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3. Il Senato delle autonomie

3.1 Composizione

Il Senato non partecipa più, secondo il dispositivo del d.d.l., alla rappresentatività

della Nazione ex art. 67 della Costituzione, ma rappresenta le istituzioni territoriali.

La riscrittura di tale articolo mantiene per i membri del Senato il solo divieto di

mandato imperativo.

Scompare la previsione (articolo 62 della Costituzione) secondo cui la riunione

straordinaria di una Camera importi la convocazione di diritto dell’altra.

Il Senato è escluso dalla compartecipazione all’indirizzo politico e dalla relazione

fiduciaria con il Governo: solo la Camera dei Deputati accorda o revoca la fiducia al

Governo.

Non già l’elezione popolare diretta, ma il Consiglio regionale e un collegio di

Sindaci della Regione scelgono, al loro interno e con voto limitato, in totale quattro

Senatori per Regione. Ai due Senatori membri del Consiglio regionale si aggiunge

di diritto il Presidente della Giunta regionale o della Provincia autonoma, mentre ai

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due Sindaci si aggiunge di diritto il Sindaco del Comune capoluogo della Regione o

della Provincia autonoma.

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Risultano quindi 122 Senatori (21 Presidenti di Giunta o Provincia autonoma, 40

Consiglieri regionali, 61 Sindaci). E’ una rappresentanza paritaria per Regione senza

ponderazione in base alla popolazione regionale.

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72 I membri di diritto non dovranno rispondere delle loro scelte “nazionali” ai rispettivi Consigli

(questi ultimi non li hanno eletti); il collegio che elegge i Sindaci elettivi non ha carattere stabile (si riunisce esclusivamente per la loro elezione). Per superare questa situazione si dovrebbe evitare la previsione di membri di diritto ed attribuire interamente la scelta dei futuri Senatori ai Consigli regionali (E. Rossi, “Alcune considerazioni sul disegno di legge costituzionale n. 1429”).

73 La responsabilità politica esiste solo quando l’eletto è posto nelle condizioni di esercitare in pieno

il suo mandato; questa situazione non si verifica quando una norma impone all’eletto di esercitare contemporaneamente due funzioni pubbliche particolarmente impegnative finendo così per vanificare insieme due principi costituzionali: quello della responsabilità e quello della disciplina e dell’onore (S. Merlini, “Quattro passi tra le nuvole. Rileggendo gli atti dell’Assemblea Costituente sul problema dell’elettività del Senato della Repubblica”).

Si è auspicato che il numero di componenti provenienti da ciascuna Regione dovrebbe essere definito in ragione del numero di abitanti a livello regionale in modo da garantire un numero di seggi parzialmente diversificato (E. Bindi, “L’esigenza di rafforzamento dell’Esecutivo: alla ricerca del tempo perduto”).

Si potrebbe adottare una soluzione analoga a quella prevista dalla Costituzione tedesca: un numero di Senatori diverso in relazione a tre o quattro fasce di Regioni, articolate sulla base del numero di abitanti. E’ una soluzione che consentirebbe di bilanciare l’istanza federalista con una non eccessivamente squilibrata rappresentanza dei territori (E. Rossi, “Alcune considerazioni sul disegno di legge costituzionale n. 1429”).

Solo le Regioni sono titolari della funzione legislativa e tale circostanza rende necessario un trattamento differenziato, ossia l’attribuzione di pesi diversi alle rappresentanze in Senato di Regioni e Comuni (F. Dal Canto, “Intervento”).

La soluzione più ragionevole dovrebbe essere quella di differenziare in modo considerevole le rappresentanze sia regionali che locali dei vari territori in proporzione alla popolazione presente. Una, sia pur ridotta, rappresentanza comunale (si ipotizza come soluzione razionale un Senato costituito per 1/3 da rappresentanti dei Comuni e per 2/3 da rappresentanti regionali) è da giudicare favorevolmente sia per la vicinanza di questi soggetti agli interessi dei cittadini sia per la rilevanza che sempre hanno avuto i Comuni nella storia istituzionale italiana.

