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Il nuovo Titolo V nel disegno di legge del Governo Renzi

Il disegno di legge governativo reca, oltre a quella del Senato, la riforma del Titolo

V della Costituzione.

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In primo luogo, scompare la previsione costituzionale delle Province, quale

articolazione territoriale della Repubblica. Quindi scompare per le Regioni la

previsione (finora mai applicata) di una “doppia velocità” autonomistica, quale

disegnata dall’art. 116, III comma, della Costituzione vigente.

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101 Il custode degli interessi nazionali diventa il Governo con buona pace di tutta un'esperienza

passata che, pur con tutti i limiti che l'ha contrassegnata, non ha mai abbandonato l'idea che questo compito dovesse restare nelle mani del Parlamento.

Il secondo comma dell’articolo 120 affida al Governo un potere di intervento sostitutivo nei confronti delle Regioni e degli altri enti locali, qualora essi si rendano inadempienti di fronte alle norme internazionali o comunitarie oppure in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Tuttavia, al fine di prevenire ogni abuso degli indicati poteri sostitutivi, l’ultima parte del comma in esame stabilisce che detti interventi siano disciplinati dalla legge ed esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

102 L’intervento avviene ad una certa distanza della riforma del Titolo V del 2001, che non pochi

problemi ha determinato sul piano interpretativo e sulla configurazione dei confini delle materie, impegnando in questo senso per diversi anni la Corte Costituzionale.

La giurisprudenza della Corte, infatti, è stata di fondamentale ausilio nel configurare con maggiore chiarezza gli ambiti di competenza, tenuto conto del proliferare rispetto ad una stessa materia di gamme diverse di funzioni, alcune attratte a livello statale, altre invece affidate al livello legislativo regionale. Alla giurisprudenza della Corte inoltre si devono soluzioni di particolare pregio interpretativo, come ad esempio l’individuazione di materie “trasversali” che si intersecano con altre materie di livello legislativo regionale, determinandone l’attrazione statale laddove si renda necessaria un’azione unitaria che soddisfi esigenze di disciplina uniforme.

103 L’art. 2 della legge costituzionale n. 3/2001 introduce il III comma dell’art. 116 Cost., prevedendo

la possibilità di concedere alle Regioni a statuto ordinario, attraverso la legge dello Stato, quelle forme e condizioni particolari di autonomia, proprie delle Regioni a statuto speciale, in virtù delle previsioni del I comma dello stesso articolo. Tale disposizione si riferisce alle materie espressamente individuate ai commi II e III dell’art. 117 (ovvero quelle di competenza esclusiva dello Stato e di competenza concorrente Stato – Regioni) e probabilmente sostanzia un’attribuzione di potestà legislativa esclusiva alle Regioni a statuto ordinario che si va ad aggiungere a quelle individuate dal IV comma dell’art. 117.

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Sul versante regionale si incide soprattutto sul riparto delle competenze legislative,

oggetto dell’articolo 117.

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Scompare la legislazione concorrente, quella statale

esclusiva si arricchisce di alcune nuove materie e funzioni (tale competenza statale

in alcuni casi viene circoscritta alla determinazione di “norme generali”), restando

alle Regioni tutte le materie a quella non riservate.

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Le funzioni delle quali si arricchisce la competenza statale esclusiva nella

enumerazione espressa dal novellato articolo 117, secondo comma, sono:

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Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

Si aboliscono le Province come enti politico – amministrativi, ma al tempo stesso si trasformano le quindici Regioni ad autonomia ordinaria in una sorta di nuove grandi Province, che potrebbero divenire soggetti amministrativi e dipendenti dalla volontà del legislatore nazionale.

104 La flessibilità nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni pare una strada da perseguire

perché le Regioni sono molto diverse tra loro e pertanto non si vede perché debbano avere tutte le stesse funzioni (M. Carli, “Osservazioni sul disegno di legge costituzionale n. 1429).

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Il limite dei principi fondamentali non è idoneo a fissare il confine tra le competenze legislative dello Stato e quelle delle Regioni in quanto necessariamente indeterminato e variabile da settore a settore e nel tempo (M. Carli, “Osservazioni sul disegno di legge costituzionale n. 1429).

A differenza di quelle espressive dei principi fondamentali, le norme generali avrebbero in ogni caso una vera e propria valenza auto – applicativa, non necessitando, per la concreta esplicazione della loro efficacia, di alcun successivo intervento attuativo da parte del legislatore regionale.

