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Ghost text e apocalissi: verso un orientamento gecocritico del trauma?

Malinconia o anti-malinconia? Motivi del gotico e della geocritica in Unaccustomed Earth

4.6 La trilogia ‘Hema e Kaushik’: fiaba gotica o apocalissi ecocritica?

4.6.3 Ghost text e apocalissi: verso un orientamento gecocritico del trauma?

Nella terza e ultima parte di ‘Hema and Kaushik’ Lahiri ricongiunge i protagonisti attraverso la narrazione in terza persona con focalizzazione esterna. Come il titolo stesso suggerisce, “Going Ashore” implica un movimento opposto rispetto alla frenetica ricerca del mare da parte di Kaushik, quasi un segnale del bisogno di radicamento e ricollocamento nella terraferma. Siamo di nuovo in un momento liminale, la fine del 2004. Ritorna quindi il setting pre-natalizio che fa da sfondo all’intero racconto. Entrambi i protagonisti sono in Italia a seguito di percorsi diversi e l’incontro fortuito sembra preludere a un finale romantico, alimentato dalle aspettative delle due sezioni precedenti. Inoltre, Lahiri abbandona il passato, fatto di ricordi e impressioni, per indagare il presente e proiettare la storia verso il futuro. Tuttavia, lo scenario in cui la storia d’amore si consuma è quello di Roma e Volterra, che con la loro storia millenaria sembrano evocare un passato che torna ad incalzare i personaggi.

Hema, che ha conseguito il dottorato in letteratura latina e sta studiando la civiltà etrusca, vive temporaneamente nell’appartamento romano di una sua amica, nei pressi del Portico di Ottavia. Il senso di dislocazione e continuo riadattamento è, quindi, un motivo che ricorre nella storia e che non riguarda il solo protagonista maschile. L’esperienza del segreto condiviso da bambina con Kaushik l’ha come risvegliata, portando alla luce la consapevolezza della sua complessità identitaria che si porta dietro come un macigno. La donna esperisce

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forme di spaesamento simili a quelle di Kaushik. Studiando una lingua antica, Hema cerca di portare in vita qualcosa di complesso che però assume una valenza salvifica: “the ancient words and declensions and syntax that dwelled in her brain, felt sacred, enabling her to bring a dead world to life”126. Collocando Hema, e lo stesso Kaushik, in una terra diversa, l’Italia, Lahiri sposta il discorso dalla semplice condizione diasporica sud-asiatica a una dimensione più ampia, che trascende l’opposizione binaria India-America e affonda le radici in un tempo anteriore, quello della civiltà e della lingua pre-romana.

Dopo aver ceduto la sua camera a Kaushik nel mese in cui i Choudhuri avevano vissuto a casa sua, Hema adesso occupa uno spazio non proprio, in una città nuova che tuttavia sembra ricordarle Calcutta: “the grand weathered buildings, the palm trees, the possibility of crossing the main streets”127. Il richiamo alla metropoli bengalese è un riferimento alle nozze che attendono la donna in India. Hema, infatti, esortata dai genitori, ha deciso di sposare Nevin, un indiano emigrato negli Stati Uniti e le loro nozze sembrano essere una sorta di matrimonio combinato. Roma è paragonata a un labirinto in cui nascondersi, un luogo in cui evadere, ma anche un posto dalle molteplici potenzialità. Qui Hema esperisce una condizione di serena solitudine, essendo “free of her past and free of her future”128. In realtà, lo studio della civiltà etrusca, una popolazione oscura, originaria dell’Asia Minore, la conduce alla scoperta degli influssi di questo popolo sulla cultura romana. La donna visita la collezione etrusca del Museo Gregoriano, presso il Vaticano, e Villa Giulia che ospita il Museo Nazionale Etrusco in cui ammira il Sarcofago degli sposi (figura 5)129. Osservando l’aria nefasta che regna attorno la statua, “something dead about the marriage”130, Hema è indotta a pensare al proprio matrimonio e alla sensazione di morte che il pensiero le suggerisce. La statua, con la sua commistione di vita e morte, traduce il senso di spaesamento che Hema vive a Roma.

126 J. LAHIRI, Unaccustomed Earth, cit., p. 299. 127 Ibidem.

128 Ivi, p. 298.

129 La scultura in terracotta, un’urna cineraria destinata ad accogliere le ceneri dei defunti, fu rinvenuta nei pressi

di Cerveteri. Datato tra il 530 e il 520 a. C., il sarcofago raffigura una coppia di sposi distesi su un triclinio (kline) durante una scena conviviale.

