Trauma, spazio e intertestualità
2.3 L’idioletto intertestuale di Lahiri tra etica e minority cosmopolitanism
In Eléments de sémiologie Roland Barthes discute l’idioletto come manifestazione caratteristica di un parlante63. Secondo Barthes, esistono tre articolazioni di idioletto: quello ‘puro’, che egli identifica con il linguaggio dell’afasico, incapace di decodificare i messaggi che riceve; quello proprio di una data comunità linguistica che condivide uno stesso modello interpretativo degli enunciati; e, infine, lo stile di un autore, che è la definizione che è ci interessa considerare in questa sede. Descrivendo lo stile di uno scrittore come qualcosa che è “impregnato di certi modelli verbali provenienti dalla tradizione”64, Barthes presuppone che la scrittura non sia un atto individuale, ma un processo che, sin dalla sua genesi e prima della fruizione da parte del lettore, mantiene un legame con la tradizione letteraria in cui si inscrive e da cui trae ispirazione. Alla luce delle osservazioni appena delineate, in questo paragrafo intendo evidenziare come Lahiri, usando l’intertestualità, costruisca un proprio idioletto caratterizzato da “certi modelli verbali” tratti da autori della tradizione narrativa occidentale (non appartenenti al solo perimetro del mondo anglofono), e come questo stile si articoli in uno spazio di mediazione tra la specificità dei temi etnici e la condizione umana universale, intersezione che Ketu Katrak ha designato con “ethno-global”65 in riferimento alla stessa Lahiri.
Come sostiene Graham Allen, l’intertestualità66 con Barthes acquisisce una valenza nuova, in quanto il significato di un’opera letteraria non è più vincolato alla sola voce dell’autore, che Barthes considera “morto”, ma si lega alla libertà interpretativa del lettore67. In una chiave di lettura di stampo post-strutturalista, Barthes esalta il valore etimologico del testo
63 Facendo riferimento a Roman Jakobson, Barthes specifica tuttavia che l’idioletto è un’entità “illusoria”, poiché
il linguaggio è sempre socializzato anche quando è individuale: R. BARTHES, Elementi di semiologia, (traduzione di
A. Bonomi), Torino, Einaudi, 1992, [1964], p. 23.
64 Ibidem.
65 K. KATRAK, ‘The Aesthetics of Dislocation: Writing the Hybrid Lives of South Asian Americans’, The Women’s
Review of Books, Vol. 19, N. 5, 2002, p. 5.
66 Il termine fa la sua comparsa verso la fine degli anni ‘60 con Julia Kristeva in ‘Bakthine, le mot, le dialogue et le
roman’ ed esso viene definito e discusso a partire dal modello dialogico avanzato dal critico letterario Mikhail Bachtin. Sulla nascita ed evoluzione del concetto di intertestualità si veda: M. J. MARTÍNEZ ALFARO,
‘Intertextuality: Origins and Developments of the Concept’, Atlantis, Vol. 18, N. 1/2, 1996, pp. 268-285.
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inteso come ‘tessuto’ che si intreccia con i fili di quanto è stato già formulato e scritto in precedenza. In questa accezione post-strutturalista, in cui la creazione del testo diventa un processo collettivo e sociale, la sovrapposizione con la trauma theory è evidente. Secondo Caruth, il trauma individuale “is tied up with the trauma of another”68 nella stessa misura in cui i testi sono tra loro connessi. Caruth precisa che il trauma “is fully evident only in connection with another place, and in another time”69: la frantumazione temporale e la dislocazione spaziale dell’intertestualità sembrano andare in una direzione simile a quella del trauma, poiché “[w]riting in another place and at another time, the modern novelist is able to make fully evident that which was only partially available to the author of the source text”70.
