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5. Il giudice delle leggi e la legge elettorale: la sentenza della Corte Costituzionale

5.1 La decisione

L’anno 2014 si avvia con la sentenza n. 1 della Corte Costituzionale

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che dichiara

l’illegittimità costituzionale di disposizioni della legge n. 270 del 2005 per due

profili salienti:

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La sentenza si ascrive a quelle ad alto tasso di politicità “costituzionale” , cui la Corte italiana ha fatto ricorso non spesso, ma sicuramente in maniera non isolata

.

La prima incide sulla sola legge 270, ma il principio affermato la oltrepassa e segna un arretramento delle zone franche dal giudizio di costituzionalità, per ora sul terreno delle leggi elettorali e, per quanto affermato, non solo di quelle nazionali, ma anche di quelle regionali, posto che anch’esse contribuiscono ad affermare il principio costituzionale di rappresentatività democratica.

Con il qualificare in senso lato “politiche” talune sentenze non si intende né depotenziarne la portata, né accusare la Corte di invasione di competenza, né tantomeno teorizzare un indirizzo politico proprio della Corte, ma semplicemente constatare ancora una volta che la debolezza del sistema politico (il Parlamento e i partiti politici in primo luogo) induce o conduce l’organo di garanzia costituzionale su terreni di sempre più marcato controllo della ragionevolezza (e nel caso della sentenza in oggetto della proporzionalità) delle scelte politiche (A. Poggi, “Politica “costituzionale” e legge elettorale: prime osservazioni alla sentenza n. 1 del 2014”).

Con tale incisivo intervento la Corte ha certificato una situazione di preoccupante squilibrio tra i poteri e le competenze costituzionalmente definite; in particolare tale sentenza costituzionale segnala lo stato di profonda debolezza del Parlamento, del suo ruolo e della sua capacità di esercitare in concreto i propri poteri costituzionali.

L’immobilismo del legislatore in materia elettorale potrebbe spiegarsi con la paradossale situazione di stasi della politica italiana, nella quale nessuno aveva la forza di cambiare la legge elettorale e nessuno poteva proporre passi decisivi; tale impasse celava in sé la paura di perdere le elezioni (S. Trovato, “Sentenza costituzionale n. 1 del 2014, tra crisi del sistema e test di ragionevolezza arriva una riforma elettorale obbligatoria”).

Quelli che più contano sono gli effetti chiarificatori che la sentenza della Corte Costituzionale produrrebbe sul contesto normativo in oggetto nel suo complesso e particolarmente sul testo della legge n. 270 del 2005. Verrebbe in chiara evidenza l’inefficacia non “successiva” , ma “originaria” dell’abrogazione del decreto legislativo n. 533 del 1993, ossia del “Mattarellum”. Inefficacia “originaria” perché determinata non dalla sentenza della Corte Costituzionale, ma direttamente dalle stesse norme della Costituzione preesistenti alla legge n. 270 del 2005, riconosciute violate; in forza di esse un’abrogazione del “Mattarellum” non poteva e non doveva, con una legge come quella, essere operata e non può quindi ritenersi effettivamente operata.

In realtà dunque, più che un annullamento, nella pronuncia della Corte si avrebbe in sostanza una dichiarazione di nullità della legge n. 270 del 2005 e di conseguenza, anche dopo di essa, il “Mattarellum”, più che ripristinato, dovrebbe riconoscersi sempre rimasto in vigore (anche se solo giuridicamente e per accorgersene ci sarebbe voluta una sentenza della Corte Costituzionale). S. Pomodoro, “Legge elettorale e referendum. E se si tornasse al “Mattarellum”?”.

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L’attribuzione di un rilevante premio di maggioranza senza la fissazione di

una soglia minima per la sua applicazione;

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Le liste “bloccate” con numero elevato di candidati.

