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Culinary nostalgia : il cibo come metonymic gap del ritorno alle origini.

Dalla diaspora alla transnation: isotopie nostalgiche tra realismo, postmoderno e off-modern

3.2 Restorative nostalgia e diasporic imaginary : le isotopie delle origini in

3.2.2 Culinary nostalgia : il cibo come metonymic gap del ritorno alle origini.

Una delle categorie semiche maggiormente ricorrenti nei testi di Lahiri è quella del cibo e della cucina etnica indiana. Laura A. Williams, in uno studio su Interpreter of Maladies, sostiene

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che il cibo rappresenta un mezzo “to assert agency and subjectivity in ways that function as an alternative to the dominant culture”46. Condividendo l’assunto che per i personaggi femminili, di cui Mrs. Sen è il caso più emblematico, il cibo e gli utensili legati all’ambito domestico sono espressione della soggettività etnica nel contesto americano, intendo mostrare come non sempre essi si traducano in forme di agency e come non siano elementi appannaggio dei soli personaggi femminili. Il cibo è una categoria semantica tramite cui Lahiri mette in scena il problematico processo di transizione che i suoi personaggi esperiscono tra India e Stati Uniti. In virtù della sua valenza metaforica di ponte tra passato e presente, e per il senso di condivisione che esso promuove47, il cibo è un elemento che non conosce distinzioni di genere. Nella mani di personaggi maschili come Shukumar e Sanjeev, ad esempio, esso diventa il ricettacolo di un immaginario diasporico che Lahiri complica poiché, oltre alla questione etnica, l’isotopia del cibo condensa anche la frantumazione dei rapporti personali e familiari.

L’isotopia culinaria per Jhumpa Lahiri non costituisce soltanto un elemento nostalgico di restaurazione delle origini. In un brano pubblicato nel 2000, la scrittrice evoca l’immagine della ‘Food Suitcase’48 in relazione al ruolo che il cibo ha ricoperto nella sua vita, come simbolo di connessione tra turismo culinario e senso delle origini. La globalizzazione, infatti, ha ridotto le distanze da ogni punto di vista e la time-space compression, che David Harley descrive come aspetto saliente dell’età globale, ha messo in risalto i “values and virtues of instantaneity”49 della post-modernità. Tuttavia, l’immagine del cibo come touristscape, o “Indian Takeout” così come Lahiri lo definisce, genera anche un effetto estraniante nei confronti di chi associa una data pietanza ad una determinata area geografica e rimane spiazzato dalla possibilità di acquistare ingredienti per la propria cucina etnica ovunque. Lahiri ricorda come

46 L. A. WILLIAMS, ‘Foodways and Subjectivity in Jhumpa Lahiri’s Interpreter of Maladies’, Melus, Vol. 32, N. 4,

2007, p. 70.

47 Secondo William Safran, il cibo caratterizza il soggetto diasporico per definizione: cfr. W. SAFRAN, ‘Diasporas

in Modern Societies: Myths of Homeland and Return’, Diaspora: A Journal of Transnational Studies, Vol. 1, N. 1, 1991, pp. 83-99.

48 J. LAHIRI, ‘Indian Takeout’, Food and Wine, April 2000. URL: http://www. foodandwine.com/articles/indian-

takeout.

49 D. HARLEY, The Condition of Postmodernity: An Enquiry into the Origins of Cultural Change, Cambridge, Blackwell

University Press, 1989, p. 286. Harley cita il fenomeno dei vari fast food come caso paradigmatico di accesso immediato alla cultura culinaria di paesi distanti.

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la prima cena che sua madre generalmente organizzava di rientro dai numerosi viaggi a Calcutta, quando la scrittrice era una bambina, “was never an occasion to celebrate but rather to mourn, for the people and the city we [they] had, once again, left behind”50. Il cibo che la signora Lahiri era solita preparare rispecchiava l’umore “weary and melancholy”, mentre ora, osserva la scrittrice, con la riduzione delle distanze e la globalizzazione, “the Food Suitcase sits in our basement, neglected, smelling of cumin”51. Lahiri, dunque, risalta come la globalizzazione sia in grado di frammentare la dimensione psichica dei soggetti diasporici, richiamando le insicurezze che lo stesso Harley descrive in relazione alla time-space compression postmoderna. Seguendo il discorso di Anita Mannur sulla culinary nostalgia, si vuole evidenziare come il cibo abbia una doppia valenza nell’immaginario della diaspora sud-asiatica. Esso è sia veicolo di affermazione identitaria che strumento di resistenza. Oltre che modalità di trasmissione e espressione di identità etniche definite, Mannur ritiene che il cibo, nella sua manifestazione di touristscape, sia anche un mezzo “to enquire the richly layered texture of how race is imagined and reinterpreted within the cultural arena”52.

