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L'infanzia abbandonata in Italia in età moderna. Una rassegna storiografica

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

La mattina di Capodanno, a Firenze, la piccola Daniela viene affidata alla ruota. La madre ha preferito ricorrere a questo mezzo per scongiurare ulteriori pericoli per la bambina e salvarla da morte certa. Dietro le cure nel lavare la bimba e nell‟avvolgerla nel suo caldo fagottino si legge il dolore per una scelta d‟amore estrema, dettata dalla più cruda miseria e dal‟incertezza per il domani. Tra le pieghe della copertina, infatti, la piccola Daniela riporta un bigliettino di carta con un messaggio da parte della mamma, forse una preghiera perché la bambina riceva le cure necessarie. Una volta fatto suonare l‟allarme e attivata la ruota, la bambina è prelevata, soccorsa e nutrita, in attesa dell‟avvio delle pratiche di adozione.

Soltanto la data separa la vicenda della piccola dal drammatico fenomeno delle esposizioni di infanti che ha caratterizzato soprattutto l‟Europa mediterranea e l‟Italia in età moderna: il 20151. L‟aumento di abbandoni e infanticidi- i tristemente famosi “bambini nel cassonetto”- legato a fattori sociali come crisi economica, violenze di genere e migrazione, ha riportato all‟attenzione dell‟opinione pubblica il problema dell‟infanzia abbandonata. L‟incidenza del fenomeno, unita alla prevedibile incapacità dei poteri centrali nella risoluzione delle sue complesse cause, ha favorito la creazione, da parte di privati, di progetti di assistenza per la tutela dei neonati e delle madri disperate. Dopo quasi un secolo e mezzo dalla sua abolizione, è stata ripristinata la ruota, che solo

l‟impianto tecnologico distingue dalla sua antenata del passato2

. La garanzia

1 La storia della piccola Daniela è apparsa su La Repubblica del 3 gennaio del 2015

2Cfr.http://www.ninnaho.org/xnews/apl/_private/cli/INEWSa97a94aGGG/att/RS_LA_REPUBBLICA_FIRE

NZE_2015-01-03.pdf; http://www.regione.toscana.it/-/progetto-mamma-segreta; https://www.nph-italia.org I link riportati fanno riferimento al progetto “Ninna oh”, delle fondazioni Francesco Rava e N.PAG.H. Italia, che, dal 2008, si pone l‟obiettivo di informare le donne in difficoltà sulla possibilità di godere del diritto al parto in anonimato o di poter affidate i neonati alle culle termiche, le nuove ruote, presso quelle strutture ospedaliere che hanno aderito al progetto. Il progetto “Mamma Segreta”, invece, promosso dalla

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dell‟anonimato e la certezza di cure hanno incentivato, negli ultimi anni, molte madri, fino a trenta per anno, ad affidare i propri bambini a queste strutture ospedaliere, che si occupano anche dell‟avvio delle pratiche di adozione. Dinamiche attuali che riflettono quelle del passato. Dopo un parto domestico o in luoghi di fortuna, quella madre che non può allevare la sua creatura ma che non riesce nemmeno a destinare a morte certa il frutto di un amore, di un incontro occasionale o di uno stupro, dopo averlo lavato e vestito o dopo averlo cullato almeno una volta, lo infagotta in una copertina e preme il pulsante nero della ruota posta nel retro dell‟ospedale. Una volta deposto il delicato carico e chiusa la saracinesca, una webcam attiva l‟allarme per l‟accoglienza e le prime cure. Come nel caso di Daniela, la madre lascia un ultimo messaggio d‟amore su un bigliettino di carta: non tanto speranza di un ricongiungimento futuro, quanto preghiera perché la figlia sopravviva e venga affidata ad una nuova famiglia.

L‟attualità del fenomeno stimola a riflessioni in genere sull‟infanzia di oggi, un‟infanzia scomparsa3, fatta di bambini di serie A divenuti strumenti del consumismo mediatico ed industriale e di bambini di serie B, fantasmi costretti al lavoro nero o bambini-soldato, vittime anche delle guerre più recenti. Tra tutti questi, oggi come nel passato, continuano ad esserci i figli di papà, i figli di povera gente e i figli di nessuno.

Oggetto del presente lavoro è una descrizione del fenomeno dell‟infanzia abbandonata e del suo rapporto con società e potere nell‟età moderna. Gli esposti, gli orfani ed i trovatelli-i senza famiglia- hanno affidato ora a strutture private, laiche od ecclesiastiche,

Regione Toscana, nasce in fase sperimentale nel 1999 e diventa operativo sei anni dopo (2005). L‟obiettivo è prevenire l'abbandono alla nascita e costruire un percorso di prevenzione e di tutela che permetta alla donna in difficoltà di affrontare con consapevolezza la propria situazione sia che decida di tenere il bambino sia che decida di non riconoscerlo, partorendo quindi in anonimato. La legge italiana, infatti, garantisce infatti il diritto per tutte le donne, comprese le extracomunitarie e le donne in condizioni di clandestinità, di partorire in anonimato gratuitamente ricevendo la necessaria assistenza sanitaria per loro stesse e per il bambino.

3 Cfr. F. Cambi-L. Trisciuzzi, L‟infanzia nella società moderna. Dalla scoperta alla scomparsa, Roma,

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ora allo Stato il ruolo giuridico ed educativo di padre e madre. Visti come un problema morale o un onere economico, i bambini abbandonati, se sopravvivono, possono però costituire, per la società che li ha allevati, una risorsa importante: come lavoratori e lavoratrici; come padri e madri di famiglia; come soldati .

Questo lavoro di tesi nasce una seconda volta, dopo una prima stesura preceduta da una breve fase di ricerca d‟archivio sull‟Ospedale dei Trovatelli di Pisa negli anni della dominazione francese. L‟ampia bibliografia specifica già presente e lo scarso numero di documenti inediti, che avrebbero reso insufficiente un lavoro dedicato specificatamente alla struttura pisana, hanno consentito, invece, una trattazione di più ampio respiro sul tema dell‟infanzia abbandonata, sulle sue dinamiche e sui suoi attori principali nel più ampio intervallo temporale dell‟età moderna. La citazione di alcuni dati e documenti relativi al caso pisano, dunque, vanno intesi come una conferma o un approfondimento di quanto esposto generaliter.

Premessa al tema dell‟esposizione è una introduzione sul sentimento dell‟infanzia e sulla sua evoluzione, sul piano sociale e pedagogico. In un percorso diacronico che ha come due estremi gli inizi dell‟età moderna e la fine del XX secolo viene affrontato il tema dell‟infanzia come immaginario; come scoperta, cioè l‟approccio storiografico alla storia dell‟infanzia; infine, come fatto sociale, ossia il significato che il bambino assume in relazione alle realtà istituzionali della famiglia e dello Stato.

Nel primo caso viene preso in esame il progressivo interesse che filosofi ed intellettuali, in età moderna, hanno per questa delicata età. Il bambino, da tabula rasa, diventa uomo in

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percorso di crescita del bambino deve prevedere la trasmissione di codici comportamentali per la costruzione dell‟età adulta. Il bambino, cioè, dovrà imparare atteggiamenti e linguaggio consoni al ruolo sociale da assumere in futuro, sia esso quello di re come di mercante o intellettuale. In questo contesto, gli ultimi decenni del XVIII secolo apportano significative novità. Una nuova sensibilità per l‟aspetto affettivo e la responsabilità genitoriale fanno dell‟infanzia una fase della vita cui si deve riservare un‟attenzione diversa. Se per un verso il modello giacobino tende ad un rigido e spartano progetto educativo, al fine di creare una società di cittadini devoti ad un Stato che sostituisce il ruolo di padre e madre; dall‟altro lato, gli ideali russoviani pongono al centro dell‟attenzione il rispetto per l‟autonomia del bambino, il cui percorso formativo è dettato dai tempi della natura. Educazione ed istruzione vengono a costituire, in ogni caso, un importante filtro per l‟infanzia ed ai fanciulli viene riservata maggiore attenzione per i loro spazi, le loro peculiarità, i loro bisogni affettivi. L‟infanzia, una volta scoperta, viene separata in modo netto dal mondo degli adulti, ove i bambini rientreranno solo alla fine del loro percorso di maturazione e di formazione.

