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IL PARLAMENTARISMO ITALIANO: DALL'AFFERMAZIONE AL (POSSIBILE) SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PARITARIO

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I ... 5

LA NORMATIVA ELETTORALE VIGENTE DAL 1948 AL 1993 ... 5

1. Il quadro normativo ... 5

1.1 La legge del 1948 e le successive modifiche ... 5

1.2 La normativa della Camera ... 6

1.3

La normativa del Senato ... 7

2.

Il referendum abrogativo del 1993 ... 8

3.

La legge elettorale vigente tra il 1993 e il 2005: un sistema misto a prevalenza

maggioritario ... 11

3.1

Considerazioni preliminari ... 12

3.2

Senato della Repubblica ... 15

3.3

Camera dei Deputati ... 17

4.

La riforma del 2005: il sistema elettorale disposto dalla l. n. 270 ... 19

4.1 Elezione dei Deputati … ... 20

4.2 … e quella dei Senatori ... 25

4.3 Ineleggibilità (Camera e Senato) ... 28

5.

Il giudice delle leggi e la legge elettorale: la sentenza della Corte Costituzionale

n. 1 del 2014 ... 30

5.1 La decisione ... 30

5.2

Ammissibilità della questione di costituzionalità ... 33

5.3

Sul premio di maggioranza senza soglia: rappresentatività versus

governabilità ... 33

5.4

Una postilla sulla disciplina dei premi regionali per il Senato ... 35

5.5

Sulle liste “lunghe bloccate” (e sul ruolo dei partiti; con un inciso sulle

candidature multiple)... 36

5.6

Quel che resta della legge n. 270 del 2005 dopo la sentenza ... 39

5.7

Non incidenza dell’annullamento sugli atti del Parlamento in carica ... 41

6.

L’Italicum alla Camera dei Deputati ... 42

6.1

Cosa prevede la nuova normativa... 42

6.2

Considerazioni sul nuovo modello elettorale ... 47

(2)

2

CAPITOLO II ... 56

LA RIFORMA DEL SENATO NELL’A.S. n. 1429... 56

1.

Lavoro della I Commissione Affari Costituzionali: passaggi cruciali ... 56

2.

La riforma arriva in aula: sintesi del flusso emendativo ... 59

3.

Il Senato delle autonomie... 61

3.1

Composizione ... 61

3.2

Il metodo di elezione del Senato ... 66

3.3

Esiste sempre il bicameralismo? ... 68

3.4

Le funzioni ... 70

3.5

Il nuovo procedimento legislativo ... 73

3.6

In tema di decretazione d’urgenza ... 76

3.7

Il Governo nel procedimento legislativo ... 76

4.

Il Titolo V della Costituzione ... 78

5.

Il nuovo Titolo V nel disegno di legge del Governo Renzi ... 81

6.

Opinioni sul d. d. l. costituzionale ... 89

CAPITOLO III ... 93

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ... 93

(3)

3

INTRODUZIONE

Articoli (cartacei e pubblicati su blog e siti istituzionali), interventi a seminari e a

convegni sono stati gli strumenti utilizzati per elaborare una riflessione sul tema del

bicameralismo paritario italiano, focalizzando l’attenzione soprattutto sulle diverse

modalità di elezione di Deputati e Senatori che si sono succedute dal 1946 al 2005

(capitolo I).

Al fine di realizzare un approfondimento, per quanto possibile, aggiornato ed

attuale, ho proceduto (sempre nel capitolo I) all’analisi della sentenza n. 1 del 14

gennaio 2014 della Corte Costituzionale (che ha comportato la modifica di

determinati punti essenziali del sistema elettorale del 2005), del d. d. l. di riforma

della legge elettorale (il c.d. Italicum, nel tentativo di recepire le osservazioni della

Corte Costituzionale riguardanti la materia elettorale) ed, infine, nel capitolo II del

disegno di legge di riforma costituzionale per il superamento del bicameralismo

perfetto (che ha l’ambizioso obiettivo di dar vita al Senato delle Autonomie in

sostituzione di quello attuale della Repubblica), approvato in prima lettura dal ramo

senatoriale del Parlamento in data 8 agosto 2014.

Don Luigi Sturzo sosteneva che « la legge elettorale, dopo la Costituzione, è la più

importante nell’ordine costituzionale ». Infatti è mediante la legge suddetta che si

insedia un Parlamento che ha la possibilità di concedere la fiducia ad un Governo

certo e duraturo; ottenere una compagine governativa stabile è propedeutico al

raggiungimento della stabilità anche in altri ambiti fondamentali di uno Stato. Questi

risultati portano ad una sicurezza e positività per il cittadino nella vita quotidiana e

futura, contribuendo così al rilancio del nostro Paese. « Il valore della stabilità

governativa – hanno scritto i giudici della Corte Costituzionale nella sentenza n. 1

del 2014 – può esserci, ma è legittimo solo fintantoché ci sia una proporzione tra i

sacrifici dei due diritti contrastanti e, quindi, non può essere un valore fondante di

una legge elettorale ».

Ripercorrendo la crono – storia della legislazione elettorale italiana (dalla

formazione dell’Assemblea Costituente nel secondo dopoguerra all’approvazione

del modello giornalisticamente definito “Porcellum”, passando attraverso il sistema

misto proporzional – maggioritario del 1993), si arriva nell’elaborato a riflettere

(4)

4

sull’attualità ( la già ricordata decisione della Consulta dei primi giorni del 2014 è

senz’altro il fulcro), per poi concludere con un’analisi delle prospettive in divenire (

la definizione di una nuova legge elettorale e la possibile creazione del Senato delle

Autonomie), avendo da un lato l’obiettivo di porre l’attenzione sugli aspetti

necessitanti di riforme, dall’altro quello di indicare le modalità adeguate del

processo riformista attraverso il contributo di professori, studiosi ed operatori del

diritto.

Riguardo l’ambito temporale, la trattazione trova il suo ultimo riferimento nella

seconda lettura della nuova normativa elettorale ovvero nell’approvazione (con

modifiche) dell’Italicum da parte della Camera dei Deputati, avvenuta il 27 gennaio

2015.

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5

CAPITOLO I

LA NORMATIVA ELETTORALE VIGENTE DAL 1948 AL 1993

1. Il quadro normativo

1.1 La legge del 1948 e le successive modifiche

Nel 1946 fu approvata una normativa elettorale proporzionalistica (con la possibilità

di esprimere tre o quattro preferenze, secondo l'ampiezza dei collegi) che, con

minime variazioni, strutturò il funzionamento delle elezioni politiche italiane dalla

fine della Seconda guerra mondiale fino al 1993.

Concepita per gestire le elezioni dell'Assemblea Costituente, fu poi recepita come

legge elettorale per la Camera dei Deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948.

La formula proporzionale del testo fu sconvolta dalla legge n. 148 del 1953, la

quale, su iniziativa del Governo di Alcide De Gasperi, tentò di introdurre un premio

di maggioranza per la coalizione che avesse eventualmente raggiunto la

maggioranza assoluta dei consensi; tale modifica (osteggiata dalle opposizioni, che

la bollarono con l'epiteto di “Legge truffa”) non dispiegò mai i suoi effetti perché

nella successiva tornata elettorale le forze di Governo non riuscirono a conseguire

il quorum previsto.

1

Fu così che il premio fu abolito senza mai aver trovato

1

La legge elettorale del 1953 fu un correttivo della legge proporzionale vigente dal 1946. Essa introdusse un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei Deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.

Voluta dal Governo di Alcide De Gasperi (il cui obiettivo era quello di conservare il proporzionale garantendo allo stesso tempo stabilità governativa), venne proposta al Parlamento dal ministro dell'Interno Mario Scelba e fu approvata solo con i voti della maggioranza, nonostante i forti dissensi manifestati dalle altre formazioni politiche di destra e sinistra.