L’intertestualità, dunque, rappresenta un tratto distintivo della trauma fiction. Come sostiene Whitehead, rifacendosi sempre a Barthes, “intertextuality can suggest the surfacing to consciousness of forgotten or repressed memories”71. Sovrapponendosi alla teoria postcoloniale per il modo con cui le storie marginali del passato riemergono in superfice, la
trauma fiction usa l’intertestualità anche come mezzo espressivo del processo di coazione a
ripetere di matrice freudiana. Il dialogo intertestuale è, inoltre, uno strumento che favorisce la ricerca dell’altro oltre che la condivisione del senso di sofferenza. Ereditando il nome dello scrittore russo, e il cappotto come metafora della condizione alienata di uno dei personaggi di Nikolaj Gogol’72, Lahiri, ad esempio, lascia al lettore la libertà di valutare fino a che punto Gogol Ganguli, l’eroe di The Namesake, seguirà lo stesso percorso del suo antenato russo, Akaky Akakievic, il protagonista de ‘Il cappotto’.
Un’ulteriore strategia che appartiene alla trauma fiction è la ripetizione di certi motivi a livello intratestuale, aspetto informante anche l’opera di Lahiri. Si tratta di una soluzione che a sua volta sembra tendere verso due esiti possibili, a seconda della tipologia di tropo che viene
68 C. CARUTH, Unclaimed Experience: Trauma, Narrative, and History, cit., p. 8. 69 C. CARUTH ‘Trauma and Experience:Introduction’, cit., p. 8.
70 A. WHITEHEAD, Trauma Fiction, cit., p. 85 71 A. WHITEHEAD, Trauma Fiction, cit., p. 85.
72 Il caso a cui si fa riferimento è il legame intertestuale tra The Namesake è il racconto ‘Il cappotto’ di Gogol’. Nel
romanzo di Lahiri, Ashoke, il padre del protagonista Gogol, ama particolarmente Nicolaj Gogol’ e il racconto in questione assume un valore centrale per il destino della famiglia Ganguli.
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reiterato. Se la wilderness americana, nella tradizione di Hawthorne e Emerson, e l’elemento georgico e della husbandry sembrano suggerire una sorta di palinsesto in cui viene iscritto un trauma sottostante, l’elemento equoreo ha invece un valore catartico di superamento della condizione malinconica. Lahiri sembra muoversi verso quell’estetica del wit(h)nessing formulata da Bracha Ettinger. Combinando la preposizione with con il sostantivo e verbo witness, Ettinger concepisce l’opera d’arte (inclusa quella letteraria) come uno strumento di testimonianza, ma anche come luogo di incontro con l’altro sul piano etico:
the artist in the matrixial dimension is a wit(h)ness without event (a witness who was not there) in com-passionate wit(h)nessing, the viewer is the wit(h)ness without event par excellence […] challenged by the artwork to join a specific matrixial borderspace, an alliance, an anonymous intimacy.73
Sebbene il punto di vista di Ettinger sia filtrato dall’ottica di pittrice femminista e psicoanalista di scuola lacaniana, possiamo traslare queste parole anche all’estetica letteraria di Lahiri. Da un lato, la sua produzione letteraria è un forma di testimonianza, sebbene priva di una conoscenza diretta dell’evento narrato (come nel caso delle rivolte naxalite), dall’altro lato, essa rappresenta un luogo di incontro e un punto di diffusione della solidarietà con l’altro.
La scrittura della seconda metà del secolo scorso ha fatto spesso ricorso all’intertestualità in congiunzione alle teorie post-strutturali, postcoloniali, femministe e psicoanalitiche, favorendo il dialogo o l’opposizione ai discorsi sulle questioni di classe, genere e etnia. Secondo Julia Kristeva, l’intertestualità riguarda la produttività di un testo, la sua capacita di assorbire la storia e la società. Per Kristeva, l’intertestualità non è un elemento che denota oggettività e rigore metodologico come in ambito strutturalista, né essa comporta la scomparsa definitiva della voce autoriale, come per Barthes. Al contrario, l’intertestualità sarebbe la traccia di desideri e aspetti soggettivi che emergono attraverso la scrittura. Sulla scia delle teorie di Bachtin, secondo il quale il testo ha una valenza dialogica poiché esso non esiste
73 B. L. ETTINGER, ‘Wit(h)nessing Trauma and the Matrixial Gaze’, in B. MASUMI (ed.), The Matrixial Borderspace,
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in sé ma in dialogo con altre voci e altre opere, Kristeva individua due assi di intersezione testuale nella scrittura. Sul piano orizzontale, la comunicazione avviene tra l’autore e il lettore, mentre sull’asse verticale tra l’autore e un corpus letterario74. Se il primo asse genera un dialogo tra lettore e autore, che può essere di natura etica oltre che estetica, il secondo implica un’interazione tematica e stilistica con una tradizione di riferimento.
