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Food Advertising: content analysis e studio sperimentale sui lettori/consumatori

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

MARKETING E RICERCHE DI MERCATO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE:

Food Advertising: Content Analysis e studio sperimentale sui

lettori/consumatori

RELATORE: CANDIDATA:

Prof.ssa Angela Tarabella Chiara Molendi

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INDICE

INTRODUZIONE 5

1. PERCORSO EVOLUTIVO DELLA PUBBLICITÀ 9

1.1. LE ORIGINI DELLA PUBBLICITÀ 9

1.2. IL NOVECENTO 12

1.3. IL NUOVO MILLENNIO 24

1.4. FOCUS SULL’EVOLUZIONE DELLE PUBBLICITÀ E DEI CONSUMI

NEL SETTORE ALIMENTARE 28

2. QUANTO INFORMA LA PUBBLICITÀ SULLE CARATTERISTICHE

REALI DEI PRODOTTI ALIMENTARI? 35

3. REGOLAMENTAZIONE DEL FENOMENO PUBBLICITARIO 41

3.1. IL CODICE DI AUTODISCIPLINA DELLA COMUNICAZIONE

COMMERCIALE – 57° EDIZIONE 43

3.2. IL CODICE DEL CONSUMO – DECRETO LEGISLATIVO 6 SETTEMBRE

2005, N. 206 E S.M.I. 53

3.3. I DECRETI LEGISLATIVI 145 E 146 DEL 2007: RECEPIMENTO DELLA DISCIPLINA COMUNITARIA SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI

63

3.4. LA PUBBLICITÀ DEI PRODOTTI ALIMENTARI 65

3.4.1. LA DIRETTIVA 2000/13/CE: ETICHETTATURA, PRESENTAZIONE

E PUBBLICITÀ DEI PRODOTTI ALIMENTARI 65

3.4.2. REGOLAMENTO CE 1994/2006: INDICAZIONI NUTRIZIONALI

SULLA SALUTE 73

3.4.3. LA NORMATIVA SUGLI INTEGRATORI ALIMENTARI 79

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4. LE STRATEGIE DELLE INDUSTRIA ALIMENTARI:

DIFFERENZIAZIONE O INNOVAZIONE 85

5. ANALISI COMPARATIVA DEL CONTENUTO DEL FOOD

ADVERTISING 97

5.1. LA CONTENT ANALYSIS 97

5.2. L’ANALISI 102

5.2.1. FASE 1: LA SCELTA DEL CAMPIONE DI RIVISTE 183

5.2.1.1. PROFILO DELLA RIVISTA FOCUS 183

5.2.1.2. PROFILO DELLA RIVISTA OK SALUTE E BENESSERE 183

5.2.1.3. PROFILO DELLA RIVISTA COSMOPOLITAN 183

5.2.1.4. PROFILO DELLA RIVISTA STARBENE 183

5.2.1.5. PROFILO DELLA RIVISTA FOR MEN MAGAZINE 183

5.2.1.6. PROFILO DELLA RIVISTA MEN’S HEALTH 183

5.2.1.7. PROFILO DELLA RIVISTA DISNEY JUNIOR 108

5.2.1.8. PROFILO DELLA RIVISTA FOCUS JUNIOR 109

5.2.2. FASE 2: L’ANALISI DEL CONTENUTO 109

5.2.3. FASE 3: I RISULTATI DELL’ANALISI 111

5.2.3.1. IL PESO DEL FOOD ADVERTISING ALL’INTERNO DELLE

RIVISTE MENSILI SELEZIONATE 111

5.2.3.2. PUBBLICITÀ E CATEGORIE DI PRODOTTO 113

5.2.3.3. FORMA CON CUI IL PRODOTTO VIENE ILLUSTRATO

ALL’INTERNO DELL’ANNUNCIO PUBBLICITARIO 116

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3

5.2.3.5. IL FOOD ADVERTISING ALL’INTERNO DELLE SINGOLE

RIVISTE DEL CAMPIONE 121

5.2.3.6. LA PUBBLICITÀ DEGLI INTEGRATORI ALIMENTARI 123

5.2.3.7. SINTESI DEI RISULTATI 126

6. STUDIO SPERIMENTALE SUI LETTORI/CONSUMATORI 127

6.1. LA IL DIARIO DI SPESA 128

6.2. SCELTA DEL CAMPIONE E SOMMINISTRAZIONE DEL DIARIO DI

SPESA 129

6.3. I RISULTATI DELLO STUDIO SPERIMENTALE SUI

LETTORI/CONSUMATORI 130

6.3.1. IL LETTORE/CONSUMATORE DI FOCUS 134

6.3.2. IL LETTORE/CONSUMATORE DI OK SALUTE E BENESSERE 136

6.3.3. IL LETTORE/CONSUMATORE DI COSMOPOLITAN 139

6.3.4. IL LETTORE/CONSUMATORE DI STARBENE 141

6.3.5. IL LETTORE/CONSUMATORE DI FOR MEN MAGAZINE 183

6.3.6. IL LETTORE/CONSUMATORE DI MEN’S HEALTH 147

6.3.7. IL LETTORE/CONSUMATORE DI DISNEY JUNIOR 149

6.3.8. IL LETTORE/CONSUMATORE DI FOCUS JUNIOR 150

7. CONCLUSIONI 153

ALLEGATO 1.A. – DIARIO DI SPESA ALIMENTARE 155

ALLEGATO 1.B. – DIARIO DI SPESA ALIMENTARE BAMBINI 164

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4

ALLEGATO 3 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI FOCUS 174

ALLEGATO 4 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI OK SALUTE E BENESSERE 176

ALLEGATO 5 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI COSMOPOLITAN 177

ALLEGATO 6 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI STARBENE 178

ALLEGATO 7 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI FOR MEN MAGAZINE 179

ALLEGATO 8 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI MEN’S HEALTH 180

ALLEGATO 9 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI DISNEY JUNIOR 181

ALLEGATO 10 – RIEPILOGO DIARIO DI SPESA ALIMENTARE DEL

LETTORE/CONSUMATORE DI FOCUS JUNIOR 182

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 183

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5

INTRODUZIONE

Food advertising letteralmente significa pubblicità dei prodotti alimentari. Ed è proprio questo l’argomento che come un filo rosso percorrerà tutte le pagine della presente tesi.

Da una recente indagine realizzata dall’Unione Nazionale Consumatori sul rapporto tra consumatori e pubblicità è emerso che per molti di essi la pubblicità è utile soprattutto per gli acquisti nel settore alimentare. Ciò dimostra che – nonostante la battuta di arresto della domanda alimentare, che aveva visto una forte crescita durante il XX secolo, il conseguente cambiamento dei modelli competitivi e il fatto che i consumatori siano diventati più consapevoli e attenti1 – la pubblicità esercita ancora un’influenza molto grande sulle scelte alimentari di acquisto della maggior parte dei consumatori. Non deve quindi sorprendere che il settore alimentare, anche se maturo a livello aggregato, riveli caratteri di estremo dinamismo, testimoniati tra l’altro dalla continua ridefinizione delle strategie e dell’organizzazione interna delle imprese e da un ruolo sempre maggiore delle strategie di diversificazione, innovazione di prodotto, comunicazione e pubblicità. Quanto detto è avvalorato anche dal fatto che negli ultimi anni la quota più alta degli investimenti pubblicitari è stata destinata proprio agli alimenti2.

Ecco allora che diventa di grande interesse analizzare le strategie delle industrie alimentari attraverso la pubblicità e in particolare attraverso i messaggi e i contenuti utilizzati per promuovere e differenziare i propri prodotti, nuovi o maturi che siano.

Questo lavoro si è concentrato, dunque, sulla pubblicità dei prodotti alimentari utilizzando come punto di partenza un quesito ben preciso: “è possibile individuare particolari temi pubblicitari concernenti i prodotti alimentari?”.

1 Il consumatore odierno, in virtù dello stato di emergenza economica e del miglioramento

progressivo del suo status culturale, è sempre più “adulto” e protagonista: è attento, informato, disponibile a pagare per prodotti alimentari più coerenti con le sue preferenze. Il nuovo consumatore è, inoltre, più selettivo e percepisce più chiaramente la relazione tra le caratteristiche dei prodotti alimentari e la sua salute.