Vi furono grandi proteste contro la legge, sia per la procedura di approvazione che per il suo merito. Il passaggio parlamentare della legge vide un lungo dibattito alla Camera, ma una lettura fulminea al Senato, i cui presidenti Paratore e Gasparotto in sequenza si dimisero quando capirono che la maggioranza avesse intenzione di forzare la mano per ottenere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in tempo per svolgere le elezioni in primavera con la nuova legge. Il nuovo Presidente della Camera

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6

applicazione e l'intera normativa trovò definitiva sistemazione nel Testo Unico n.

361 del 30 marzo 1957.

Per quanto riguarda il Senato della Repubblica, i suoi criteri di elezione vennero

stabiliti con la legge n. 29 del 6 febbraio 1948, la quale, rispetto a quella per la

Camera, conteneva alcuni piccoli correttivi in senso maggioritario, pur

mantenendosi anch'essa in un quadro in prevalenza proporzionale.

Rimasto in vigore per quasi cinquant'anni, il sistema elettorale proporzionale fu

oggetto di pesanti critiche nei primi anni Novanta (giudicato causa di

parcellizzazione partitica ed instabilità governativa); fu abolito dagli italiani

mediante il referendum del 18 aprile 1993, lasciando campo ad un sistema

prevalentemente maggioritario, il “Mattarellum”.

1.2 La normativa della Camera

Il territorio nazionale italiano fu suddiviso in 32 circoscrizioni plurinominali,

assegnatarie di un numero di seggi variabile a seconda della popolazione; ogni

circoscrizione comprendeva una o più province.

Alta, Meuccio Ruini, approfittò della sospensione domenicale dei lavori per la Domenica delle Palme del 1953 per riaprire la seduta e votare l'articolo unico della legge.

Quanto al merito, secondo gli oppositori, l'applicazione della riforma elettorale avrebbe introdotto una distorsione inaccettabile del responso elettorale. I fautori, invece, videro la possibilità di assicurare al Paese dei Governi stabili, non ritenendo più praticabili alleanze ampie con i partiti di sinistra o con i monarchici e i missini.

Si noti che la legge andò a innovare una materia che, almeno nell'Europa di diritto latino, era tradizionalmente regolata secondo le elaborazioni di alcuni giuristi (principalmente Hans Kelsen), i quali vedevano in un sistema elettorale strettamente proporzionale (con pochi correttivi o aggiustamenti) la corretta rappresentatività politica in Stati di democrazia.

Nel tentativo di ottenere il premio di maggioranza, per le elezioni politiche del giugno ’53 effettuarono fra loro l'apparentamento la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Liberale Italiano, il Partito Repubblicano Italiano, la Sudtiroler Volkspartei e il Partito Sardo d'Azione. Con l'obiettivo contrario si mossero importanti uomini politici, tra i quali Ferruccio Parri (proveniente dal Partito Repubblicano), che, insieme a Piero Calamandrei e Tristano Codignola (provenienti dal Partito Socialdemocratico), partecipò alla fondazione di “Unità Popolare” : tale movimento ebbe proprio lo scopo di avversare la nuova legge elettorale. Non mancarono infatti, all'interno dei partiti che appoggiarono la nuova norma, forti contrarietà. Da una scissione nel Partito Liberale si costituì “Alleanza Democratica Nazionale”. Le forze apparentate ottennero il 49,8% dei voti: per circa 54.000 voti il meccanismo previsto dalla legge non scattò. Unità Popolare e Alleanza Democratica Nazionale raggiunsero l'1% dei voti, riuscendo entrambe nel loro principale proposito.

Fu il socialdemocratico Piero Calamandrei a definire la legge come una “truffa” ; essa venne infine abrogata nel giugno del 1954 su proposta di Pietro Nenni (A. Terranova, “60 anni fa la legge truffa: il Parlamento diventò un ring”).

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7

In base alla legge in oggetto i partiti presentarono in ogni circoscrizione una lista di

candidati.

L'assegnazione

di

seggi

avveniva

con

un sistema

proporzionale utilizzando il metodo dei divisori con quoziente Imperiali:

determinato il numero di seggi guadagnati da ciascuna lista, venivano proclamati

eletti i candidati che, all'interno della stessa, avessero ottenuto il maggior numero di

preferenze da parte degli elettori, i quali potevano esprimere il loro gradimento per

un massimo di quattro candidati.

I seggi e i voti residuati a questa prima fase venivano raggruppati poi nel collegio

unico nazionale, all'interno del quale gli scranni venivano assegnati sempre con il

metodo dei divisori, ma utilizzando il quoziente Hare naturale ed esaurendo il

calcolo tramite il metodo dei più alti resti.

2

1.3

La normativa del Senato

Diversamente dalla Camera, la legge elettorale del Senato si articolò su

base regionale, seguendo il dettato costituzionale (art. 57).

Ogni Regione fu suddivisa in tanti collegi uninominali quanti furono i seggi ad essa

assegnati. All'interno di ciascun collegio veniva eletto il candidato che avesse

raggiunto il quorum del 65% delle preferenze; tale soglia (oggettivamente di difficile

conseguimento) tradiva l'impianto proporzionale su cui era concepito anche il

sistema elettorale della Camera Alta.

Qualora, come normalmente avvenne, nessun candidato avesse conseguito

l'elezione, i voti di tutti i candidati venivano raggruppati in liste di partito a livello

regionale, dove i seggi venivano distribuiti utilizzando il metodo D'Hondt (delle

2

Tale metodo può essere spiegato suddividendolo in due sottometodi: della quota e dei resti più alti. Metodo della quota: tramite la formula Q = (V/N) (Q = quoziente di Hare, V = voti degli elettori, N = numero di seggi), si determina il coefficiente Q, che servirà a stabilire il numero di voti necessari per ottenere un seggio. Quindi se un partito ottiene X voti, tramite la formula N = X/Q si potrà calcolare il numero di seggi da assegnare. Il risultato di N è spesso un numero non intero e la parte decimale rappresenta il numero di seggi che non vengono assegnati con il metodo della quota. Per completare l'assegnazione si ricorre quindi al successivo metodo dei resti più alti.

Metodo dei resti più alti: la parte decimale di N rappresenta i seggi rimanenti e non assegnati dal metodo della quota. Sia NI la parte intera di N. Con la formula R = X - (NI * Q) si ottengono il numero dei voti (R = il resto dei voti) che serviranno per calcolare la successiva assegnazione dei seggi. Ad ogni partito corrisponderà un numero R ordinabile in modo decrescente. Si procede quindi all'assegnazione di un seggio per partito (fra quelli rimasti non assegnati) a partire dal partito con maggior resto fino a quando non viene esaurita la disponibilità dei seggi non assegnati.

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maggiori medie statistiche)

3

e quindi, all'interno di ciascuna lista, venivano

dichiarati eletti i candidati con le migliori percentuali di preferenza.

2.

Il referendum abrogativo del 1993

La stagione referendaria negli anni Novanta fu caratterizzata dalla presentazione di

referendum per una legge elettorale anglosassone, maggioritaria, uninominale e a un

turno, all'interno di una strategia che individua nella riforma del sistema elettorale la

chiave per il rinnovamento dell'intero sistema politico.

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Questo sistema prevede che si divida il totale dei voti di ogni lista per 1, 2, 3, 4, 5... fino al numero di seggi da assegnare nel collegio e che si assegnino i seggi disponibili in base ai risultati in ordine decrescente.

4 Nel gennaio 1988 il politico democristiano Mario Segni con altri 30 esponenti di primo piano del

mondo dell'economia, del sindacalismo, della cultura lanciò il “Manifesto dei 31” , con il quale si chiedeva l'introduzione di una legge elettorale uninominale a doppio turno ispirata al modello francese.

