6. L’Italicum alla Camera dei Deputati
6.1 Cosa prevede la nuova normativa
Il modello giornalisticamente definito “Italicum” prevede:
•
L’assegnazione di un premio di maggioranza variabile e pari al massimo al
18% dei voti alla lista o coalizione di liste che abbia superato il 37% dei
consensi;
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Molto poco convincente è l’appiglio normativo utilizzato dai giudici, che hanno richiamato i casi della prorogatio in attesa della riunione delle nuove Camere (art. 61 Cost.) e della riunione, entro cinque giorni, delle Camere sciolte per discutere la conversione del decreto legge (art. 77 Cost.). Questi esempi non convincono perché legati a rationes decisamente poco attinenti al caso di specie: la prorogatio è un meccanismo volutamente temporaneo e circoscritto,
mentre la riunione per la conversione del decreto legge è dettata dalla situazione di straordinaria necessità ed urgenza sottesa allo stesso atto con forza di legge. La situazione attuale è molto diversa: in primo luogo non sembra affatto temporanea e potenzialmente potrebbe durare fino al 2018; d’altro canto non è riscontrabile nemmeno una situazione così straordinaria di necessità ed urgenza (A. Severini, “Luci ed ombre della sentenza n. 1/2014”).
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Nei presupposti dei proponenti dell’Italicum la necessità di decretare un vincitore subito dopo il voto viene accompagnata dall’esigenza di garantire la governabilità.
Se i partiti in coalizione, che non superano la soglia di sbarramento, concorrono a raggiungere il premio di maggioranza, ma non entrano nel riparto dei seggi, allora il 37% è solo formalmente valido come obiettivo da centrare; un meccanismo simile non avrebbe alcun tipo di rappresentatività del corpo elettorale.
Una critica a questo ragionamento è che l’intervento del secondo turno darebbe comunque un’indicazione della volontà della maggioranza dei cittadini, posti davanti a un’opzione binaria. Tuttavia si dimentica che il meccanismo di selezione del primo turno paradossalmente penalizzerebbe un partito forte che, per ragioni proprie, decide di non stipulare alleanze (D. Vittori, “L’Italicum, ovvero il rischio di un ennesimo pasticcio”).
Il contesto del sistema politico italiano, prima della ultime elezioni, era consolidato in una prospettiva di tendenziale bipolarismo in cui le coalizioni, che si contendevano il Governo del Paese, erano due ed era, quindi, normale che entrambe raggiungessero un livello di consenso elettorale elevato (almeno vicino alla maggioranza politica e parlamentare), tale che il meccanismo del premio di maggioranza funzionasse effettivamente alla stregua di un piccolo correttivo numerico, necessario per garantire una chiara indicazione di governabilità.
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•
La limitazione al 55% del totale dei seggi conseguibili per effetto del premio
(con questo sistema la lista o coalizione vincente ne può acquisire al
massimo 340);
43•
Il ballottaggio fra le due coalizioni che hanno riportato il maggior numero di
voti nel caso nessuno raggiunga la soglia del 37% (alla lista o coalizione
vincente verranno assegnati 327 seggi);
44•
Il divieto di apparentamento fra il primo e il secondo turno di votazione fra
liste o coalizioni di liste presentate al primo turno con le due liste o
coalizioni di liste che hanno accesso al ballottaggio;
•
Una soglia di sbarramento del 4,5% per le liste coalizzate, dell’8% per le
liste non coalizzate, del 12% per le coalizioni;
45•
Liste bloccate di candidati in circoscrizioni territoriali sub – provinciali
(quindi tendenzialmente ristrette);
46In una situazione come quella che, invece, si è materializzata alle ultime elezioni, caratterizzata da un sistema disordinatamente frammentato in tre grandi blocchi elettorali, il premio di maggioranza può diventare (in effetti è diventato nella l. n. 270 del 2005) un vero e proprio fattore di stravolgimento, di radicale alterazione, delle dinamiche elettorali e dei significati più elementari del principio di rappresentatività.
Nella definizione del premio di maggioranza e della soglia di sbarramento il Parlamento dovrà effettuare un bilanciamento tra due contrapposti interessi, da un lato, le ragioni della stabilità e governabilità del Paese, dall’altro, le ragioni della rappresentanza. La Corte costituzionale infatti nella sent. n. 1 del 2014 aveva menzionato il valore della stabilità governativa, “che può esserci, ma è legittima solo fintantoché ci sia una proporzione tra i sacrifici dei due diritti contrastanti e quindi non può essere un valore fondante di una legge elettorale”.
