio che più di ogni altro compie il percorso evolutivo da loss a gain. Come indicato in precedenza, il senso della perdita pervade la donna. All’inizio del capitolo 3, descrivendo la promozione di Ashoke a professore associato nel 1971, Ashima vive con ansia il trasferimento dalla casa nel centro di Cambridge a quella in Pemberton Road, nella periferia della cittadina del Massachusetts, un’esperienza più drastica della migrazione da Calcutta agli Stati Uniti. Senza trasporti pubblici e lontano dalla città, Ashima condivide la stessa suburban neurosis di Mrs. Sen, associando lo status dello ‘straniero’ a quello di una maternità senza fine:
Though no longer pregnant, she continues, at times, to mix Rice Krispies, and peanuts and onions in a bowl. For being a foreigner, Ashima is beginning to realize, is a sort of lifelong pregnancy ― a perpetual wait, a constant burden, a continuous feeling out of sorts. It is an ongoing responsibility, a parenthesis in what had once been ordinary life, only to discover that that previous life has vanished, replaced by something more complicated and demanding. Like pregnancy, being a foreigner, Ashima believes, is something that elicits the same curiosity from strangers, the same combination of pity and respect.198
Lo slittamento temporale dei verbi, da “is beginning to realize” a “believes”, evidenzia la sofferenza della donna e la maturazione di un punto di vista ‘nuovo’. Come il malinconico che incorpora l’oggetto perduto, la madrepatria, Ashima Ganguli vive un estraniamento perpetuo che, come durante un parto, prevede responsabilità, dolore e alienazione. Tuttavia, questa
riferimenti metaletterari disseminati nel romanzo, e l’esplorazione degli spazi urbani, si veda: C. CONCILIO, ‘From West Bengal to New York: The Global Novels of Jhumpa Lahiri and Kiran Desai’, in A. CAROSSO (ed.), Urban
Cultures of/in the United States: Interdisciplinary Perspectives, Bern, Peter Lang, 2010, pp. 87-119.
197 B. ASHCROFT, ‘Globalization, Transnation and Utopia’, cit., p. 27. 198 J. LAHIRI, The Namesake, cit., pp. 49-50.
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condizione è anche il canale di accesso verso il cambiamento e la mutazione. Rispetto all’incipit del romanzo, nel capitolo 7 la donna intraprende il suo innesto nel territorio americano. Da un po’ di tempo lavora part-time presso una biblioteca locale, impiego che la porta fuori dalla sfera domestica che è solita abitare. Per celebrare il Natale, inoltre, Ashima ha deciso di preparare delle cartoline proprie: “this year’s card is a drawing she has done herself, of an elephant decked with red and green jewels, glued onto silver paper”199. Il motivo è la replica di un disegno che suo padre aveva fatto per Gogol molti anni prima. Riproducendo un motivo che trae le sue origini dal passato, Ashima contamina una festa occidentale, come il Natale, con motivi indiani per evitare scene cristiane come la natività o gli angeli. Tale ibridazione è indicativa di una disseminazione che riempie gli spazi vuoti della migrazione. Come puntualizza Bhabha nel saggio “DissemiNation”, l’identità è sempre il sito in cui si colloca una certa mancanza che rispecchia la perdita della nazione: “the nation fills the void left in the uprooting of communities and kin, and turns that loss into the language of metaphor”200. La metafora, a sua volta, “transfers the meaning of home and belonging, across the ‘middle passage’”201, disseminando il concetto di nazione oltre il perimetro spaziale dello stato-nazione. Ashima segue un percorso di disseminazione in linea con l’etimologia del suo stesso nome. Come colei che è “without borders”, la donna decide di trascorrere sei mesi in India e sei mesi in America. Dopo la morte dell’uomo che l’ha sradicata dalla sua terra di origine, Ashima confessa che, a distanza di oltre trenta anni, la casa in Pemberton Road “is home nevertheless”202, ma “true to the meaning of her name, she will be without borders, without a home of her own, a resident everywhere and nowhere”203. Cittadina del third space, lo spazio della potenzialità, Ashima è una versione moderna del mito di Persefone204. Come la dea ― figlia di Zeus e Demetra e sposa di Ade, dio degli Inferi ― trascorre l’autunno e l’inverno nel
199 Ivi, p. 160.
200 H. BHABHA, The Location of Culture, cit., p. 139. 201 Ibidem.
202 J. LAHIRI, The Namesake, cit., p. 280. 203 Ivi, p. 276.
204 Presso i Romani la divinità era chiamata Proserpina, figlia di Cerere. Il suo rapimento ad opera di Plutone è
narrato ne Le metamorfosi di Ovidio. Oltre a numerosi rappresentazioni iconografiche, tra cui quella ad opera di Dante Gabriel Rossetti, si ricorda anche un poema, ‘Song of Proserpine’, di Percy Bysshe Shelley.