Così nacque a Roma il “Movimento per la Riforma Elettorale” e vi aderirono circa 130 personalità, di cui la metà parlamentari. L'idea iniziale fu quella di raccogliere le firme per un’iniziativa di legge popolare, finché un anno dopo non si fece strada l'idea di agire per via referendaria. Segni ed altri depositarono presso la Corte di Cassazione una richiesta di referendum per eliminare nella legge elettorale per il Senato quella norma che rendeva i 238 collegi uninominali effettivi solo se un candidato avesse raggiunto il 65% dei voti.

Venne anche depositato un secondo referendum alla Cassazione per chiedere l'abrogazione della preferenza plurima per la Camera dei Deputati e avere così un proporzionale puro con un'unica preferenza per elettore.

Infine vi fu una terza richiesta di referendum volta ad estendere il sistema elettorale maggioritario dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti anche a quelli superiori.

La Corte Costituzionale bocciò due quesiti referendari, salvando solo quello sull'abrogazione della preferenza plurima alla Camera; la consultazione popolare avvenne quindi solamente sul tale quesito. L'arma, che molti partiti utilizzarono per contrastare la consultazione referendaria sulla preferenza unica per la Camera dei Deputati, fu l'appello ai cittadini per l'astensione.

Nonostante questo, il 9 giugno 1991 gli italiani andarono a votare (62,5 % degli aventi diritto) e si espressero favorevolmente al cambiamento in misura straordinariamente larga: i “sì” superarono abbondantemente la maggioranza assoluta degli elettori; questo significa che, se anche tutti quelli che non si erano recati alle urne vi fossero andati e avessero votato "no” , il risultato non sarebbe cambiato.

Ex post fu chiaro che quel voto espresse una fortissima domanda di cambiamento di cui la classe

politica non si era accorta. Non fu la questione in sé della preferenza unica che portò al voto decine di milioni di elettori, ma la voglia di protestare contro un sistema corrotto che non funzionava più (R. D’Alimonte, “Venti anni fa la “svolta” della preferenza unica”).

Dietro il referendum elettorale promosso da Mario Segni e un centinaio di altri sostenitori ci sarebbe un oscuro tipografo che nell'inverno del 1947 dimenticò di stampare la versione emendata dell'articolo 75 della Costituzione (vietava di sottoporre a referendum le leggi elettorali). Senza quella lacuna non avremmo avuto il voto del 9 giugno 1991 che abolì le preferenze plurime; esso fu la prima spallata ad un sistema politico messo in crisi dalla caduta del Muro di Berlino (S. Buzzanca, “Referendum elettorali, ecco la storia”).

Solo un'abrogazione totale di una legge elettorale sarebbe sicuramente inammissibile, non un'abrogazione parziale che ne permetta il regolare funzionamento, sia pure in forme diverse, come avverrebbe nel caso in esame.

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Con l'abrogazione della legge elettorale del Senato (mediante il referendum del 18

aprile 1993) venne doppiato il successo che si ebbe nel 1991 con il voto per la

preferenza unica, rovesciando definitivamente il principio proporzionalistico a

favore di quello maggioritario.

5

Il “Mattarellum” (la legge elettorale approvata dal Parlamento pochi mesi dopo il

voto) venne tuttavia considerata un tradimento del risultato referendario perché il

mantenimento del 25% di quota proporzionale, il meccanismo dello scorporo

(obbliga ciascun candidato dei collegi uninominali a collegarsi con liste di partito), i

contrassegni partitici che riempivano le schede elettorali, gli elettori spinti a votare

più per i simboli che per le persone vanificavano lo scopo del referendum.

6

Il referendum abrogativo è l'unica arma che ha l'elettore contro l'attività o l'inattività del Parlamento; il quesito deve mirare esclusivamente a cancellare leggi o parti di leggi. Il risultato della cancellazione, qualora abbia una sua logica, non è un problema che riguarda l'ammissibilità del quesito.

I referendum abrogativi parziali e le sentenze “manipolative” della Corte costituzionale creano sempre novità nell'ordinamento, hanno tutti una carica anche positiva, possono legittimamente creare situazioni giuridiche nuove (P. Barile, “Meglio i referendum”).

Già con la sentenza n. 29 del 1987 la Corte stabilì, respingendo il referendum proposto per l'abrogazione di tre articoli della legge 195/58 (concernente l'elezione dei componenti togati del CSM), che un organo costituzionale (o anche di rilevanza costituzionale come il CSM) non possa essere privato di norme che assicurino il suo funzionamento anche in ipotesi di inerzia legislativa, se, abrogate le norme secondo proposta, ciò che resta della legge non è immediatamente auto – applicativo.

Questo principio giurisprudenziale fu ripetuto anche nel gennaio 1993, sicché era prevedibile che non potessero essere ammessi i due referendum che proponevano l'abolizione del correttivo proporzionale nelle elezioni delle due Camere. Infatti, per attribuire tutti i seggi di Camera e Senato con il sistema maggioritario uninominale, si sarebbe dovuto rifare l'intera mappa dei collegi elettorali, con la conseguenza che la legge non era immediatamente applicabile (E. Gallo, “C’è solo il rispetto della Costituzione”).

5 Se si vuole il maggioritario per trasformare i partiti, occorre allora che esso imponga la

trasformazione di tutti i partiti a cominciare dai più grandi e non obblighi alcuni partiti a scomparire per consentire ad altri di avvantaggiarsi; diversamente il passaggio al maggioritario, anziché aprire la strada alla novità, diventerà il baluardo della conservazione.

Per effetto del referendum i Senatori vennero eletti in ciascun collegio con il maggioritario puro, in luogo dell'irraggiungibile maggioranza del 65% .

Poiché il numero dei collegi coprì soltanto il 75% dei seggi, per effetto del referendum il quarto restante dei seggi venne attribuito con il sistema proporzionale in ciascuna Regione e, poiché lo scarto fra collegi e seggi varia da Regione a Regione, dopo il referendum si ebbe di fatto 15 differenti quote proporzionali per l'elezione del Senato. Anche i piú strenui sostenitori del referendum dovrebbero dunque convenire in partenza che dopo di esso doveva seguire una legge perequatrice (V. Zanone, “Un maggioritario così “corretto” serve ai partiti per non cambiare”).

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Di Einaudi va ricordata l'avvertenza che il parlamentare del collegio uninominale si presta al servizio degli interessi locali presso il Governo, lasciandosene attrarre; l'elezione uninominale del Parlamento richiede perciò per correttivo l'autonomia dei poteri decentrati.

I Costituenti ebbero ben chiaro che il proporzionale avesse facilitato l'associazione dei cittadini in partiti, mentre il maggioritario indebolito il vincolo di appartenenza ai partiti e spinto piuttosto la scelta elettorale verso il giudizio nei confronti del Governo (V. Zanone, “Il referendum contro il minotauro”).

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Quel voto referendario non volle (né potè) scegliere un preciso sistema elettorale,

ma piuttosto indicò chiaramente una filosofia del voto: l’affermarsi di qualunque

metodo che avesse potuto consegnare agli elettori la libertà di scegliere una

maggioranza e un Governo.

7

I cittadini italiani nel 1993 vollero affermare l’esigenza di avere una legge elettorale

in grado di produrre una maggioranza e un Governo e quindi uno sviluppo del

sistema politico in senso bipolare (così come si è verificato ogniqualvolta si è andati

a elezioni nel 1994, 1996, 2001, 2006 e 2008).

8

Va premesso che la legge elettorale proporzionale non figura nella Costituzione, che mostra una tendenza solo alla protezione della rappresentanza delle minoranze.

Anzi, un ordine del giorno votato in Assemblea Costituente indicò una precisa preferenza per un Senato da eleggere in collegi uninominali (sul presupposto implicito della non presenza del proporzionale).

