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Manipolazione mentale: i profili penali tra dogmatica e politica criminale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza

MANIPOLAZIONE MENTALE:

I profili penali tra dogmatica e politica criminale

Il Candidato

Il Relatore

Giulia Panicucci

Chiar.mo Prof. Alberto Gargani

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2

Alla mia famiglia. A Nicola. Ai miei amici e ai miei compagni di

avventura. A chiunque mi abbia sostenuta, spronata, incoraggiata, aiutata

e guidata con pazienza e fiducia in questo percorso. A chi ha sempre

creduto in me. A chi continua a farlo dall’alto.

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3

INDICE

Introduzione 8

PARTE I

BRAINWASHING: FENOMENOLOGIA DI UNA METAFORA

CAPITOLO I

EXCURSUS STORICO DI UN TERMINE CONTROVERSO

1. Difficoltà definitorie e proposte di classificazione 12 2. Il percorso storico della manipolazione mentale 24

CAPITOLO II

LA MANIPOLAZIONE MENTALE E I CULTI

1. Classificazione delle sette ed elementi comuni 47

2. Il Satanismo 54

3. Le tecniche di manipolazione mentale nei gruppi distruttivi 58 4. La struttura del culto 77 5. Dati statistici e criminologici sul fenomeno dei culti 82

6. La “deprogrammazione” 85

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CAPITOLO III

LA MANIPOLAZIONE MENTALE AL DI FUORI DEI CULTI

1. La manipolazione mentale nella coppia: il c.d. “gaslighting” 103 2. La manipolazione mentale nella criminalità organizzata 115

PARTE II

I PROFILI PENALI DELLA MANIPOLAZIONE MENTALE

CAPITOLO IV

IL PLAGIO

1. Ricostruzione storica del delitto di plagio 122 1.1. Il plagio dal diritto romano alle codificazioni preunitarie 122 1.2. Il plagio nel primo codice penale dell’Italia unita: l’art. 145 del codice

Zanardelli 127

1.3. Il codice Rocco e l’art. 603 c.p. 130 1.4. L’art. 603 c.p. nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale fino agli

ultimi anni Sessanta 134

1.5. Il caso Braibanti: la prima ed ultima condanna a titolo di plagio 138 1.6. Il caso Braibanti nel dibattito pubblico 141 1.7. I diversi modelli interpretativi del plagio 142 1.8. La fine del plagio: la decisione della Corte Costituzionale. L’ordinanza di

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5

1.9. La declaratoria di illegittimità costituzionale del plagio. Le argomentazioni critiche della Corte Costituzionale nella pronuncia n. 96/1981. 145 1.10. Il dibattito dottrinale in ordine alla sentenza n. 96/1981 della Corte

Costituzionale 148

2. Il plagio nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dopo l’intervento della

Corte Costituzionale 150

2.1. Il contrasto della manipolazione mentale in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale 150

2.2. Plagio e truffa 151

2.3. Plagio e abuso della credulità popolare 153 2.4. Plagio ed abusivo esercizio di una professione 154 2.5. Plagio e stato di incapacità procurato mediante violenza 156 2.6. Plagio e trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui

158 2.7. Plagio e circonvenzione di persone incapaci 159 2.8. Plagio e sequestro di persona 161 2.9. Plagio e maltrattamenti contro familiari o conviventi 163 2.10. Plagio e riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù 166 2.11. Plagio e altri titoli di reato 168 2.12. Le conclusioni della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie. La valorizzazione del principio di frammentarietà e la completezza dell’ordinamento penale attuale 170

3. I “leading case” 171

3.1. L’odissea giudiziaria di Scientology 171 3.2. Il caso di Ebe Giorgini, detta “Mamma Ebe” 178 3.3. L’inedita applicazione del reato di riduzione in schiavitù alle condotte latu sensu plagiarie: il caso del “Santone” di Montecchio 181

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CAPITOLO V

PROFILI COMPARATISTICI

1. La scelta favorevole all’incriminazione: le esperienze di Francia, Belgio e

Repubblica Ceca 184

1.1.1. L’art. 223-15 del codice penale francese 184 1.1.2. Ricostruzione culturale delle possibili motivazioni alla base della scelta politica francese 191 1.2. La soluzione belga 193 1.3. La Repubblica Ceca e la Legge n. 3/2002 197 2. L’ordinamento spagnolo e la manipolazione mentale 199 3. La situazione giurisprudenziale e normativa in Germania 200