Negli anni Sessanta del secolo scorso vedono la luce numerosi studi sull‟argomento, che non prescindono da un confronto con autori di saggi, molto criticati ma comunque considerati spartiacque, come Padri e Figli nell‟Europa medievale e moderna di Philippe Ariès e Storia dell‟infanzia di Lloyd De Mause. Se per il secondo la storia sociale va riletta secondo il filtro della psicogenetica, ossia della storia dell‟evoluzione dei rapporti affettivi, la questione principale posta da Ariés è capire in che modo la famiglia e l‟evoluzione dei sentimenti che ruotano intorno ad essa possano divenire oggetto di attenzione e studio da parte di uno storico. Secondo l‟autore, la scoperta dell‟infanzia e la sua conseguente separazione dal mondo adulto, segnerebbe la fine di una fase libera e felice per il bambino che viveva in simbiosi con la comunità. Inoltre, il carico di

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aspettative riposte dal genitore nel bambino e la sua separazione dalla dimensione sociale e comunitaria, fanno dell‟infanzia una chiave di lettura della progressiva affermazione nel contesto storico e sociale della borghesia. La scoperta del sentimento dell‟infanzia, la progressiva separazione del bambino dal mondo adulto e la creazione di un universo parallelo di stanze di gioco e uniformi da scolari diventano, dunque, strumenti di storia di genere per l‟analisi dell‟evoluzione sociale.

Se finora l‟idea di infanzia si è sposata all‟idea di famiglia, diventa ancora più interessante indagare sulla percezione di quell‟infanzia a cui i sentimenti sono negati, così come i giochi o l‟istruzione da futura classe dirigente. “Se i bambini nobili giocavano con i soldatini, i fanciulli abbandonati erano soldatini essi stessi, condannati ad essere usati come tali da adulti4”: sono i bambini di strada, i trovatelli e gli esposti. Se poco si può conoscere dei sentimenti che dilaniavano le giovani madri costrette a disfarsi del figlio che per nove mesi avevano portato in grembo, è ampia, tuttavia, la documentazione e la saggistica riguardante l‟evoluzione delle dinamiche dell‟abbandono e il sentimento di società e potere verso i piccoli abbandonati.

Il secondo capitolo della tesi cercherà di delineare il delicato rapporto tra questi due gesti e la loro percezione nell‟immaginario collettivo, popolare e letterario. L‟atteggiamento e le aspettative dei genitori, oltre alla debole speranza di vita, sono le uniche differenze che rendono più umano l‟abbandono. Da pratica accettata, seppure esecrata come peccato, l‟infanticidio invece evolve in reato punibile con la pena capitale, in favore dell‟esposizione dei neonati presso strutture apposite per l‟accoglienza. È un‟evoluzione che risente fortemente del condizionamento sia dello Stato che della morale cattolica che

4 S. Polenghi, Fanciulli soldati. La militarizzazione dell‟infanzia abbandonata nell‟Europa moderna. Roma,

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prediligono e favoriscono rispetto all‟infanticidio l‟atto dell‟esposizione, al fine di una politica natalista e di una ridefinizione del ruolo della famiglia. L‟affermazione della famiglia come nucleo sociale, prima che affettivo, accompagna l‟evoluzione politica dello Stato, di un potere centrale che ha tra i suoi obiettivi la cura, l‟educazione e, soprattutto, il controllo dei suoi sudditi. La famiglia, nelle sue componenti umane e materiali, va, dunque, tutelata così come va tenuto sotto controllo il numero dei bambini abbandonati in istituti sempre più gremiti e in difficoltà economiche. Questo duplice obiettivo può essere interpretato come la causa dell‟evoluzione della filiazione. I figli naturali vengono associati agli spurii e confluiscono in quel gruppo indistinto di illegittimi, estromessi dall‟eredità e dall‟obbligo paterno al loro mantenimento. La figura paterna viene protetta dalle istituzioni e scompare progressivamente nel concorso di colpa dell‟abbandono, lasciando la madre come unica responsabile, vittima e colpevole di un atto d‟amore trasformato in crimine. Il destino delle madri infatti non muta perché, soggette a processi, umiliazioni e torture una volta accusate di infanticidio, rimangono le uniche responsabili anche in caso di abbandono o esposizione.

I figli illegittimi diventano tout court figli della colpa e come tali vanno reclusi, allontanati dalla società e rieducati. Il brefotrofio viene adibito quindi all‟esclusiva accoglienza di questa categoria di bambini, figli del peccato o di una colpa nascosta. E invece, gli ospedali per trovatelli pullulano di bambini, troppi perché non venga il sospetto che, più che di un onore perduto, siano figli della miseria più nera. Abbandonati alla ruota, discreta garante d‟anonimato, perché ennesime bocche da sfamare in una famiglia già afflitta dalla povertà, i figli legittimi sembrano essere, a partire dal XVIII secolo, i principali fruitori dell‟assistenza all‟infanzia abbandonata. Tra i motivi causa del boom degli abbandoni si possono quindi annoverare, oltre ad una certa trasformazione dei costumi, anche

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l‟aumento della povertà ed il conseguente ricorso al lavoro femminile, che riduce per le madri il tempo da dedicare al piccolo. Solo quando i numeri degli esposti diventeranno insostenibili per le esigue finanze delle strutture assistenziali e aumenterà il tasso di mortalità infantile, i governi centrali attiveranno una serie di riforme atte al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei piccoli assistiti, ma soprattutto ridefiniranno i criteri di accoglienza. Si viene a creare un doppio canale per cui, oltre al ricorso alla ruota, anche un genitore può affidare temporaneamente all‟istituto il proprio neonato, restando tuttavia esente dall‟onere di risarcimento, previi rigidi controlli ed attestazioni dello stato di estrema indigenza o di impossibilità materna a nutrire autonomamente il bambino. Si attiva così la pietosa macchina di una solidarietà sociale che vede parroci e medici certificare le effettive, talvolta presunte, indigenze o difficoltà per quelle famiglie che vogliono affidare per dodici mesi il proprio figlio a balia ma non hanno soldi per poterselo permettere. Parallelamente, nei decenni di passaggio dal XVIII al XIX secolo, l‟intervento dello Stato mira alla responsabilizzazione del ruolo genitoriale, incentivando tramite sussidi le madri a tenere il bambino. Un‟attenzione politica funzionale che appare più attenta al contenimento delle esposizioni ed al risparmio economico piuttosto che al valore affettivo. Il periodo napoleonico, del resto, oltre al rigore burocratico, non interviene in altro modo nelle sorti degli ospedali, che restano precarie sia per la gestione dei grandi numeri di bambini che per la situazione finanziaria. Il divieto nella ricerca della paternità sancito dal Codice Napoleonico, inoltre, mantiene elevate le percentuali di bambini esposti da genitori sconosciuti. Agli ospedali spetta quindi il compito di continuare il loro lavoro di accoglienza di centinaia di neonati e di affido a baliatico dei pochi che sopravvivono. I tassi di mortalità in questo periodo restano molto alti, nonostante, soprattutto in Toscana, nei periodi precedenti siano state prese delle misure per migliorare l‟aspetto igienico-sanitario dei brefotrofi. Dal 1755, a Siena, e dal 1784 in tutta la Toscana, le strutture di

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assistenza all‟infanzia abbandonata iniziano a seguire le indicazioni dei nuovi Regolamenti, che prescrivono nuovi criteri sull‟alimentazione delle balie, sull‟uso del latte artificiale, sulla dislocazione nell‟edificio di ambienti più salubri. Sull‟affido a balie di campagna o tenutari, caldeggiato per lenire le spese di mantenimento della struttura, si provvede ancora una volta delegando i parroci e i medici nella scelta delle persone più adatte al compito di allevare ed educare una creatura.

Ai Regolamenti di fine Settecento segue, nel 1805, il Motuproprio della Regina di Etruria Maria Luisa, appartenente al ramo spagnolo dei Borbone, a regolare più che altro gli abusi perpetuati da genitori legittimi, che sfruttano l‟anonimato garantito dalla ruota per evitare il risarcimento delle spese di mantenimento. Viene consentito l‟accesso ai figli legittimi solo per motivazioni derivanti dalla estrema povertà o dallo stato di salute della madre. Le madri che, invece, possono allattare, ma sono prive di mezzi, vengono assunte come balie all‟interno della struttura. Sono quindi donne e bambini i protagonisti di storie fatte di suppliche e miseria, di esistenze precarie, puntigliosamente catalogati nei Registri dello Spedale. Realtà che restano drammaticamente immutate nonostante il passaggio di anni e governi. La lettura comparata dei regolamenti, da quello del 1784 alle leggi per i Maires d‟età napoleonica, rende evidente la reiterazione di misure che restano uguali nel tempo. Ne sono un esempio i rapporti con balie e tenutari oppure le responsabilità dei parroci come tramiti tra la struttura e la popolazione; ma anche le difficoltà economiche ed il problema dell‟educazione dei fanciulli.