Il rischio che è stato ipotizzato è che le maggioranze e le scelte all’interno del Senato si formino non con riguardo agli interessi locali, ma con maggioranze politiche trasversali fra varie Regioni. Ogni rappresentante regionale non è privo di responsabilità politica perché le scelte fatte in Senato producono effetti e conseguenze sull’indirizzo politico regionale (E. Catelani, “Riforme costituzionali: un compromesso in una logica unitaria”).

Se il Senato deve divenire un importante strumento di integrazione della rappresentanza nazionale sulla base delle esperienze di gestione autonoma dei vari territori, non può che essere composto in modo adeguato e deve disporre di poteri idonei a garantire la possibilità di un significativo mutamento delle attuali determinazioni parlamentari e governative (U. De Siervo, “Il regionalismo in alcune disposizioni del disegno di legge di revisione costituzionale n. 1429”).

I principali contrasti, legati prevalentemente ad interessi di breve periodo degli attori politici, si sono incentrati sulla composizione del Senato; sono emerse infatti posizioni favorevoli ad un sistema elettivo di secondo grado e posizioni conservative del suffragio diretto. La prevalenza nel dibattito di questo specifico aspetto in un certo senso sorprende, tenuto conto del fatto che sarebbe stato forse prima di tutto necessario, nonché logico, riflettere sulla necessità di una seconda Camera, sul ruolo e su quali dovessero essere le sue rinnovate funzioni e solo in un secondo momento, in coerenza con le preliminari assunzioni, ragionare sulla sua composizione e sul metodo di investitura (S. Lieto, “Sullo stato di avanzamento della riforma del bicameralismo”).

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La durata del mandato coincide con quella dell’organo (Giunta o Consiglio

regionale). Pertanto per il Senato non si prevede scioglimento ed esso è organo con

rinnovo parziale “continuo” , a seconda della scadenza delle sue varie componenti.

Le modalità di elezione dei Senatori (eccetto quelli di diritto) e di loro sostituzione

(entro 60 giorni), in caso di cessazione della carica elettiva regionale o locale, sono

demandate ad apposita legge.

Secondo l’articolo 57, comma III, nessuna Regione può avere un numero di Senatori

inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua in proporzione alla loro

popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti

interi e dei più alti resti.

Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di

attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i

Consiglieri e i Sindaci.

In attesa della legge elettorale, di natura bicamerale, per il Senato, il d.d.l.

costituzionale prevede una disciplina transitoria (articolo 38 delle disposizioni

transitorie), che si fonda su alcuni punti essenziali:

Per l’elezione del Senato, nei Consigli regionali e della Provincia autonoma

di Trento, ogni consigliere può votare per una sola lista di candidati, formata

da Consiglieri e da Sindaci dei rispettivi territori;

Nella legislatura in corso, alla data di entrata in vigore della presente legge

costituzionale, sciolte entrambe le Camere, non si procede alla convocazione

dei comizi elettorali per il rinnovo del Senato;

Qualora alla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei Deputati si

svolgano anche le elezioni di Consigli regionali o dei Consigli delle Province

autonome di Trento e di Bolzano, i medesimi Consigli sono convocati entro

tre giorni dal loro insediamento. I Senatori eletti sono proclamati dal

Presidente della Giunta regionale o provinciale.

Tra elettorato attivo e passivo vi è solo una parziale corrispondenza. Infatti il voto è

espresso dai Consiglieri regionali ed è un voto di lista, mentre sul versante

dell’elettorato passivo le liste sono formate da Consiglieri e da Sindaci dei rispettivi

territori regionali.

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Il ruolo dei partiti politici nella stesura delle liste è decisivo e la scelta dei candidati

non potrà che essere di loro esclusivo appannaggio, non essendo riconosciuta ai

cittadini nessuna indicazione di voto per la formazione del Senato al momento delle

elezioni locali. In ogni caso, se il metodo proporzionale consente in teoria una

proiezione equilibrata a livello rappresentativo delle forze politiche in campo,

tuttavia, nel caso specifico, la rappresentanza va messa in relazione al rapporto tra le

regioni popolose e meno popolose ed è evidente che sono le prime ad essere

maggiormente rappresentate.