Stando alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, la determinazione delle “norme generali” risulterebbe potenzialmente ben più pervasiva rispetto a quella dei “principi fondamentali”, caratterizzante la potestà legislativa statale nelle materie di legislazione concorrente.

Sembra del tutto lecito dubitare che, in ordine alla concreta identificazione delle norme generali, non vengano a manifestarsi in futuro problemi e difficoltà del tutto analoghi a quelli che si sono finora manifestati in ordine alla concreta identificazione dei principi fondamentali e che ha spinto più di uno studioso a condividere la soluzione della drastica soppressione della potestà legislativa concorrente. Tutto ciò induce a chiedersi se non sia più conveniente optare per la soluzione di conservare la legislazione concorrente, sia pure in relazione ad un limitato spettro di materie (G. Puccini, “Riforma del bicameralismo e del Titolo V nel disegno di legge costituzionale del Governo Renzi”).

Il venir meno della potestà legislativa concorrente, il recepimento a livello statale di diverse materie concorrenti, nonché la clausola della tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero della tutela dell’interesse nazionale (consente allo Stato di intervenire in materie non di sua competenza esclusiva), ripropongono sostanzialmente i parametri di riordino sviluppati dalla giurisprudenza della Corte, caratterizzata da una certa attitudine a riconoscere allo Stato in sede di conflitto una competenza tendenzialmente prevalente (S. Lieto, “Sullo stato di avanzamento della riforma del bicameralismo”).

Per l’esercizio della funzione legislativa regionale loro propria le Regioni sono chiamate, ai sensi del novello comma introdotto in questo articolo 117, a salvaguardare “l’interesse regionale alla pianificazione e alla dotazione infrastrutturale del territorio regionale e alla mobilità al suo interno, all’organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, dei servizi sociali e sanitari e, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, dei servizi scolastici, nonché all’istruzione e alla formazione professionale” .

106 La mancata approvazione della “Carta delle Autonomie” e la legislazione della crisi economica si

possono considerare come emblematiche di un recupero di centralità dello Stato e funzionalizzate ad esigenze di contenimento della spesa nella prospettiva dell’equilibrio di bilancio costituzionalizzata (anche per gli enti locali) dalla legge costituzionale 1/2012, il tutto con un sufficiente avallo della Corte Costituzionale (sentenze nn. 22 e 40 del 2014 in materia di svolgimento associato delle funzioni dei Comuni). P. Milazzo, “L’impatto del d.d.l. costituzionale “Renzi – Boschi” sul sistema degli enti locali e sulle funzioni locali”.

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Norme generali sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica

del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;

Norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e

sicurezza del lavoro;

Ordinamento scolastico, istruzione universitaria e programmazione strategica

della ricerca scientifica e tecnologica;

Previdenza complementare ed integrativa;

Ordinamento degli enti locali, comprese le forme associative, e degli “enti di

area vasta” (dei quali ultimi potrebbe così profilarsi indiretta

costituzionalizzazione);

Commercio con l’estero;

Norme generali sulle attività culturali, sul turismo e sull’ordinamento

sportivo;

Ordinamento delle professioni intellettuali e della comunicazione;

Norme generali sul governo del territorio e sistema nazionale della

protezione civile;

Produzione,trasporto, distribuzione dell’energia;

Infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione

d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti ed aeroporti civili di

interesse nazionale ed internazionale.

Il testo ha optato per un’impostazione tradizionale attraverso il riferimento alle

“materie” ed ha inoltre realizzato appunto un ampliamento della potestà legislativa

statale, che sembra rivelare un certo allontanamento da un assetto di cooperazione

tra livello statale e regionale.

In relazione alla potestà legislativa statale va evidenziato il ricorso all’espressione

“disposizioni generali e comuni” , che definisce un ambito di intervento legislativo

particolarmente incisivo da parte dello Stato in relazione a tutela della salute,

sicurezza alimentare, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, attività culturali e

turismo, governo del territorio. Il riferimento alle “disposizioni generali” piuttosto

che ai principi sembra definire un raggio di intervento statale in termini di maggiore

dettaglio.

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Contraddittoria appare la previsione (in non poche materie) di una sorta di potestà

legislativa concorrente poiché la legislazione esclusiva dello Stato in esse consiste in

“disposizioni generali e comuni” , “disposizioni di principio” , “… di interesse

nazionale” , “funzioni fondamentali” così chiaramente riproducendosi in qualche

modo le problematiche relative alla potestà legislativa concorrente, che pure si

vorrebbe eliminare.