CAPITOLO VI

PROSPETTIVE DI RIFORMA

1. I principali nodi problematici nel contrasto della manipolazione mentale: il bene

giuridico 207

1.1.1. Collocazione costituzionale del bene giuridico tutelato: l’integrità

psichica. 207

1.1.2. La protezione dell’integrità psichica all’interno della CEDU 211 1.2. Le difficoltà probatorie della causalità psichica: la probatio diabolica in relazione all’evento tipico e al nesso eziologico. 218 1.3. Il ruolo del consenso della persona offesa 225 1.4. Il rispetto del principio di laicità e la libertà religiosa 227 2. Gli intenti riformistici finalizzati a ripristinare l’incriminazione 229 3. Le diverse posizioni della dottrina in relazione ad un possibile intervento

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7

3.1. Le tesi favorevoli all’introduzione di una nuova fattispecie penale

apposita 243

3.2. Le tesi contrarie all’introduzione di una nuova fattispecie penale

apposita 245

4. L’opzione civilistica 251

5. La posizione del Consiglio di Europa e gli strumenti preventivi 255 6. La tutela contro la deprogrammazione nel nostro ordinamento. 262

Bibliografia

265

Sitografia

289

Giurisprudenza

291

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8

INTRODUZIONE

Correva l‟anno 1950 quando Edward Hunter, giornalista statunitense sotto copertura, coniò il termine “brainwashing”, o “lavaggio del cervello”, segnando così l‟avvio di un fenomeno che ha interessato la cronaca mondiale e che è stato oggetto di molteplici pubblicazioni scientifiche, volte ad appurare definitivamente se e fino a che punto una riprogrammazione dell‟intera personalità umana fosse davvero possibile.

La lamanipolazione mentale ha costituito uno degli insoliti campi di battaglia della Guerra Fredda, ma sarebbe alquanto improprio e riduttivo relegarla a tale ristretto contesto. Infatti, alcuni pregnanti episodi di cronaca hanno dimostrato, specialmente oltreoceano, la sua perfetta adattabilità al paradigma religioso, originando la controversa esperienza dei “cults” e delle sette. L‟allarme suscitato da queste spiritualità eccentriche e talvolta criminali, anche nel nostro Paese, rischia, in ultimo, di spingere a conclusioni giuridiche impulsive e pericolose per il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini.

Si ritiene pertanto necessario fondare eventuali scelte incriminatrici su una consapevole riflessione, basata su un‟approfondita conoscenza del fenomeno, scevra da dannosi preconcetti. Nell‟avvicinarci al tema della manipolazione mentale, alcune questioni fondamentali e critiche si presentano all‟attenzione dell‟interprete. Che valore ha la libertà umana rispetto alla nostra irriducibile sensibilità al condizionamento? Cosa rimane del nostro libero arbitrio quando l‟autonomia decisionale ci conduce nella schiavitù bendata e inconsapevole dei gruppi distruttivi? Qual è il discrimine tra il diritto di ognuno di noi ad autodeterminarsi al pensiero e all‟azione e l‟indifferibilità dell‟intervento statale a protezione della nostra stessa integrità psichica? Come può uno Stato democratico garantire l‟inviolabilità della libertà morale e del pensiero autonomo dallo spettro dell‟eterodirezione senza calpestare l‟effettività della libertà religiosa e di espressione e rinunciare alla sua posizione di laicità? Ma soprattutto, stante la innegabile e ineliminabile componente sociale dell‟essere umano (riconosciuta anche dall‟art. 2 Cost.), quali condizionamenti possono definirsi leciti e quali illeciti?

Nel controverso e spinoso tema del brainwashing, la spontanea umana ricerca di risposte, di certezze e di dogmatismo incontra il sogno di controllo dell‟altrui pensiero che sembra non essersi mai sopito, presentandoci degli scenari che possono apparire degni di un romanzo distopico e che riecheggiano gli ammonimenti di Orwell, ma che in realtà sono molto più immanenti e vicini alla nostra esperienza di quanto ci

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piacerebbe ammettere. È proprio questa la caratteristica che rende la tematica del lavaggio del cervello straordinariamente attuale e di così vivo interesse, sia dal punto di vista psicologico-sociale sia giuridico.