In questo paragrafo analizzo ‘Mrs. Sen’s’ e ‘When Mr. Pirzada came to dine’, leggendoli come testi in cui la nostalgia si tinge di tonalità restauratrici. Entrambi i racconti, che sono filtrati dal punto di vista innocente di due bambini, mettono in risalto la sofferenza della

restorative nostalgia e il senso di spaesamento della diaspora indiana53, registrando il valore affettivo del cibo che condensa i ricordi nostalgici degli immigrati. La culinary nostalgia non è

50 J. LAHIRI, ‘Indian Takeout’, cit. 51 Ibidem.

52 A. MANNUR, Culinary Fictions: Food in South Asian Diasporic Culture, Philadelphia, Temple University Press, 2010,

p. 8.

53 In questo gruppo di racconti, in cui la diegesi è filtrata da giovani protagonisti, andrebbe inserito anche ‘Sexy’

che, trovandosi al centro di Interpreter of Maladies, rappresenta una sorta di turning point della raccolta. ‘Sexy’ capovolge la dicotomia Boston-Bengala poiché non enfatizza differenze e opposizioni culturali. Nel racconto, Lahiri illustra come la globalizzazione abbia ridotto lo scarto tra Boston e Bengala, ponendo al centro della storia una giovane americana, Miranda, che vive una relazione segreta con Dev, un indiano sposato. Miranda è il prototipo dell’americano medio che non conosce a fondo la cultura indiana, confonde i luoghi sulla cartina e cerca attraverso il cibo di colmare tale scarto. Rohin, invece, il bambino indo-americano di cui temporaneamente Miranda si prende cura, ironicamente riporta la ragazza dentro il perimetro della realtà, fuori dal suo immaginario fatto di fantasia e superficialità. Erede poliglotta della globalizzazione e del brain drain indiano, Rohin fa notare a Miranda il significato della parola sexy, “loving someone you don’t know”: J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 107. Come nello stadio dello specchio di Lacan, Miranda esperisce il passaggio dall’Immaginario al Simbolico attraverso il linguaggio. Il paradosso è che un’americana, madrelingua inglese, acceda ai significati della propria cultura con Dev prima e Rohin dopo, due parlanti anglofoni di origine indiana.

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solo la fedele riproduzione di un passato edenico. Essa è anche una distorsione, come quella che, secondo Lacan, il bambino esperisce davanti allo specchio. Da queste immagini distorte, come in una rete di desideri e timori, emerge la contingenza di una memoria che, per Mannur, “is distorted and re-created in the diasporic imaginary of subjects who are multiply located and ambivalent about their own tenuous connections with a ‘home’ contiguous with the geographic parametres of South Asia”54. L’intreccio tra ricordi culinari e distorsione nostalgica produce uno scarto che Lahiri riempie con il campo lessicale del cibo indiano, un metonymic gap che, nelle parole di Ashcroft, è “an installation of difference”55.

Per Mrs. Sen, nell’eponimo racconto di Interpreter of Maladies, il cibo e gli utensili sono elementi simbolici di riaffermazione della propria identità culturale. Come il bambino di Lacan che osserva davanti allo specchio la propria immagine ed esperisce il passaggio dal Reale al Simbolico, la signora Sen riflette nel cibo il proprio senso di soggetto diasporico che vive in

displacement, in uno spazio dove “brimming bowls and colanders lined the countertop, spice

and pastes were measured and blended, and eventually a collection of broths simmered over periwinkle flames on the stove”56. Lahiri descrive con minuziosità le abitudini culinarie dell’indiana, filtrando la diegesi attraverso gli occhi di Eliot, un ragazzino americano di undici anni a cui Mrs. Sen fa da babysitter nel suo appartamento suburbano in America. Avvalendosi di un punto di vista così lontano, sul piano etnico e anagrafico, rispetto a quello della protagonista del racconto, la narrazione in terza persona dovrebbe tendere a una intensificazione dello scarto tra i due mondi descritti, aspetto che Lahiri, al contrario, cerca di colmare e ridurre mediante la sintonia che si instaura tra il bambino americano e la donna indiana. Eliot, tra le varie cose, è attratto da un coltello speciale, che Mrs. Sen adopera per affettare le verdure. Il coltello è un oggetto che la donna ha portato con sé da Calcutta, città da cui si è trasferita per seguire suo marito che insegna matematica in un college americano.

