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Infanticidio e abbandono nell’immaginario popolare e letterario

CAPITOLO SECONDO

1. Infanticidio e abbandono nell’immaginario popolare e letterario

Pensare al mito delle origini di Roma, che vede una delle più grandi potenze dell‟antichità nata dall‟abbandono del gemellare frutto di uno stupro, o comunque di un concepimento indesiderato seppur di matrice divina, non può che non far riflettere sul tema dell‟infanzia. Del resto, Romolo e Remo sembrano essere in ottima compagnia nel panorama mitologico e letterario classico. Se la tradizione ebraica riporta gli abbandoni di Ismaele, figlio di Abramo, o di Mosè, lasciato al suo destino tra le sponde del Nilo, la mitologia classica ripropone il tema dell‟abbandono dell‟infante nelle storie di Edipo, Paride, Perseo. Ciò che accomuna questi esempi è il fatto che i protagonisti appartengono a stirpi reali e sono destinati, da adulti, a grandi opere. Spesso a turbare equilibri preesistenti, tant‟è vero che la scelta del loro abbandono è dettata da tragiche profezie o sogni premonitori, come nel caso di Ecuba che, nel sogno di virgiliana memoria di partorire una torcia accesa, prevede la fine di Troia a causa del figlio Paride; oppure le profezie contro la sicurezza del trono che inducono sia lo sfortunato Laio, re di Tebe, che l‟usurpatore Amulio, ad abbandonare al loro destino, rispettivamente, l‟amato Edipo o i temuti gemelli di Rea Silvia. Graziella Pagliano offre un‟interpretazione dei miti suddetti che vedrebbero nel neonato abbandonato la condizione dell‟uomo solo in un mondo ostile. Citando Jung, la studiosa sostiene che

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“il mistero della nascita viene infatti qui interpretato come distacco dalle proprie origini, tappa indispensabile nel processo del divenire autonomo, di una esperienza psichica creativa che ha per oggetto un contenuto nuovo e ancora sconosciuto.”86

Oltre la mitologia, anche la letteratura tradizionale e l‟immaginario popolare rappresentano l‟atto dell‟esposizione come un naturale passaggio della vita. I protagonisti dei romanzi ellenistici hanno spesso un passato di abbandono, ignorano le proprie origini che, soltanto dopo mille peripezie e l‟agnizione finale, si scopriranno essere di alto lignaggio o comunque risolutrici per il lieto fine matrimoniale. E così anche l‟enorme bagaglio di fiabe popolari racconta dei Pollicino o degli Hansel e Gretel che, rimasti soli per fame o per sfuggire alle angherie di una matrigna, quindi orfani almeno per metà, devono uscire da un buio e pauroso bosco, uccidere orchi cattivi o far scivolare la strega nel forno ardente per poter ritrovare la via di casa e diventare grandi. Quasi un romanzo di formazione ante litteram, la storia del piccolo abbandonato mantiene la sua attualità nella storia e diventa la chiave di lettura per esprimere l‟affermazione di sé, il delicato passaggio all‟età adulta e, attraverso diverse ma ugualmente rituali prove dal valore iniziatico, l‟ingresso in società87

.

Dal lavoro di schedatura di oltre settanta raccolte, la Pagliano arriva ad affermare come il rapimento, anche volontario come nel caso dei figli della Griselda boccaccesca, e la nascita illegittima sembrano essere i motivi principali dell‟esposizione nelle fiabe e nella novellistica tra Tre e Cinquecento. L‟abbandono dell‟illegittimo e le prove dolorose cui viene sottoposta la virtuosa protagonista dell‟ultima novella del Decameron posso essere

86 Cfr. G. Pagliano, Il motivo dell‟infante abbandonato in letteratura: considerazioni su alcuni testi italiani,

in Enfance abandonnée et société en Europe, XIV-XX siècle, Ecole française de Rome, Roma, 1991, pag. 880. La studiosa fa riferimento, alla nota 5, a K.G. Jung, Contribution à la psychologie de l‟archétype de

l‟enfant, in K.G. Jung et C. Kerény, Introduction à l‟essence de la mythologie, Parigi, 1953

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lette come rappresentazione del periodo in cui la famiglia sta conoscendo la sua istituzione moderna: il nucleo familiare composto e benedetto dal matrimonio e fondato sulla forte obbedienza della moglie-madre88.

In ogni caso, la presenza del tema nell‟immaginario popolare fa evincere facilmente quanto la pratica dell‟abbandono dei neonati fosse accettata nell‟antichità e dalla popolazione in generale anche in età moderna.