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Per il primo profilo la Corte dichiara che la legge del 2005 pone una disciplina

manifestamente irragionevole perché suscettibile di arrecare un’illimitata

compressione della rappresentatività dell’Assemblea parlamentare (attraverso la

quale si esprime la sovranità popolare) in misura sproporzionata rispetto

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L’irragionevolezza del premio di maggioranza è inteso dalla Corte, in questo caso, come mancato superamento del test di proporzionalità, in quanto, tra più misure appropriate per raggiungere l’obiettivo della governabilità, la norma non prescrive quella meno restrittiva del contrapposto interesse della rappresentatività (S. Trovato, “Sentenza costituzionale n. 1 del 2014, tra crisi del sistema e test di ragionevolezza arriva una riforma elettorale obbligatoria”).

La Corte qualifica come “obiettivo costituzionalmente legittimo” (ovvero, in altra parte della sentenza, “di rilievo costituzionale”) il fine di “agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, di garantire la stabilità del Governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale”.

Tuttavia l’assenza di una soglia minima (la Corte aggiunge anche “ragionevole”) di voti, affinchè la lista (o coalizione di liste) più votata possa conquistare il premio, è tale <<da determinare una alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale dell’eguaglianza del voto>> e da non rispettare << il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri valori e interessi costituzionalmente protetti >> , della proporzionalità rispetto all’obiettivo perseguito (come sottolinea G. Azzariti).

Sembra necessario (soprattutto nell’attuale contesto “tripolare”) un premio di maggioranza per garantire che, dopo il voto, ci sia una chiara maggioranza parlamentare (che poi sia anche stabile, questo è un altro problema e probabilmente non ci sono accorgimenti che possano “blindare” le dinamiche della politica). A. D’Aloia, “La sentenza n. 1 del 2014 e l’Italicum”.

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E’ rilevante la sentenza nella parte in cui dichiara che l'assenza di preferenza circa il nominativo del candidato costituisce una modalità di suffragio indiretto dei cittadini, la quale viola gli artt. 48, 56, 59 della Cost.

L'illegittimità normativa consiste nel fatto che la Costituzione prevede vi sia mandato diretto tra rappresentati e rappresentanti e che il voto sia espresso nella segretezza e nella personalità che costituzionalmente lo caratterizzano.

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, il “Porcellum” avrebbe consentito, vista la presenza delle liste bloccate senza preferenze, una modalità di suffragio indiretto che sottrae di fatto all'elettore la facoltà di scegliere l'eletto, rendendo il voto non libero e non personale.

“La circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione” (sent. 1/2014).

La Corte Costituzionale, cercando di indirizzare il legislatore per il futuro, sostiene che, sussistendo una impossibilità reale di scelta del nominativo del candidato da parte del cittadino, si violi il principio del mandato diretto di rappresentanza (A. Lucarella, “La Consulta: Porcellum illegittimo, ma solo in parte. Ecco il testo della sentenza n. 1 del 2014”).

Elemento di irragionevolezza, nella legge n. 270 del 2005, riguarda il voto di lista bloccato, nella parte in cui non consente all’elettore di esprimere una preferenza; tale meccanismo, infatti, incide negativamente sull’esercizio del diritto di voto, privando l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti (scelta che è rimessa completamente ai partiti).

Il voto di lista bloccato è incostituzionale, in quanto fa dipendere l’elezione di Deputati e Senatori dall’ordine di posizione nella lista dei candidati quindi da criteri estranei alla volontà degli elettori (S. Trovato, “Sentenza costituzionale n. 1 del 2014, tra crisi del sistema e test di ragionevolezza arriva una riforma elettorale obbligatoria”).

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all’obiettivo perseguito ed incidendo sull’eguaglianza del voto (in violazione degli

articoli 1, II comma, 3, 48, II comma e 67 della Costituzione).

Per il secondo profilo la disciplina posta dalla legge del 2005 è sprovvista, ad avviso

della Corte, del sostegno dell’indicazione personale dei cittadini e questo ferisce la

logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione.