In un'intervista del 1987 Roberto Ruffilli sottolineò come “non si può continuare con un sistema nel quale i partiti si presentano nell'arengo elettorale sostanzialmente per chiedere delle deleghe in bianco, da usare come meglio credono nei rapporti con gli altri partiti. Bisogna invece che ai cittadini sia chiesto di scegliere una maggioranza”.

Aldo Buozzi si pose, come “problema nuovo”, quello di “prospettare anticipatamente al corpo elettorale una o piú ipotesi di coalizione, in modo che al momento del voto ciascun elettore possa esprimersi non solo sul partito, ma anche sul Governo che preferisce”. In Italia, invece, “gli elettori distribuiscono soltanto le carte tra i giocatori, che sono i partiti, i quali poi restano liberi di giocarle come vogliono, magari con comportamenti o alleanze assai diversi da quelli che i loro stessi elettori si attendevano”.

Il modo per costringere i partiti a prendere posizione sulle future coalizioni, impegnandosi preventivamente con l'elettorato, è quello classico del sistema maggioritario a due turni con ballottaggio: al secondo turno le alleanze sono inevitabili. Lo scopo primario è sempre quell’ <<

esigenza di valorizzazione della sovranità popolare, che deve essere chiamata a pronunciarsi su programmi, schieramenti e Governi alternativi >> (Barbera).

Si ritiene che il sistema dello scrutinio uninominale a doppio turno sia il sistema più semplice e, quindi, più facilmente comprensibile dall'elettore, al quale balzerebbe evidente il conferimento di un terzo potere, che gli verrebbe affidato nell'ambito della sua decisione politica, quello di votare, nel ballottaggio, per il rappresentante di una dichiarata coalizione che intende, se avrà la maggioranza, esprimere il Governo (P. Barile, “La crisi della Repubblica/1”).

7

T. E. Frosini, “Una legge elettorale che salvi il bipolarismo”.

8

Qualcuno dice che si tratta di un “bipolarismo conflittuale” , ma grazie ad esso si è potuto consentire all’elettore italiano di fare quello che gli elettori delle democrazie occidentali fanno già da tempo, cioè di scegliere i propri governanti, quindi designare il Governo, votando per la sua maggioranza parlamentare, sulla base di un programma elettorale, che poi è destinato a divenire l’attività di indirizzo politico per la durata della legislatura. Si è così riusciti a portare l’Italia in Europa con riferimento al metodo del governare. Il panorama europeo delle forme di Governo è infatti a larga prevalenza fondato sulla legittimazione diretta dei Governi; il corpo elettorale è messo in condizione di scegliere chi deve governare; un Governo soggetto al giudizio degli elettori, che possono agire su di esso per il tramite del voto (può essere di premio o di sanzione ovvero di rinnovo o di negazione della fiducia).

Si può affermare che l’attuale legge elettorale esalti (meglio di altri meccanismi elettorali) il bipolarismo e il potere di scelta del Governo da parte dei cittadini. E’ una legge senz’altro perfettibile: per esempio, eliminando il premio regionale per l’elezione del Senato e introducendo (come alla Camera) il premio nazionale, che è compatibile con la Costituzione e in particolare con l’art. 57 nella parte in cui recita “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale”, che si riferisce alla divisione dei collegi e non al risultato elettorale.

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Un nuovo modo di governare e di fare opposizione derivano dall’assunzione del

principio maggioritario; quest’ultimo deve essere approntato nel suo duplice volto:

come “regola per eleggere” (attiene alle modalità di funzionamento della formula

elettorale maggioritaria ovvero a effetto maggioritario) oppure come “regola per

governare” , che valorizza il principio di responsabilità politica e con esso il ruolo

che il corpo elettorale assume ai fini della scelta del Governo, con l’obiettivo di

assicurare il formarsi di un Governo stabile, efficace, che duri per l’intero corso

della legislatura e che risponda del suo operato presso il corpo elettorale stesso.

9

Alla base di questo sistema c’è un processo di valorizzazione della sovranità

popolare, la quale è chiamata a eleggere dei rappresentanti nella consapevolezza di

eleggere anche i governanti. Il popolo – corpo elettorale, allora, prima di votare

viene a conoscenza del programma di Governo e degli uomini che lo attueranno; è

messo in condizione di conoscere (preventivamente all’esito elettorale) quale

indirizzo politico verrà perseguito qualora dovesse vincere (ovvero qualora dovesse

avere la maggioranza) uno schieramento politico oppure l’altro; è in grado di

confermare con il voto un Governo oppure far sì che risulti vincitore il Governo

alternativo, il quale si sarà organizzato svolgendo un’opposizione costruttiva.

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3.

La legge elettorale vigente tra il 1993 e il 2005: un sistema

misto a prevalenza maggioritario

Il premio di maggioranza è funzionale a consentire di avere una maggioranza parlamentare solida e stabile (anche se la sua tenuta dipende dalle dinamiche politiche), che è la finalità stessa dei sistemi parlamentari che si basano sulla fiducia tra maggioranza e Governo. Anche il sistema maggioritario – uninominale si fonda su tanti premi di maggioranza quante sono le circoscrizioni elettorali (infatti in ogni collegio vince chi ottiene più voti e gli altri non hanno diritto di rappresentanza).

Il premio di maggioranza può essere visto come il rovescio della medaglia della clausola di sbarramento (con quest’ultima si favorisce una disincentivazione della rappresentanza plurima; con il premio, invece, si esalta la lista o coalizione di liste più votata dagli elettori). T. E. Frosini, “Una legge elettorale che salvi il bipolarismo”.

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Un Governo è stabile non solo in base alla sua durata in carica, ma anche quando la sua durata è periodicamente verificata e confermata da libere elezioni; un Governo, inoltre, è efficace quando le sue decisioni rispondono alle esigenze degli elettori, i quali possono confermare o sostituire quel Governo, creando così un regime di alternanza (T. E. Frosini, “Una legge elettorale che salvi il bipolarismo”).

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E’ questa anche una nuova forma di libertà, riconducibile al principio della sovranità popolare: di essere associati nell’elaborazione delle decisioni, di partecipare direttamente e attivamente al formarsi della politica nazionale attraverso la scelta “immediata” del titolare dell’indirizzo politico e, parimenti, di cambiare i governanti qualora abbiano demeritato. Così funziona in numerosi Paesi di democrazia liberale sparsi per il mondo, perché non dovrebbe funzionare anche in Italia? (T. E. Frosini, “Una legge elettorale che salvi il bipolarismo”).

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Per legge Mattarella (dal nome del suo relatore, Sergio Mattarella) si intende la

riforma della legge elettorale attuata, in seguito al referendum del 18 aprile 1993,

con l'approvazione delle leggi 4 agosto 1993 nn. 276 e 277, che introdussero in

Italia, per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati,

un sistema elettorale misto così composto:

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Maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi

parlamentari;

Recupero proporzionale dei più votati non eletti per il Senato attraverso un

meccanismo di calcolo denominato "scorporo" per il restante 25% dei seggi

assegnati al Senato;

Proporzionale con liste bloccate per il rimanente 25% dei seggi assegnati alla

Camera;

Sbarramento del 4% alla Camera.

3.1

Considerazioni preliminari

11

Il sistema così concepito riunì pertanto tre diverse modalità di ripartizione dei seggi (quota maggioritaria di Camera e Senato, recupero proporzionale al Senato, quota proporzionale alla Camera) e per tale ragione venne anche chiamato “Minotauro” (in reminiscenza del nome del mostruoso essere parte uomo e parte toro presente nella mitologia greca).

La legge sostituì il precedente sistema proporzionale in vigore dal 1946 e rimase in vigore fino al 2005, quando venne sostituita dalla “Legge Calderoli

.

Il politologo Giovanni Sartori introdusse per la legge l'ulteriore soprannome di “Mattarellum” (in riferimento al nome del relatore) e ritenne a suo giudizio illusorio il tentativo di creare un sistema prevalentemente maggioritario all'italiana attraverso il “Minotauro”.