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La risposta a questo interrogativo è arrivata dalla lettura dell’articolo di ricerca

“Comparative Content Analysis of Food and Nutrition Advertisments in Ebony, Essence and Ladies’ Home Journal” di Charlotte A. Pratt e Cornelius B. Pratt, il

quale proponeva uno studio del food advertising su tre magazines americane per un periodo di sei anni, attraverso lo strumento della content analysis, atto a rilevare la frequenza, la forma e il contenuto degli annunci pubblicitari su prodotti alimentari. Così si è deciso di concentrare il lavoro di analisi della pubblicità alimentare sul media riviste mensili italiane e di sfogliare le pagine di otto di esse per analizzare la frequenza e i contenuti degli annunci pubblicitari su prodotti alimentari presenti, basandoci sul modello proposto proprio da Charlotte A. Pratt e Cornelius B. Pratt, con l’obiettivo di mettere in luce gli orientamenti della pubblicità alimentare a mezzo stampa periodica.

Ma il lavoro non si è limitato a questo tipo di analisi. Vista la propensione del corso di laurea in “Marketing e ricerche di mercato” non solo verso il marketing ma anche verso le indagini quantitative e qualitative del mercato, si è voluto approfondire ulteriormente lo studio attraverso un’analisi qualitativa delle opinioni, degli atteggiamenti e dei comportamenti di acquisto dei lettori degli otto periodici analizzati – che oltre ad essere lettori sono al contempo consumatori – riguardo i prodotti alimentari. In particolare si è chiesto loro di elencare i prodotti alimentari acquistati nell’arco temporale di una settimana e di esprimere le motivazioni di acquisto per ogni singolo prodotto elencato. In questo caso l’intento era quello di far emergere i fattori chiave che influenzano le scelte di acquisto alimentari dei lettori/consumatori e verificare se la comunicazione commerciale intrapresa dalle industrie è coerente o meno con questi fattori.

L’elaborato è strutturato in due parti:

1. Una parte teorica in cui vengono approfonditi il percorso evolutivo e l’aspetto normativo della pubblicità, con particolare focus sulla pubblicità alimentare, nonché le strategie promozionali progettate e realizzate dalle industrie alimentari e la loro capacità di informare in modo adeguato il consumatore sulle reali caratteristiche del prodotto.

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2. Una parte empirica basata su due tipi di indagine, da un lato l’analisi del contenuto della pubblicità dei prodotti alimentari (frequenza, forma con cui il cibo viene presentato, messaggio pubblicitario utilizzato) presente su otto riviste mensili italiane, dall’altro lato la ricerca qualitativa sui lettori/consumatori per individuare le motivazioni e le caratteristiche dei prodotti che influenzano le loro scelte di acquisto.

Più nello specifico, il primo capitolo presenta un excursus storico sulla pubblicità in generale, dalla sua nascita fino al web 2.0 declinandolo infine sul food advertising. Il secondo capitolo, invece, affronta il tema molto dibattuto riguardante il problema se la pubblicità alimentare informi adeguatamente o meno il consumatore sulle caratteristiche del prodotto alimentare, a cui fa seguito il necessario approfondimento normativo sulla comunicazione commerciale, etichettatura e presentazione degli alimenti, trattato all’interno del terzo capitolo. Il capitolo quattro, ovvero l’ultimo della parte teorica, descrive lo scenario competitivo attuale del mercato alimentare evidenziando le possibili strategie che le aziende alimentai possono realizzare per mantenere o addirittura aumentare la propria quota di mercato.

Il quinto capitolo è relativo alla content analysis effettuata su otto riviste mensili italiane e delinea, in prima luogo, la metodologia utilizzata: dalla scelta del campione delle riviste alla tecnica di analisi; e, in secondo luogo, elenca i risultati emersi dall’attività di indagine. Infine il capitolo sei, segue la stessa struttura del precedente: ad una prima parte in cui viene esplicitata la scelta del campione dei soggetti da esaminare, gli strumenti e la tecnica di indagine utilizzati fa seguito l’esposizione dei risultati ottenuti, corredata da spunti di riflessione destinati ai produttori alimentari riguardo la strategia pubblicitaria da utilizzare e in particolare la copy strategy.

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1. PERCORSO EVOLUTIVO DELLA PUBBLICITÀ:

DALLA GAZETTE AL SOCIAL NETWORK

1.1. LE ORIGINI DELLA PUBBLICITÀ

Risulta impossibile individuare il momento esatto in cui si è avuta la prima forma di pubblicità. Le insegne poste sopra le botteghe già all’epoca dei Greci e dei Romani, le grida dei venditori ambulanti e degli imbonitori medievali che decantavano le virtù dei loro prodotti, sono sicuramente esempi di comunicazione finalizzate alla promozione di beni e servizi. Ma è con l’invenzione della stampa a caratteri mobili realizzata da Gutenberg nel XV secolo, che nasce il presupposto della pubblicità moderna. La pubblicità, come la intendiamo noi oggi, nasce dunque con la stampa ma anche e soprattutto con l’industria: nasce quando le industrie si sostituiscono all’artigianato, quando le vendite di un prodotto non avvengono più nella bottega dove è stato fatto, o nelle fiere dove il mercante si sposta di volta in volta, ma avvengono contemporaneamente in decine di negozi della stessa provincia e, più tardi, in migliaia di negozi dell’intero Paese.

Senza l’industria e senza la stampa, l’informazione commerciale sarebbe rimasta al graffito, all’insegna, al grido dell’imbonitore sulla piazza del mercato. Invece, la produzione in serie, l’informazione multipla, i trasporti veloci e regolari, pongono le condizioni per il mercato di massa e per l’informazione di massa. La prima pubblicità a stampa nasce in Francia come informazione di servizio. A Théophraste Renaudot, medico divenuto poi giornalista, si attribuisce il merito di aver realizzato, nel 1630, il “Bureau d’adresses et de recontre” : un ufficio dove chi offriva, o cercava beni o servizi, lasciava biglietti con la descrizione dell’oggetto, della persona di servizio o del lavoro, richiesti ed offerti. Nel 1631, a un anno di distanza, Renaudot cominciò a stampare e a diffondere la sua

“Gazette” che ospitava annunci pubblicitari, e il primo era di un medico. Era

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Tuttavia, è necessario aspettare l’Ottocento, con l’avvento della società industriale, della macchina a vapore, delle ferrovie e della diffusione dei giornali, affinché la pubblicità inizi a diffondersi su larga scala.

Una delle innovazioni più importanti del secolo va attribuita al francese Emile de Girardin, il giornalista che per primo pensò di unire le notizie del mondo politico e delle lettere con le informazioni economiche e gli annunci – solitamente divise in fogli diversi – nello stesso giornale. Così, nel 1836 si fece editore de “La

Presse” la cui quarta pagina fu riservata agli annunci pubblicitari. La geniale

iniziativa di de Girardin fece scandalo: molti giornalisti insorsero contro il collega, sdegnati per l’eccessiva importanza data agli annunci venali sulle pagine tradizionalmente destinate alle discussioni politiche e letterarie. Nasceva così la pubblicità sulle pagine dei giornali.

Le prime agenzie che si occupavano dell’intermediazione tra editori e inserzionisti comparvero in Francia con il nome di “règie”. L’esempio francese fu presto seguito anche in Italia da Attilio Manzoni, un farmacista con il talento del commercio e il fiuto per i tempi nuovi, che nel 1863 fondò la prima “regia” Fig.1 – Numero della “Gazette” di Théophraste Renaudot, pubblicata a partire dal 30 Maggio 1631.

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italiana, la A. Manzoni e C.. Con questa prima regia (oggi si dice concessionaria) nacque ufficialmente la pubblicità italiana.

Anche in Inghilterra e negli Stati Uniti si diffuse un fenomeno simile e in più larga scala: le “agencies” che, a differenza delle regie francesi e italiane, che svolgevano una funzione di semplice intermediazione, acquistavano gli spazi dagli editori e li rivendevano agli inserzionisti.

Ma sia le agencies che le regìe, avevano di fronte lo stesso problema: chi poteva produrre realmente la pubblicità? Una volta venduto lo spazio restava il problema di riempirlo, di costruire il messaggio. Gli inserzionisti avevano ingegneri e operai a loro disposizione, ma non scrittori; e non c’era ancora nessuno studio di copywriters, o simili. Così le prime concessionarie, una volta venduto lo spazio, dovettero organizzarsi per fornire al cliente anche il testo del messaggio e, di solito, stipendiarono a questo scopo, giornalisti disoccupati e giovani scrittori in cerca di impiego. Nacquero così i copywriters americani e gli uffici tecnici/specializzati italiani. Poi si aggiunsero i disegnatori e gli specialisti di tipografia. L’agenzia cominciò a diventare un’azienda produttrice di servizi per conto dell’inserzionista, a sacrificare la funzione dell’acquisto e vendita di spazi in favore della consulenza al cliente.