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La legge elettorale ed il premio di maggioranza ivi previsto impongono di intervenire anche sul procedimento di revisione costituzionale per rafforzare la rigidità e garantire una valutazione ponderata in fase di modifica (E. Catelani, “Riforme costituzionali: un compromesso in una logica unitaria”).
Sarebbe auspicabile, in presenza di sistemi elettorali finalizzati a premiare in maniera consistente chi ottiene più voti, la previsione di quorum più alti per la revisione costituzionale per distinguere chiaramente esigenze di “governabilità” dalla necessità di un ampio consenso nel caso di modifica delle regole e delle procedure costituzionali e dell’elezione degli organi di garanzia (E. Rossi, “Alcune considerazioni sul disegno di legge costituzionale n. 1429”).
Consentire alla minoranza politica più consistente di acquisire la maggioranza assoluta in Parlamento, di esprimere il Governo e la sua leadership, può trasformarsi in una vera e propria tirannia della maggioranza (peraltro solo artificiale) se non sono previsti meccanismi di bilanciamento e contrappesi istituzionali adeguati, i quali possano garantire i diritti delle minoranze e la tutela dei diritti fondamentali (R. Tarchi, “Il disegno di legge di riforma costituzionale n. 1429 del 2014. Osservazioni sparse di carattere procedurale e sostanziale”).
44 Per B. Caravita tecnicamente questo non è un premio, ma una redistribuzione di seggi sulla base
del risultato del secondo turno.
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L’8 % rappresenta una soglia molto elevata e potrebbe portare alla conseguenza negativa di escludere dall’organo di rappresentanza una fetta molto rilevante di elettori (S. Trovato, “Sentenza costituzionale n. 1 del 2014, tra crisi del sistema e test di ragionevolezza, arriva una riforma elettorale obbligatoria”).
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Sono previsti meccanismi per garantire la presenza delle minoranze
linguistiche;
•
La versione definitiva dell'Italicum (approvata dalla Camera) non detta
norme per il Senato, nella prospettiva di una sua abrogazione.
Le Regioni sono divise in collegi e ad ogni Regione e ad ogni collegio spetta un
determinato numero di seggi in proporzione ai suoi abitanti.
E’ il Presidente della Repubblica che stabilisce con decreto, al momento di indire le
elezioni, il numero dei Deputati da eleggere per ogni Regione e collegio sulla base
dei dati dell’ultimo censimento della popolazione.
I seggi spettanti a ciascuna lista o coalizione vengono distribuiti sul territorio
proporzionalmente ai voti ricevuti nelle singole Regioni e nei singoli collegi
plurinominali.
47E’ chiaro l’intento di favorire la polarizzazione del sistema attorno a due
schieramenti, di semplificare l’offerta politica, di ridurre il potere di mediazione dei
piccoli partiti, invogliati a coalizzarsi (dunque a schierarsi senza ambiguità) fin dalla
prima tornata elettorale anche per beneficiare di una più bassa soglia di sbarramento.
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La dottrina ha espresso forti critiche per la soluzione delle liste brevi: nonostante l’aspetto positivo di garantire la conoscibilità dei candidati, vi è il rischio concreto che “in un sistema proporzionale la distribuzione nazionale o comunque pluricircoscrizionale dei seggi renda nuovamente indeterminato il rapporto elettore – eletto”.
Non è detto che la scelta di riproporre le liste bloccate più corte e su collegi più piccoli sia sufficiente a garantire “la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare” (G. D’Elia, “Legge elettorale: qualche chiarimento sull’Italicum così com’è”).
Il Governo è delegato a ridisegnare i collegi elettorali, entro 45 giorni, sulla base dei criteri indicati dalla legge.
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Il modello di allocazione dei seggi ricorda molto da vicino quello dell’elezione del Sindaco con un misto tra Comuni sopra e sotto i 15.000 abitanti. Nei Comuni piccoli infatti al candidato Sindaco vincente basta un voto in più del secondo per vincere e ottenere il premio di maggioranza (nell’Italicum bisogna superare la soglia del 37%); nei Comuni grandi invece, se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta, è necessario un secondo turno (come nell’Italicum in caso nessuno raggiunga il 37%).
Allocati i seggi al primo, dopo uno o due turni di votazioni, i restanti sono ridistribuiti su base puramente proporzionale all’interno di un Collegio unico nazionale.