La legge Mattarella lasciò aperta una fondamentale questione: il diritto degli elettori di conoscere

effettivamente i collegamenti tra candidati e liste.

Mentre almeno sul manifesto (il cui contenuto non fu tassativamente determinato dalla legge) furono riportati i simboli delle liste collegate, la scheda elettorale restò, sul punto, silente. La pratica di collegare i candidati uninominali con una sola lista proporzionale, contraddistinta da un simbolo diverso, è illegittima, ma resa possibile dalla carente formulazione del decreto legislativo n. 534/1993 di adeguamento del Testo Unico per l’elezione della Camera dei Deputati alle disposizioni

innovative della legge n. 277/1993.

Il referendum elettorale, votato nel 1999 e ancora nel 2000, ma vanificato dal mancato raggiungimento del quorum, con l’abolizione della scheda proporzionale e dei connessi impalpabili meccanismi (liste proporzionali bloccate, obbligo di collegamento tra candidati uninominali e liste circoscrizionali, “scorporo” …), avrebbe anche risolto alla radice le contraddizioni lasciate nel Testo Unico dagli avventati interventi legislativi, restituendo agli elettori una legge più chiara e intelligibile

(13)

13

La legge Mattarella configurò un sistema elettorale maggioritario, corretto da una

sensibile quota proporzionale pari ad un quarto dei seggi di ciascuna Assemblea

legislativa.

12

In prima istanza il territorio nazionale fu suddiviso in 475 collegi uninominali per

la Camera e in 232 per il Senato.

13

L'attribuzione di questo primo gruppo di seggi

avveniva molto semplicemente in base ad un sistema maggioritario a turno

unico plurality: veniva eletto parlamentare il candidato che avesse riportato la

maggioranza relativa dei suffragi nel collegio.

Nessun candidato poteva presentarsi in più di un collegio.

I rimanenti seggi erano invece assegnati con un metodo tendenzialmente

proporzionale, funzionante però con meccanismi differenziati fra le due Assemblee.

14

Per quanto riguarda la Camera l'elettore godeva di una scheda elettorale separata per

l'attribuzione dei 155 seggi residui, cui accedevano solo i partiti che avessero

superato la soglia di sbarramento nazionale del 4% .

12

La riforma maggioritaria del 1993 consentì la nascita di due poli, ma questo non condusse ad una vera semplificazione del sistema perché i due schieramenti, al loro interno, conservarono un tasso molto elevato di conflittualità.

Per superare questo stato (è la vera causa dell'instabilità e della debolezza dei Governi) occorre puntare verso soluzioni in grado di favorire l'evoluzione del sistema politico da un “multipartitismo estremo” a forme di “multipartitismo temperato” , o meglio, di "bipolarismo omogeneo” (E. Cheli, “Legge elettorale: una riforma che non cambia niente”).

13

Nei sistemi uninominali la delimitazione dei collegi è sempre stata un potere governativo di primaria importanza.

Mattarella strappa questa “temibile arma” dalle mani del Ministro dell'Interno e affida la delimitazione dei collegi a una commissione di esperti nominati dai Presidenti delle Camere (V. Zanone, “Un maggioritario così “corretto” serve ai partiti per non cambiare”).

14

L’aspetto compensativo della quota proporzionale poteva venire eluso dall’utilizzo delle cosiddette liste civetta, per scaricare su queste (al posto del reale partito di riferimento di un candidato uninominale) i voti da scomputarsi per ogni collegio in cui si era risultati vincitori: era sufficiente che il candidato dichiarasse di essere legato a una lista che veniva appositamente creata per questo scopo. Tale metodo (congegnato per la prima volta durante le elezioni del 2001) fu attuato sia dalle forze di centro – sinistra sia da quelle di centro – destra, creando le une una lista chiamata “Paese Nuovo” , collegandosi le altre alla lista “Abolizione Scorporo”.

Mattarella ammette che per l'assegnazione dei due quinti proporzionali si scomputino dal totale dei voti di ciascun partito i voti già utilizzati dai candidati usciti eletti nei collegi. Ma potrebbe darsi che un candidato sia eletto con un consenso plebiscitario e in questo caso sottrarrebbe al proprio partito troppi voti; paradossalmente i partiti avrebbero allora interesse a presentare nei collegi più sicuri i candidati più mediocri, che quindi non “costerebbero troppo in detrazione”. Per evitare che ciò avvenga, Mattarella prevede perciò che si scomputi in ciascun collegio soltanto "un numero di voti pari a quello del secondo candidato, aumentato di uno" , ossia il minimo sufficiente a battere il secondo candidato.

L'obiezione di fondo è che il recupero proporzionale di due quinti dei seggi impedisce di chiudere la partita nell'ambito dei singoli collegi ed induce i partiti a presentarsi ciascuno sotto la propria insegna (V. Zanone, “Un maggioritario così “corretto” serve ai partiti per non cambiare”).

(14)

14

Il calcolo dei seggi spettanti a ciascuna lista veniva effettuato nel collegio unico

nazionale mediante il metodo Hare dei quozienti naturali e dei più alti resti; tali

seggi venivano poi ripartiti, in ragione delle percentuali delle singole liste a livello

locale, fra le 26 circoscrizioni plurinominali nelle quali era suddiviso il territorio

nazionale e, all'interno di esse, i singoli candidati (potevano corrispondere a quelli

presentatisi nei collegi uninominali) venivano proposti in un sistema di liste

bloccate senza possibilità di preferenze.

Il meccanismo era integrato dal metodo dello “scorporo” (dava compensazione ai

partiti minori fortemente danneggiati dall'uninominale): successivamente alla

determinazione della soglia di sbarramento, ma antecedentemente al riparto dei

seggi, alle singole liste venivano decurtati tanti voti quanti ne erano serviti a far

eleggere i vincitori nell'uninominale (i voti di scarto tra il primo classificato e il

secondo), i quali erano obbligati a collegarsi ad una lista circoscrizionale.

Per quanto riguarda il Senato gli 83 seggi proporzionali venivano assegnati, secondo

il dettato costituzionale, su base regionale. In ogni Regione venivano sommati i voti

di tutti i candidati uninominali perdenti che si fossero collegati ad un gruppo

regionale ed i seggi venivano assegnati utilizzando il metodo D'Hondt delle migliori

medie: gli scranni così ottenuti da ciascun gruppo venivano assegnati, all'interno di

esso, ai candidati perdenti che avessero ottenuto le migliori percentuali elettorali.

La personalizzazione dell'elezione fu una delle caratteristiche colte dal legislatore

istituendo i collegi uninominali, i quali, essendo ristretti in un territorio limitato

geograficamente e per numero di elettori, avrebbero dovuto favorire l'instaurarsi di

un rapporto più diretto fra rappresentati e rappresentante.

Ai tempi in cui fu in vigore, molti commentatori sostennero che questo tipo di

sistema elettorale incoraggiasse i partiti ad apparentarsi ed a presentarsi

in coalizioni per superare gli avversari in numero di voti e così vincere il collegio

uninominale. Benché questo effettivamente accadesse, bisogna tenere presente che,

una volta eletti, i candidati di una coalizione o di un partito avrebbero potuto dar vita

a nuove formazioni politiche, come di fatto avvenne numerose volte nel caso

italiano; va però tenuto a mente come il dato numerico mostri una riduzione dei

gruppi parlamentari (dai 14 dell’XI Legislatura, l’ultima prima dell’approvazione

delle leggi qui in esame, ai 10 della Legislatura successiva, fino agli 8 della XIV

(15)

15

Legislatura, l’ultima sotto la vigenza del “Mattarellum” , per poi tornare a 14 nel

corso della XV Legislatura, la prima a seguito dell’approvazione della riforma

Calderoli), dimostrando quindi l’efficacia della normativa da questo punto di vista.