A fine Ottocento, si diffusero inoltre i cosiddetti strumenti per la pubblicità diretta, o vendita per corrispondenza3 e l’uomo sandwich4, una sorta di imbonitore muto che passeggiando in su e in giù, portava appesi al corpo per mezzo di bretelle, dei grandi cartelloni con messaggi o manifesti pubblicitari. Tuttavia il XIX secolo non viene ricordato solo per la pubblicità in quarta pagina, le “règie”, le “agencies”, la vendita per corrispondenza e l’uomo sandwich, esso rappresenta infatti anche l’era del manifesto pubblicitario, in bianco e nero prima e a colori poi. Le affissioni dei manifesti si diffusero così tanto che in molti stati

3 Alcuni esempi di pubblicità diretta o vendita per corrispondenza sono la Guida Monaci di

Roma (1870), la Guida Savallo di Milano (1879), l’Archivio indirizzi Finetti (1880) e tante altre fornitrici di indirizzi. Della vendita per corrispondenza si servivano abitualmente i primi grandi magazzini, la gioielleria Calderoni di Milano e la Frette, società specializzata nei prodotti tessili e per la casa.

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si rese necessaria l’emanazione di leggi che vietassero le affissioni pubbliche senza il consenso dei proprietari degli edifici. La resa di stampa dei quotidiani era scarsa, annunci realizzati grezzamente e confinati in apposite pagine senza colore. La stampa litografica dei manifesti invece permetteva oltre al colore, una resa ottima ed un’ottima qualità: gli annunci divennero veri e propri prodotti d’arte. Édouard Manet, Jules Chèret, Eugène Samuel Grasset, Henri de Toulouse Lautrec, Leonetto Cappiello, Marcello Dudovich, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, sono solo alcuni degli artisti che negli anni, con tecniche e stili diversi, si sono dedicati al manifesto pubblicitario. Il manifesto si impose così come mezzo primario di comunicazione di massa.

1.2. IL NOVECENTO

L’inizio del Novecento è stato il tempo in cui la pubblicità, da attività di pochissime aziende, si estese a numerose altre, e iniziò addirittura a riflettere su se stessa e a diventare materia di insegnamento: furono realizzati i primi studi su di essa5 e sui suoi aspetti sociali e furono istituiti i primi corsi di pubblicità6. Tuttavia, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la pubblicità venne utilizzata soprattutto come strumento di propaganda al fine di raccogliere denaro, di incentivare gli arruolamenti, di promuovere la difesa civile e così via. L’esempio più noto di questo tipo di propaganda si ebbe in America con il manifesto dello Zio Sam che punta il dito.

5 Il modello teorico che si è sviluppato in questa prima fase è quello individuato da St. Elmo

Lewis e porta il nome di AIDA, che deriva dalle quattro fasi che lo caratterizzano: Attenzione, Interesse, Desiderio, Acquisto. Sostanzialmente si tratta di un modello basato sull’idea che la pubblicità sia in grado di trasportare il consumatore attraverso varie posizioni mentali che si susseguono logicamente fino ad arrivare all’atto di acquisto.

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In Italia si ricorse invece a santi e figure religiose per suscitare sentimenti di positiva disposizione al conflitto. Ne è un esempio “La Madonna del duomo volontaria”.

Il periodo seguente alla Grande Guerra vide una pubblicità contraddistinta dall’abbandono della propaganda bellica e dalla diffusione di tendenze tradizionali e nuove. Tradizionale è la grande importanza data al manifesto. Nuovi sono, invece, gli uffici pubblicitari interni di cui un gran numero di industriali decide di dotarsi7.

Gli anni ’30 coincidono con una vera e propria rivoluzione del costume europeo e della cultura comune: la moda dei capelli alla garconne, le gonne corte e i balli

7 Campari, Gazzoni, Motta, Buitoni-Perugina, Rinascente, Talamone, Martini&Rossi, ENIT,

Pirelli ecc.

Fig.2 – 1917 – Manifesto per l’arruolamento nell’esercito degli Stati Uniti di James Montgomery Flagg, stampato in 4 milioni di copie e stampato nuovamente in occasione della Seconda Guerra Mondiale.

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di ispirazione americana come lo shimmy o il charleston, la diffusione dei nuovi miti sportivi, il calcio e il ciclismo, e, soprattutto, l’avvento dell’automobile e della motocicletta, simboli del mito della velocità. Ma gli anni ’30 sono soprattutto gli anni della radio. Le trasmissioni radiofoniche ebbero inizio qualche anno prima (1924) ed erano ad esclusivo appannaggio dello Stato, il quale poteva accordarle in concessione ai privati. Per far fronte agli alti costi di gestione delle reti radiofoniche si pensò di chiedere agli ascoltatori di pagare un canone. Esso però non riusciva a far quadrare i bilanci, così nel 1926 si pensò di fondare la SIPRA (Società Italiana Pubblicità Radiofonica Anonima) con lo scopo di raccogliere ulteriori fondi attraverso la pubblicità. Nasceva allora la pubblicità radiofonica.

Affinché la radio entrasse nella vita delle persone fu necessario attendere qualche anno: a partire dal 1930 la radio prese piede a poco a poco e divenne protagonista nelle case, nelle piazze e nei ritrovi pubblici (bar ed osterie). La radio era, in occasione di cronache, dirette di avvenimenti politici, sportivi o religiosi, un momento di aggregazione collettiva. Allo stesso modo si diffuse anche la pubblicità radiofonica: nacquero i concorsi e le trasmissioni offerte. Fra Luglio e Agosto fu lanciato un concorso per tre ballabili (come allora si diceva) da intitolare a tre prodotti della società dolciaria Unica di Torino. A Novembre furono trasmessi il primo programma di varietà offerto dagli sponsor Perugina e Buitoni e il primo concerto sinfonico offerto da Radiomarelli. La musica diventò presto appannaggio dei concerti Campari o Martini&Rossi.

La radio ebbe un’importanza fondamentale anche per la propaganda del regime fascista: i giornali-radio; le celebrazioni delle date importanti per il regime; la conquista di Addis Abeba; la fondazione dell’Impero; i discorsi di Mussolini; ma anche le trasmissioni dedicate a pubblici particolari (Nonno Radio per i ragazzi, L’ora dell’agricoltore per i contadini ecc.). Proprio per questo il regime fece di tutto per agevolare l’acquisto della radio a basso prezzo (per esempio la Radio Balilla della Marelli) in modo tale da diffondere i programmi propagandistici nelle scuole, nelle fabbriche e negli uffici pubblici. Nello stesso periodo venne fondato l’Istituto Nazionale Luce per i cinegiornali e i documentari di

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propaganda al regime, vennero istituiti i cinema viaggianti (sul modello dei carri di Tespi teatrali) per portare i cinegiornali e i film propagandistici anche nei paesi più piccoli.

Il linguaggio pubblicitario era totalmente ispirato dall’autarchia promossa dal regime fascista. Si dovevano preferire i prodotti nazionali e si doveva consumare non per vivere o per trarne piacere ma per provare l’orgoglio di sostenere l’industria italiana.

Finita la Seconda Guerra Mondiale l’Italia era perdente e distrutta. C’era la pace, per fortuna, ma c’era ancora il razionamento alimentare, c’erano la fame e la disoccupazione, le città distrutte e le campagne e le strade sconvolte dalle battaglie. Bisognava riconvertire tutta un’economia di guerra e di autarchia. Riconversione ed esportazione diventarono le parole d’ordine della ricostruzione italiana che fu lunga e faticosa, e durò almeno un decennio.

Durante il decennio della ricostruzione (1946-1956 circa) la pubblicità si limitava ad assestarsi e a sopravvivere. Nel 1946 fu fondata l’Unione Italiana Pubblicità, trasformata nel ’47 nella FIP (Federazione Italiana Pubblicità). Nel 1948, per iniziativa di un gruppo di pubblicitari, fu costituita l’UPA (Utenti Pubblicità Associati)8; l’anno seguente l’OTiPi (Organizzazioni di tecnica pubblicitaria).