Se gli studi sull‟infanzia abbandonata sono rari fino agli ultimi decenni del XX secolo, è a partire dagli anni Novanta che la bibliografia sull‟argomento si arricchisce e porta le firme

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di storici, demografi, sociologi, antropologi italiani e stranieri5. I temi degli studi spaziano dall‟analisi quantitativa dei flussi di abbandono e della mortalità all‟interno dei brefotrofi fino all‟interpretazione dei problemi giuridici legati alla filiazione. Di particolare interesse, e tali da considerarsi probabilmente stimolo e punto di partenza per i lavori successivi sia per quel che riguarda i criteri di ricerca che l‟uso delle fonti, è lo studio condotto da Volker Hunecke sulla Pia Casa di Santa Caterina in Milano dal XVII al XIX secolo, le cui ricerche hanno impegnato lo storico tedesco per circa otto anni. 6.

L‟istituzione di strutture destinate all‟accoglienza e gestione dei trovatelli rende necessaria la creazione di paralleli archivi, costituiti dai registri sui quali sono annotati, oltre alle spese di mantenimento, anche le storie di ogni bambino che vengono a costituire la fonte principale delle ricerche sul tema. Dalla consultazione delle testimonianze d‟archivio si ricavano, dunque, i criteri organizzativi della struttura, la sua storia, la sua gestione quotidiana e i problemi economici 7. I documenti sono poi ricchi di notizie sui trovatelli, essendovi registrati il nome, la data ed il modo in cui sono stati esposti. La presenza di bigliettini o segni di riconoscimento che potessero ricondurre alla famiglia d‟origine offre la possibilità di analizzare le tipologie di bambini abbandonati: se figli legittimi affidati

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Nel 1989 viene pubblicato per la prima volta il lavoro dello storico tedesco Volker Hunecke sull‟infanzia abbandonata a Milano; nel 1991 escono gli atti del Convegno Enfance Abandonée; nel 1994 sono pubblicati, a cura di G. Da Molin, gli atti del Convegno “Infanzia abbandonata e baliatico in Italia, secc. XVI-XIX" , tenutosi a Bari nel maggio 1993; nel 1997 esce la raccolta, curata da G. Da Molin degli atti del Convegno di Bari dell‟ottobre 1996; nello stesso anno vengono pubblicati gli atti del Convegno di Treviso-Venezia del giugno 1996, a cura di C. Grandi; sempre nel 1997 viene pubblicato il numero speciale della rivista “Ricerche storiche” sul tema Legittimi e illegittimi. Responsabilità dei genitori e identità dei figli tra Cinque

e Ottocento, a cura di D. Lombardi.

6Nel 1981 inizia l‟‟attività di ricerca dello storico, che ha potuto avvalersi di collaborazione e consigli di

storici e ricercatori italiani, come D. Belluschi, C. Corsini, L. Dodi, B. Heinemann Campana, E. Paradisi, F. Reggiani, A. Taeger. Cfr. V. Hunecke, Premessa a I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famigli da parte

die espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna, Il Mulino, I ed. 1989, ppag. 7-10.

7 L. Fersuoch, Tipologia delle fonti sul baliatico dell‟Istituto S. Maria della Pietà di Venezia dal secolo VII

alla caduta della Repubblica, in G. Da Molin( a cura di), Trovatelli e balie in Italia, Bari, Cacucci, 1994;

F. Cavazzana Romanelli, Gli archivi ecclesiastici veneziani per la storia degli esposti, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda. L‟infanzia abbandonata nel Triveneto (secc. XV-XIX), Treviso, Edizioni Fondazione Benetton Studi Ricerche/Canova, 1997.

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alla struttura solo temporaneamente a causa della miseria o se figli di genitori sconosciuti e, pertanto, avviati ad una nuova identità. Nei dossier su ogni bambino accolto nell‟istituto, si leggono, infine, le notizie su tutti gli spostamenti, dal baliatico alla famiglia di affidatari, fino alla sua, morte o, nei casi più fortunati, fino al ricongiungimento familiare o all‟avviamento al lavoro, per i maschi, e alla collocazione matrimoniale, per le ragazze.

La presenza di consuetudini simili, come quella di accompagnare l‟esposto con oggetti di riconoscimento, fornisce chiavi interpretative, sui rapporti tra genitori e figli8: il più delle volte spezzati dalla miseria, spesso legati al sottile filo di una catenella. Quella famiglia che intende affidare alle cure del brefotrofio il proprio figlio, ma che non ha le risorse economiche necessarie per ripagare le spese di mantenimento, usufruisce dell‟anonimato garantito dalla ruota ed espone la propria creatura come se fosse figlia di nessuno. Solo due parole scritte o una mezza medaglietta possono però rappresentare per questi sfortunati genitori la prova, qualora le condizioni familiari migliorassero, per riconoscere il proprio bambino e riprenderlo con sé. Spesso però la sorte di questi oggetti tagliati a metà è di restare tali, così come le identità e la dimensione affettiva dei loro padroncini. Una promessa non mantenuta, il sogno non avverato di una giovane donna disonorata che vuole, una volta maritata, riabbracciare la sua bambina o il suo bambino. Altrimenti interpretato come rituale dell‟abbandono, il segno di riconoscimento acquista significato per se stesso: talismano o viatico per l‟ingresso nel mondo, laddove manca la guida di un padre e di una madre.

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cfr. F. Doriguzzi, I messaggi dell‟abbandono: bambini esposti a Torino nel „700, in Quaderni storici, 53, 1983; F. Doriguzzi, Vestiti e colori dei bambini: il caso degli esposti, in Enfance cit.; C. Grandi, Il segno

del segreto, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda. L‟infanzia abbandonata nel Triveneto (secc. XV-XIX), Treviso, Edizioni Fondazione Benetton Studi Ricerche/Canova, 1997; E.

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Dalla comparazione degli studi sui brefotrofi, appare dunque evidente una notevole continuità di comportamenti. Nonostante la realtà politica frammentata dell‟Italia pre-unitaria, molte pratiche istituzionali legate alla tutela degli esposti risultavano comuni nei diversi Stati italiani. In molti casi, le origini erano ecclesiastiche fino a quando non subentrava, o non vi si accompagnava, il controllo dello Stato9. Un‟Italia, quindi, unita nella gestione di un‟emergenza dai grandi numeri, come quella dei bambini abbandonati10

, che comporta enormi oneri di spesa, non facilmente sostenibili11. Ciononostante gli istituti dedicati all‟assistenza dei trovatelli cercano sempre di offrire loro un‟educazione adeguata

9 Per la storia dei brefotrofi italiani cfr:. C. Buccianti, S. Maria della Scala di Siena: l‟infanzia abbandonata

in età moderna, in G. Da Molin(a cura di ), Senza famiglia: modelli demografici e sociali dell‟infanzia abbandonata e dell‟assistenza in Italia ( secc. XV-XX): atti del Convegno di studio, Bari 22-23 ottobre 1996,

Bari, Cacucci, 1997; A. Carbone, Il Sacro Monte di Pietà di Bari e l‟assistenza all‟infanzia abbandonata, in G. da Molin(a cura di), Forme di assistenza in Italia dal XV al XX secolo, Udine, Forum, 2002; E. Christillin, Un conservatorio maschile di ancien régime: l‟Albergo di Virtù a Torino nella seconda metà del

secolo XVIII, in G. Da Molin(a cura di ), Senza famiglia, cit.; L. Codarin Miani, Santa Maria della Misericordia: un ricovero per gli esposti a Udine nel periodo 1656-1755, in Enfance abandonnée, cit.; C.

Corsini, Una “inondante scostumatezza”. Gli esposti dell‟Ospedale degli Innocenti di Firenze, 1840-1842, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit.; M. Garbellotti, Un brefotrofio per più città: la Domus

Pietatis di Verona (secolo XVIII), in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit.; J. Schiavini Trezzi, Per la storia dell‟assistenza agli esposti in Bergamo. L‟Ospedal Grande di San Marco e il suo archivio (secoli XV-XVIII), in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit; C. Schiavoni, Gli infanti esposti del Santo Spirito in Saxia di Roma tra ‟50 e „800, in Enfance abandonnée , cit.