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Circondata da una terra nuova, unaccustomed, per lingua e cultura, Hema segue un percorso a ritroso, alle radici della civiltà romana, verso una popolazione, gli Etruschi, figli della diaspora come i protagonisti del racconto, e la cui “literature was nonexistent, their language obscure”131. Il viaggio nel passato è un ulteriore esempio di incorporazione malinconica e il sarcofago rappresenta un elemento di riflessione estetica prossima alla dimensione del gotico. Secondo Mishra, il gotico, da sempre interessato dall’ansia dell’attraversamento dei confini, è un immenso spazio inconscio simile a una visione del mondo che “the mind can grasp only if it forgets for the moment the laws of the reason”132. Mishra congiunge gotico e sublime, ricreando una sensazione simile al “perturbante” freudiano: il gotico modifica il sublime non al fine di evocare Dio come entità inaccessibile, ma per rivelare l’inconscio. La stessa equivalenza che Freud stabilì tra Roma e l’inconscio ne Il disagio della civiltà è di una certa importanza ai fini del mio discorso. L’idea di Roma come di un palinsesto in cui l’archeologo procede alla scoperta dei segni del passato è la metafora con cui il padre della psicanalisi rende l’immagine della capitale italiana, una mappa della psiche da cui emergono le tracce del passato.

Paragonando Roma alla mappa dell’inconscio, Freud mette in evidenza come esso sia una realtà in continua mutazione, in cui varie tracce si sovrappongono, mentre l’alterità del sommerso genera un continuo effetto di straniamento. Per l’ambientazione romana, ‘Going Ashore’ presenta rimandi intertestuali ad altri testi narrativi. Uno di essi, come la stessa Lahiri ha precisato in un’intervista133, è il The Marble Faun (1860). L’ulteriore riferimento a Hawthorne, aldilà del titolo e della prima storia di Unaccustomed Earth, conferma la necessità da parte della scrittrice di creare un ponte tra l’area geografica del New England, di cui Nathaniel Hawthorne è lo spokesman, e spazi di continua e nuova collocazione, come l’Italia. Con riferimenti alla storia etrusca, romana e cristiana e attraversando il mondo sotterraneo delle catacombe, The Marble Faun testimonia una problematica relazione tra viaggiatori e nuovi

131 Ivi, p. 300.

132 V. MISHRA, The Gothic Sublime, Albany, State of New York University Press, 1990, p. 64.

133 Cfr. G. LEYDA, ‘An Interview with Jhumpa Lahiri’, cit., p. 79. The Marble Faun è la storia di quattro giovani, tre

americani con vocazioni artistiche e un italiano. Il testo di Hawthorne appartiene al genere del gothic romance con ambienti e architetture che fanno da background a una storia in cui omicidi, misteri e passioni si sovrappongono.

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ambienti, e presentandolo come un romance, Hawthorne illumina il potere trasformativo della dialettica di attrazione e repulsione tra i personaggi americani e il milieu italiano134.

Inoltre, la sensazione di turbamento di Hema tra le rovine di Roma riporta alla mia mente lo stupore di Dorothea Brooke, novella Santa Teresa, durante il grand tour italiano dopo le nozze con Mr. Causobon. L’eroina del celebre romanzo di George Eliot, Middlemarch (1871- 72)135, vive un “momento epifanico”136 durante il viaggio di nozze nella capitale italiana, tra immagini di vita e morte, luce e oscurità. Dorothea appare frastornata e disorientata dalla stratificazione della Roma antica e barocca. Aggirandosi tra tombe, rovine e forme marmoree, l’eroina vittoriana prova una sensazione simile a quella di Hema: se la prima vive “una sorta di scossa elettrica” mista a una “sofferenza derivante da un eccesso di idee confuse che reprime il flusso delle emozioni”137, l’eroina di Lahiri vede la città eterna come “a place that fully absorbed her and also kept her at bay”138. Sia Eliot che Lahiri alternano la tecnica narrativa dell’onniscienza psicologica con lo stile indiretto libero, al fine di scavare nelle dinamiche interiori delle protagoniste: lo stile libero indiretto, pertanto, fa emergere il comune senso di smarrimento, in ambedue i casi legato a matrimoni fallimentari, appena contratto per Dorothea, imminente per Hema. Come nel romanzo di Eliot, l’arrivo del terzo, il giovane pittore Will Ladislaw, turba la apparente di Dorothea, così tra Hema e Navin (ri)compare Kaushik, che vive con Hema una fugace storia d’amore.