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regno dei morti e la primavera e l’estate sulla terra, così Ashima nei mesi freddi sarà con i suoi familiari a Calcutta, mentre “in spring and summer she will return to the Northeast”205.
Se Ashima si avvicina al modello della cittadinanza globale, il percorso di Gogol/Nikhil rimane invece sospeso. Il finale aperto di The Namesake si muove nella direzione della
transnation e termina con l’eroe che si accinge a leggere il dono dimenticato del padre, The Short Stories of Nicolaj Gogol. La conclusione è caratterizzata non solo dall’atto metanarrativo della
lettura che sembra aprire nuovi orizzonti, ma anche da un tono fortemente auto-riflessivo. Gogol medita sulle varie vicende che hanno segnato il suo destino e quello dei Ganguli, dall’incidente di suo padre all’emigrazione negli Stati Uniti, dalla lettera della nonna di Ashima, mai giunta a destinazione, alla scelta del nome e al successivo tentativo di correzione:
They were things for which it was impossible to prepare but which one spent a lifetime looking back at, trying to accept, interpret, comprehend. Things that should never have
happened, that seemed out of place and wrong, these where what prevailed, what endured,
in the end.206
Gogol/Nikhil è nella soffitta della casa di Pemberton Road, che Ashima è in procinto di vendere, e i ricordi del passato riemergono. Come nel tentativo di fare un riassunto dell’intera trama del romanzo, il protagonista realizza che le traiettorie del passato possono sparire per sempre, poiché con la morte del padre e la partenza di Ashima, “Gogol Ganguli will, once and for all, vanish from the lips of the loved ones, and so, cease to exist”207. Tuttavia, se Gogol cesserà di esistere, e il mondo conoscerà soltanto Nikhil, la riscoperta del libro del suo omonimo diventa lo strumento che impedisce la morte di Gogol, una funzione salvifica che il libro aveva già avuto in occasione del tragico incidente in treno di Ashoke. Gogol/Nikhil apre il libro e inizia la lettura de ‘Il cappotto’, lasciando al lettore l’interrogativo sul potere trasformativo che questo atto implica. La lettura è un atto performativo attraverso cui Gogol/Nikhil si rivolge direttamente al lettore, mettendo in evidenza il potenziale
205 Ivi, p. 275. 206 Ivi, p. 287. 207 Ivi, p. 289.
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immaginativo del discorso letterario. L’auto-riflessione dell’eroe di The Namesake evidenzia come la realtà non offra singole verità o significati fissi. Essa, infatti, riflette le condizioni inerenti la composizione stessa dell’opera, rivelando il complesso processo della scrittura che attinge da esperienze biografiche ma fa anche ricorso a creatività e finzione.
A differenza di Kaushik, il protagonista maschile di ‘Hema e Kaushik’ in Unaccustomed
Earth ― che come Gogol esperisce un sentimento di racial melancholia e soffre per la morte
della madre, simulacro della madrepatria ― Gogol non perviene a soluzione distruttive. Come nota Bill Ashcroft in relazione a The Namesake, “memory is that medium in which utopia can either dissolve into nostalgia or become the mode of transformation”208. Nikhil, che in bengalese significa ‘cosmo’, ‘universo’, mette momentaneamente da parte il futuro che incombe. La successione di periodi retti da will (“will apologise”, “will walk downstairs”, “will eat”, “will help”209), è seguita da una breve frase al presente: “for now, he starts to read”210. L’atto prolettico della lettura è anche un ritorno al passato. Una mise en abyme retrospettiva, la lettura del racconto dello scrittore ucraino consente a Gogol di ripercorre un sentiero tracciato da suo padre e dal nonno di Ashoke in precedenza. Inoltre, essa è una soluzione formale che proietta l’eroe in avanti. Calpestando un itinerario già percorso, Gogol si muove verso un destino ormai inevitabile ma ancora aperto, una direzione che, secondo Ashcroft, illustra come la transnation sia uno spazio di dissoluzione dei confini e superamento della perdita:
Memory is the smooth space that flows through and around the striated space of history, the space of the nation state and all structures of fixed identity. Ironically, memory, through the medium of literature, becomes the vehicle of potentiality rather than stasis. This is the potentiality of return, when the past adumbrates a future that transforms the present.211
Come nel finale di ‘The Third and Final Continent’, la conclusione di The Namesake traccia il percorso utopistico e rigenerativo dell’immaginazione letteraria che è in grado di illuminare la