10 D.Gazzi –A. Zannini, Redditi da baliatico e integrazione sociale degli esposti in una comunità montana

del seolo XIX, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit.; C. Grandi, Il baliatico esterno nel “Piano di generale regolazione del Pio Ospitale della Pietà” di Venezia nel 1791, in G. Da Molin( a cura di), Trovatelli e bali , cit.; G.Tanti, Un problema di storia istituzionale e sociale sotto il Granducato di Toscana: infanzia abbandonata presso gli Spedali Riuniti di Pisa dalla Restaurazione all‟Italia Unita, a

cura di PAG. Napoleone, Pisa, 1997;

11 Per le modalità organizzative cfr.: D. Bolognesi- C.. Giovannini, Gli esposti a Ravenna tra Sette e

Ottocento, in E. Sori, Città e controllo sociale cit.; E. Bressan, Povertà e assistenza in Lombardia nell‟età napoleonica, Roma-Bari, Laterza, 1985; S. Cavallo, Bambini abbandonati e bambini “in deposito” a Torino nel Settecento, in Enfance abandonnée cit.; G. Da Molin, Illegittimi ed esposti in Italia dal Seicento all‟Ottocento, in La demografia storica delle città italiane, Bologna, 1982; G. Da Molin, Modalità dell‟abbandono e caratteristiche degli esposti a Napoli nel Seicento, in Enfance abandonnée cit.; G. Di

Bello, Senza nome nè famiglia. I bambini abbandonati nell‟Ottocento, Firenze, Manzuoli, 1989; R. Ferrari,

Organizzazione territoriale delle strutture assistenziali a Bologna tra la fine del „700 e i primi anni dell‟800, in E. Sori, Città e controllo sociale, cit.; S. Raffaele, Il problema degli esposti in Sicilia, in Enfance abandonnée cit.; F. Reggiani-E. Paradisi, L‟esposizione infantile a Milano fra Seicento e Settecento: il ruolo dell‟istituzione, in Enfance abandonnée cit.; G. Tanti, Poveri, orfani ed infanzia abbandonata: l‟assistenza a Pisa nell‟età della Restaurazione, in Un città in movimento. Società, cultura ed istituzioni a Pisa nell‟età della Restaurazione, Pisa, Giardini, 1985; M.A. Teti, L‟amministrazione della pubblica beneficenza in Calabria Ultra dal 1809 al 1830, in E. Sori, Città e controllo sociale, cit.

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al genere ed all‟età, sostituendosi alle famiglie d‟origine ed assumendo il ruolo giuridico di pater familias12.

I bambini abbandonati sono accolti in strutture già in età medievale, ma è dal XV secolo che si moltiplicano gli ospedali per esposti. Le modalità di accettazione dei neonati sono molto simili: che venisse chiamato tornio o pila, i neonati erano deposti dalla strada su una ruota collegata all‟interno dell‟edificio. In molti casi, i bambini, che non sempre giungevano già battezzati, venivano registrati come figli di parenti ignoti e, in qualche caso, recavano con sé un piccolo corredo tra cui i segnali o bigliettini, da cui poter ricavare informazioni sulle origini e sui genitori. Appena entrati, erano affidati a balie per essere allattati all‟interno dell‟ospedale e, in un secondo momento, consegnati a balie di campagna ed a famiglie affidatarie, che ricevevano, oltre al salario, il compito di allevare e educare i trovatelli13. In molte strutture, il problema dell‟inserimento in società di questi ragazzi una volta cresciuti era affrontato delegando alle famiglie dei custodi o, nella

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Per la filiazione cfr.: G. Arrivo, Legami di sangue, legami di diritto (Pisa, secc. XVI-XVIII), in (a cura di D. Lombardi), “Ricerche storiche”, XXVII (1997), n. s. dedicato a Legittimi e illegittimi. Responsabilità dei

genitori e identità dei figli tra Cinque e Ottocento; A..Bianchi, La deresponsabilizzazione dei padri (Bologna secc XVI-XVII), in (a cura di D. Lombardi), Legittimi e illegittimi. , cit.; A. Bianchi, Madri e padri davanti al tribunale arcivescovile. Conflitti per il mantenimento dei figli illegittimi a Bologna alla fine del Cinquecento, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit.; B. Bortoli, L‟affidamento degli esposti tra controllo sociale ed economicismo assistenziale nell‟Ottocento, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit.; G. Di Bello, La valorizzazione dell‟amore materno. Percorsi legislativi nella Firenze dell‟Ottocento,, in (a cura di D. Lombardi), Legittimi e illegittimi, cit.; D. Lombardi, Padri e madri: una questione di responsabilità, in (a cura di D. Lombardi), Legittimi e illegittimi, cit.; C. Povolo, Dal versante dell‟illegittimità. Per una ricerca sulla storia della famiglia: infanticidio ed esposizione d‟infante nel Veneto nell‟età moderna, in L. Berlinguer- F. Colao (a cura di), Crimine, giustizia e società veneta in età moderna,

Milano, 1989; PAG. Prodi, Il matrimonio tridentino e il problema dei figli illegittimi, in Per Giuseppe

Sebesta. Scritti e nota bio-bibliografica per il settantesimo compleanno, Trento, 1989; S. Raffaele, “Restando proibito l‟andarsi rintracciando gli occulti o incerti genitori di quei bambini che saranno portati alle ruote”.La percezione dell‟abbandono nella Sicilia Borbonica, in (a cura di D. Lombardi), Legittimi e illegittimi, cit.; S. Raffaele, Il caso siciliano. Forme alternative di famiglia: adozioni, legittimazioni e riconoscimenti nel secolo XIX, in C. Grandi(a cura di), Benedetto chi ti porta, cit.; F. Reggiani, Responsabilità paterna a Milano fra Sette e Ottocento, in (a cura di D. Lombardi), Legittimi e illegittimi,

cit.

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G. Cappelletto, Gli affidamenti a balia dei bambini abbandonati in una comunità nel territorio veronese

nel Settecento, in Enfance abandonnée cit.; L. Tittarelli, Le “balie di casa” e le “balie di fuori” nell‟ospedale di S.Maria della Misericordia di Perugia nel primo decennio del XVIII secolo, in Enfance abandonnée , cit.

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maggior parte dei casi, affidando i maschi ad artigiani o contadini per avviarli ad un mestiere.

Nei primi secoli dell‟età moderna, il lavoro dei trovatelli è legato alle arti corporative che li accettavano come apprendisti a bottega. È il caso dei figli della Pietà a Venezia o degli Innocenti di Firenze, il cui istituto stesso viene fondato per volontà dell‟Arte dei Setaioli nel 1445. Solo dopo il XVII secolo, al garzonato segue l‟istituzione dei conservatori, dove i bambini, a termine del baliaggio, avrebbero potuto apprendere un mestiere e ricevere l‟istruzione di base. Nel quarto capitolo si descrivono diverse realtà italiane, come i Martinitt a Milano o il Real Ospizio di Giovinazzo, in Puglia. A mutare è la funzione dell‟istituto che non è esclusivamente finalizzata alla sopravvivenza del bambino, ma viene incaricata anche della sua formazione. L‟apprendimento di un mestiere acquista una forte valenza educativa, di definizione di un ruolo sociale e, soprattutto, di prevenzione dal degrado sociale e dalla vita di strada14. A perseguimento di queste finalità educative è vietato l‟ozio, per cui la disciplina adottata dai conservatori maschili, ispirata a modelli monastici e soprattutto militari, scandisce la giornata dei ragazzi con preghiera, istruzione e lavoro15.

In alternativa, gli ospedali per i trovatelli divengono fonte preziosa per infoltire le fila degli eserciti di stato. Consuetudine avviata nel XVIII secolo da sovrani come Luigi XV in Francia o lo zar Pietro il Grande, la militarizzazione dell‟infanzia abbandonata sarà adottata anche in età giacobina e successivamente da Napoleone. L‟organizzazione francese si muove al fine di perseguire le mire imperialiste di Bonaparte. I brefotrofi, infatti, costituiscono una ampie fonte di materiale umano da poter mandare in guerra. Ogni

14 S. Polenghi, Fanciulli soldati., cit., pag. 13; G. Da Molin, L‟infanzia orfana in Italia nell‟Ottocento.

Modelli assistenziali e aspetti demografici e sociali, in La vita fragile, cit., pag. 19

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anno, quindi, i ragazzi censiti, siano stati essi orfani, trovatelli o abbandonati, vengono mandati a far parte della Guardia dei Pupilli, poi Guardie Imperiali. Combattere per l‟imperatore fornisce una possibilità di costruzione di un‟identità altrimenti inventata dal computista dello Spedale: un‟identità costituita da un numero, un posto in un Registro e di un nome e cognome privi di radici.

Per le ragazze la situazione era diversa. Se gli ospedali per trovatelli assegnavano a proprie spese una dote a tutte quelle fanciulle che contraessero un matrimonio, per quelle che restavano si prospetta l‟alternativa di andare a servizio presso famiglie o servire direttamente in istituto16. Come per i maschi, evolve anche per le femmine il ruolo assegnato dalla società. Affidate in un primo momento a famiglie che potessero avviarle ad un mestiere, tra il XVI e il XVII secolo, le esposte cadono vittima dei pregiudizi che vedono nel trovatello un potenziale delinquente o, nel caso della ragazza, una donna di malaffare. Nel caso fiorentino descritto da Lucia Sandri, ad esempio, le Nocentine riottose facevano la spola tra il brefotrofio e l‟Ospizio dei Mendicanti, scontando con il lavoro la pena dell‟esser venute al mondo senza affetti o dell‟essere oggetto della libido maschile. Anche in questo caso, per motivi legati al risparmio economico ma anche per una mutata concezione dell‟infanzia e dell‟individuo, dal XVIII secolo, monarchie illuminate- come quella dei Lorena in Toscana- trasformeranno in risorsa l‟emergenza sociale dei trovatelli: il problema dell‟assistenza assume rilievo dal punto di vista della sicurezza sociale.