La legge elettorale dei Sindaci non prevede soglie esplicite, tuttavia il numero limitato di posti in Consiglio comunale, sommata all’elevato numero di liste concorrenti, induce soglie implicite non molto diverse da quelle proposte dall’Italicum (P. Balduzzi e M. Bordignon, “Il Sindacum di Italicum”).
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Il sistema elettorale è la regola del gioco per eccellenza ed esse si scrivono per durare a lungo, con lo sguardo volto al futuro, avendo in mente il sistema politico di domani (B. Fiammeri, “Riforme con il buco – senza una norma che estenda l’applicazione dell’Italicum anche al Senato non si può votare – elezioni anticipate più lontane”).
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Quest’esigenza di governabilità e speditezza del processo decisionale sembra
tuttavia prevalere in modo eccessivo e sproporzionato sulla necessità di garantire la
rappresentatività delle Camere.
49Luigi Sturzo diceva che “la legge elettorale, dopo la Costituzione, è la più importante nell’ordine costituzionale”; le ragioni di questa affermazione sono palesi: è innegabile che il destino del Paese sia collegato alla legge elettorale perché essa racchiude in sé, più di qualsiasi altra, un carattere che è necessariamente politico.
Quello che si è verificato in Italia con la sentenza n. 1 del 2014 è grave in quanto in futuro si dovrà confidare nella surreale “costituzionalità sopravvenuta della legge elettorale, categoria nuova e opposta rispetto all’incostituzionalità sopravvenuta delle leggi, familiare ai giuristi”.
La luce guida della nuova riforma elettorale dovrebbe essere quella di favorire la rappresentanza reale, assicurando non solo la partecipazione effettiva, ma un valore e un senso al voto, altrimenti la situazione politica resterà così come dipinta da Montale in una manciata di versi sul nostro Paese: Piove
sulla Gazzetta Ufficiale qui dal balcone aperto, piove sul Parlamento, piove su via Solferino, piove senza che il vento smuova le carte
(S. Trovato, “Sentenza costituzionale n. 1 del 2014, tra crisi del sistema e test di ragionevolezza, arriva una riforma elettorale obbligatoria”).
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In particolare suscita perplessità la previsione di un premio di maggioranza che regala alla coalizione vincente un bonus che vale più del 50% dei voti effettivamente raccolti (esattamente il 51,4%).
Il valore del voto “in uscita” a favore della lista o coalizione vincente è più che doppio rispetto a quello espresso per le restanti liste o coalizioni e questo sacrifica in misura sproporzionata il principio di eguaglianza del voto. La stessa legge elettorale greca, che introduce un correttivo considerato comunemente “iper – maggioritario” , assegna alla lista che ottiene il 39% dei voti ulteriori cinquanta seggi (sui trecento complessivi) e pertanto attribuisce un premio del 16,6%; rispetto all’Italicum essa prevede quindi una soglia più alta di accesso e assegna un premio più basso (G. Sciacca, “Riflessi ordinamentali dell’annullamento della l. n. 270 del 2005 e riforma della legge elettorale”).
Non possiamo esaltare solo l’obiettivo della governabilità, dimenticando che esso deve rimanere e convivere in una struttura costituzionale che mostra di preferire che certe funzioni e certi momenti della vita istituzionale (pensiamo alla revisione costituzionale o all’elezione del Presidente della Repubblica) siano il più possibile gestiti in modo non unilaterale (A. D’Aloia, “La sentenza n. 1 del 2014 e l’Italicum”).
La governabilità è assunta come il valore supremo da dover perseguire in una moderna e matura democrazia rappresentativa. Essa è certamente assicurata nel migliore dei modi da un sistema elettorale maggioritario, il quale tende per sua stessa natura a semplificare enormemente il quadro politico, lasciando a contendersi la vittoria pochi attori principali ed esautorando i partiti minori da qualsiasi possibilità di poter influenzare i processi decisionali del Governo. In linea di massima questo schema è auspicabile al fine di garantire l’omogeneità e il decisionismo degli esecutivi. La nostra democrazia sembra essere carente in fatto di maturità, fattore necessario per poter permettere l’accettazione di una divisione sostanzialmente bipolare dell’arena politica.
La nostra immaturità e difficoltà nell’accettare una divisione sostanzialmente bipartitica del campo politico (è questo l’obiettivo di fondo che sembra prefiggersi l’Italicum) derivano dalla nostra storia e ricchezza culturale (in questo caso si traduce in frammentazione).