Visto che esisteva spesso il rischio che l'assegnazione di un seggio dipendesse da

poche manciate di voti, scaturiva la possibilità che un partito (anche di piccole

dimensioni) potesse far leva sulla sua importanza (reale o presunta) per vedersi

maggiormente riconosciute le proprie richieste in termini di programma e di

candidati nei seggi uninominali, da farsi assegnare dal capo della coalizione.

Giovanni Sartori conclude quindi che l'effetto della legge fu semmai quello di

aumentare i partiti, intesi come forze politiche autonome con concrete possibilità di

influire sulla maggioranza.

Due leggi di revisione costituzionale (17 gennaio 2000 n. 1 e 23 gennaio 2001 n. 1)

hanno in seguito attribuito ai cittadini italiani residenti all'estero il diritto di eleggere

(nell'ambito di una circoscrizione Estero) sei Senatori e dodici Deputati.

Essendo rimasto invariato il numero complessivo dei componenti le due Camere, il

numero dei seggi da distribuire nelle circoscrizioni nazionali (detratti quelli da

assegnare nella circoscrizione Estero) si è quindi ridotto a 618 per la Camera ed a

309 per il Senato.

La legge 27 dicembre 2001 n. 459 ha attuato la previsione costituzionale

disciplinando l'esercizio del voto (per corrispondenza) e l'attribuzione (con sistema

proporzionale) dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero. La legge ha stabilito

inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini

italiani all'estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi

e in quelli costituzionali, previsti rispettivamente dagli articoli 75 e 138 della

Costituzione.

3.2

Senato della Repubblica

Per l’elezione dei 309 Senatori nel territorio nazionale la legge elettorale per il

Senato della Repubblica (disciplinata dal Testo Unico approvato con d. lgs. 20

dicembre 1993 n. 533) prevedeva un sistema elettorale di tipo misto, caratterizzato

dai seguenti elementi:

(16)

16

Attribuzione ad ogni Regione dei ¾ dei seggi con sistema maggioritario a

turno unico nell’ambito di altrettanti collegi uninominali (ad eccezione della

Regione Valle d’Aosta, costituita da un unico collegio uninominale, della

Regione Molise, il cui territorio era ripartito in due collegi uninominali);

Ripartizione dei restanti seggi spettanti alla Regione con sistema

proporzionale nell’ambito della circoscrizione regionale tra gruppi di

candidati concorrenti nei collegi uninominali;

15

Attribuzione a ciascun elettore di un solo voto, da esprimere a favore di uno

dei candidati presentati nel collegio uninominale;

16

Sottrazione “totale” dalla cifra elettorale di ciascun gruppo dei voti

conseguiti dai candidati appartenenti al gruppo stesso eletti nei collegi

uninominali (c.d. scorporo totale).

Ai fini dell’attribuzione dei seggi da assegnare in ragione proporzionale l’Ufficio

elettorale regionale determinava in primo luogo la cifra elettorale di ciascun gruppo

di candidati. Tale cifra era data dalla somma dei voti conseguiti dai candidati

presentatisi nei collegi della Regione con il medesimo contrassegno, detratti i voti

ottenuti dai candidati già proclamati eletti nei collegi stessi (c.d. scorporo totale,

avente l’effetto di attenuare la connotazione maggioritaria del sistema).

I seggi venivano quindi attribuiti ai gruppi in proporzione alle rispettive cifre

elettorali secondo il metodo D’Hondt: l’Ufficio elettorale regionale divideva la cifra

elettorale di ciascun gruppo successivamente per uno, due, tre, quattro … fino alla

concorrenza del numero dei seggi da attribuire, scegliendo quindi fra i quozienti così

ottenuti i più alti in numero eguale ai Senatori da eleggere, disponendoli in una

graduatoria decrescente. I seggi erano assegnati ai gruppi in corrispondenza ai

quozienti compresi in questa graduatoria ottenuti da ciascun gruppo. A parità di

quoziente il seggio era attribuito al gruppo che aveva ottenuto la minore cifra

elettorale.

15 Il territorio di ogni Regione era ripartito in un numero di collegi uninominali pari a ¾ dei seggi

assegnati alla Regione, con arrotondamento per difetto. Per l’assegnazione degli ulteriori seggi da attribuire con metodo proporzionale ciascuna Regione era costituita in un’unica circoscrizione regionale.

16 Si votava su una sola scheda. In ogni collegio uninominale era proclamato eletto il candidato con il

(17)

17

L’Ufficio elettorale regionale proclamava quindi eletti, in corrispondenza ai seggi

attribuiti a ciascun gruppo, i candidati non eletti in sede di collegio uninominale

compresi nel gruppo medesimo secondo la graduatoria delle rispettive cifre elettorali

individuali. Tali cifre erano determinate moltiplicando per cento il numero dei voti

validi conseguiti da ciascun candidato e dividendo il prodotto per il totale dei voti

validi espressi nel collegio.

3.3

Camera dei Deputati

Gli elementi che caratterizzavano tale sistema sono i seguenti:

Suddivisione del territorio nazionale in 26 circoscrizioni di dimensioni

regionali o infra – regionali;

Attribuzione in ogni circoscrizione del 75% dei seggi con formula

maggioritaria nell’ambito di altrettanti collegi uninominali;

Ripartizione in ambito nazionale dei restanti seggi con la formula

proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti e con il sistema delle

liste concorrenti;

Soglia di sbarramento del 4% ;

Attribuzione a ciascun elettore di due voti su schede distinte: uno per

l’elezione del candidato nel collegio uninominale, uno per la scelta di una

delle liste circoscrizionali concorrenti al riparto dei seggi in ragione

proporzionale;

Scorporo “parziale” , dai voti conseguiti dalle liste, dei voti necessari per

eleggere nei collegi uninominali i candidati collegati a ciascuna lista;

Determinazione delle circoscrizioni nelle quali le singole liste si vedono

attribuiti i seggi conquistati in ambito nazionale e conseguente

proclamazione, su base circoscrizionale, dei candidati di lista risultati eletti

con il metodo proporzionale.

Nei collegi uninominali l’elezione dei Deputati avveniva, analogamente al Senato, a

maggioranza semplice e con un turno unico. L’elettore però disponeva di una scheda

(18)

18

distinta per esprimere il suo “primo voto” , riguardante i singoli candidati dei collegi

uninominali.

Sulla scheda, accanto al nome del candidato, apparivano uno o più contrassegni

(fino ad un massimo di cinque), mentre era prescritto che ciascuna candidatura nei

collegi uninominali dovesse essere collegata ad una o più liste circoscrizionali

concorrenti alla ripartizione dei seggi proporzionali.

L’elettore votava tracciando un segno sul nome del candidato preferito o su uno dei

simboli che gli si affiancavano nella scheda.

Su una seconda scheda l’elettore tracciava un segno nel rettangolo contenente il

contrassegno e l’elenco dei candidati della lista prescelta, concorrente al riparto dei

seggi in ragione proporzionale.

Le due parti del sistema erano rese interdipendenti perché:

I candidati nei collegi erano obbligati a collegarsi ad una lista;

Il meccanismo dello scorporo imponeva un costo alle liste per l’appoggio

dato ai candidati cui si collegavano formalmente, costituito dai voti che ad

esse venivano sottratti ai fini dei calcoli proporzionali, in caso di vittoria dei

candidati stessi nei collegi uninominali;

I candidati, anche se non vincitori nei collegi uninominali, potevano

acquisire un seggio alla Camera perché entravano automaticamente a far

parte di una graduatoria cui si faceva ricorso in caso di esaurimento delle

liste circoscrizionali di candidati per l’assegnazione dei seggi proporzionali.

In ciascun collegio uninominale era proclamato eletto il candidato conseguente il

maggior numero di voti.