54 A. MANNUR, Culinary Fictions: Food in South Asian Diasporic Culture, cit., p. 31.

55 B. ASHCROFT, ‘Bridging the Silence: Inner Translation and the Metonymic Gap’, cit, p. 25. 56 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 117.

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L’utensile è un potente elemento metonimico che si carica di un acuto senso nostalgico nei confronti di una comunità che la signora Sen avverte ormai come definitivamente perduta:

“Whenever there is a wedding in the family,” she told Eliot one day, “or a large celebration of any kind, my mother sends out word in the evening for all the neighborhood women to bring blades just like this one, and then they sit in an enormous circle on the roof of our building, laughing and gossiping and slicing fifty kilos of vegetables through the night.”57

Come spiega Lacan, rifacendosi agli studi di Roman Jakobson, la logica della metonimia segue un percorso orizzontale58. Rispetto alla metafora, che procede lungo l’asse paradigmatico del linguaggio e si avvale di parole simili o sostitutive, la metonimia opera sul piano sintagmatico, servendosi di continuità e associazioni. Il vuoto che la metonimia veicola, la mancanza della madrepatria, estende e rimanda il desiderio di connessione di Mrs. Sen, e il suo nevrotico gesto di affettare la verdura sembra, simbolicamente, un disperato tentativo di ridurre la distanza tra Stati Uniti e India.

Mrs. Sen è chiaramente caratterizzata da un pronunciato senso della perdita. La mancanza è un tratto distintivo della sua personalità: chiacchierando con la mamma di Eliot ― il classico esempio di madre single e donna in carriera che ricorre a cibo pronto e take-away ― la giovane indiana lamenta la difficoltà di reperire ingredienti per le sue ricette. In particolare, Mrs. Sen, che a Calcutta era solita consumare pesce fresco due volte al giorno, nota come “it is very frustrating […] to live so close to the ocean and not to have so much fish”59. Mancanza e vuoto delineano Mrs. Sen come personaggio nostalgico anche sul piano fisico: il “small gap between her teeth”60 è il simbolo di un vuoto che circonda l’esistenza di una donna che vive nell’attesa spasmodica di ricevere lettere dall’India e trascorre le giornate tra la preparazione delle pietanze e l’ascolto del nastro in cui sono registrate le voci dei parenti indiani.

57 Ivi, p. 115.

58 Sulle osservazioni di Lacan circa le funzioni del linguaggio, in particolare la metafora e la metonimia, e la

visione dell’alterità si veda: A. WILDEN, ‘Lacan and the Discourse of the Other’, in ID. (ed.), The Language of the

Self: The Function of Language in Psychoanalysis, Baltimore, Jhons Hopkins University Press, 1968, pp. 159-311.

59 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 115. 60 Ivi, p. 112

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L’identità problematica di Mrs. Sen resiste ai tentativi di assimilazione. La donna, infatti, rifiuta di imparare a guidare e conseguire la patente, per poter essere autonoma negli spostamenti e non dovere dipendere dal marito per l’acquisto di generi alimentari. Il suo carattere exorbitans è amplificato dal fatto che il lettore, e lo stesso Eliot, non conosce il suo nome di battessimo. Mrs. Sen rimane, dunque, un personaggio che vive nel perimetro dell’anonimato e Lahiri illumina il suo senso di vuoto attraverso l’assenza che caratterizza sul piano linguistico il titolo del racconto. Il genitivo senza oggetto, ‘Mrs. Sen’s’, può essere interpretato come una soluzione attraverso la quale la scrittrice intende sottolineare la mancanza di un senso di ‘casa’, intesa come luogo reale degli affetti.