8 L’UPA è un’associazione di aziende inserzioniste e committenti di campagne pubblicitarie che

esiste tutt’oggi. I fondatori usarono la parola utenti per creare una sigla assonante alla francese UDA (Union des Announceurs) e la belga UBA (Union Belge des Announceurs). UPA è promossa e guidata dalle imprese che la costituiscono per affrontare e risolvere i problemi comuni in materia di pubblicità e per rappresentare gli interessi delle aziende con univocità,

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Però c’erano quasi più associazioni pubblicitarie che investimenti. Le aziende che facevano pubblicità erano poche e spesso continuavano a rivolgersi ad un pubblico medio o piccolo borghese, con i clichés comunicativi di dieci anni prima.

Nel 1950, però, il periodo più oscuro e difficile della ricostruzione sembrava finito. Gran parte degli italiani aveva ripreso a respirare fiducia. Anche il mondo pubblicitario viveva un clima di speranza: accanto agli studi pubblicitari già affermati se ne costituivano di nuovi. Ma la indubbia novità del periodo in campo pubblicitario fu l’esplosione dei settimanali, o del rotocalco come si diceva più spesso. Le caratteristiche del rotocalco erano fotografia e colore accoppiate nella stampa. Il settimanale soppiantò il manifesto e, per certi pubblici, anche il quotidiano. Ai tradizionali “L’Illustrazione Italiana” (borghese), “Domenica del Corriere” (popolare), “Mani di Fata” (lavori femminili), dopo il 1935 si aggiunsero “Omnibus” presto sostituito con “Tutti” di Longanesi; “Oggi” di Pannunzio e Benedetti; “Tempo” di Mondadori e tanti altri. Per il pubblico femminile furono lanciati “Eva” e “Lei” (poi sostituita con “Annabella”). Alle poche e incolori testate femminili dell’anteguerra si aggiunsero molte e coloratissime riviste che mescolavano moda, gastronomia, cosmetica e attualità. Fu una vera moltiplicazione che permise l’amplificazione della pubblicità diretta al pubblico femminile, anzi ai pubblici: perché le nuove testate cominciarono presto ad orientarsi verso settori (target) di pubblico diversi per età, per gusti e per reddito o classe sociale. La diffusione e la varietà dei periodici ne fecero il mezzo pubblicitario in ascesa. Il prevalere dei settimanali, colorati e fotografici, portò molte conseguenze in pubblicità, a cominciare dalla possibilità di parlare direttamente al pubblico femminile, protagonista della maggior parte degli acquisti. Inoltre, il rotocalco dava grandi possibilità al colore: si pensi all’importanza che esso ha per presentare al meglio certi prodotti alimentari (Effetto appetizing).

indipendenza e forza presso il legislatore, le agenzie di pubblicità, i mezzi, le concessionarie, i consumatori e tutti gli altri stakeholder del mercato della comunicazione commerciale.

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Non meno importante fu la nascita della televisione italiana. L’esordio fu segnato dall’annuncio del 1954: “La Rai, Radio Televisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Il primo vero programma, “Arrivi e Partenze” presentato da Mike Bongiorno, andò in onda lo stesso giorno dopo le cerimonie inaugurali9. La pubblicità televisiva iniziò nel Febbraio del 1957 con la formula unica al mondo del Carosello: un minuto e quaranta secondi di “spettacolo”, separato dal codino pubblicitario, lungo trentacinque secondi. La trasmissione avveniva alle nove di sera, dopo il telegiornale che allora iniziava alle 20:30 (nel 1974 fu tutto anticipato di mezz’ora a causa della crisi energetica in modo da mandare a letto prima gli italiani e fargli risparmiare energia). L’Italia fu l’unico paese ad adottare questa formula così strana perché la RAI non voleva fare la pubblicità e, dovendo farla10, la mascherava con lo spettacolo, onde evitare critiche dei telespettatori e della lobby degli editori.

Ma la formula che avrebbe dovuto annacquare la pubblicità, l’esaltò al massimo: il successo di Carosello fu enorme. Ebbe successo, inizialmente, per il solo fatto di esserci, per la novità; e poi per la struttura narrativa molto semplice, per l’iterazione imposta dallo schema, per l’ancoraggio ai divi comici e musicali del momento, per la brevità ed essenzialità dello spettacolo. Più tardi, per il favore che l’introduzione dei cartoni animati suscitò nei bambini e, di riflesso, nei loro genitori. I Caroselli erano caratterizzati da un’atmosfera spettacolare e magica che collegava il prodotto all’attore o al cantante di successo che lo aveva preceduto, oppure al cartone animato che divertiva grandi e piccoli. Attori e presentatori, cantanti e sportivi, personaggi dei quiz televisivi, furono moltissime le celebrità che si affollarono sullo schermo pubblicitario. Mike Bongiorno, Alberto Sordi, Edoardo De Filippo, Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, Frank Sinatra, Nilla Pizzi, Adriano Celentano, Mina e tanti altri. Gran parte del suo successo Carosello lo deve, però, ai cartoni animati come Jo Condor per la

9 In America la televisione aveva cominciato a funzionare già nel 1944.

10 Il canone che veniva fatto pagare per garantire l’attività televisiva non era sufficiente e

quindi la RAI fu costretta ad utilizzare la pubblicità come strumento di approvvigionamento delle risorse. Proprio come qualche anno prima aveva fatto la radio.

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Ferrero, Calimero per la Mira Lanza, Caballero e Carmencita per la Lavazza, Gatto Silvestro per la De Rica e tanti altri.

La società consociata della Rai incaricata di gestire la vendita degli spazi pubblicitari era la Sipra che aveva già come incarico quello di raccogliere la pubblicità per Radio Rai.

Ed eccoci calati nel pieno degli anni Sessanta, i mitici anni del boom. Per la prima volta in Italia la classe media ha una disponibilità economica che eccede quella necessaria per fronteggiare i consumi di prima necessità e tutelarsi da eventuali accadimenti futuri, esiste quindi, una quota di denaro che può essere destinata a consumi voluttuari finalizzati a migliorare la qualità della vita. Questa nuova situazione rappresenta un terreno fertile per la pubblicità italiana, infatti essa compie il primo vero distacco dal passato, sia in termini quantitativi che qualitativi. Sono gli anni dell'espansione, che vedono l'apertura di sedi italiane da parte delle grandi agenzie internazionali (Mc Cann Erickson, Lonsdale Brose, Euroteam, BBDO, Ogilvy and Mather, Young & Rubicam, Ted Bates, FCB, NCK, PGBS, Farner, LPE), ma anche il decadimento di tante piccole agenzie o studi che avevano fatto la storia della pubblicità italiana. Ora sono le grandi agenzie a dirigere le campagne pubblicitarie per le aziende più importanti, mentre le strutture minori si occupano delle realtà marginali del sistema produttivo. La pubblicità del periodo taglia rapidamente i ponti con il passato: il nuovo stile è in sintonia con il rinnovamento generale dei gusti, è agile e scattante nelle sue Fig.5 – Carosello e Jo Condor.

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formulazioni, prende le distanze dai modi educativi del decennio precedente e si tuffa nella trascrizione di un mondo trasformato dalle merci e dal consumo. Si abbandona la cosiddetta pubblicità informativa in favore di una plasmata dal consumismo.

Dando uno sguardo ai dati relativi ai mezzi utilizzati dalla pubblicità di quegli anni si può osservare che oltre il 60% dell’investimento pubblicitario era concentrato sulla stampa, mentre alla televisione, secondo mezzo per importanza, era destinata all’incirca la stessa quota stanziata per le affissioni: l’11%.

Al boom – pubblicitario e non – targato anni ’60, si contrappongono gli anni Settanta, caratterizzati da un periodo buio, costellato da gravi difficoltà, sia economiche che culturali. La crisi petrolifera del 1973 e le crisi economiche degli anni seguenti portarono ad un pesante rallentamento degli investimenti in pubblicità da parte delle aziende e di conseguenza ad una guerra di interessi tra i vari mezzi pubblicitari (in particolare tra TV e stampa)11.

Le grandi agenzie internazionali andarono in crisi e ritornarono alla luce le piccole e agili strutture italiane che puntavano soprattutto sulla creatività e sulla consonanza del linguaggio. Furono anni difficili ma creativi grazie al clima di libertà sociale e culturale che si andava diffondendo nel paese. La pubblicità si fece sempre più “colorata” e provocatoria e sembrava quasi reagire alla cupezza degli anni bui. Ne sono un esempio gli annunci elaborati da Emanuele Pirella per i Jesus Jeans, nei quali venivano rappresentati: nel primo l’addome nudo di una ragazza con i jeans sbottonati e con head-line “ Non avrai altro Jeans all’infuori di me”; nell’altro un bel sedere di una ragazza in short di jeans con head-line “Chi mi ama mi segua”.