Divenuto un fotoreporter di successo, Kaushik viaggia nelle periferie del mondo sconvolte da guerre e catastrofi naturali. Incapace di costruire nuove connessioni in seguito

134 Il titolo completo del romanzo in inglese è infatti The Marble Faun: or Transformation: Or the Romance of Monte

Beni: cfr. A. LOMBARDO, ‘Introduzione’, in N. HAWTHORNE, Il fauno di marmo, (traduzione di F. Fantaccini), Firenze, Giunti, 2008, [1860], pp. 5-12.

135 Ambientato negli anni immediatamente precedenti al primo Reform Bill (1932), nella fittizia provincia di

Middlemarch (che adombra Coventry), il romanzo di George Eliot ha un intreccio multiplo, con due storie principali e due secondarie. L’eroina, Dotothea Brooke, viene paragonata a una novella Santa Teresa per via del suo desiderio di vita epica. Rispetto alle convenzioni accreditate del novel vittoriano, Middlemarch si apre con il matrimonio, che normalmente costituiva la conclusione dei romanzi, tra Dorothea e Causobon, uomo più grande di lei e pedante studioso del mito classico, alla ricerca della chiave interpretativa di tutte le mitologie.

136 A. MINEO, ‘L’Epifania nuziale di Dorothea Brooke’, in A. DE CLEMENTI, M. STELLA (a cura di), Viaggi di

donne, Napoli, Liguori, 1995, p. 136.

137 G. ELIOT, Middlemarch, (traduzione di M. Bottalico), Milano, Mondadori, 1983, [1871], pp. 201-202. 138 J. LAHIRI, Unaccustomed Earth, cit., p. 299.

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alle continue peregrinazioni, Kaushik non riesce a venire a termine con il dolore che lo isola sul piano sociale. L’uomo giunge in Italia per una storia d’amore, trasferendosi a Roma alla sua conclusione. Qui rievoca le giornate trascorse con i genitori nel 1981 di ritorno da Bombay. Come un pellegrino in visita presso un luogo santo, Kaushik vive con tristezza il soggiorno romano in attesa di trasferirsi ad Hong Kong per motivi di lavoro: “[t]he thought of leaving the city, the streets he now navigated with ease, made him melancholy”139.

L’incontro con Hema avviene casualmente durante una cena presso amici italiani comuni e riporta in vita i ricordi dei giorni trascorsi assieme. I due visitano musei e siti archeologici, consumando la storia d’amore tra le rovine della città eterna e Volterra, centro di origine etrusca in Toscana. In un “austere, forbidding, solitary place”140, che sembra rievocare il bosco con la tomba dei Simonds, Hema e Kaushik trascorrono le ultime ore dell’anno insieme. L’atmosfera del paesaggio è speculare all’ambientazione gotica: il clima, “colder than Rome”141, la posizione della cittadina, “perched on a cliff high above the open countryside like an island surrounded by land”142, la struttura architettonica e “the hard dark walls”143 che fanno da contrasto all’alabastro estratto nella zona e lavorato nelle botteghe del centro.

La ricorsività delle immagini sepolcrali torna anche durante la visita a Volterra, quando i protagonisti, ancora una volta a ridosso del nuovo anno, visitano un’urna funeraria etrusca, nota come Urna degli sposi (figura 6)144: “they were nothing like the languid, loving pair Hema had seen in Rome. Here they were older, cruder, still bristling after years of marriage, ill at ease”145. Come altri tropi ricorsivi nella trilogia, l’urna è la manifestazione di una connessione continua tra l’estetica del gotico e la trauma fiction. Il ricorso ai topoi gotici veicola il senso di vulnerabilità a cui sono esposti i soggetti migranti, fluidi e privi di radici stabili, e il conseguente effetto traumatico che questa condizione implica. Facendo leva sull’eccesso e

139 Ivi, p. 308. 140 Ivi, p. 319. 141 Ivi, p. 320. 142 Ivi, p. 319. 143 Ibidem.

144 La così detta Urna degli sposi, risalente al I secolo a. C., è uno dei capolavori custoditi nel Museo Guarnacci di

Volterra. Il sarcofago, in terracotta, raffigura due anziani coniugi distesi durante un momento conviviale.