La donna, inoltre, vive in “a university apartment located on the fringes of the campus”61, ma Eliot si rende subito conto che “when Mrs. Sen said home, she meant India, not the apartment where she sat chopping vegetables”62. Mrs. Sen è un soggetto nevrotico, vittima di forme di coazione a ripetere, pulsioni che freudianamente “mirano alla restaurazione di uno stato di cose precedente”63. La natura nevrotica di questa trentenne che vive nella periferia americana, priva di affetti e lontana dai servizi più importanti, richiama il prototipo di soggetto femminile alienato che Stephen Taylor ha ironicamente etichettato con “Mrs. Everyman”. Descrivendo le inglesi trentenni che, a cavallo tra le due guerre, dimoravano nelle zone periferiche e suburbane delle città, il dottor Taylor analizzò una serie di reazioni, tra cui mal di schiena, insonnia e difficoltà respiratorie, come sintomi di un disturbo da lui denominato suburban neurosis64. Benché Mrs. Sen non soffra di queste manifestazioni a livello fisico, la sua alienazione ha molti tratti in comune con la nevrosi di queste “Mrs. Everyman”, mere figure di contorno alla vita pubblica dei propri mariti, un fenomeno sociale che nel caso delle donne immigrate assume un valore più complesso e doloroso.

61 Ibidem. 62 Ivi, p. 116.

63 S. FREUD, ‘Al di là del principio di piacere’, in ID., Opere. Vol. 9, (traduzione di C. L. Musatti), Torino,

Boringhieri, 1989, [1920], p. 222.

64 S. TAYLOR, ‘The Suburban Neurosis’, The Lancet, Vol. 231, N. 5978, 26 March 1938, pp. 759-61. URL:

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Lahiri traduce il disagio di Mrs. Sen in un processo creativo in cui scrittura e traduzione convergono in una forma pura che richiama la “reine Sprache”65 di Benjamin. La ‘lingua pura’ corrisponde all’intenzione originale dello scrittore, una strategia di traduzione che, negli scrittori della diaspora, si manifesta attraverso quello che Ashcroft chiama metonymic gap66. Le pratiche culturali di Mrs. Sen configurano un vuoto metonimico che Lahiri rende attraverso i dettagli ordinari della vita quotidiana, una soluzione che non attenua il peso della sofferenza psicologica. Il coltello non simboleggia soltanto lo spazio da ridurre tra India e Stati Uniti. Esso è anche lo strumento con cui Mrs. Sen esprime il senso di lacerazione personale, la perdita di quel cameratismo femminile rimasto in India. In tal senso, l’utensile sembra configurarsi come oggetto auratico, un elemento di chiara derivazione benjaminiana. Esso, infatti, è un simbolo che rimanda al fantasma del passato, la cui comparsa nel presente sembra evocare il ritorno di sentimenti repressi. L’immagine concreta dell’oggetto viene sostituita da una certa densità connotativa, “like the prow of a Viking ship, sailing to battle in distant seas”67, similitudine con cui il coltello assume una certa valenza auratica o, prendendo in prestito le parole di Benjamin, “l’apparizione unica di una lontananza”68. La relazione tra Mrs. Sen e il coltello, e il mondo della cucina indiana in senso lato, richiama il fenomeno che Jean- Jacques Lecercle ha denominato “return of the remainder”. Il coltello (blade) è, pertanto, una metonimia efficace della culinary nostalgia che nella sua manifestazione di lingua ‘pura’ veicola “the return within language of the contradictions and struggles that make up the social”69. L’utensile è il remainder intraducibile delle contraddizioni irrisolte di un’identità diasporica lacerata da un sentimento di nostalgica restaurazione.

65 W. BENJAMIN, “‘Il compito del traduttore’, cit., p. 44.

66 Questa è la definizione che Ashcroft offre di metonymic gap: “This is the cultural gap formed when writers

transform English according to the needs of their source culture: by inserting unglossed words, phrases, or passages from a first language; by using concepts, allusions, or references that may be unknown to the reader; by syntactic fusion; by code-switching; by transforming literary language with vernacular syntax or rhythms; or even by generating a particular cultural music in their prosody. Such variations become synecdochic of the writer’s culture rather than linguistic sings that somehow embody culture”: B. ASHCROFT, ‘Bridging the Silence: Inner

Translation and the Metonymic Gap’, cit., p. 24.

67 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 114.