Posta la nuova composizione, scompare la previsione ex articolo 83 della

Costituzione per l’elezione del Presidente della Repubblica

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così come scompare il

requisito, per diventare Senatori, del compimento del quarantesimo anno d’età (art.

58 Cost. , secondo comma nel testo vigente).

Ai membri rappresentanti dei territori possono aggiungersi 21 Senatori di nomina

del Presidente della Repubblica. Tali senatori sono scelti tra i cittadini che abbiano

“illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e

letterario” . La figura dei Senatori a vita è “ad esaurimento“ , rimanendo in carica

quelli esistenti, secondo disposizione transitoria. I nuovi Senatori di nomina

presidenziale durano in carica sette anni; permane la figura dei Senatori di diritto a

vita, ossia gli ex Presidenti della Repubblica. La nomina presidenziale dei 21

Senatori è configurata come una facoltà, non un obbligo.

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I Senatori di nomina presidenziale hanno pari diritti e funzioni rispetto agli altri

Senatori, partecipano dunque all’elezione dei due componenti della Corte

Costituzionale, che il novellato articolo 135 della Costituzione riserva al Senato; al

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Art. 83 della Costituzione italiana: “Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza dei 2/3 dell’Assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta” .

75 Nella relazione al d.d.l. n. 1429 si pone l’accento sul fatto che la presenza dei saggi sia coerente

con il ruolo di garanzia del nuovo Senato e con il suo proiettarsi anche al di là della rappresentanza delle istituzioni territoriali. In questa prospettiva si giustifica anche la presenza degli ex Presidenti della Repubblica (E. Bindi, “L’esigenza di rafforzamento dell’Esecutivo: alla ricerca del tempo perduto”).

I Senatori di nomina presidenziale, per la stessa natura delle ragioni che conducono alla loro scelta, dovrebbero in ogni caso far parte non dell’organo rappresentativo dei poteri locali, ma della Camera investita dei compiti connessi alla rappresentanza nazionale (E. Cheli, “Ma questo è vero bicameralismo? Dubbi e suggerimenti in ordine al progetto di riforma costituzionale presentato dal Governo”).

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pari degli altri Senatori, prendono parte alle attività del Parlamento in seduta

comune.

Sommando 122 Senatori elettivi di secondo grado, 21 di nomina presidenziale, più

gli attuali 5 Senatori a vita (permangono in carica secondo disposizione provvisoria),

risulta una composizione di 148 membri.

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La verifica dei titoli dei Senatori (sia elettivi di secondo grado sia di nomina

presidenziale) spetta al medesimo Senato. Spetta al Presidente di esso invece la

comunicazione all’Assemblea delle cause ostative alla prosecuzione del mandato.

Non si prevede più per i Senatori una specifica indennità (articolo 69 della

Costituzione), rimanendo (per i soli Senatori elettivi di secondo grado)

l’emolumento spettante per la carica elettiva territoriale. E’ riservata alla legge

statale la determinazione degli emolumenti spettanti al Presidente della Giunta

regionale e ai membri dei Consigli regionali (senza che il loro importo possa in ogni

caso superare quello spettante al Sindaco del Comune capoluogo di Regione).

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L’approvazione di una riforma costituzionale che coinvolge l’assetto delle Camere renderebbe quanto meno opportuno sciogliere le stesse per consentire quanto prima la realizzazione del nuovo assetto costituzionale e dei connessi equilibri politici (A. Pertici, “La riforma del Senato”).

Se si fosse deciso di sciogliere le Camere subito dopo l’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 1/2014) e proceduto a nuove elezioni, applicando la normativa di risulta (di chiaro impianto proporzionalista, quella che, con un’espressione giornalistica, è stata definita il “Consultellum”), l’effetto sarebbe stato quello di demandare ad un Parlamento sicuramente più rappresentativo di quello attuale (e probabilmente di ogni altro scelto con sistemi sostanzialmente maggioritari) l’onere di modificare la Costituzione e di riscrivere il nuovo sistema elettorale.