Il presente lavoro si propone di indagare il controverso fenomeno della manipolazione mentale, in una prospettiva dapprima psicologica e sociologica, e successivamente squisitamente giuridica. Si ritiene, infatti, imprescindibile prendere le mosse dagli autorevoli contributi provenienti dalle scienze psicologica, sociologica e criminologica. A tal proposito, si darà conto non solo delle origini e della successiva evoluzione del concetto di “lavaggio del cervello”, ma anche della variegata fenomenologia che connota la sua manifestazione concreta. Saranno analizzati, pertanto, il fenomeno settario, la struttura interna che generalmente lo qualifica e le variegate tecniche di persuasione e di suggestione azionate per assicurarsi l‟adesione e la continua fedeltà degli adepti. Ma la potenzialità operativa della manipolazione mentale non si esaurisce nel contesto gregario dei gruppi settari o mafiosi, nonostante essi ne rappresentino la forma di manifestazione elettiva, in quanto consentono di esercitare un controllo costante, orizzontale e quanto più capillare sulla comunità dei seguaci. L‟influenza psichica illecita, difatti, penetra anche all‟interno delle mura domestiche e logora i rapporti di coppia, nell‟ambito dell‟odioso e spesso silente fenomeno del c.d.

gaslighting. Tenendo conto di questi rilievi e dopo aver fornito un‟analisi numerica e

statistica sull‟esperienza settaria nel nostro Paese, utile a chiarire la dimensione effettiva della questione, verranno illustrati i vari tentativi, ad opera delle scienze sociali, di decifrazione ed esegesi scientifica del fenomeno, fino a verificare se il “brainwashing” sia effettivamente suscettibile di essere qualificato come qualcosa di più di un semplice mito.

La seconda parte della presente opera si occuperà di illustrare il profilo penalistico del tema, attraverso una parabola che porterà a scoprire l‟origine, le caratteristiche e lo sviluppo diacronico della fattispecie di plagio, destinata ad adattarsi inevitabilmente alle trasformazioni culturali della nostra società e contenuta nel previgente art. 603 del Codice Rocco. Verrà analizzata la scelta incriminatrice del codice del 1930 e la ratio che la originò, le principali problematiche applicative e le soluzioni approntate dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel corso della sua lunga ma infruttuosa vigenza, soffermandoci sull‟unico episodio di condanna a titolo di plagio: il caso Braibanti. Quindi, ripercorreremo pedissequamente le fondamentali motivazioni giuridiche che hanno spinto la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 96/1981, a dichiarare la

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illegittimità costituzionale del plagio per contrasto con l‟art. 25 Cost. Si sottolinea come le ragioni principali della censura di incostituzionalità risiedano nell‟insufficiente tassatività del disposto dell‟art. 603 c.p., in tutte le sue componenti, nella inverificabilità concreta dello stato di “totale soggezione” contemplato dalla fattispecie, nella evanescenza del discrimine tra condizionamenti leciti e illeciti, nell‟impossibilità di accertare il fatto tipico mediante criteri logico-razionali, tanto da affidare inammissibilmente all‟arbitrio dell'organo giudicante la decisione sul fatto concreto, tale da spingere la Consulta a definire il plagio una “mina vagante” nel nostro ordinamento. L‟indagine si estenderà, in seguito, al di là dei confini nazionali, per dar conto delle discipline approntate da altri Paesi europei a tutela dell‟integrità psichica e dell‟autodeterminazione individuale, potendo l‟esperienza internazionale rappresentare una proficua fonte di spunto e di riflessione per il nostro legislatore.