Nel mondo globale in cui la scrittura di Lahiri si colloca, l’intertestualità è uno strumento complesso di riproduzione di immagini e motivi in costante dialogo con una certa tradizione. La complessità dell’elemento intertestuale è data dalla posizione non-canonica di Lahiri, per le sue origini etniche esterne al perimetro del canone occidentale. I collegamenti con Nikolaj Gogol’, Nathaniel Hawthorne, Thomas Hardy, Edward M. Forster, Wiliam Faulkner, Mavis Gallant, e William Trevor 75 non mirano alla sovversione del canone, come vorrebbe la teoria postcoloniale. Al contrario, nella narrativa di Lahiri gli intrecci intertestuali sono convocati come elementi di pluralità e molteplicità, promuovendo non solo l’attraversamento dei confini geografici, ma anche uno sconfinamento intertestuale che mette in risalto la natura in-between dei temi affrontati, in linea con il concetto di third space76. L’intertestualità è, inoltre, uno dei quattro elementi che informano anche gli studi delle dinamiche dello spazio77. A conferma dell’intersezione tra teoria postcoloniale, trauma studies e ecocritica su cui la mia tesi si fonda,
74 J. KRISTEVA, ‘Le texte clos’, in EAD., Semeiotikê. Recherches pour une sémanalyse, Paris, Éditions du Seuil, 1969, pp.
113-142.
75 In modo esplicito Hawthorne e Gogol’, e in modo indiretto Hardy e Forster, forniscono immagini e motivi alla
scrittura di Lahiri, che ha più volte ammesso il suo debito a Faulkner per la forma del genere short story, soprattutto in Interpreter of Maladies. Molto più articolata e radicata è l’ammirazione che Lahiri nutre nei confronti di Gallant e Trevor, soprattutto per le loro soluzioni stilistiche. Della scrittrice canadese Lahiri ammira l’intensità dei dettagli, la velocità della scrittura e la complessità dei personaggi; di Trevor, Lahiri apprezza lo stile asciutto e preciso, e le sue tonalità malinconiche. Occorre ricordare che Lahiri ha in più occasioni espresso il suo legame ai due scrittori e che le modalità di ispirazione che da essi ha tratto sono molteplici. Il titolo dell’ultima parte del racconto lungo “Hema and Kaushik”, “Going Ashore”, è lo stesso di una storia di Gallant, la cui protagonista, Emma, ha un nome vicino sul piano fonologico a quello del personaggio di Lahiri. Inoltre, la giustapposizione tra il tema della memoria e dello spazio è un altro leitmotiv dei racconti di Gallant, mentre le cronache di personaggi marginali (individui anziani e/o alienati della middle class) e la ricerca di quella connection e solidarietà etica di stampo fosteriano è un lascito della lettura di William Trevor.
76 Per Bhabha, il third space è un luogo in cui i confini culturali perdono la propria stabilità: “Third Space […]
constitutes the discursive conditions [...] that ensure that [...] even the same signs can be appropriated, translated, rehistoricized and read anew”: H. BHABHA, The Location of Culture, New York, Routledge, 1994, p. 37.
77 In La Géocritique. Réel, fiction, espace, Bertrand Westphal identifica quattro elementi costitutivi dell’approccio
geocritico negli studi letterari: multifocalisation, polysensioralité, vision stratigraphique e intertextualité: cfr. B. WESTPAHL, La Géocritique. Réel, fiction, espace, Paris, Minuit, 2007.
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l’intertestualità lega postcolonial studies, trauma theory e gli studi sullo spazio e, come osserva Tally, essa agisce da metafora in cui “the lines between fictional and real spaces are constantly crossed and re-crossed”78.