11 Nell’Ottobre del 1967, con decreto del Presidente del Consiglio, fu istituita la Commissione

paritetica con lo scopo di mantenere i contatti con gli utenti della pubblicità. La Commissione si preoccupò principalmente di mantenere costante il rapporto tra gli investimenti pubblicitari sulla stampa e quelli sulla televisione, o almeno di frenare il favore degli inserzionisti verso il mondo televisivo.

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Proprio da questa campagna pubblicitaria prese piede una contestazione al mondo pubblicitario, accusato di preoccuparsi poco del consumatore e di manipolarlo inducendolo a spese futili e irragionevoli.

Gli anni Settanta furono contraddistinti anche dallo sviluppo del sistema televisivo: nacquero le televisioni private (o “libere”) con schemi editoriali e pubblicitari completamente diversi rispetto alle reti RAI12. In questo modo la TV iniziò pian piano ad erodere quote agli altri mezzi, passando da un’incidenza del 12,5% del 1970 ad una del 21,4% del 197913.

Solo sul finire degli anni Settanta, dopo un lungo periodo di stagnazione, gli investimenti pubblicitari iniziarono una nuova fase di fortissima e continua espansione che si protrasse per tutto il decennio successivo e che consentì un parziale avvicinamento al livello di spesa pubblicitaria degli altri Paesi europei. Con il 1980 cominciò un decennio di grandi investimenti pubblicitari e di forme alternative di comunicazione: relazioni pubbliche, promozioni, direct marketing e sponsorizzazioni. Il boom degli investimenti venne attribuito all’esplosione del tappo televisivo: l’introduzione delle televisioni private annullò gli effetti del razionamento e delle altre limitazioni imposte dal monopolio pubblico, e nuovi inserzionisti accorsero in massa a fare pubblicità.

Il divertimento era ciò che veniva chiesto alla pubblicità. Ecco allora la continua ricerca dell’originalità e del meraviglioso: pubblicità come spettacolo e

12 Nel 1976 una sentenza della Corte Costituzionale sancisce la fine del monopolio RAI e da il

via alla costituzione di reti private.

13 Dati da Media e pubblicità in Italia di Franco Brigida, Paolo Baudi di Vesme e Laura Francia.

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spettacolo come sorpresa. La pubblicità non doveva più spiegare il vantaggio che il prodotto poteva dare ma doveva far vivere un sogno, una fantasia, un’avventura. Nel VII forum della comunicazione di marketing di Milano, novembre 1985, “Comunicazione pubblicitaria quale domani?”, venne decretata la nascita della pubblicità spettacolo in Italia. Nel corso del convegno, alcuni tra i più autorevoli pubblicitari italiani, nei loro interventi sostennero questa tesi: “I prodotti oggi sono standard e la gente lo sa: il valore aggiunto che i prodotti oggi possono avere è soltanto un valore aggiunto di comunicazione, di immaginario, di fantasia, di poesia e quindi di spettacolo” (Marco Magnani, Direttore Creativo RSCG Italia).

La situazione che si venne a creare, enfatizzò progressivamente il ruolo della marca come punto di riferimento delle scelte dei consumatori e delle strategie di comunicazione delle aziende. L’immagine di marca fungeva contemporaneamente da garanzia della qualità dei prodotti e da elemento di differenziazione. La pubblicità, allora, dedicava sempre meno attenzione alle caratteristiche intrinseche dei prodotti e sempre più alla creazione di un sistema di valori associabili alla marca. Sistema di valori spesso realizzato con l’ausilio delle saghe pubblicitarie, che ebbero molto successo. Sono, ad esempio, quella del whisky Glen Grant che diede vita al personaggio di Michele “l’intenditore”, quella del caffè Lavazza che ebbe l’attore Nino Manfredi come protagonista per un lungo arco di tempo (dal 1981 al 1992) o quella dell’amaro Ramazzotti che, sfruttando il grande successo di Milano sul piano dell’immagine, lanciò lo slogan “Milano da Bere”. Ma particolarmente significativa fu la lunga serie di spot, probabilmente la più importante di tutto il decennio, che il pubblicitario Gavino Sanna realizzò per la pasta Barilla e che si sviluppò dal 1985 sino al 1991. Gli italiani si identificavano infatti con molta intensità in quelle storie semplici e rassicuranti che giocavano sui buoni sentimenti e fruttavano il loro particolare attaccamento alla famiglia.

Negli stessi anni, oltre alla marca, prese piede una nuova “rivoluzione sessuale”: per la prima volta si cominciarono a vedere annunci per l’abbigliamento intimo maschile contenenti modelli molto sexy, nudi o quasi. Allo stesso periodo risale

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anche l’esplosione delle pubblicità sexy al femminile, come quelle di La Perla, Golden Lady e Campari. Ma, in generale, il corpo divenne in quegli anni per entrambi i sessi un protagonista centrale del mondo pubblicitario, come d’altronde lo stava diventando sul piano sociale, con il culto crescente per la salute e la buona forma fisica.

La strepitosa crescita degli investimenti pubblicitari, registrata negli anni Ottanta, si stabilizzò con l’inizio del nuovo decennio. Solo negli anni compresi tra il 1992 e il 1994 il mercato pubblicitario soffrì un periodo di crisi dovuto all’instabilità economica italiana di quegli anni. Instabilità che favorì una maggior attenzione nei consumi e nelle scelte d’acquisto, che tendevano a privilegiare i prodotti che offrivano un vantaggioso rapporto tra la qualità offerta ed il prezzo. Questa tendenza facilitò l’espansione in Italia degli hard discount, importati dal Nord Europa, che offrivano prodotti unbranded, a prezzi molto competitivi. A questo va aggiunto l’effetto esercitato anche in Italia, dalla nascita di numerose strutture di vendita di grandi dimensioni: ipermercati, centri commerciali, ecc. Il prodotto di marca subiva quindi un duplice attacco dalla distribuzione: da una parte il ricatto della distribuzione moderna che, per inserire al proprio interno i prodotti, richiedeva investimenti elevati da parte delle aziende che in questo modo riducevano i propri margini operativi; dall’altra parte gli hard discount che mettevano sul mercato prodotti mass market a basso prezzo particolarmente interessanti per i consumatori di quegli anni. La marca si trovava quindi costretta a ridurre drasticamente il proprio prezzo per poter continuare a sopravvivere sul

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mercato ed una delle prime voci che venivano ritoccate erano proprio le spese pubblicitarie che subirono un sensibile calo14.

Passati gli anni della forte crisi, la marca riprese ad investire in pubblicità puntando sul concetto di qualità, che solo un prodotto di marca in quanto tale poteva garantire. Quindi, se gli anni ’80 erano stati contraddistinti dalla volontà da parte del consumatore di acquistare tutto ciò che dava prestigio e che si traduceva in prodotti firmati e costosi, e gli inizi degli anni ’90 erano stati contraddistinti dalla volontà di acquistare al minor prezzo possibile, nella seconda metà del decennio il consumatore concentrava la propria attenzione sul rapporto qualità/prezzo e cioè la buona qualità al giusto prezzo.

Il buon andamento del mercato della fine degli anni ’90 favorì principalmente i cosiddetti “mezzi veloci”, ovvero la televisione, la radio e i quotidiani. Inoltre all’interno degli investimenti effettuati in pubblicità vi sono stati notevoli cambiamenti: si ridussero quelli riservati ai settori tradizionali del largo consumo, come gli alimentari (che detenevano il primato da molti anni e che comunque rimanevano al primo posto) e le bevande alcoliche, a vantaggio di settori emergenti che avevano bisogno di farsi conoscere: turismo, informatica, nuove tecnologie di comunicazione, banche e assicurazioni. Per quello che riguarda le aziende investitrici, il top spender era Ferrero con 280 miliardi di lire

14 Variazioni percentuali anno su anno degli investimenti pubblicitari negli anni ’90. Fonte:

Nasa Nielsen (Media e Pubblicità in Italia di F. Brigida, P. Baudi di Vesme e L. Francia).

5,5% 5,2% -2,4% -0,2% 5,6% 7,8% 9,2% 8,2% 12,3% -4,0% 0,0% 4,0% 8,0% 12,0% 16,0% 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Fig. 7

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netti; seguiva Barilla con 216 miliardi di lire; terza Telecom Italia Mobile con 170 miliardi di lire15.