68 W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, (traduzione di E.

Filippini), Torino, Einaudi, 2000, p. 25.

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Il senso di homesickness che alimenta la personalità di Mrs. Sen è condiviso da Eliot, il quale si adatta facilmente all’ambiente domestico della donna indiana. Rispetto al freddo della casa che Eliot condivide con la madre, l’appartamento di Mrs. Sen è caldo e accogliente. I due personaggi, per quanto distanti sul piano etnico e anagrafico, condividono il medesimo bisogno di connessione umana in senso fosteriano. Lahiri, infatti, capovolge la prospettiva del punto di vista, ponendo Mrs. Sen non più come soggetto nevrotico da analizzare. Al contrario, la donna proietta la sua solitudine sulla personalità di un ragazzino di undici anni, abituato a cambiare babysitter e costantemente trascurato dalla madre. Agli occhi di Mrs. Sen, Eliot è una versione consapevole e già matura di chi dovrà affrontare il senso di spaesamento proprio dell’essere umano: “[w]hen I was your age I was without knowing that one day I would be so far. You are wiser than that, Eliot, you already taste the way things must be”70.

La restorative nostalgia che Lahiri fa trasparire in questo racconto non è solo una “perfect snapshot” in cui il passato “remains eternally young”71. La condizione nevrotica di Mrs. Sen è una forma di resistenza al processo di assimilazione, piuttosto che una strategia di agency. Intrappolata nella rievocazione di un passato edenico, non è un caso che la sua resistenza causi la fine del legame con Eliot. Il racconto, infatti, termina con un lieve incidente: incapace di contattare Mr. Sen e alla ricerca disperata di un halibut, Mrs. Sen prende l’auto del marito per recarsi al mercato. Durante il tragitto, l’indiana perde il controllo della vettura, che finisce contro una cabina telefonica. Sebbene né la donna né Eliot riportino ferite72, la mamma di Eliot decide che suo figlio è ormai in grado di vivere da solo e lo sottrae alla tutela di Mrs. Sen. Simbolicamente, il cibo è l’ultimo motivo del racconto: dopo aver fatto ritorno al suo tranquillo appartamento di periferia, l’indiana ripone il coltello speciale e getta le verdure che aveva già preparato, offrendo a Eliot “a plate of crackers with peanut butter”73. L’immagine

70 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 123. 71 S. BOYM, The Future of Nostalgia, cit., p. 49.

72 Jhumpa Lahiri non rinuncia al tono ironico in questo episodio drammatico. Il poliziotto che accorre sulla scena

dell’incidente teme, inizialmente, che Mrs. Sen abbia una ferita sulla testa. Il segno rosso, in realtà, è soltanto il

Sindooram, il tradizionale color vermiglio con cui le donne indù marcano il proprio status coniugale.

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finale di uno spuntino di facile preparazione, così diverso dalle minuziose abitudini culinarie di Mrs. Sen, è il segno di una identità costretta a fronteggiare un nuovo ordine Simbolico. Come il bambino davanti allo specchio, la signora Sen intravede una dimensione fatta di segni nuovi, la cui conoscenza non è più procrastinabile.

Il racconto che meglio illustra come il cibo, in quanto simbolo del diasporic imaginary, riesca a catalizzatore la diaspora è ‘When Mr. Pirzada came to dine’. La storia incarna una forma di restorative nostalgia in chiave culinaria che rimanda al tema della culinary nostalgia. Il cibo si manifesta come isotopia attorno a cui si instaurano una serie di connessioni fondate su un comune senso di appartenenza, favorendo una culinary citizenship che costituisce una “form of affective citizenship which grants subjects the ability to claim and inhabit certain subject positions via their relationship to food”74. L’idioma culinario rispecchia il modo in cui la memoria diasporica funziona, come in uno specchio in cui la nostalgia si riconnette con un luogo e un passato remoto. ‘When Mr. Pirzada came to dine’ non è narrato in terza persona, come la maggior parte delle storie di Interpreter of Maladies. La vicenda è raccontata da Lilia, una bambina americana di dieci anni. Durante l’autunno del 1971, mentre è in corso la guerra tra Pakistan Orientale e Occidentale75, un pakistano di religione mussulmana, Mr. Pirzada, si reca regolarmente a cena a casa di Lilia. I genitori di Lilia, bengalesi di fede induista, offrono cibo e