Il mantenimento di un elevato numero di componenti della Camera e la drastica riduzione di quelli del Senato rafforza il peso specifico del primo organo (e con esso la sua composizione maggioritaria) all’interno del Parlamento in seduta comune, cui viene lasciata l’attribuzione di eleggere sia il Capo dello Stato sia i membri laici del CSM.

Con riguardo alla scelta del Presidente il nuovo collegio elettorale sarebbe costituito (con esclusione dei Senatori a vita) da 793 membri (in base al novellato articolo 85 l’organo non sarebbe più integrato dai delegati regionali, la cui funzione sarebbe assorbita dal Senato delle Autonomie), la maggioranza richiesta sarebbe di 397 voti dalla quarta votazione in poi. Il nuovo sistema elettorale dovrebbe garantire in ogni caso alla maggioranza un numero di Deputati di poco inferiore ai 340; è sufficiente aggiungere una manciata di voti da parte dei Senatori (poco più di 1/3) per raggiungere l’obiettivo (se il numero di Senatori fosse poi inferiore a quello ora indicato, come alcuni emendamenti fanno presagire, questa possibilità sarebbe ancora più facile da perseguire).

Le conseguenze sono di tutta evidenza in ordine al ruolo che la figura presidenziale verrebbe così ad assumere, con l’alternativa tra una sua maggiore politicizzazione e un suo marcato depotenziamento o neutralizzazione rispetto al Presidente del Consiglio, quest’ultimo provvisto di una legittimazione democratica più immediata.

Deve essere evitato il rischio di un CSM che possa risultare troppo appiattito sulla maggioranza di Governo. Il numero limitato di giudici da designare conferirebbe a questa attribuzione un valore essenzialmente simbolico, senza realistiche possibilità di un’alterazione degli equilibri interni dell’organo stesso. Stona, semmai, la disparità di potere riconosciuta alle due Camere quanto al numero dei giudici da eleggere (R. Tarchi, “Il disegno di legge di riforma costituzionale n. 1429 del 2014. Osservazioni sparse di carattere procedurale e sostanziale”).

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Viene posto il divieto di corresponsione di rimborsi o analoghi trasferimenti

monetari a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei

Consigli regionali.

Essendo il Senato configurato come non più elettivo diretto, scompare la

circoscrizione Estero.

Supplente del Presidente della Repubblica diventa il Presidente della Camera dei

Deputati.

Con questa proposta di riforma costituzionale, che continua a modificare solo il

Senato, mantenendo una pletorica Camera di 630 membri con la stessa esagerata

indennità, le immunità rimangono per tutti: Deputati e Senatori (anche se questi

ultimi non sarebbero più eletti dai cittadini, ma dai Consigli regionali tra i loro

componenti e tra i Sindaci della Regione stessa). La conseguenza sarebbe che un

Sindaco, nei confronti del quale si procede per fatti commessi durante il suo

mandato amministrativo, potrebbe usufruire, in quanto Senatore, delle immunità di

cui all’articolo 68 (commi II e III), non potendo quindi essere arrestato, perquisito o

intercettato senza autorizzazione del Senato.

Se si considerano le immunità come necessarie garanzie della funzione

parlamentare, queste non possono che essere previste sia per i membri della Camera

che per quelli del Senato (anche se questi ultimi hanno funzioni ridotte). Se, invece,

si ritiene che le immunità siano ormai anacronistici privilegi, allora devono essere

eliminate per tutti.

La scelta per il mantenimento dell’immunità determina nei fatti una sua estensione a

causa del doppio incarico dei Senatori (sempre Sindaci o Consiglieri regionali).

Il doppio incarico di Sindaco – Senatore porterà conflitti di interessi e altri problemi

di sovrapposizione dei ruoli. Su questo punto con la riforma si torna indietro, con

più doppi incarichi e più immunità (o più precisamente un’estensione delle stesse

anche ai rappresentanti di istituzioni territoriali quando anche Senatori).

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