Relativamente al linguaggio pubblicitario l’Italia continuò invece a dimostrare di non essere in grado di recuperare il forte distacco accumulato già ai tempi di Carosello rispetto agli altri paesi europei, di non sapersi cioè liberare dai condizionamenti culturali derivanti dal fatto che la pubblicità made in Italy si era dovuta sviluppare per molti anni sotto l’influenza delle regole stabilite da questo programma televisivo. Lo evidenziano le operazioni di recupero di innumerevoli personaggi e situazioni che avevano funzionato ai tempi di Carosello: la bionda della birra Peroni, il pulcino Calimero del detersivo Ava, l’uomo in ammollo di Bio Presto, il cow-boy Gringo della carne Montana, il salto della staccionata dell’olio Cuore ecc. Inoltre vennero lanciati i testimonial: a partire da Giovanni Rana che parlava dei propri prodotti, seguito dal signor Amadori che decantava i polli del proprio allevamento, da Luciano Benetton, da Oliviero Toscani, dai fratelli Gancia e da Ennio Doris, presidente della banca Mediolanum.

1.3. IL NUOVO MILLENNIO

Nel 2000 il mercato pubblicitario registrò uno dei risultati più brillanti dell’ultimo ventennio con un investimento complessivo pari a 16.631 miliardi di

15 Prime 10 aziende italiane investitrici in miliardi di lire netti (anni ’90). Fonte: Nasa Nielsen

(Media e Pubblicità in Italia di Franco Brigida, Paolo Baudi di Vesme e Laura Francia).

Azienda Totale

Ferrero 280

Barilla 217

Telecom Italia Mobile 170

Telecom Italia 162

Unilever divisione Sagit 161 Procter & Gamble 158

Omnitel 156

Fiat 155

Nestlè 138

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lire e con una crescita del 12,8% rispetto all’anno precedente16

. Lo sviluppo del mercato era imputabile quasi per intero alla crescita della domanda di pubblicità soprattutto dei settori della comunicazione, della finanza, del commercio, dei servizi alle persone, dei prodotti e servizi per l’impresa, dell’energia. Non è un caso che i prodotti alimentari, che erano sempre stati il settore più importante per la pubblicità italiana, vennero raggiunti, per la prima volta nel 2000, dal settore della comunicazione, un settore che con circa 3000 miliardi di lire investiti divenne uno dei principali.

Un’ulteriore spinta al mercato venne data dagli investimenti delle aziende che operavano sul mercato Internet17, le cosiddette dot com. Si trattava di aziende che non solo usavano Internet come veicolo di comunicazione, ma che, dotandosi di una presenza su questo nuovo canale, ritenevano importante utilizzare tutti i mezzi per comunicare la loro proposta commerciale. I massicci investimenti su Internet erano dovuti, con ogni probabilità, al fascino esercitato da un segmento comunicativo ancora relativamente nuovo e alla ricerca di nuovi linguaggi. I settori più attivi sulla rete erano naturalmente quelli che si rivolgevano a target costituiti da giovani e da esperti di personal computer, attratti da informatica, editoria, musica, viaggi. Per cui le potenzialità del mezzo restavano ancora largamente sottoutilizzate. Una delle forme di comunicazione commerciale che maggiormente veniva adoperata sulla rete era il banner advertisement. Si trattava di una modalità comunicativa inquadrabile nelle strategie tradizionali dell’interruption marketing praticate dai mezzi classici (come ad esempio le interruzioni pubblicitarie in TV).

Oltre ad internet, ottennero eccezionali risultati anche la radio, le affissioni e il cinema. In tutti questi casi, anche se in forme e modi diversi, il miglioramento e la riqualificazione dell’offerta diedero i loro frutti sviluppando la quota di

16 Secondo la stima UPA (Utenti Pubblicità Associati).

17 Internet in Italia nasce nel 1986, con il primo collegamento ad Arpanet, "il papà di Internet",

da parte del Cnuce (Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico) di Pisa. A sua volta Arpanet era nato nel 1969 negli Stati Uniti per opera di scienziati e tecnici che lavoravano per l’ARPA (Advanced Research Project Agency) del Ministero della Difesa degli Stati Uniti. Inizialmente il sistema internet era usato quasi solo da alcuni grandi enti pubblici e da alcune facoltà universitarie, specialmente nel campo della fisica. Erano pochi i "privati" che avevano un accesso in rete. Solo a partire dal 1994 si diffuse la disponibilità di accessi internet per tutti.

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investimenti pubblicitari ad essi destinati. Discorso a parte va fatto per la televisione, che rimase di gran lunga il media più utilizzato in Italia, con una quota del 50,2%18.

Il 2000, inoltre, si distinse fortemente dagli anni ottanta e novanta, perché la pubblicità, più che come promozione per le vendite, veniva vista come strumento per costruire una relazione continuativa, razionale ed emotiva con il consumatore finale (quella che in gergo tecnico si chiama brand equity) attraverso una presenza omni-canale (tv, stampa, radio, affissioni, cinema, internet).

Venendo ai giorni nostri si può vedere come la pubblicità abbia avuto una notevole trasformazione oltre che un notevole incremento nel corso degli anni. Le sue prime comparse sono avvenute attraverso l' industrializzazione del diciannovesimo secolo, durante il quale le industrie in espansione sentirono il bisogno di allargare il proprio mercato dando di conseguenza più importanza al ruolo della pubblicità come mezzo per informare i consumatori della propria offerta. Oggigiorno essa, però, ha assunto ruoli diversi che vanno oltre quello informativo, ovvero:

- quello di stimolare una propensione al consumo e quindi creare una goodwill verso il prodotto, o meglio un desiderio, una convinzione che quel prodotto rappresenti una soluzione valida e desiderabile;

- quello, più ambizioso di trasformare i prodotti e soprattutto le marche in segni attribuendo loro significati simbolici che vanno oltre le caratteristiche materiali.

Ciò avviene, il più delle volte, attraverso una strategia comunicativa a 360° che coinvolge tutti i mezzi pubblicitari.

Accanto ai media tradizionali si affianca il social network che diventa il medium per eccellenza di questi anni. I social networks sono le community più diffuse su internet, all’interno delle quali milioni di utenti di tutto il mondo si ritrovano

18

Fonte: Nasa Nielsen (Media e Pubblicità in Italia di Franco Brigida, Paolo Baudi di Vesme e Laura Francia).

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per dialogare ed interagire. Giorno dopo giorno social network come Facebook, Twitter, Pinterest, Youtube, Instagram, Foursquare, solo per citare i più famosi, crescono in maniera esponenziale, registrando accessi sempre più frequenti e lunghe sessioni di navigazione. L’affermazione di queste nuove forme di aggregazione rende tali community una straordinaria opportunità per promuovere la propria azienda e la propria offerta, ampliare la rete di contatti e per instaurare una relazione con i consumatori interagendo con essi. Le reti social infatti vanno considerate come un contesto idoneo per costruire relazioni, fiducia e per migliorare la percezione del brand, fattori che successivamente possono influenzare il processo di acquisto degli utenti.

Con la crescita del numero di utenti internet provenienti da ogni angolo del pianeta ed il conseguente proliferare dei social network, la pubblicità su di essi andrà sempre più affermandosi e comincerà a svolgere un ruolo di primo piano. Le proiezioni che Nielsen fa per il 2014 vedono il social e il search come i mezzi con le performance più interessanti. Il search è un altro dei protagonisti delle strategie promozionali delle aziende contemporanee. Per search si intendono gli annunci pubblicitari che compaiono sulla pagina che elenca i risultati di una ricerca effettuata mediante un motore di ricerca come Google o Yahoo. Questo mezzo sta assumendo sempre più rilevanza, tanto che in relazione ad esso si sono sviluppati due nuovi rami del web marketing:

- Il SEM ( Search Engine Marketing) che è caratterizzato da un insieme di attività svolte per incrementare la visibilità e la rintracciabilità di un sito web attraverso i motori di ricerca;

- Il SEO (Search Engine Optimization) che comprende tutte quelle attività messe in atto da un professionista dei motori di ricerca allo scopo di migliorare il posizionamento delle pagine di un sito web sulle pagine dei risultati organici (anche detti risultati naturali) restituite dai motori di ricerca in corrispondenza delle parole chiave ritenute più strategiche.