16 cfr.: O. Bussini, Caratteristiche e destino degli esposti all‟ospedale della carità di Todi nei secc.

XVIII-XIX, in Enfance abandonnée, cit.; C. Corsini, “Era piovuto dal cielo e la terra l‟aveva raccolto”: il destino del trovatello, in Enfance abandonnée cit.; G. Da Molin, Dal conservatorio all‟alunnato. L‟assistenza alle esposte dell‟Annunziata di Napoli (secc. XVIII-XIX), in G. da Molin(a cura di), Forme di assistenza , cit.; S.

Raffaele, I reclusori di donne nella Catania dell‟Ottocento, in G. Da Molin(a cura di ), Senza famiglia, cit.; L.Sandri, Da assistite a traviate. Le “Nocentine” tra XVI e XVIII secolo, in G. da Molin(a cura di), Forme di

assistenza, cit.; C. Schiavoni, L‟Archiospedale del Santo Spirito in Saxia di Roma: regolamenti delle zitelle e abbigliamento, in G. Da Molin(a cura di ), Senza famiglia, cit.; L. Tittarelli, Ribellione nel conservatorio: vita da alunne nell‟Ospedale di S.Maria della Misericordia di Perugia nei secc. XVII-XIX, in G. Da Molin(a

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Anche le istituzioni assistenziali, inizialmente atte al semplice ricovero, si trasformano gradualmente al fine di impartire un‟educazione in chiave familiare, professionale e religiosa17. Muta il sentimento nei confronti dell‟assistenza e degli stessi assistiti e non è un caso che questo passaggio sia contemporaneo all‟assunzione del controllo del settore da parte dello Stato centrale a scapito della precedente gestione privata o ecclesiastica. Come il suo corrispettivo maschile, anche la giovane trovatella merita un ruolo in società, come moglie ma anche come lavoratrice o addirittura educatrice e maestra, come nel caso delle Stelline di Milano. Sarà, infine il XIX secolo a vedere compiuta l‟evoluzione di un modello assistenziale che, dalla beneficenza a fondo perduto, foriera di violenza e degrado, mira a valorizzare l‟assistita da un punto di vista morale e culturale, conferendole, attraverso istruzione ed educazione al lavoro, un ruolo sociale che possa, in termini anche materiali, restituire allo Stato le risorse spese per averla allevata.

Tuttavia, il passaggio della beneficenza dal soccorso il più delle volte di matrice religiosa a intervento gestito dallo Stato sembra rispondere soltanto all‟esigenza di un maggiore controllo da parte del potere forte18, ma non fornire contributi efficaci a lenire la miseria delle famiglie e le precarie condizioni dei trovatelli. Le condizioni di disagio restano infatti pressoché immutate. La mortalità dei piccoli esposti resta infatti molto alta, tanto da rendere pressocchè vani i progressi in termini educativi dei conservatori e degli alunnati. L‟esistenza della ruota e dei brefotrofi, che avevano trovato la loro giustificazione nella tutela delle madri nubili e degli illegittimi ma che, di fatto, avevano costituito il refugium peccatorum, di una folla crescente di poveri, nel tempo diventa

17

G. Da Molin, L‟infanzia orfana in Italia nell‟Ottocento. Modelli assistenziali e aspetti demografici e

sociali, in La vita fragile. Infanzia, disagi e assistenza nella Milano del lungo Ottocento, a cura di C.

Cenedella-L. Giuliacci, Milano, ed. Vita e Pensiero, 2013, pag. 3

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bersaglio di chi li criticava come luoghi in cui, visti i grandi numeri di esposti e le condizioni scarsamente igieniche, l‟infanticidio diveniva legale.

Neanche il governo di un‟Italia diventata Stato unitario riuscirà ad attuare misure diversamente efficaci, se non la chiusura dell‟istituzione stessa.

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CAPITOLO PRIMO

“Ci si lamenta dello stato d‟infanzia e non si capisce che la razza umana sarebbe perita se l‟uomo non avesse

cominciato con l‟essere bambino”. (J.J. Rousseau, Emile, I)

Quello dell‟infanzia abbandonata è un argomento di studio da inserire nel più ampio quadro riguardante l‟infanzia in generale. Sarebbe riduttivo, infatti, e poco esauriente descrivere le modalità di assistenza, le istituzioni e la vita dei piccoli esposti senza prima aver ben chiaro quale sia stato il percorso di scoperta del valore dell‟infanzia e del suo significato storico. Di infanzia si è discusso su diversi fronti: sia per quel che concerne la sua scoperta che per quella che è stata definita, dalla fine del XX secolo, la sua scomparsa19. Quello che viene a crearsi è un percorso diacronico che ha inizio in età moderna, dal XVI secolo, quando questa età dell‟uomo inizia ad assumere un ruolo di interesse in sè- com‟è visibile dall‟iconografia o dalla riflessione filosofica e pedagogica- e termina negli ultimi anni del secolo scorso, quando logiche di mercato e nuovi paradigmi culturali restituiscono la figura del bambino al mondo adulto20.

Parlare di storia dell‟infanzia come oggetto di studio vuol dire anche parlare di storia delle abitudini, delle mentalità, degli oggetti. Al tema del bambino, infatti, sono legati gli studi relativi all‟evoluzione dell‟istruzione o delle dinamiche degli affetti familiari, dei rapporti tra genitori e figli nel passaggio da famiglia patriarcale a famiglia nucleare21, o, ancora, le ricerche sulla storia dell‟abbigliamento o del giocattolo: abiti ed oggetti che, dal loro

19

Cfr. F. Cambi-L. Trisciuzzi, L‟infanzia nella società moderna. Dalla scoperta alla scomparsa, Roma, Editori Riuniti, 1989

20 Ivi; E. Becchi- D. Julia (a cura di ), Storia dell‟infanzia dal Settecento a oggi, voll. I-II, Roma-Bari,

Laterza, 1996

21 Cfr. M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, Il

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significato sociale, concorrono a delineare il ritratto di un bambino cui, nel tempo, si è ritagliato uno spazio proprio22.

Parlare dell‟infanzia tout court e della sua storia, quindi, apre orizzonti di ricerca diversi tra loro e meritevoli di ampie e singole trattazioni. In questo studio, pertanto, che ha per oggetto un ambito specifico dell‟infanzia- ossia l‟abbandono dei bambini e la loro assistenza- una sintetica descrizione di quello che è stato l‟iter di riflessione storiografica sull‟infanzia, che rischia ovviamente di scivolare nella superficialità, va letta semplicemente in chiave introduttiva.

La storiografia sull‟argomento conosce una fase di progressivo interesse a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso23, cioè nel momento in cui la ricerca di nuovi approcci di conoscenza del passato, non più legati esclusivamente ai grandi temi politico-economici, comincia a ricercare come orizzonti d‟indagine lo studio di genere o delle mentalità, aprendo le porte della Storia a quella che Franco Cambi definisce una vera e propria “esplosione”24

che dà voce alle piccole ed a un tempo anonime storie dei “marginali”, degli esclusi e dei diversi, come i poveri, le donne e, appunto, i bambini. Per quel che riguarda una descrizione dell‟approccio storiografico su questi ultimi, si ritiene interessante la schematizzazione adottata dallo stesso Cambi, che distingue due grandi settori di interesse da parte degli storici: l‟aspetto sociale dell‟infanzia e, in secondo luogo, l‟immaginario legato a questa fascia d‟età.

La demografia, gli studi sull‟evoluzione dell‟abbigliamento, delle attività ludiche e dell‟istruzione scolastica, e, non da ultimi, l‟esistenza di un nuovo sentire il bambino e di

22

Cfr M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto, cit., pag. 245-273; F. Cambi-L. Trisciuzzi, L‟infanzia nella società

moderna., cit.