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sull’attraversamento di spazi geografici e epoche storiche, Hema e Kaushik compiano un viaggio dirottato da scene di morte, tra gap comunicativi che frantumano l’ordine cronologico e generano smarrimento. Gli oggetti nel museo sono una mise en abyme che sconfina le barriere spazio-temporali: “[t]he sides were covered with carvings showing so many migrations across land and departures in covered wagons to the underworld”146.

Nella cittadina toscana, Hema e Kaushik sono come risvegliati dallo stato di torpore in cui hanno vissuto fino a quel momento. Ascoltando le persone del luogo parlare in italiano, i due indo-americani invidiano la padronanza linguistica e il senso di radicamento di costoro che troveranno sepoltura in un luogo amico:

“I envy them that,” Hema said. “Do you?”

“I’ve never belonged to any place that way.” Kaushik laughed. “You’re complaining to the wrong person.”147

Il risveglio tardivo, in linea con la belatedness della trauma fiction, conduce i due personaggi in direzioni opposte. Come entrati in una nuova dimensione temporale, che connette il passato remoto della civiltà pre-romana con il presente e il futuro imminente, il matrimonio in India per Hema e il trasferimento a Hong Kong per Kaushik, i due personaggi sono costretti a fare i conti con la realtà e con il futuro che li attende e di cui finora non avevano mai parlato:

They did not speak of their own future, of where their days together would lead. Nor did they discuss the past, the months during which he had lived in her home, the friendship between their parents that was already dying, along with his mother, during that time.148

Così il narratore in terza persona descrive l’iniziale silenzio che segna il ritrovamento dei personaggi, mentre il viaggio a Volterra, la discesa in un’era temporale così lontana, mette in luce il senso di finitezza delle proprie esistenze. Durante il rientro a Roma, i due hanno un

146 Ivi, p. 319. 147 Ivi, p. 320. 148 Ivi, pp. 314-315.

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diverbio: grazie a Hema, Kaushik è riuscito a liberarsi dall’impasse malinconica che lo attanaglia, ma la donna rifiuta di seguirlo a Hong Kong. Le lacrime che Hema versa nel viaggio da Volterra a Roma sono simili a quelle versate da bambina, quando “unburying the buried”149, aveva portato alla luce con Kaushik il segreto della madre(patria) morente.

Qualche giorno dopo il diverbio, all’aeroporto romano di Fiumicino, in uno spazio liminale dove uno schermo con “a map with a white line emerging away from Rome, creeping toward India”150, Hema realizza di aver smarrito il suo golden bangle. Il bracciale, oggetto prezioso non solo per il materiale, è un simbolo di eredità che collega la donna alla madre e all’India stessa, verso cui sta volando. Essendo un dono della nonna materna, il bracciale, che sul piano fonetico è un remainder di Bangla (Bengala), è un emblema di continuità e contatto con le origini indiane, una forma di “incorporazione” della propria identità diasporica la cui perdita è foriera di possibili complicazioni: “[s]he had grown up hearing from her mother that losing gold was inauspicious”151. Inoltre, l’oggetto è in rapporto metonimico con la donna. Hema, infatti, in Sanscrito significa ‘oro’ e lo smarrimento del bracciale segna anche la crisi identitaria della protagonista.

‘Going Ashore’ termina con la voce narrante in prima persona di Hema, così come il romanzo breve era iniziato. Di ritorno nel Massachusetts dopo le nozze, Hema apprende dal

New York Times che Kaushik è una delle vittime del devastante tsunami che ha sconvolto il sud-

est asiatico alla fine del 2004. L’uomo, infatti, nel viaggio da Roma a Hong Kong, trascorre alcuni giorni in un resort in Tailandia. Come alla vigilia di un capodanno di molti anni prima, Kaushik è da solo davanti al mare. Il paesaggio, tuttavia, è diverso: l’acqua è calma, ma la sensazione di vuoto è identica. Durante il bagno che precede l’ondata letale, Kaushik, che per la prima volta fa un bagno in mare, ripensa a sua madre e ne rivede “her body still vital”152, un corpo che gli fa compagnia nell’Oceano Indiano. In questo oceano, così vicino alla

149 Cfr. capitolo 4, paragrafo 6.2. 150 Ivi, p. 324.

151 Ivi, pp. 314-315. 152 Ivi, p. 330.

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madrepatria, le cui acque sono “as warm and welcoming as a bath”153, Kaushik trova simbolicamente una connessione finale con la madre(patria). Kaushik, il cui nome in Hindi vuol dire ‘sentimento di amore e affetto’, esperisce una dissoluzione oceanica che lo ricongiunge alle sue radici ancestrali. Hema non può che constatare, come parlando con lui dall’oltretomba, che “you had left nothing behind”154. L’amore tra i due non lascia alcuna eredità: il bambino che Hema attende, infatti, non appartiene a Kaushik.