La proclamazione degli eletti mediante il sistema proporzionale era effettuata in

quattro fasi di calcolo:

Si individuavano in ambito nazionale le liste che, avendo superato la soglia

di sbarramento del 4% , erano ammesse al riparto dei seggi proporzionali;

Si procedeva alla determinazione del numero di seggi spettanti a ciascuna

lista in proporzione alla cifra elettorale da essa conseguita nell’intero

territorio nazionale;

Si assegnavano alle liste i seggi conseguiti, distribuendoli fra le varie

circoscrizioni;

(19)

19

Terminate tali operazioni, si procedeva alla proclamazione dei candidati

eletti per ciascuna lista, traendoli dalle liste circoscrizionali o, se necessario,

dalla graduatoria dei candidati dei collegi uninominali collegati alla lista e

non già proclamati eletti con il sistema maggioritario.

La ripartizione dei seggi proporzionali tra le varie liste era effettuata nell’ambito

dell’intero territorio nazionale con il sistema dei quozienti naturali interi e dei più

alti resti.

4.

La riforma del 2005: il sistema elettorale disposto dalla l. n.

270

Nel corso della XIV legislatura, con l’approvazione della legge 21 dicembre 2005 n.

270 (“Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato

della Repubblica”), furono riformati i sistemi elettorali delle due Camere. Quella

disciplina delinea un sistema elettorale di tipo proporzionale, caratterizzato però

dalla presenza di soglie di sbarramento (sia per le singole liste sia per le coalizioni di

liste) e da premi di maggioranza, diversamente configurati per le due Camere.

17

17

Il vero elemento di discontinuità della legge n. 270 del 2005 rispetto alla previgente disciplina legislativa elettorale va ricercato nell’abbandono della logica uninominalistica, tratto distintivo non solo delle leggi elettorali della Camera e del Senato adottate nel 1993, ma anche della complessiva legislazione elettorale introdotta in Italia a partire dal 1993. Per la prima volta dal 1993 una nuova legge elettorale consente agli elettori di scegliere soltanto una lista di partito, non prevedendo alcuna forma di voto per i singoli candidati. Nella prospettiva indicata la l. n. 270 esclude quegli elementi che permetterebbero il parziale recupero della logica uninominalistica: da un lato le liste sono rigide in modo tale da negare la possibilità di esprimere preferenze, che consentono, pur di solito nel solo ambito della lista votata, una scelta uninominale (soprattutto nel caso della preferenza unica, affermatasi nel nostro Paese sulla scorta del risultato referendario del giugno 1991). Dall’altro l’indicazione nel programma elettorale del “capo della forza politica” ovvero, con riferimento a “partiti o gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione”, del “capo” di quest’ultima non sembra in grado di far scattare la logica uninominalistica in discorso, in quanto è priva di effetti sulle modalità di votazione, poiché l’elettore non può in alcun modo votare il “capo” , anzi, ne potrebbe ben ignorare il nominativo, che non compare né sulla scheda né sui manifesti elettorali. Secondo la l. n. 270 del 2005 il legame del capo della coalizione con il corpo elettorale è dunque virtuale, coerentemente con la visione di un legame politico anch’esso virtuale.

Le modalità di formazione delle coalizioni e di indicazione del loro capo paiono rivelare l’assenza nella l. n. 270 della logica coalizionale, presente nella legislazione elettorale italiana successiva al 1993. Non solo, come si è visto poc’anzi, il capo della coalizione non è sottoposto al voto degli elettori e dunque è privo della legittimazione popolare che ne seguirebbe, ma non sembra neppure avere voce in capitolo nella formazione della coalizione che è chiamato, almeno formalmente, a guidare.

(20)

20

4.1 Elezione dei Deputati …

Per quanto concerne la Camera dei Deputati il sistema allestito dalla legge del 2005

prevede in primo luogo che i seggi di questo ramo del Parlamento italiano (ad

eccezione dei 12 spettanti alla circoscrizione Estero) siano assegnati a liste di

candidati concorrenti secondo una ripartizione proporzionale, effettuata con il

metodo del quoziente naturale e dei più alti resti.

La ripartizione dei seggi è effettuata in sede di Ufficio centrale nazionale (per il

Senato invece il riparto avviene nell’ambito delle singole circoscrizioni regionali).

La scheda è unica e il voto è dato a una delle liste concorrenti nell’ambito della

circoscrizione elettorale.

Al carattere più o meno accentuatamente eterodiretto delle riforme elettorali ora richiamate si accompagna, fors’anche in ragione di quest’ultimo, la loro adozione da parte di ampie maggioranze parlamentari.

E’ agevole constatare come entrambi i caratteri sopra ricordati ( l’adozione sulla spinta della pressione referendaria e da parte di schieramenti politici decisamente più ampi della maggioranza parlamentare) difettino nel procedimento di formazione della legge n. 270. Quanto al primo profilo, se può reputarsi costituzionalmente legittimo, dopo tre elezioni parlamentari, il distacco dall’orientamento manifestato dal corpo elettorale referendario nell’aprile 1993, non può sottacersi che tale mutamento costituisce un elemento di discontinuità rispetto alle precedenti riforme elettorali; discontinuità riscontrabile anche con riferimento al secondo profilo, laddove la l. n. 270 è stata approvata dalla sola maggioranza governativa, a fronte della netta contrarietà delle forze di opposizione. Tale legge, che sostituisce integralmente il sistema elettorale in senso stretto di entrambe le Camere, è stata approvata a maggioranza assoluta dalla sola Camera dei Deputati, mentre al Senato detta maggioranza non è stata raggiunta, sebbene per un esiguo margine.

Alla Camera il funzionamento complessivo del nuovo sistema elettorale è maggioritario, tanto è vero che assicura comunque alla lista o alla coalizione, che vince le elezioni, la maggioranza assoluta dei seggi, a prescindere che l’elettorato voglia o non voglia (vale a dire che abbia attribuito o meno alla vincitrice la maggioranza assoluta dei voti).

Va sottolineato come il previgente sistema elettorale per la Camera, introdotto nel 1993, non garantisse alla forza politica (o alla coalizione di forze politiche) vittoriosa la maggioranza assoluta dei seggi, che dipendeva invece dal sommarsi dei risultati conseguiti nelle singole competizioni uninominali, in presenza di dati fattuali che favorivano il formarsi di tale maggioranza (in particolare: il carattere nazionale di quasi tutte le forze politiche e la presenza di due coalizioni contrapposte). Analoghe considerazioni possono riferirsi al previgente sistema elettorale del Senato, disciplinato dal testo originario del d.lgs. n. 533.

La somma di sistemi autonomamente operanti, in ciascuna delle venti Regioni e nella circoscrizione Estero, secondo altrettante logiche maggioritarie, non può essere un sistema proporzionale.

A far sorgere qualche dubbio di legittimità costituzionale potrebbero essere non soltanto le modalità di approvazione della legge n. 270, ma anche i tempi della stessa, alla luce della tesi secondo cui le Camere non potrebbero modificare le loro leggi elettorali nell’ultimo scorcio della legislatura, secondo una regola che “forse trascende la natura di norma di semplice correttezza costituzionale”; la limitazione in discorso deriverebbe non tanto dal depotenziamento della legittimazione democratica di un Parlamento, eletto ormai da molti anni, quanto piuttosto dalla volontà di evitare un possibile uso partigiano della riforma elettorale da parte della maggioranza parlamentare uscente (R. Balduzzi e M. Cosulich, “In margine alla nuova legge elettorale politica”).

(21)

21

Non è possibile esprimere voti di preferenza per uno dei candidati della lista

prescelta: il legislatore del 2005 ha optato per il sistema delle liste “bloccate” .

18

Ma

tale opzione è stata travolta dalla sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale,

per effetto della quale risulta esprimibile dall’elettore una singola preferenza.