23 F. Cambi- S. Ulivieri, Storia dell‟infanzia nell‟Italia liberale, Firenze, Nuova Italia, 1988, pag. 4; Storia

dell‟infanzia dal Settecento a oggi, cit., pag. XIII dell‟introduzione

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teorie pedagogiche nati a partire dal XVII secolo- da Locke a Rousseau, per citare i nomi più noti- hanno offerto a storici di professione la possibilità di tracciare alcune linee descrittive sull‟evoluzione di un sentimento dell‟infanzia o di dare adito ad ampi dibattiti sull‟esistenza dello stesso. L‟ampia bibliografia sul tema consente, in questa sede, una riflessione di sintesi su quelli che sono stati i punti centrali del dibattito storiografico, ossia: l‟approccio ad una diversa nozione d‟infanzia da parte di intellettuali e filosofi dal XVI al XVIII secolo; l‟approccio storiografico alla storia dell‟infanzia; infine il significato che il bambino assume in relazione alle realtà istituzionali della famiglia e dello Stato.

1. L’infanzia come immaginario. Evoluzione del sentimento dell’infanzia dal rinascimento al Settecento negli scritti di intellettuali e filosofi

Se per sentimento dell‟infanzia si intende la scoperta di una individualità propria del bambino oltre ad una maggiore attenzione verso i suoi bisogni-motivi per cui, secondo

Ariès, il termine post quem andrebbe individuato nel XVIII secolo, inteso come punto di

arrivo di una riflessione, in ambito filosofico e pedagogico, iniziata agli albori dell‟età moderna.

Nella maggior parte degli autori, dalla metà del Quattrocento al Settecento, si noterà come la lettura dell‟infanzia venga filtrata, in ogni caso, dal concetto di educazione e di formazione dell‟individuo. Il bambino, scrive Trisciuzzi, viene visto come un prodotto incompiuto, di cui si attende una maturazione che avverrà sotto il controllo e la responsabilità del mondo adulto25. La volontà, da parte delle famiglie, di alleggerirsi di questo onere spiegherebbe l‟impiego delle nutrici e, soprattutto, la figura del precettore,

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per i ceti aristocratici e alto-borghesi, o di strutture assistenziali, come conventi e conservatori per i meno abbienti.

Il fanciullo non viene, dunque, ancora considerato nella sua peculiare individualità, così come mostrano chiaramente le metafore che a lui fanno riferimento: che sia espressione di una nuova innocenza e non più portatore del peccato originale, tabula rasa o evoluzione del buon selvaggio, il bambino resta terra vergine da manipolare, su cui plasmare- come si fa con le statuette di cera- e costruire nuovi pilastri morali e nuove regole sociali.

Il bambino è, tout court, l‟uomo di domani. E su questa affermazione sembrerebbero convergere le diverse letture di quei filosofi ed intellettuali che hanno voluto affrontare il tema pedagogico. Il bambino viene sempre inserito in contesti altri, come la famiglia dei libri di Leon Battista Alberti, abbozzati nella prima metà del XV secolo26. In questo testo, infatti, il figlio è messo in stretto rapporto ai propri genitori, per cui è sì fonte di gioia, ma anche obiettivo di educazione. Compito del padre è capire, grazie all‟osservazione, l‟indole del bambino per poterlo indirizzare. Ad essere al centro dell‟attenzione sono ovviamente i metodi da utilizzare per indirizzare al meglio questi uomini in fieri, cui, tuttavia, inizia ad essere riconosciuta una propria individualità, se non proprio nelle idee, quanto meno nel temperamento.

Istruzione e legittimità della punizione diventano temi di dibattito anche al di là delle Alpi. Per Erasmo da Rotterdam il bambino è l‟oggetto di una “razionale opera di formazione”27

, il cui punto d‟arrivo è l‟uomo. Nel rispetto del tutto moderno per la personalità del discente, l‟educazione proposta dal filosofo deve poter godere dell‟esempio dei classici28

.

26 E. Garin, L‟immagine del bambino nella trattatistica pedagogica del Quattrocento, in E. Becchi- D. Julia

(a cura di ), Storia dell‟infanzia dal Settecento a oggi, cit., pag. 183-185

27 Citato in E. Garin, cit., pag. 182 28 E. Garin, cit., pag. 186, 222-223

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Negli scritti di Erasmo, infatti, il bambino viene visto come un “uomo in divenire29”, la cui educazione deve passare dallo studio dei testi più che dall‟esperienza; da libri che insegneranno prestissimo l‟arte del linguaggio, la retorica ed il comportamento del buon cristiano.

Sul finire del XVII secolo, un altro grande filosofo, John Locke, pubblica un saggio sull‟educazione, nato da un iniziale carteggio con un gentiluomo in merito all‟educazione del figlio. Some thoughts concerning education (1693) si pone, infatti, il problema della formazione del gentleman inglese. Inserita in un contesto domestico, a carico di un precettore privato, l‟educazione intellettuale, fisica e morale del discente consisterà nella trasmissione di un corretto codice comportamentale, che sottometta l‟indole del fanciullo alla volontà del mondo adulto30. Il ruolo dell‟educatore è importante per Locke così come il riconoscimento dell‟individualità del bambino, che viene visto come un essere con cui si può e si deve ragionare, al fine di accendere la curiosità e suscitare la richiesta spontanea di apprendimento. Cunningham, tuttavia, riconosce nelle proposte educative liberali del filosofo inglese il limite rintracciabile nel finalizzare l‟obiettivo educativo esclusivamente

29

N. Elias, La civiltà delle buone maniere, Bologna, Il Mulino, 1982, pagg. 311-319. Al capitolo VI, Le

relazioni tra i sessi, Elias dedica alcune pagine ai Colloquia di Erasmo, ripubblicati nel 1522 come Familiarum colloquiorum formulae non tantum ad linguam puerilem expoliandam verum tantum ad vitam instituendam. Il testo, insieme al De civilitate morum puerilium, è uno tra i trattati per l‟educazione dei

fanciulli più noti. Esso propone, infatti, un percorso educativo mirato sì all‟apprendimento linguistico, ma anche alla vita. Oltre ai suoi contenuti, anche la storia del testo diventa interessante alla luce di una riflessione sull‟evoluzione del concetto di infanzia. Dedicato al giovane figlio dell‟editore, il saggio propone esempi di vita e di comportamento (come il dialogo di un giovane con una meretrice) che col tempo scompariranno dall‟orizzonte dell‟infanzia. Erasmo dimostrerebbe una sensibilità per i problemi che riguardano la regolamentazione degli istinti in una società nella quale i fanciulli condividevano lo stesso spazio sociale degli adulti. Alla stessa maniera, avrebbe dovuto essere inconsistente la distanza tra adulti e bambini per quel che riguarda le norme affettive e comportamentali. Ritratto di un‟epoca, il saggio di Erasmo riscuote molto successo ma verrà poi messo all‟Indice e criticato di pari passo con il cambiare di tempi e mentalità. Con l‟aumentare della distanza tra mondo dei grandi e bambini, così come dimostra ad esempio la differenziazione dell‟abbigliamento, si va raffreddando la critica al testo, fino ad arrivare, tre secoli e mezzo dopo, alla stroncatura da parte di Raumer in Geschicte del Pëdagogik (1875), perché affronta temi scabrosi. Anche Eugenio Garin fa riferimento a: De utilitate colloquiorum, Declamatio de pueris, De

civilitate morum puerilium libellus. Cfr. E. Garin, L‟immagine del bambino nella trattatistica pedagogica del Quattrocento, cit., pag. 222.

30 H. Cunningham, Storia dell‟infanzia. XVI-XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1997. Ed. or. 1995, pag. 77; B.

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nella formazione di un adulto, moralmente e cristianamente irreprensibile e conformato al suo rango sociale31.

Fino a questo momento, l‟infanzia è argomento di ricerca, il bambino viene finalmente messo al centro di una riflessione che gli riconosce una personalità e peculiarità ben definite, come il temperamento e il carattere, ma che viene ancora filtrata e limitata dall‟essere osservata sempre secondo criteri appartenenti al mondo adulto. Per Erasmo l‟esperienza non è nulla senza lo studio delle lettere, per Locke si deve ragionare con i bambini come se fossero già uomini fatti: il superamento di questi limiti attende solo Rousseau.

“Un bambino sa che è fatto per diventare uomo”32. L‟affermazione russoviana

sembrerebbe confermare quanto finora si è accennato. Anche l‟Emilio (1762) pone l‟accento sul problema dell‟educazione, ma secondo spunti innovativi e, per l‟epoca-e non solo- anche provocatori. Continuando la lettura della pagina sopra citata, si legge quanto venga costituire oggetto di istruzione tutto ciò che può riguardare lo “stato dell‟uomo”, ma se questo non è alla portata del bambino ecco che egli “deve restare in un‟ignoranza assoluta33”. La questione che, in modo originale, pone l‟autore dell‟Emile è su cosa sia veramente utile al bambino.