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La Costituzione non impone alcun modello di sistema elettorale, ma lascia alla discrezionalità del legislatore << la scelta del sistema che ritiene più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico >>. Questa scelta attinge il massimo livello di politicità, ma è censurabile quando tale libertà di apprezzamento politico venga esercitata in modo manifestamente irragionevole. In particolare il controllo sulla legge elettorale si svolge nelle forme del test di proporzionalità; è diretto, cioè, a verificare che il bilanciamento fra gli interessi costituzionalmente rilevanti in materia << non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva >>.

La Corte ha censurato nella legge n. 270 del 2005 << l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio >>. Incombe dunque sul legislatore l’onere di introdurre una soglia minima “ragionevole” e dunque di individuare un meccanismo di distorsione del voto compatibile con l’opzione in favore di una formula proporzionale, che deve privilegiare l’esigenza di rappresentatività, pur potendo perseguire legittimi obiettivi di governabilità e stabilità politica.

Tutti i premi di maggioranza, che, diversamente dai premi di governabilità, convertono una minoranza numerica in una maggioranza politica, si espongono a seri dubbi di costituzionalità. Essi infatti fanno venire meno la corrispondenza fra voti e seggi scientemente e sistematicamente.

La Corte, tuttavia, non ha senz’altro vietato il premio di maggioranza, né ha imposto di correggere il modello proporzionale solo con premi “di governabilità”, collocando la soglia ragionevole sopra il 50% , ma ha previsto che esso debba essere proporzionato rispetto al fine suo proprio di garantire la stabilità di Governo.

La Consulta non ha fornito parametri precisi per chiarire quando si debba considerare varcato il limite di manifesta sproporzione della soglia e del premio di maggioranza. Si apre perciò un terreno di possibili futuri scontri (anche dinanzi al giudice delle leggi) sulla misura in cui, nell’ambito dei modelli proporzionali, possano essere tutelate le esigenze, cui la Corte non disconosce rilievo costituzionale, di stabilità ed efficienza decisionale del sistema.

Il principio di eguaglianza del voto si limita a richiedere che ciascun voto contribuisca potenzialmente alla formazione degli organi elettivi (c.d. eguaglianza “in entrata”) e non già che esso abbia un identico peso sul risultato concreto della votazione (eguaglianza “in uscita”). Tuttavia esso non permette meccanismi di distorsione eccessivi e sproporzionati, tali da non porre in un equilibrio ragionevole l’esigenza costituzionale di garantire la funzione rappresentativa delle Camere e quella di assicurare la stabilità di Governo. Il bilanciamento fra governabilità e rappresentatività democratica non deve essere “diseguale”, tale cioè da privilegiare in modo eccessivo il primo termine sul secondo. Questa esigenza costituzionale si può tradurre nella regola per cui non sono legittimi meccanismi distorsivi che danno ai voti espressi a favore della coalizione vincente un valore “in uscita” più che doppio rispetto al valore in uscita dei voti residui, cioè di quelli che confluiscono sulle altre liste o coalizioni. Ciò infatti ferirebbe in modo eccessivo il principio di eguaglianza del voto, il quale richiede che << ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi >> (sent. n. 1/2014). L’esigenza di stabilità può rendere tollerabile un sacrificio di questo principio, ma non al punto tale da assegnare alla volontà di alcuni elettori un peso sostanzialmente doppio rispetto a quella di altri, perché in tal caso il conseguimento della maggioranza dei seggi da parte della coalizione vincente verrebbe a dipendere proporzionalmente più dal “premio” che dai voti effettivamente raccolti.

La logica proporzionalista non permette una divaricazione eccessiva fra la composizione delle Camere e la volontà dei cittadini.

In applicazione di questa regola sarebbe necessario non collocare la soglia di accesso al premio di maggioranza sotto il 40% , qualora si voglia garantire alla coalizione vincente l’assegnazione del 53 – 55% dei seggi. In questo modo il premio di maggioranza ammonterebbe al massimo al 15% e il

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