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1.4. FOCUS SULL’EVOLUZIONE DELLA PUBBLICITÀ E DEI CONSUMI NEL SETTORE ALIMENTARE

Alla fine del XIX secolo la popolazione italiana, reduce dall’unificazione (1861), era ancora molto povera e il reddito disponibile veniva utilizzato quasi interamente per le spese basilari per la sopravvivenza: l’alimentazione faceva la parte del leone assorbendo circa il 60% della spesa, seguivano poi le spese per abitazione ed energia, vestiario e trasporti. Nonostante la forte spesa per l’alimentazione, la dieta non era ne’ ricca ne’ variata ma era costituita da pochi alimenti come cereali, frumento e legumi. Solo le famiglie benestanti potevano permettersi di consumare alimenti più raffinati come la carne e il pesce. La produzione aveva carattere locale: i piccoli produttori servivano la loro zona e non erano interessati né avevano la capacità produttiva per espandersi. In un contesto simile, in cui le scelte di consumo erano ridotte al minimo e la produzione distribuiva i propri prodotti nel raggio di pochi chilometri, la pubblicità sui generi alimentari non trovava la sua ragione d’essere. Con gli inizi del Novecento, la rivoluzione industriale19, partita dalle industrie tessili e meccaniche, cominciò a farsi sentire anche nel settore alimentare con nuove tecniche di lavorazione, di conservazione dei cibi e nuovi macchinari. Il risultato fu una produzione sempre maggiore di prodotti alimentari sempre più standardizzati e sempre meno costosi (grazie alle economie di scala). Si passò, quindi, da una produzione artigianale ad una industriale. Questa trasformazione dell’industria alimentare determinò tuttavia problemi legati alla distribuzione del prodotto e anche al marketing: vendere piccole quantità di prodotti artigianali alla clientela locale era semplice e veloce ma vendere grandi qantità di beni industriali ad una clientela sconosciuta e lontana implicava meccanismi totalmente diversi. In questo scenario prese così forma il concetto di “marca”

19Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima riguarda

prevalentemente il settore tessile-metallurgico con l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nell'arco cronologico solitamente compreso tra il 1780 e il 1830. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. In questo contingente con la locuzione “rivoluzione industriale” intendiamo sia la prima che la seconda.

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che, nel mercato allargato che si era creato grazie ai trasporti moderni e veloci e alla rivoluzione industriale, non rappresentava più un marchio proprietario che indicava semplicemente il nome o il simbolo del prodotto commercializzato da un’impresa ma lo strumento con cui caratterizzare la merce e possibilmente venderla. La costruzione della marca si basava essenzialmente sulla pubblicità, che non a caso iniziò a muovere i suoi primi passi. Si trattava di una pubblicità a carattere informativo volta a fornire informazioni circa le caratteristiche del prodotto, le sue funzioni e i suoi componenti. La pubblicità dei prodotti alimentari appariva nelle pagine delle riviste che ospitavano inserti pubblicitari sotto forma di riquadri con una piccola illustrazione e una lunga scritta di spiegazione che elencava tutte le caratteristiche del prodotto.

Saltando il periodo della Grande Guerra (1914-1918 – in Italia 1915-1918) – in cui produzione e consumo alimentari e, conseguentemente, anche la pubblicità si dovettero adeguare allo stato di guerra, che vigeva in Italia e nel mondo – si arriva agli anni Venti/Trenta la cui caratteristica peculiare arriva dalla politica del periodo, o meglio dal fascismo che scende esplicitamente nell’arena dei consumi attraverso la politica dell’autarchia, che impone il consumo di prodotti nazionali al posto di quelli di importazione. Tale politica era stata avviata con lo scopo di sostenere l’industria italiana in un periodo storico caratterizzato da instabilità e crisi ricorrenti. Nel comparto alimentare l’autarchia si tradusse in un incoraggiamento al consumo di prodotti nazionali come riso e grano e nella “tessera annonaria” che prevedeva il razionamento del cibo per le famiglie. Il regime si prodigava nel fornire alle massaie suggerimenti di alternative nazionali ed economiche ai più costosi prodotti d’importazione. Anche la pubblicità dei prodotti alimentari era permeata dalle politiche del regime ed evidenziava tra le caratteristiche del prodotto soprattutto quella dell’“italianità”, particolarità che doveva attribuire al prodotto un valore aggiunto rispetto agli altri.

Gli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale sono stati gli anni del boom economico: dopo i duri anni della guerra prima e della ricostruzione poi, si era diffuso nel paese un clima di ottimismo dovuto soprattutto alla crescita economica, alla crescita dell’industria, all’aumento del reddito pro-capite e

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all’incremento demografico (baby boom). Tutti erano convinti che la loro condizione potesse migliorare, che la loro vita potesse diventare più prospera e piena di cose. Gli italiani guardavano agli Stati Uniti come un modello di consumo da imitare. Le case e il sistema dei trasporti iniziavano bruscamente a modificarsi: iniziavano a diffondersi i primi elettrodomestici come frigoriferi, tv e radio; accanto ai motocicli apparvero le prime automobili. Grazie a quest’aria positiva, anche i consumi crescevano a ritmi da record. Per la prima volta, però, le spese alimentari non assorbivano più gran parte delle risorse disponibili della popolazione: le quote tradizionalmente destinate alla spesa alimentare venivano dedicate alla motorizzazione privata, ai beni durevoli (arredamento ed elettrodomestici), alla cura e alla bellezza del corpo. Tuttavia gli investimenti pubblicitari non riflettevano questa tendenza, infatti le industrie alimentari continuavano ad essere le top spender in campo pubblicitario. La pubblicità dei prodotti alimentari del periodo cercava di rendere il prodotto facilmente riconoscibile agli occhi dei consumatori e lo faceva attraverso una presenza costante sulla stampa e sulla televisione ma anche mediante il packaging e la marca. Essa cercava di sollecitare soprattutto l’attenzione della donna moderna che, nonostante la sua emancipazione, continuava ad essere la principale responsabile dell’alimentazione familiare e, di conseguenza, anche della spesa alimentare. Ma le vere tendenze pubblicitarie dei prodotti alimentari dell’epoca furono:

- il ricorso a testimonial d’eccezione del mondo dello spettacolo o dello sport che promuovevano questo o quel prodotto alimentare (ad esempio Mina per la pasta Barilla);

- l’utilizzo di una filosofia salutistica che sottolineava le virtù salutari del prodotto (tendenza che si afferma negli anni successivi per arrivare fino ai giorni nostri);

- l’uso di pupazzi, gadget e cartoni animati per promuovere i prodotti, soprattutto dolciari, destinati ai bambini.

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Non dimentichiamo che l’epoca in questione è anche l’epoca di “Carosello” che, ovviamente, plasma a sua immagine e somiglianza i contenuti e le tecniche pubblicitarie. La pubblicità diventa una storia da raccontare, uno spettacolo. È utile sottolineare anche che a partire dagli anni ’60, a fianco alla rete dei piccoli negozi tradizionali, comparve il “supermercato”: uno spazio unico inframezzato da scaffalature lunghe e regolari che presentavano pile infinite di alimenti dalle confezioni colorate e vivaci. Questo nuovo spazio di consumo oltre a modificare le abitudini di acquisto offrì una nuova cornice ai prodotti che promuoveva l’acquisto tanto quanto la pubblicità20

.

Venendo agli anni Settanta e Ottanta, la pubblicità alimentare diventa protagonista rimbalzando da un mezzo di comunicazione all’altro (trainata soprattutto dallo sviluppo delle reti tv private). Nonostante la contrazione delle spese alimentari gli investimenti pubblicitari del settore continuarono a detenere il primato tra tutti i settori merceologici pubblicizzati (tale primato si è mantenuto costante fino ai giorni nostri – si veda Figura 9).

20 Esistono numerose teorie sull’organizzazione dello spazio all’interno dei supermercati che

riguardano ad esempio la collocazione dei reparti, quella degli scaffali (gondole), quella dei prodotti sugli scaffali ecc.