“E‟ possibile che un bambino impari tutto ciò che importa a un uomo di sapere?”34

Per la prima volta vengono messi al centro quelli che in didattica sono definiti i bisogni del discente: oggetto di insegnamento- e di apprendimento- diventa così per il fanciullo

31

H. Cunningham, Storia dell‟infanzia, cit., pag. 78

32 J.J. Rousseau, Emilio, edizione a cura di A. Visalberghi, Bari, Editori Laterza, 2014, I edizione 1953, III,

pag. 153

33 Ibidem, 34Ibidem

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23 “tutto ciò che è utile alla sua età”35

Ecco che l‟infanzia ottiene un suo riconoscimento come fase della vita che deve godere di una sua autonomia. “L‟umanità ha il suo posto nell‟ordine delle cose; l‟infanzia ha il suo nell‟ordine della vita umana: bisogna considerare l‟uomo nell‟uomo ed il bambino nel bambino.36

Nel fanciullo non bisogna più vedere un adulto in miniatura e l‟educazione deve rovesciare le gerarchie temporali, non sacrificando più il presente per un futuro eventuale. Sulla base di obiettivi tassi della mortalità infantile, Rousseau logicamente si chiede a cosa valga una formazione mirata ad un futuro che con ogni probabilità non potrà mai essere goduto. Per questo motivo l‟educazione è “barbara”, se rinchiude la fanciullezza-“l‟età della gaiezza”- nelle schiavili catene dei castighi e dell‟istruzione forzata. Per Rousseau vi è un unico imperativo. “Amate l‟infanzia, favorite i suoi giochi, i suoi piaceri, il suo amabile istinto37”.

La natura è maestra e l‟educazione che da essa deriva è primaria a quella impartita dagli uomini e dall‟esperienza; per questo motivo non ne vanno violati i tempi38

. La ragione è quiescente durante l‟infanzia, per cui è oltremodo errato considerare nulla, in termini di apprendimento, la spensieratezza che è propria di questa età. “Come! Non è niente esser felice? Non è niente saltare, giocare, correre tutta la giornata? In tutta la sua vita [il bambino] non sarà così occupato”39

.

La pubblicazione dell‟Emile nel 1762 segna un momento importante ovviamente nella storia della filosofia, ma, seppure con i suoi caratteri innovativi e provocatori, rappresenta l‟esempio più estremo di quel nuovo pensare l‟infanzia che è proprio del XVIII secolo.

35 J.J. Rousseau, Emilio,cit., III, pag. 153 36

Ivi, II, pag. 92

37 J.J. Rousseau, Emilio, cit., II, pag. 91. Cfr. B. Delgado, Storia dell‟infanzia, cit., pag. 185

38 Ivi, II, pag. 102. Cfr. H. Cunningham, Storia dell‟infanzia, cit., pag. 80; B. Delgado, Storia dell‟infanzia,

cit., pag. 186

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24

E‟ in questi anni, infatti, che ai bambini, al pari di schiavi, animali-e donne-, viene indirizzato, scrive Cunningham, “quel sentimentalismo e quell‟umanitarismo” che caratterizza questo periodo 40. Per Rousseau, in posizione critica rispetto al razionalismo scientifico illuminista che pone fiducia nei progressi della civiltà, la natura il primo motore da seguire per la libera crescita dei propri figli41. Da Rousseau, infanzia ed educazione vengono riscoperte come mito di rigenerazione di un‟umanità e di una società che possono essere migliorate solo dalla natura, libera, spontanea e genuina di un uomo nuovo42. Testo innovativo, dunque, pur costituendo un‟eredità importante per la pedagogia contemporanea, l‟Emile viene condannato, vietato e perseguitato dalla politica e dalla religione43.

Se il contributo del filosofo ginevrino viene accolto da alcune famiglie illuminate, appartenenti alle classi nobiliari o alto borghesi, e viene reso evidente dall‟abbandono delle fasciature e dell‟allattamento mercenario a favore di quello materno, nella maggior parte dei casi, tuttavia, il trend educativo segue ancora parametri tradizionali e numerose restano le contraddizioni nell‟atteggiamento verso l‟infanzia e il suo mondo44

. Non sembrano migliorare, infatti, le condizioni dei bambini dei ceti alti, che continuano ad essere educati rigidamente, né dei loro coetanei più poveri, il cui destino resta segnato da abbandono e sfruttamento.

Tra le conseguenze più significative che il Settecento ha apportato al sentimento dell‟infanzia, scrive Cunningham, è, oltre alla sostanziale diminuzione della mortalità

40 H. Cunningham, Storia dell‟infanzia, cit., ppag. 75,76; L. Hunt, La forza dell‟empatia. Una storia dei

diritti dell‟uomo., Roma-Bari, Laterza, 2010, pag. 15: secondo la storica, bambini, servi, malati di mente ed

in parte le donne, vengono in un primo momento esclusi da quell‟autonomia morale data dalla capacità di ragionare e dall‟indipendenza nelle decisioni. Dalla seconda metà del XVIII secolo, però, un progressivo aumento della consapevolezza del corpo porterebbe allo sviluppo di autonomia ed empatia, alla base per la nascita dei diritti umani.

41 Ibidem

42 F. Cambi-L. Trisciuzzi, L‟infanzia nella società moderna., cit., pag. 48 43 B. Delgado, Storia dell‟infanzia, cit., pag. 183

44

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25

infantile, la lettura dell‟infanzia come un “mondo separato e speciale”45. L‟attestazione più evidente di ciò, secondo l‟autore, oltre che nella presenza delle camerette per i giochi, sarebbe nella creazione di una letteratura per e sul mondo dei bambini, che conoscerà il

suo momento di maggiore sviluppo nel XIX secolo e che narrerà le peripezie di bambini

poveri, abbandonati o di burattini di legno alla ricerca di modelli educativi da adottare in attesa di diventare grandi.

2. L’infanzia come scoperta. Il dibattito a partire da Ariès

I contributi storiografici sul tema dell‟infanzia che, a partire dagli anni Sessanta del „900, apportano una dovizia di studi e riflessioni, hanno sempre come punto di partenza un confronto con quegli autori considerati i pionieri46 dell‟argomento, come Philippe Ariès. Considerato il testo spartiacque47 tra il tradizionale approccio politico economico alla storia ed il nuovo orientamento sulle storie minori, Padri e Figli nell‟Europa medievale e

moderna, non viene scritto da uno storico specialista del periodo, come precisa l‟autore

stesso nell‟introduzione48, e anticipa di qualche decennio l‟interesse per la storia di genere e delle mentalità.

La questione principale che pone Ariès è capire in che modo la famiglia, intesa come nido di sentimenti, possa costituire un argomento di studio e, soprattutto, come questi sentimenti possano subire un‟evoluzione e, quindi, avere una storia49

. Le contestate tesi

45

H. Cunningham, Storia dell‟infanzia, cit., pag. 83

46 L‟opera di Ariès viene definita pionieristica da Lawrence Stone, nel 1974, nella “New York Review of

Books”. Cfr. AA. VV.,Storia dell‟infanzia dal Settecento a oggi, cit., pag. XIX, nota 21

47

E. Becchi-D. Julia (a cura di ), Storia dell‟infanzia dal Settecento a oggi, cit., pag. XIII

48

Ivi, pag. XVII: si precisa che all‟epoca della stesura del saggio, Ariès era bibliotecario all‟Istituto di ricerca applicata per i frutti tropicali e su tropicali,e considerato per questo dagli storici di professione uno studioso marginale.