La Repubblica italiana rientra nel campo delle democrazie consensuali o consociative, cioè caratterizzate da un elevato grado di frammentazione culturale, oltre che sociale ed economica. L’Italia dei comuni, delle forti identità culturali e delle radicate contrapposizioni ideologiche non ha potuto storicamente generare un elettorato facilmente mobile. In queste democrazie, con elettorati ingessati e variegati, sono le elites che tendono a trovare un accordo di vertice e l’unica maniera
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L’effetto distorsivo dell’Italicum sembra correggersi nel turno di ballottaggio, nel
quale vengono votate le due coalizioni che hanno ottenuto al primo turno il maggior
numero di voti senza aver raggiunto la soglia del 37% , ma questa correzione non fa
venir meno il vizio di fondo.
Tale effetto è ulteriormente aggravato dalla previsione di soglie di sbarramento
particolarmente alte: 4,5% per le liste coalizzate, 8% per le liste non coalizzate e
12% per le coalizioni. Esse potrebbero essere ritenute eccessive perché sacrificano la
rappresentatività delle Assemblee elettive alla riduzione della loro frammentazione
politica, aggiungendosi al premio di maggioranza (già di per sé riduce la
rappresentatività suddetta).
50Quanto alle liste bloccate, ribadito che la previsione di un voto di preferenza, pur
nell’ambiguità sul punto della decisione della Corte, non costituisce un imperativo
costituzionale, si può considerare adeguata la lunghezza massima di sei candidati per
lista, prevista dalla bozza in discorso.
51possibile per ottenere questo risultato è una convergenza verso posizioni moderate di centro, in quanto nessun partito, preso singolarmente, è in grado di esprimere una posizione maggioritaria. Chi voglia restare fedele ad un principio che rispecchi, nella maniera più pura possibile, il concetto di democrazia non può evitare di prediligere un sistema proporzionale. Sul fronte opposto si schiererà chi avrà come obiettivo principale la stabilità dei Governi, essendo disposto a delimitare radicalmente il valore della rappresentanza. Il sistema maggioritario, apparentemente più appetibile e concreto, limita fortemente l’arco delle opzioni dell’elettore, celando un meccanismo potenzialmente pericoloso. L. Canfora sostiene: “Si costringe l’elettore a scegliere, se vuol esprimere un voto “utile” , non indiscriminatamente, ma tra quelle determinate opzioni. E poiché le opzioni “utili” convergono verso il centro, è tendenziale che gli eletti siano, in larga misura, espressione degli orientamenti moderati; dato il costo della elezione, essi appartengono, per lo più, ai ceti medio – alti (tradizionalmente moderati). In questo modo si determina, per altra via, il fenomeno caratteristico dell’epoca nella quale vigeva il suffragio ristretto: l’emarginazione dei ceti meno “competitivi” e il drastico ridimensionamento della loro rappresentanza” (D. Parascandolo, “L’Italicum tra governabilità e democrazia”).
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Non è senza rilievo, inoltre, che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (nella risoluzione del 18 aprile 2007) abbia affermato che nelle elezioni politiche di democrazie consolidate non dovrebbero essere applicate soglie di sbarramento superiori al 3%, pur riconoscendo l’ampio spazio di discrezionalità del quale gode in materia il legislatore.
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Il voto “bloccato” (senza preferenze) in circoscrizioni molto piccole (come sembra delinearsi nel modello dell’Italicum) potrebbe mantenersi dentro i binari tracciati dalla Corte, a condizione però che venga mantenuto il divieto delle candidature multiple (la stessa Corte Costituzionale ha identificato queste ultime come uno degli elementi di irragionevolezza della disciplina delle liste “bloccate”). Tale voto è stato in un certo senso uno dei simboli della profonda crisi di credibilità e di legittimazione della politica in questi anni. L’immagine del “Parlamento dei nominati” traduceva bene il senso di una “frattura” percepita tra il voto e la rappresentanza, che aveva proprio nelle liste bloccate il suo principale strumento.
Non si vuole negare che le preferenze possano comportare dei rischi; si tratta però di inconvenienti che possono essere affrontati e limitati, “trattati normativamente”, senza arrivare alla soluzione radicale di escludere il modello. L’aumento dei costi della campagna elettorale può essere variamente ed efficacemente contrastato, come pure il rischio di infiltrazioni di interessi illeciti. Quanto alla