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La legge statale (d’iniziativa solo governativa) può intervenire in materia non

riservatale, se si ponga l’esigenza di garantire l’unità giuridica o economica della

Repubblica (nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, pare

doversi ritenere) o di realizzare programmi o riforme economico – sociali di

interesse nazionale. E’ questa una sorta di supremacy clause o di attrazione in

sussidiarietà “verticale” della competenza legislativa.

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La legge statale può delegare l’esercizio della funzione legislativa statale alle

Regioni (anche solo ad alcune tra loro ed anche per tempo limitato), previa intesa,

salvo alcune materie non delegabili specificamente indicate.

Si conforma alla ripartizione della competenza legislativa tra Stato e Regioni la

ripartizione della competenza regolamentare. La legge statale può delegare in una

sua materia alle Regioni la potestà regolamentare.

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F. Gabriele, “Il regionalismo tra crisi e riforme costituzionali”.

Si vuole procedere all’eliminazione della potestà legislativa concorrente perché si ritiene che quest’ultima sia la causa più diffusa del contenzioso davanti alla Corte Costituzionale. In realtà esso non è sorto in merito alle c.d. materie “concorrenti” quanto piuttosto a quelle esclusive dello Stato (R. Bin).

Nel totale delle decisioni degli ultimi tre anni quelle emesse su ricorso regionale risultano inferiori al 26% (100 pronunce su un totale di 390), mentre il restante 74% riguarda giudizi intentati dal Governo nei confronti delle leggi regionali (290 pronunce su un totale di 390). Nel 2013 a fronte di 27 pronunce rese su ricorso regionale, ve ne sono state ben 122 su ricorso statale.

I dati riportati indicano che la causa o la ragione dell’aumento del contenzioso Stato – Regioni sulle leggi è dovuto, in misura nettamente prevalente, al numero di ricorsi statali su leggi regionali; l’eliminazione della competenza concorrente, con la contemporanea introduzione di una competenza statale a stabilire le “norme generali” di varie materie, rischia di non aver alcun effetto pratico. Il Senato delle Autonomie, qualora composto da esponenti espressi dalle Regioni, potrebbe contribuire a risolvere (almeno parzialmente) il problema, ad esempio con la previsione di un parere obbligatorio da parte del Senato in ordine alla proposizione del ricorso, da parte del Presidente del Consiglio, nei confronti di leggi regionali.

A tale previsione potrebbe aggiungersi una competenza più generale del Senato quale sede di raccordo preventivo, da realizzarsi prima dell’approvazione della legge regionale (E. Rossi, “Alcune considerazioni sul disegno di legge costituzionale n. 1429”).

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La formulazione della clausola di supremazia sembra troppo rigida e si poteva quantomeno inserire alcuni contro – limiti, di contenuto e procedimentali (ruolo del Senato nella deliberazione), con riferimento in particolare al rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione (R. Zaccaria, “Un Senato delle Autonomie richiede autonomie forti”).

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In materia di funzioni amministrative degli enti territoriali si dispone che esse siano

esercitate in modo da assicurare semplificazione, trasparenza, efficienza,

responsabilità degli amministratori.

Per quanto concerne ancora gli enti territoriali (Comuni, Città metropolitane,

Regioni) è costituzionalizzata la previsione di una loro compartecipazione al gettito

dei tributi erariali riferibile al loro territorio, secondo quanto disposto con legge

dello Stato ai fini di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Le risorse derivanti dall’autonomia finanziaria, dalla compartecipazione al gettito

dei tributi erariali, dal fondo perequativo statale, assicurano il finanziamento

integrale delle funzioni pubbliche attribuite agli enti territoriali.

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Per quanto riguarda la potestà legislativa regionale viene proposta una soluzione

composita: da un lato alcune materie vengono esplicitate, dall’altro viene fatta salva

una formula di carattere residuale, che riconduce al livello legislativo regionale

qualsiasi altra materia non riscontrabile nell’elenco statale.

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Prima novità rispetto al testo precedente è l’affermazione dell’autonomia finanziaria non soltanto per le Regioni, ma anche per i Comuni, le Province e le Città Metropolitane. Tale autonomia è stata resa più incisiva stabilendo prima di tutto che si tratta di autonomia di entrata e di spesa e riconoscendo la possibilità per gli enti locali di stabilire propri tributi ed entrate.