49 P. Ariès, Padri e figli nell‟Europa medievale e moderna, Bari, Laterza,, ed. 2002. I ed. ital. 1968, ed. or.

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dell‟autore francese indicano sostanzialmente nell‟età moderna il momento della scoperta del sentimento dell‟infanzia, come viene definito nel saggio, contro un periodo precedente, il Medioevo, in cui l‟esistenza del bambino veniva ignorata o assimilata al mondo degli adulti. Gli strumenti d‟indagine dello storico sono in larga parte fonti iconografiche e fonti scritte da cui, ad esempio, si ricava la difficoltà nella designazione di una parola che indicasse il bambino e nella distinzione stessa delle età della vita.50 Dall‟analisi di bassorilievi medievali e quadri emergerebbe l‟assenza di un‟immagine dell‟infanzia, in quanto i bambini, in particolar modo il Bambin Gesù, sono rappresentati come adulti, abbigliati alla stessa maniera e distinti da essi solo per le dimensioni ridotte51. A partire dal XV secolo, invece, sembra materializzarsi un‟inversione di tendenza. Ad essere rappresentata non è più soltanto l‟infanzia sacra, ma anche quella laica52

. Si moltiplicano le scene che ritraggono i bambini in atteggiamenti di intimità e gioco con la madre, da cui emerge un rinnovato sentimento che vede nel bambino non più il frutto del peccato originale ancora non mondato dal battesimo, ma l‟innocenza dell‟anima pura e vergine. Se ancora mancano spazi dedicati alle attività dei bambini, il gioco però diviene al centro dell‟attenzione del mondo adulto, che costruisce per loro, ricorda Egle Becchi, ma “piccoli mobili fatti su misura” come seggioloni, culle e girelli. Oppure vengono ritratte attività ludiche dei bambini, siano essi imperatori, come nelle incisioni di Hans Burkmair (1514) o semplici bimbi di strada, come nei quadri di Pieter Bruegel il Vecchio. Il bambino che gioca a rincorrersi nei quadri dell‟epoca sembra quasi voler “sfuggire allo sguardo dell‟adulto e cercare di emanciparsi dal suo controllo, di trovare luoghi nei quali

50 Ivi, cap. I. L‟autore cita poemi medievali sulle scene del calendari (Grant Kalendrier et compost des

bergiers), ed del 1500: pag. 19, nota 13

51 Ivi, cap II, pag. 33-38

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27 stare a suo modo e misura”53

. Commentando Ariès, Cambi sottolinea quanto il bambino abbandoni il suo ruolo di presenza marginale in un mondo adulto, “cessi di essere considerato un non-valore” per assumere invece una posizione importante, foriera di futuro, per la famiglia e soprattutto per la società54.

Una causa importante, come si vedrà nei paragrafi successivi, viene ricondotta secondo lo storico francese al processo di scolarizzazione ed al fiorire di nuove teorie pedagogiche: elementi che determinarono anche la separazione del mondo del bambino, tabula rasa su cui plasmare, con educazione e formazione, il modello di una società migliore, da quello dell‟adulto.

Determinante diviene anche l‟ascesa del ceto borghese, che rinnoverebbe i vincoli e i rapporti affettivi all‟interno del nucleo familiare, mentre riconosce valore e autonomia ad un bambino che diventa bandiera di un potere che questa classe sociale va sempre più acquisendo55. Ad essere innalzato, sottolinea Cunningham, sarebbe il “muro dell‟intimità privata”, creando un mondo privatizzato che escluderebbe il bambino dall‟antica dimensione sociale e comunitaria56.

Numerose sono state le critiche al saggio di Ariès, dopo il lungo silenzio accademico. Becchi e Julia offrono una chiara schematizzazione del dibattito storiografico sorto in seguito alla pubblicazione, nel 1960, del saggio. Al di là, infatti, di interpretazioni militanti come quella della Firestone del 1970 che cita Ariès per la proposta di una società basata sull‟amore, senza qui squilibri sociali, le critiche maggiori raccolte dallo storico francese provengono da studiosi come Jean-Louis Flandrin, Alain Besançon e David

53 Cfr. E. Becchi, Umanesimo e Rinascimento, in E. Becchi-D. Julia (a cura di),Storia dell‟infanzia dal

Settecento a oggi, voll. I, a cura di E. Becchi- D. Julia, Roma-Bari, Laterza, 1996, pagg. 120, 125, 126-127.

Sulla fabbricazione dei giocattoli, si rimanda anche a: M. Manson, La bambola e il tamburo. Note sulla

storia del giocattolo in Francia dal XVI al XIX secolo., ivi, pagg. 366-396.

54 F. Cambi- S. Ulivieri, Storia dell‟infanzia nell‟Italia liberale, cit., pag. 11 55 F. Cambi-L. Trisciuzzi, L‟infanzia nella società moderna., cit., pag. 20 56

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Hunt57. Ad essere contestato è un atteggiamento di superficiale indifferenza nei confronti della psicologia moderna, che ha come conseguenza una stigmatizzazione delle categorie ed una disattenzione nei confronti dello sviluppo psicologico del bambino. Becchi, invece, interpreta la teoria dell‟evoluzione della morfologia sociale come un processo lineare all‟interno del quale la società, prima blocco unico, viene frammentata in “microsocietà” che danno vita alle identità di genere, tra cui quella infantile58. Nell‟introduzione ai due volumi sulla storia dell‟infanzia, Becchi e Julia aggiungono altri elementi di criticità ritrovati nel saggio di Ariès. Ad essere citato è soprattutto il testo di Jean Louis Flandrin pubblicato in Annales de dèmographie historique, nel 1973, nel quale si critica quella che viene definita come un‟”ossessione” da parte di Ariès nel voler trovare un anno zero da cui far iniziare un sentimento dell‟infanzia che, invece, sarebbe sempre esistito ma che non è documentabile per ogni epoca storica. Viene anche confutata la tesi, in epoca medievale, di una vita infantile non separata dagli adulti grazie all‟apprendistato, praticato invece prevalentemente da orfani o da ragazzi di età superiore ai sedici anni, che spendevano evidentemente gli anni precedenti in famiglia59. Infine, Baxandall rimprovera allo storico francese anche l‟uso dell‟iconografia e la proposta di una sua lettura che sembra escludere la pittura profana e lo stile pittorico60.

Dichiaratamente in opposizione alle teorie di Ariès si pone lo psicostorico Lloyd De Mause, che nel suo saggio di presentazione al volume da lui curato sulla storia dell‟infanzia, agli inizi degli anni Settanta, critica l‟idea dello storico francese riguardo una passata età felice per il bambino- che, non ancora “scoperto” viveva in libertà e comunione con gli adulti- interrotta, in epoca moderna, da un nuovo atteggiamento nei confronti di un‟infanzia “inventata” e interpretata da Ariès come un “concetto tirannico”

57 Cfr. E. Becchi-D. Julia (a cura di), Storia dell‟infanzia dal Settecento a oggi, cit., pag. XIX, note 22,23 58 Ivi, pag. XX

59 E. Becchi-D. Julia (a cura di), Storia dell‟infanzia dal Settecento a oggi, cit., pag. XXIV, e note 36 e 37 60

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ideato dalla famiglia solo ai fini di una privazione delle libertà del bambino, vittima quindi di punizioni e segregazioni61. L‟impianto argomentativo dello psicostorico, invece, si baserebbe sulla sua teoria psicogenetica della storia (1968), secondo la quale l‟evoluzione storica, più che essere legata a fattori politici ed economici, sarebbe da riferirsi ai cambiamenti “psicogenetici” legati al rapporti tra padri e figli62

. In base a questi rapporti, -che possono essere di proiezione, reversione o di empatia63– lo storico americano traccia una storia lineare dei modelli di allevamento, pur precisando che “ogni tentativo di periodizzare la storia dell‟educazione infantile deve tener conto preliminarmente del fatto che l‟evoluzione psicogenetica procede con ritmo diverso nelle diverse linee familiari, e che molti genitori risultano bloccati al livello di modelli storici precedenti”. Dall‟elenco dei sei modelli (infanticidio, abbandono, ambivalenza, intrusione, socializzazione e aiuto) si nota un progressivo miglioramento delle condizioni dei bambini nella storia, soprattutto a partire dal XVIII secolo fino ad oggi, quando pare prevalere, da parte dei genitori, rispetto agli altri l‟atteggiamento di empatia64

. Anche il saggio di De Mause non resta esente da vivaci critiche, fondate soprattutto, come sottolinea Becchi, dalla inverificabilità delle tesi supportate dallo psicostorico65. La storica, infatti, vede negli eventi citati da De Mause una serie di fatti decontestualizzati e finalizzati a chiarire le definizioni di reazione dell‟adulto nei confronti del minore piuttosto che venire a costituire elementi di periodizzazione storica. Il testo, definito dall‟autrice una “curiosa alchimia” verrebbe a

61 L. De Mause, L‟evoluzione dell‟infanzia, in L. De Mause (a cura di)., Storia dell‟infanzia, Milano, Emme

Edizioni, 1983, ed. or. 1974, pag. 14

62 Ivi, pag.11 63

Ivi, pp15-17: per reazione di proiezione si intende l‟uso del bambino per la soddisfazione di personali bisogni inconsci; la reazione di reversione invece consisterebbe nel vedere nel bambino la figura di un adulto che è stato importante durante la propria infanzia (il padre); infine la reazione empatica cercherebbe la comprensione ed il soddisfacimento dei bisogni del bambino. Secondo De Mause le prime due reazioni caratterizzerebbero la storia dall‟antichità al XIII secolo, per quel che riguarda la proiezione, che spingerebbe ad atteggiamenti quali infanticidio e abbandono, e il XVIII secolo, secolo sul finire del quale però, con la nascita della pediatria, si tende verso un atteggiamento empatico nei confronti del bambino.

64 L. De Mause, L‟evoluzione dell‟infanzia, cit., pag. 68-71 65

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