0% 2% 4% 6% 8% 10% 12% 14% ALI M ENTAR I AUT O M O B ILI SER V IZI P R O FES SI O NALI INF O R M ATI CA/ FO TO G R AF IA CUR A P ER SO NA TEM P O LI B ER O ENTI /I STI TU ZI O NI B EV AND E/ ALCO LI CI AB B IG LI AM ENTO FAR M ACEUT ICI /S ANI TAR I FI NAN ZA/ AS SI CUR AZI O NI AB ITAZI O NE TO ILE TR IES TEL ECO M UNI CAZI O NI EL ETT R O D O M ES TI CI O G G ETT I P ER SO NALI M O TO /V EI CO LI G IO CHI /AR TI CO LI S CO LAS TI CI IND US TR IA/ ED ILI ZI A /ATTI V ITA' D IS TR IB UZI O NE M ED IA /ED ITO R IA G ES TI O NE CAS A TU R IS M O /V IAG G I

QUOTA % DEL SETTORE SUL MERCATO (Gen-Ago 2013)

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Nello stesso periodo il ruolo della pubblicità si andò via via modificando: si passò da una strategia totalmente incentrata sul prodotto (product-oriented) ad una più attenta al lato della vendita e del mercato (market-oriented). La pubblicità non si limitava più semplicemente ad elencare le caratteristiche del prodotto ma cercava di attribuire ad esso un valore aggiunto. Questo risultato, tuttavia, si ottenne non solo mediante la pubblicità, ma affiancando ad essa le politiche relative ai prezzi, le modalità di vendita, la marca, gli studi sui consumatori e tutte le altre attività che vanno sotto il nome di marketing21.

Arrivando a tempi più recenti come gli anni a cavallo del millennio, dopo la crisi e l’austerity degli anni ’70, i consumi delle famiglie italiane ripresero a crescere. Il primo dato eclatante fu la diminuzione delle spese alimentari che si avvicinarono ai livelli dei paesi del Nord Europa con bassa incidenza del cibo sui consumi totali (ad esempio: Gran Bretagna, Germania e Olanda). Tali spese si spostarono sulla casa (a causa della difficile situazione immobiliare) e sui prodotti tecnologici per la comunicazione (grazie all’evoluzione tecnologica che era ed è tuttora in atto e che sfociò in risultati come i computer e i telefoni cellulari). Prodotti nuovi tuttavia non apparvero soltanto nei settori tecnologici di punta ma anche in altri settori del consumo come quello alimentare. Troviamo così:

 cibi che per motivi dietetici, salutistici o di comodità venivano modificati o pretrattati industrialmente, come alimenti light, yogurt a zero grassi, bevande energetiche, barrette nutritive, integratori, piatti pronti al consumo ecc.;

 prodotti tipici della tradizione gastronomica italiana, con il marchio Dop o Igp, che sottolineavano il concetto di autenticità;

 prodotti biologici.

Dall’altro lato della medaglia, però, i livelli di manipolazione del cibo, resi possibili dall’evoluzione tecnologica, provocarono un’ondata di ansietà riguardo

21 La famosa teoria del marketing mix, ad esempio, individua quattro elementi chiavi per la

vendita, ovvero le 4P: prodotto, prezzo, posto, promozione (cfr. P. Kotler, Marketing Management: Analysis, Planning an Control 1967).

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al cibo: timori di sofisticazioni, frodi, avvelenamenti, o anche solo per cibi non naturali o non sani. Malattie e scandali fecero il resto, contribuendo ad un sempre più diffuso desiderio di ritorno alla natura e alla rivalutazione di alimenti semplici e non sofisticati. I produttori cercarono di reagire a questa crisi con campagne pubblicitarie che evocavano mulini bianchi, contadini che trasportavano formaggi su carretti trainati da cavalli, mucche felici nei pascoli alpini ecc., ovvero cose che richiamassero il più possibile la naturalità del prodotto.

Giungendo ai giorni nostri, la cosa che salta subito all’occhio è la crisi economica mondiale. Questa difficile situazione economica si riflette ovviamente anche sui consumi degli italiani. In particolare, per ciò che concerne il carrello della spesa: flettono i consumi di pasta, latte, frutta e ortaggi, ma anche pesce, olio e vino, una raffica di segni meno che ha investito quasi tutti i consumi alimentari della famiglie italiane. In un quadro in cui i consumi alimentari non aumentano e anzi diminuiscono (al meglio sono costanti), la pubblicità e più in generale il marketing mix diventano strumenti indispensabili per i produttori nel gioco della distribuzione delle quote di mercato. I temi più toccati dalla pubblicità alimentare riguardano la qualità, la naturalità, la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari (come vedremo più approfonditamente nel capitolo 5 relativo alla Content Analysis). Questa tendenza scaturisce dalla particolare attenzione che oggi viene destinata al corpo. In una società dominata dall’apparenza e dall’immagine, il corpo è in mostra e come tale deve essere mantenuto in buona salute con lo scopo di evitare giudizi negativi da parte degli altri ed anzi essere più desiderabile. La pubblicità, quindi, promuove abilmente il prodotto alimentare facendolo diventare un bene indispensabile all’interno della propria dieta in quanto di aiuto per il mantenimento del proprio corpo secondo i canoni richiesti dalla società. Il corpo viene quindi dipinto come un insieme di problemi di ogni tipo (sovrappeso, colesterolo, stipsi, caduta dei capelli ecc.) e

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pertanto ha bisogno di ricorrere ad alimenti particolari per diventare un corpo corretto agli occhi degli altri22.

In sintesi si può dire che ad un periodo iniziale in cui la pubblicità aveva una semplice funzione informativa sulle caratteristiche del prodotto e avveniva per lo più su mezzo stampa23, si contrappone il food advertising attuale – presente su tutti i mezzi di comunicazione (stampa, tv, web ecc.) – che non si limita ad elencare le caratteristiche del bene ma cerca di attribuirgli un valore aggiunto, focalizzandosi sugli aspetti della qualità, della salubrità e del contenuto nutrizionale. Tale valore aggiunto viene trasmesso ricorrendo anche all’ausilio di tutti gli altri strumenti di marketing.

22 Questa impostazione della pubblicità può essere fatta risalire alla concezione di corpo dello

psicologo statunitense Gordon Allport, secondo cui “la consapevolezza che abbiamo di noi stessi è in gran parte un riflesso dell’idea che gli altri si fanno di noi…”. L’idea del sé dipende da come gli altri ci vedono. Quindi l’individuo è oggetto di un esame sociale continuo e severo che costituisce le argomentazioni di gran parte dei testi pubblicitari.

23 La pubblicità a carattere informativo è sufficiente in un mondo in cui i consumi alimentari

sono in crescita e il produttore non ha, quindi, la necessità di differenziare il prodotto in quanto la domanda è maggiore dell’offerta.

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2. QUANTO INFORMA LA PUBBLICITÀ SULLE

CARATTERISITCHE REALI DEI PRODOTTI

ALIMENTARI?

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, i temi pubblicitari nel settore alimentare riguardano soprattutto la qualità, la salute e gli aspetti nutrizionali del prodotto alimentare. La ricerca scientifica sugli alimenti ha evidenziato l’esistenza di un’ampia gamma di sostanze, quali vitamine, sali minerali, amminoacidi, fibre e via dicendo, che hanno un effetto nutrizionale e fisiologico sull’uomo. Tali sostanze vengono spesso richiamate nella pubblicità dei prodotti alimentari e utilizzate come leva per differenziare il prodotto rispetto a quelli dei concorrenti. Queste indicazioni influenzano il consumatore facendogli percepire i prodotti come portatori di benefici nutrizionali, fisiologici o, in generale, per la salute. Questo crea un indubbio vantaggio per i produttori che vedono aumentare gli acquisti dei propri prodotti ma allo stesso tempo rende più vulnerabili i consumatori. Infatti, se è vero che negli ultimi anni il consumatore è divenuto più attento ed esigente in termini di informazioni e garanzie sul prodotto, è altrettanto vero che esso ha una conoscenza limitata in materia di alimenti, di alimentazione e di caratteristiche nutrizionali: non esistono solidi programmi di educazione alimentare a livello scolastico o extra-scolastico e quindi le nozioni principali vengono acquisite in modo improprio attraverso i mass media. La pubblicità cerca allora di sfruttare questa situazione a proprio vantaggio: prodotti come frutta, latte, yogurt e molti altri, che fino a ieri erano reclamizzati e consumati in un contesto di “normalità”, oggi diventano miracolosi prodotti che promettono innumerevoli benefici per la salute. Si tratta di prodotti che le aziende alimentari propongono sul mercato attraverso campagne pubblicitarie che enfatizzano le proprietà nutrizionali benefiche per l’organismo, legate ai componenti naturali (ad esempio: le vitamine, i sali minerali, le fibre, il calcio ecc.), legate alle calorie o ai grassi che apportano (ad esempio i prodotti “light”) o legate alla riduzione del rischio di sviluppare determinate malattie. Ma è proprio questo collegamento tra alimento ed effetti positivi per la salute che, a volte, induce il consumatore a

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