In precedenza avevamo un sistema in cui detti enti erano destinatari dei finanziamenti da parte dello Stato: avevamo infatti per le autonomie locali un’autonomia finanziaria indiretta. Al fine di evitare che tra le Regioni si creino disparità determinate dalla differente ricchezza economica delle stesse, il III comma prevede l’istituzione, con legge dello Stato, di un fondo perequativo a favore delle zone più svantaggiate.

Il quinto comma dell’art. 119 prevede la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali a favore di determinati enti locali. L’articolo si chiude con una regola volta a prevenire gli sprechi e a contenere la spesa delle autonomie locali: gli enti locali non possono indebitarsi, se non per finanziare investimenti. In ogni caso è esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti dagli stessi enti locali (comma VI): la finalità della norma è quella di evitare che il nuovo sistema finanziario comporti comunque oneri aggiuntivi per il bilancio statale senza che, peraltro, il Governo centrale abbia su tali spese poteri di controllo. Si è provveduto così a responsabilizzare gli amministratori locali, i quali dovranno gestire efficientemente le risorse a loro disposizione, senza poter contare su aiuti provenienti da entità superiori.

110 La proposta esplicita alcuni ambiti di potestà residuale delle Regioni: si tratta di una scelta di per

sé condivisibile, ma declinata in termini tali da rendere gli ambiti di competenza regionale in questione del tutto marginali o interstiziali (G. Tarli Barbieri, << Alcune osservazioni sulla proposta di legge costituzionale “Renzi – Boschi” >>.

Come si può leggere nella relazione al disegno di legge costituzionale, la competenza residuale regionale è qualificata dalla “specificazione, anche se non esaustiva e tassativa, delle finalità proprie della legislazione regionale attraverso l’attribuzione della competenza in materie che sono state enucleate in una prospettiva attenta alle esigenze di tutela dei diritti fondamentali e di incremento della competitività dei sistemi territoriali”. La previsione delle materie e delle funzioni esclusive dello Stato, da un lato, e delle materie residuali delle Regioni, dall’altro, fa pensare che lo scopo che intenderebbe perseguire il legislatore costituzionale sia quello di far convergere verso lo Stato la competenza su talune materie per le quali sia più efficace la loro intera, cioè unitaria, “gestione” al centro. Questo moto centripeto si concretizza in un ridimensionamento delle Regioni, non tanto perché è previsto lo scivolamento di numerose materie regionali dalla potestà concorrente e residuale

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E’ evidente la differenza tra una potestà legislativa costituzionalmente spettante alle

Regioni (anche se limitata dal rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge

statale) e una delegata, attivabile discrezionalmente dalla legge statale e

successivamente revocabile. Per di più tale potere legislativo risulta limitato da

rigorosi presidi dal punto di vista procedurale (la delega sarebbe concessa con legge

approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti della Camera, previa intesa

con le Regioni interessate, riguardando tale delega una o più Regioni, ed anche su

richiesta delle stesse), sia dal punto di vista delle materie delegabili (dalle materie di

competenza esclusiva statale sono escluse quelle relative all’ordine pubblico ed alla

sicurezza, salva la polizia amministrativa locale, nonché quelle relative a

cittadinanza, stato civile ed anagrafi e quelle relative alla giurisdizione,

all’ordinamento civile e penale, alla giustizia amministrativa, salva l’organizzazione

verso quella esclusiva statale, quanto per la differente tipologia di materie riservate rispettivamente all’uno e all’altro ente. Infatti, se si discorre unicamente della potestà legislativa in termini di esclusiva e concorrente, la scomparsa della seconda comporta a rigore l’abbandono di quei limiti particolari che la legge dello Stato può determinare nei confronti della Regione con le “leggi cornice”, con un obbligo per quest’ultima del solo rispetto dei limiti generali previsti dalla Costituzione e di quelli “finalistici” dello Stato. In linea teorica, dunque, l’eliminazione della potestà concorrente e la conservazione della potestà residuale regionale determinerebbe la completa parificazione dei due enti, nel senso che ognuno, nelle proprie materie, sarebbe “sovrano” nel rispetto dei citati limiti generali. Ciò significherebbe, pertanto, che la potestà residuale/esclusiva in determinate materie rafforzerebbe l’autonomia regionale ed in tali ambiti l’ente Regione non sarebbe in teoria diverso dall’ente Stato. In realtà però l’eliminazione delle materie concorrenti e la previsione di quelle regionali residuali, racchiuse in un elenco esemplificativo, potrebbe anche non risolversi in un vero potenziamento delle (nuove) autonomie delle Regioni perché, come è noto, occorrerebbe poi verificare quante siano realmente le materie che residuano e se effettivamente scompaiano i limiti che riguardavano la potestà concorrente, che non dovrebbero però riguardare quella residuale o esclusiva (A. M. Nico, “Rapporti Stato – Regione e giustizia costituzionale nel quadro delle riforme in corso”). Se le Regioni riducono sensibilmente la loro potestà legislativa fino, in sostanza, ad una potestà amministrativa, il risultato è che la Conferenza Stato – Regioni e la Conferenza unificata finiscono con l’avere un potere maggiore del Senato delle Autonomie e quindi si porrebbe un serio problema di armonizzazione tra i due organi (R. Zaccaria, “Un Senato delle Autonomie richiede autonomie forti”).