Il nothing cui Hema chiude la narrazione è, in realtà, il qualcosa che anima l’intera storia. Visto in questa prospettiva, ‘Hema and Kaushik” è un dialogo tra vivi e morti, un percorso a ritroso dall’oltretomba: Hema, la superstite, ricorda, a se stessa e al lettore, il suo percorso di scoperta identitaria e il trauma da esso scaturito. Il fantasma di Kaushik riemerge dai ricordi del passato, incalza Hema ed è alla base di una sorta di ghost text in cui, usando le parole di Jean-Michel Ganteau, il ritorno del fantasma crea una riconnessione malinconica nel testo, “making it impossible to forget the dead, refusing to let them go away, in other words making mourning impossible so as to privilege an ethic of melancholia”155.

Concludo l’analisi di Unaccustomed Earth con un’osservazione sul discorso geocritico e ecocritico a cui i racconti alludono. A mio avviso, con il finale apocalittico di ‘Hema and Kaushik’, Lahiri sposta il suo interesse dalla fisicità del paesaggio alle questioni ambientali, che sono centrali in The Lowland. Gli studi sullo spazio attribuiscono una enorme importanza ai luoghi oltre che all’essere umano, permettendo, all’interno degli studi postcoloniali, di comprendere il rapporto tra l’uomo e l’ambiente nei continui processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione. Come osserva Tally, “[g]eocriticism explores, seeks, surveys, digs into, reads and writes a place; it looks at, listens to, touches, smells, and tastes spaces”156. Lo spazio del New England e, quello italiano, sono esplorati nelle varie sfumature di colori, suoni e

153 Ivi, p. 331. 154 Ivi, p. 333.

155 J. GANTEAU, The Ethics and Aesthetics of Vulnerability in Contemporary British Fiction, cit., p. 100. Ganteau riprende

il motivo del phantom text di Nicholas Royle, che a sua volta si rifà alla lettura del fantasma in Freud e Derrida. Cfr. N. ROYLE, The Uncanny, Manchester, Manchester University Press, 2003.

156 R. T. TALLY, ‘Introduction’, in ID. (ed.), Geocritical Explorations: Space, Place, and Mapping in Literary and Cultural

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sensazioni. Il paesaggio sembra sfuggire a qualsiasi possibilità di controllo e assimilazione da parte dell’uomo. Il linguaggio e l’immaginazione letteraria producono una presenza fisica, non mimetica della realtà: Hema, Kaushik, Ruma e Amit sono condizionati dalle caratteristiche ambientali, atmosferiche, e botaniche di una terra a cui non si sono ancora abituati. Il linguaggio del testo diventa quello del paesaggio, un landguage157 che descrive in tutte le sue sfumature lo spazio. In Lahiri, il paesaggio sembra essere munito di una memoria in cui i segreti che costudisce vanno resi con un linguaggio proprio: la redenzione è possibile solo se si comprende che le continue immagini di morte, sepoltura, e dissotterramento rappresentano il lento processo della memoria che si stratifica e sedimenta. La loro rivelazione, tuttavia, non è sempre positiva. Nel racconto, Lahiri tinge con tinte gotiche il paesaggio mostrando l’impossibilità di venire a patti col dolore del passato, mentre i continui movimenti di attraversamento, orizzontali, sotterranei e verticali, sono come eco della condizione diasporica.

La conclusione apocalittica di “Going Ashore” sposta il focus sulla questione ecologica. Il ricorso allo tsunami del 2004, come deus ex machina che risolve la storia, non conduce a una conclusione definitiva. Al contrario, le immagini di morte disseminate nel racconto sono una tecnica di narrative foreshadowing che induce il lettore a ripercorrere le pagine precedenti alla luce dell’apocalisse finale. Hema, infatti, è il narratore superstite di un trauma personale e collettivo, che non solo contempla la morte di Kaushik, ma anche la propria sopravvivenza, dato che se avesse accettato la proposta dell’uomo sarebbe probabilmente stata vittima della forza letale dell’oceano. Ma se una simile tragedia può costituire, a livello simbolico, un modo con cui porre fine allo spasmodico desiderio oceanico di Kaushik, che effetto ha l’evocazione di un evento apocalittico che ha provocato circa 250.000 vittime in un racconto?