Non vi è un limite circa l’inclusione del candidato in liste recanti lo stesso

contrassegno in circoscrizioni diverse (in altri termini è possibile il fenomeno delle

c.d. candidature multiple).

La normativa prevede ancora che, a pena di nullità dell’elezione, nessun candidato

possa accettare la candidatura contestuale alla Camera dei Deputati e al Senato della

Repubblica.

Permane la norma in base alla quale nessun candidato può essere incluso in liste con

diversi contrassegni nella stessa o in altra circoscrizione, pena la nullità

dell’elezione.

I partiti o gruppi politici organizzati che presentano proprie liste possono, all’atto del

deposito del contrassegno, collegarsi tra loro in coalizioni. Tale collegamento ha

rilevanza ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza e delle soglie di

sbarramento.

E’ fatto obbligo a tutti i partiti o gruppi politici organizzati, che intendano candidarsi

“a governare” (a prescindere dall’eventuale collegamento in coalizioni), di

depositare, contestualmente al contrassegno, il proprio programma elettorale, nel cui

ambito deve essere dichiarato il nome e il cognome della persona indicata come

“capo della forza politica”. I partiti o gruppi politici organizzati collegati in

18

Il carattere rigido delle liste fa sì che le scelte, compiute dai vertici dei partiti esistenti nella formazione delle liste stesse e dunque nella pratica individuazione delle persone presumibilmente destinate ad essere elette, non possano essere sindacate dagli elettori neppure ex post.

La l. n. 270 del 2005 presta il fianco ad un ulteriore possibile profilo di illegittimità costituzionale, laddove non dà attuazione alla disposizione introdotta all’art. 51, I c., II periodo dalla legge cost. n. 1 del 2003; la disposizione in discorso affida alla “Repubblica” (e dunque certamente anche al legislatore statale) il compito di “promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” anche con riferimento all’ << accesso, in condizioni di eguaglianza, alle cariche elettive >>, prime fra tutte quelle parlamentari.

La mancata attuazione legislativa del principio, costituzionalmente previsto, delle pari opportunità elettorali sembra riconducibile a uno dei motivi che appaiono ispiratori della l. n. 270 del 2005: la chiusura del sistema partitico nei confronti delle istanze presenti nella società, finora debolmente riflesse in sede parlamentare (R. Balduzzi e M. Cosulich, “In margine alla nuova legge elettorale politica”).

(22)

22

coalizione devono invece dichiarare nella medesima occasione il nome della persona

da loro indicata quale “unico capo della coalizione”.

L’indicazione del leader è prevista peraltro “senza pregiudizio” delle prerogative del

Capo dello Stato, di cui all’art. 92, II comma, della Cost. (potere presidenziale di

nomina dei membri del Governo).

E’ previsto un articolato sistema di sbarramenti alla ripartizione dei seggi.

19

In

luogo della soglia precedentemente prevista per l’accesso al riparto dei seggi in

ragione proporzionale (4% dei voti validi espressi in sede nazionale), la legge del

2005 prevede:

Accedono alla ripartizione le coalizioni di liste conseguenti sul piano

nazionale almeno il 10% dei voti validi espressi, a condizione che:

Almeno una tra le liste collegate abbia conseguito almeno il 2% ;

Oppure almeno una tra le liste collegate sia rappresentativa di minoranze

linguistiche riconosciute (ossia sia presentata in una delle circoscrizioni

comprese in Regioni, il cui Statuto speciale prevede una particolare tutela di

minoranze linguistiche ed abbia conseguito almeno il 20% dei voti validi

espressi nella circoscrizione);

All’interno delle suddette coalizioni peraltro sono ammesse al riparto dei seggi solo

le liste che:

Abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 2% dei voti validi

espressi;

Siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute (siano

presentate in una delle circoscrizioni comprese in Regioni, il cui Statuto

speciale prevede una particolare tutela di minoranze linguistiche ed abbiano

conseguito almeno il 20% dei voti validi espressi nella circoscrizione);

Siano qualificabili come “migliore lista sotto – soglia” , avendo ottenuto la

maggiore cifra elettorale nazionale tra le liste che non abbiano conseguito sul

piano nazionale almeno il 2% dei voti validi espressi.

19

Il voto espresso dall’elettore a favore di una lista coalizzata che supera lo sbarramento è, ad un tempo, un voto di lista e un implicito voto di coalizione, mentre il voto attribuito a un’altra lista coalizzata che, invece, non raggiunge la soglia ha soltanto la seconda natura; detto altrimenti, il voto a favore della lista coalizzata che non raggiunge il 2% a livello nazionale alla Camera (o il 3% a livello regionale al Senato) concorre a determinare l’elezione di candidati compresi in altre liste coalizzate con la lista votata, ma che l’elettore non ha comunque scelto.

(23)

23

Accedono alla ripartizione altresì le singole liste non coalizzate o le liste parte di

coalizioni, che non abbiano superato il 10% dei voti, che:

Abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi

espressi;

Oppure siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute (siano

presentate in una delle circoscrizioni comprese in Regioni, il cui Statuto

speciale prevede una particolare tutela di minoranze linguistiche ed abbiano

conseguito almeno il 20% dei voti validi espressi nella circoscrizione).

Si verifica se la coalizione o la lista singola, conseguente il maggior numero di voti

espressi, abbia conseguito almeno 340 seggi, pari a circa il 54% del totale dei seggi.

Qualora la verifica abbia esito positivo, non trovano applicazione le disposizioni

relative al premio di maggioranza. La sentenza n. 1 del 2014 della Corte

Costituzionale ha travolto la previsione del premio di maggioranza perché senza

soglia e con ciò anche la correlativa operazione appena ricordata.

Il premio di maggioranza, configurato dalla legge del 2005 come premio nazionale,

è volto a garantire la formazione di una maggioranza parlamentare pari almeno al

55% dei seggi assegnati nelle circoscrizioni del territorio nazionale. Esso trova

applicazione nell’ipotesi in cui la coalizione o la singola lista, conseguente il

maggior numero di voti validi espressi in ambito nazionale, non abbia già

conseguito almeno 340 seggi. In tal caso ad essa era attribuito un ulteriore numero di

seggi pari alla differenza fra 340 ed il numero dei seggi conseguito nella ripartizione

proporzionale, tale da consentirle di raggiungere la suddetta consistenza.

20

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Nell’ambito della disciplina posta dalla legge n. 270 del 2005 non è previsto il raggiungimento di una soglia minima di consenso elettorale perché operi il meccanismo premiale (di qui la caducazione di quest’ultimo, decisa dalla Corte Costituzionale).

Il premio di maggioranza è attribuito alla coalizione o alla singola lista che abbia ottenuto la maggioranza (anche relativa) dei voti, indipendentemente dall’entità della vittoria e dall’ampiezza del margine di vantaggio ottenuto sulle coalizioni o liste concorrenti (fermo restando il superamento della soglia di sbarramento).

La l. n. 270 assicura (almeno alla Camera dei Deputati) la maggioranza assoluta alla coalizione vincente, ma non può impedire che, nel corso della legislatura, l’eventuale mutamento delle alleanze politiche dia vita ad un’altra coalizione governativa; in tal caso l’attribuzione del premio parrebbe divenire irragionevole, in quanto, se era servita a favorire la formazione del Governo all’inizio della legislatura, potrebbe invece ostacolarla con riferimento ai Governi successivi, basati su una differente formula coalizionale.

In ragione dell’assegnazione del premio a livello nazionale alla Camera e a livello regionale al Senato, sulla base dei voti ottenuti al livello corrispondente, la l. n. 270 fa sì che a un’analoga distribuzione del voto per i due rami del Parlamento possano più facilmente corrispondere maggioranze parlamentari non omogenee, in quanto costruite con differenti meccanismi: il premio

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