Al di là di una non accertata, per assenza di fonti, indifferenza affettiva da parte di algidi genitori pronti a veder morire di stenti la propria prole, pare, invece, sostenibile che nell‟antichità i figli venissero considerati tali per quella che la Pagliano definisce “volontà di adozione” e non per il legame di sangue89

. È noto, infatti, come tra i diritti del pater

familias romano vi fosse quello di gestire la vita e la morte dei membri della sua casata,

figli, schiavi, servi e nipoti. Alla sua nascita, infatti, il neonato, posto ai piedi del capofamiglia, diveniva parte della famiglia solo se il pater familias, non sempre corrispondente al padre naturale, lo prendeva in braccio sollevandolo da terra, compiendo il simbolico rituale di accettazione. Contrariamente, il bambino veniva esposto o ucciso. L‟abbandono o l‟infanticidio visti quindi come pratiche quasi quotidiane e, comunque, accettate e praticate dalla collettività, in obbedienza, molto probabilmente, di un necessario controllo delle nascite, promosso, spesso, anche dai filosofi dell‟epoca. È Langer, infatti, nel suo conosciutissimo saggio, a citare le proposte di Aristotele che, per arginare il sovrappopolamento, suggeriva la pratica dell‟aborto, preferibile all‟esposizione.90

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G. Pagliano, Il motivo dell‟infante abbandonato in letteratura,cit. pagg. 882-883

89 Ivi, pag. 879

90 cfr. W.L. Langer, Infanticidio: una rassegna storica, in T. Mc Keown, L‟aumento della popolazione

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Una politica natalista sui generis che spesso si concedeva il privilegio della selezione. Se oggi nelle scuole si parla, inorriditi, delle politiche cinesi sul controllo delle nascite e sull‟aborto selettivo a danno di migliaia di bambine, sarà opportuno assegnare al fenomeno una sua tragica storia ed evoluzione.

Di fronte alle necessità stringenti dettate da risorse alimentari insufficienti per una popolazione dai ritmi di crescita incontrollati; di fronte alla necessità di mantenere un più o meno ampio patrimonio il più integro possibile; e, non da ultima, di fronte alla necessità di poter fruire di forza-lavoro nei campi, nelle miniere o nelle botteghe, la nascita - desiderata o no- di una bambina destabilizzava le aspettative e facilitava l‟estrema decisione dell‟abbandono. Nell‟antichità come nell‟età moderna.

È tra gli esempi riportati da Adriano Prosperi in Dare l‟anima, il caso dell‟alto tasso di mascolinità presente nei mansi d‟età carolingia o il caso secentesco della cittadina senese di Montefollonico, oggetto di ricerca di G. Hanlon. In questa cittadina ad economia prevalentemente agricola, a metà XVII secolo, infatti, il numero di bambine sotto i dieci anni di età era dimezzato rispetto a quello dei maschietti coetanei, lasciando l‟evidente ipotesi di un infanticidio selettivo a danno delle seconde, soprattutto in quegli anni resi più difficili dalla carestia91.

Il cambiamento di sensibilità nei confronti dell‟infanzia a partire dal 1700 e l‟aumento dell‟attenzione nei confronti dei trovatelli nel secolo successivo sembrano influenzare anche la produzione letteraria e l‟immaginario collettivo. Piccoli bambini che vanno salvati dai rischi di una vita di strada, da un destino di criminalità o di sfruttamento, gli orfani e i bambini abbandonati diventano dei monelli che la società borghese intende recuperare. L‟Ottocento letterario, sia italiano che europeo, si appropria del tema del

91 A. Prosperi, Dare l‟anima. Storia di un infanticidio, Torino, Einaudi, 2005, pag. 46: in nota 4 si rimanda a

G. Hanlon, L‟infanticidio in Toscana nella prima età moderna, in “Quaderni storici”, XXXVIII (2003), n. 113, pag. 453-98.

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fanciullo esposto o dell‟orfano e ne fa motivo di descrizione di una urgente problematica sociale92. L‟Europa industriale racconta le tristi avventure di Oliver Twist o di Remi: dei senza famiglia le cui avventure e peripezie promettono un futuro di maturazione spesso culminante con la scoperta delle proprie origini. Il ritardo economico e politico dell‟Italia, invece, più che sulla denuncia sociale, punta l‟attenzione, scrive la Pagliano, su

“valenze socioculturali più ampie, di una ricerca di identità che sola può, a patto di fare i conti con il proprio passato, proiettarsi verso il futuro.”

È l‟Italia post unitaria di fine Ottocento, l‟Italia de Gli orfani di Verga, in cui si avanza il tema dell‟adozione, e della ricerca di una paternità ed identità borghese, del Pinocchio di Collodi93.