Mescolando le condizioni più generali e universali dell’essere umano, a volte anche in aspetti marginali e banali come ad esempio la scelta del nome per un figlio o dove trascorrere un fine settimana, con la sofferenza di coloro che vivono la condizione diasporica in qualità di immigrati di prima, seconda o terza generazione, la narrativa di Lahiri si inserisce in una rete di collegamenti intertestuali con l’obiettivo di radicarsi nella tradizione stessa della narrativa occidentale. Tuttavia, l’intersezione che la sua opera compie, questa volta dal punto di vista dell’asse orizzontale, secondo il modello proposto da Kristeva, porta con sé una “ethical responsibility in the intersubjective space”79 tra soggetti che esperiscono forme di solidarietà oltre le differenze etniche e culturali. La dimensione etica della scrittura di Jhumpa Lahiri tocca sia le storie dimenticate dell’India post-Spartizione che le vicende più universali dell’uomo moderno, globalizzato e alieno al tempo stesso.
Alternando la voce narrativa tra reportage mode e tono intimistico, Lahiri rivela dietro la narrazione di vicende storiche ed episodi personali un minority cosmopolitanism80 che, sebbene sin dal nome sembri essere minoritario, in realtà nasconde una certa intensità etica condivisa coi lettori. Nonostante le innovazioni sul piano formale siano assenti e gli eventi narrati risultino spesso ordinari, la prosa di Jhumpa Lahiri svela una sorta di “ethico-aesthetic politics of tangentiality” come sostiene Susan Koshy81. La natura ‘tangenziale’ di tale dimensione etica è legata al carattere politicamente poco accentuato delle vicende narrate (ad eccezione di alcuni racconti e del romanzo The Lowland in cui si ritrova il peso politico del Naxalismo) e allo status minoritario e secondario dei personaggi coinvolti. Il minority cosmopolitanism di Lahiri mette in risalto la precarietà della migrazione e l’impatto delle forze economiche che regolano la
78 R. T. TALLY, Spatiality, London and New York, Routledge, 2013, p. 141.
79 G. RAJAN, ‘Ethical Responsibility in Intersubjective Spaces. Reading Jhumpa Lahiris’s “Intrepreter of
Maladies” and “A Temporary Matter”’, cit., p. 124.
80Cfr. S.KOSHY,‘Minority Cosmopolitanism’, PMLA, Vol. 126, N. 3, 2011, pp. 592-609. 81 S.KOSHY,‘Neoliberal Family Matters’, American Literary History, Vol. 25, N. 2, 2013, p. 373.
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quotidianità moderna, segnata da “minority experiences of exclusion or partial inclusion”82. Fluttuando tra care e neglect, per dirla con le parole di Noelle Brada-Williams, i personaggi di Lahiri si muovono verso un’etica dell’ospitalità sovrapposta alle difficoltà e alle differenze economiche, etniche, e culturali che rischiano di ostacolare il raggiungimento di una certa “human connection”83.
Concludendo questa riflessione con le parole di Graham Allen, l’intertestualità rappresenta quindi un termine complesso: “intertextuality seems such a useful term because it foregrounds notions of relationality, interconnectedness and interdependence in modern cultural life”84. I vari richiami di natura intertestuale fanno affiorare determinanti ricordi di letture che trascendono il mero piano citazionistico. L’archivio intertestuale della scrittrice registra i segni che testimoniano della fragilità e del riscatto dell’essere umano. In questa ottica, in conclusione, Lahiri, connettendosi a immagini e motivi tratti dalla letteratura occidentale canonica, delinea un cosmopolitismo che si interroga sulla possibilità di fare del mondo la propria dimensione, una dimora mondiale che, fissando legami e forme di solidarietà imprevedibili e talvolta assurde, cerca di colmare il senso di perdita che la malinconia e la nostalgia dei suoi personaggi vivono e trasmettono.
82 S.KOSHY,‘Minority Cosmopolitanism’, cit. p. 599.
83 N. BRADA-WILLIAMS, ‘Reading Jhumpa Lahiri’s Interpreter of Maladies as a Short Story Cycle’, MELUS, Vol. 29,
N. 3/4, 2004, pp. 451-464. Lo studio analizza la prima raccolta di racconti di Lahiri, ma la dialettica tra care e
neglect che la studiosa individua in Interpreter of Maladies, è rintracciabile nell’intera opera della scrittrice indo-
americana. Il tema della human connection è derivato da Howards End (1910) di Forster, un motivo che ha recentemente ispirato anche il romanzo On Beauty (2005) di Zadie Smith.
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