L’eliminazione del Senato ed una costituzionalizzazione del sistema delle Conferenze (con conseguente incremento delle competenze rispetto a quelle attuali) potrebbe consentire di raggiungere quegli stessi obiettivi che si intende perseguire con un Senato delle Autonomie (E. Catelani, “Riforme costituzionali: un compromesso in una logica unitaria”).

Tutto ciò avviene mentre l’ordinamento giuridico delle cinque Regioni ad autonomia speciale (tanto discusso) resta formalmente estraneo alla sorte delle altre Regioni (salva però la presenza di loro rappresentanti nel nuovo Senato) e quindi caratterizzato ancora da forti autonomie legislative. E’ irragionevole pensare che, se il Parlamento adotta una legge espressiva del potere di supremazia statale (ora previsto), l’efficacia di questa legge si possa fermare ai confini delle cinque Regioni a statuto speciale o che la stessa amplissima ridefinizione dei poteri legislativi esclusivi dello Stato non incida in realtà anche nelle cinque Regioni speciali. Esistono forti profili di coerenza di fondo (sul piano costituzionale, amministrativo e legislativo) fra tutte le Regioni, che non possono essere elusi e neppure rinviati (U. De Siervo, “Il regionalismo in alcune disposizioni del disegno di legge di revisione costituzionale n. 1429”).

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della giustizia di pace), sia dal punto di vista temporale (la delega può essere

concessa anche per un tempo limitato).

Occorre cercare di chiarire espressamente le specifiche responsabilità legislative

delle Regioni. Il nostro regionalismo è sorto sul presupposto che esistano precise

norme costituzionali che assicurano alle Regioni ambiti loro propri tanto da poter

essere garantiti anche in sede di giustizia costituzionale.

Un livellamento apparentemente solo formale dei due enti, confermato

dall’intenzione del legislatore di rafforzare il rapporto della Regione con il territorio

(anche attraverso la diversa strutturazione del Senato), dovrebbe portare ad

un’analoga posizione (anch’essa da prevedere) nella prospettiva della giustizia

costituzionale, nel senso che non parrebbe potersi escludere a priori l’attribuzione

delle stesse “armi” e degli stessi mezzi ad entrambi gli enti dinanzi all’organo di

garanzia costituzionale.

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Attribuire la competenza legislativa “quasi esclusiva” alla Regione come allo Stato,

eliminando quella concorrente, dovrebbe comportare nella funzione legislativa un

innalzamento della Regione a livello statale e pertanto, sotto il profilo della coerenza

del sistema, anche nell’azione di promovimento dei giudizi costituzionali la Regione

dovrebbe ottenere lo stesso trattamento dello Stato: essa dovrebbe poter impugnare

la legge statale per qualsiasi motivo di legittimità costituzionale.

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111 A. M. Nico, “Rapporti Stato – Regione e giustizia costituzionale nel quadro delle riforme in

corso”.

112 Vedere nota 111.

Il dato testuale dell’articolo 127 della Costituzione, riproducendo quasi integralmente il dettato dell’articolo 2 della legge costituzionale n. 1 del 1948, ha confermato che i giudizi promossi dalle Regioni nei confronti dello Stato dovessero essere rivolti unicamente a denunciare conflitti di attribuzione legislativa e non altro.

Nemmeno la Corte Costituzionale sul punto ha voluto discostarsi dal tenore letterale dell’articolo 127 della Costituzione, seppur consapevole che ciò non costituisse un vincolo, avvalorando (sentenza n.