208 B. ASHCROFT, ‘Transnation’, cit., p. 83. 209 J. LAHIRI, The Namesake, cit., p. 290. 210 Ivi, p. 291.
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realtà. Gogol accede alla dimensione della reflective nostalgia in cui “the focus [here] is not in the recovery of what is conceived as absolute truth, but a meditation on the transition of time”212. In un mondo di situazioni assurde e insensate, il sentimento nostalgico riflessivo sembra fornire una risposta ironica alla stravaganza della realtà. Il paradosso della transnation emerge nel potere trasformativo con cui viene dissolto il confine tra passato e futuro, attingendo dal ricordo nostalgico spunti e riflessioni utili per seguire l’orizzonte del futuro. La reflective nostalgia si configura, in conclusione, come spazio del pensiero in cui, attraverso la mimesi, “the past is remade in the image of the present or as a desired future”213.
3.4 “A stasis in motion”: tracce di realismo, postmoderno e off-modern.
In un articolo comparso nell’estate del 1997 su The New Yorker, rivista che ha pubblicato vari racconti e riflessioni di Jhumpa Lahiri a partire dal 1999, lo scrittore Salman Rushdie lamentava la quasi totale negligenza della letteratura indiana in lingua inglese nel nuovo continente. Scrivendo a cinquant’anni esatti dall’indipendenza e dalla Partition, Rushdie rifletteva sul prezioso contributo che alcuni scrittori indiani, tra cui Amitav Ghosh e Vikram Seth, meritevoli di aver aperto la strada ad una sorta di rivoluzione linguistica e letteraria. Scrive Rushdie, “that age of obscurity is coming to an end. India’s writers have torn up the old map and are busily drawing their own”214. A distanza di soli tre anni da questo intervento, Mervyn Rothstein, in un articolo apparso su The New York Times, celebrava l’avvento di “a young, critically praised generation of Indian writers” 215. La lista del NYT includeva una nuova generazione di scrittori – tra cui Raj Kamal Jha, Kiran Desai e Jhumpa Lahiri – i quali, sulla scia del successo del romanzo di Rushdie, erano stati denominati “Midnight’s grandchildren”. Secondo Rothstein, l’elemento che accumunava le nuove voci indiane era il ritorno a toni
212 S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 49. 213 Ivi, p. 354.
214 S. RUSHDIE, ‘Damn, This is the Oriental Scene for You!’, The New Yorker, 23 June 1997, p. 61.
215 M. ROTHSTEIN, ‘India’s Post-Rushdie Generation: Young Writers Leave Magic Realism and Look at Reality’,
The New York Times, 3 July 2000. URL: http://www.nytimes.com/2000/07/03/books/india-s-post-rushdie-
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realistici e la distanza rispetto alle soluzioni del magic realism introdotte da Rushdie in Midnight’s
Children (1981). L’articolo del NYT ha focalizzato l’attenzione su scrittori, perlopiù immigrati
di seconda generazione, che hanno contribuito a ridurre l’invisibilità denunciata da Rushdie e dagli studiosi di letteratura sud-asiatica negli Stati Uniti216.
Ho introdotto la questione relativa alle soluzioni stilistiche di Jhumpa Lahiri, in particolare riguardo The Interpreter of Maladies e The Namesake, con questo riferimento agli articoli comparsi alla fine dello scorso millennio per sottolineare il fatto che la scrittrice è stata tendenzialmente associata alla tradizione letteraria indiana in lingua inglese, nonostante Lahiri abbia sempre dichiarato il fascino e l’influsso ereditato da autori come William Trevor, Mavis Gallant, e Thomas Hardy, tra gli altri, in particolare per i temi affrontati da questi ultimi. In questo paragrafo, intendo seguire due itinerari: da un lato evidenziare le tracce del realismo nell’opera di Lahiri, ereditate dalla tradizione occidentale, dall’altro i segni del postmoderno, mutuati anche dalla letteratura indiana successiva alle novità introdotte da Salman Rushdie. I due orientamenti, dal mio punto di vista, trovano una convergenza nelle opere di Lahiri, avvicinandosi allo stile off-modern che, nella definizione di Boym, vive la modernità con esaltazione e dubbio al tempo stesso. L’off-modern, negli scrittori la cui origine è periferica