Infine, saranno affrontate le prospettive de jure condendo in ordine alla lotta alle influenze psichiche illecite. A tal fine, ci si domanderà quale sia precisamente il bene giuridico tutelato, quale sia la sua collocazione nella cornice costituzionale e all‟interno della CEDU, se esso possa aspirare ad una protezione penale e se sia effettivamente possibile costruire una norma generale in termini sufficientemente determinati da rendere la formulazione normativa intellegibile e tassativa, in linea con le esigenze e il dettato della nostra Carta Costituzionale. La accurata disamina delle ragioni a favore e contrarie rispetto all‟introduzione di un titolo di reato sulla manipolazione mentale investirà, inevitabilmente, l‟annosa questione della probatio diabolica della causalità psichica, segnatamente nella dimostrazione in sede giudiziale della verificazione dell‟evento psichico e del nesso causale che lega la condotta e il fatto tipico. Tale accertamento risulta irto di ostacoli che paiono difficilmente superabili, a causa della natura squisitamente interiore e soggettiva dell‟effetto psichico della manipolazione mentale e dell‟assenza di certe ed attendibili leggi scientifiche di copertura che consentano al giudice di orientare il proprio convincimento su binari sicuri e oggettivi, dato che le leggi della psicologia e della psichiatria prestano intrinsecamente il fianco alla contestazione. L‟oggettività pare una qualità estranea al caso della “manipolazione psicologica”. A partire dagli anni ‟80 del secolo scorso, si è assistito, nel nostro ordinamento, al succedersi di diverse proposte di legge. Ciò ha sicuramente contribuito ad alimentare il dibattito pubblico, arricchito dalle riflessioni di autorevoli esponenti delle scienze psicologiche e religiose, ed ha incrementato considerevolmente la comune consapevolezza circa il tema della manipolazione mentale all‟interno del nostro

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ordinamento. Tuttavia, nessuno dei numerosi disegni di legge in parola ha mai ricevuto l‟approvazione del Parlamento, a causa dei ricorrenti e fatali difetti manifestati dalle varie formulazioni, le quali si dimostrarono incapaci di segnare un netto confine tra condizionamenti leciti e influenze devianti dalla consuetudine del vivere comune (e dunque patologiche e illecite), nonché di delineare in modo sufficientemente determinato e preciso la fisionomia del nuovo reato. I rilievi critici che la Corte Costituzionale aveva un tempo riservato al reato di plagio hanno continuato a riecheggiare negli sforzi riformisti dei posteri, i quali hanno tentato di confrontarsi con un tema eternamente controverso quale è quello della manipolazione mentale. Tuttavia, ogni proposta di legge avanzata si è scontrata con i fondamentali dettami della nostra Carta Costituzionale e non ha raggiunto, pertanto, l‟approvazione. Ci si chiederà, dunque, quali siano (e se vi siano) gli spiragli per un nuovo intervento normativo, attingendo da ogni risorsa offertaci dal nostro panorama penale. La dottrina non è univoca riguardo all‟opportunità e alla percorribilità di future prospettive di incriminazione: alcuni, denunciando il pericoloso vuoto di tutela apertosi nel nostro ordinamento a seguito della pronuncia di incostituzionalità che colpì il plagio, caldeggiano l‟istituzione di un nuovo reato che colmi la presunta lacuna, ritenendo che disporre di uno strumento di tutela perfettibile sarebbe comunque meglio di non averne alcuno; altri, al contrario, escludono radicalmente qualsiasi realistica prospettiva incriminatrice, sostenendo l‟insuperabilità delle difficoltà di formulazione della norma astratta e negando, a monte, l‟inservibilità della congerie di norme penali già vigenti, che si ritengono in grado di ricomprendere nella propria sfera repressiva, in modo appagante e completo, tutte le ipotesi di manipolazione mentale. Per orientarci nel dedalo cultofobico che per anni è stato eretto attorno alla manipolazione mentale, è d‟uopo domandarsi in quale misura la rinuncia alla libertà in cambio di maggiore sicurezza rappresenti un sinallagma effettivamente soddisfacente.

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PARTE I

BRAINWASHING: FENOMENOLOGIA DI UNA

METAFORA

CAPITOLO I

EXCURSUS STORICO DI UN TERMINE CONTROVERSO

1. Difficoltà definitorie e proposte di classificazione

Quello della manipolazione mentale è sicuramente un tema che, da sempre, affascina e, al contempo, terrorizza gli esseri umani. Una lama a doppio taglio, uno strumento subdolo, che si muove nell‟ombra, eppure estremamente preciso ed efficace. Nella nostra vita quotidiana, tutti cadiamo, inevitabilmente, vittima di condizionamenti. Del resto, “nessun uomo è un‟isola”, come scriveva John Donne1

: ognuno di noi conduce la propria vita immerso in una dimensione sociale, in cui l‟interazione tra individui e, segnatamente, lo scambio di opinioni reciproche rappresentano il fondamento di una rete di rapporti inter-personali che è in grado di plasmare la nostra stessa identità, di determinare la nostra educazione, la nostra cultura, i nostri pensieri. Infatti, se rifiutiamo le concezioni estreme riferite al comportamento umano, sia quella deterministica, sia quella che propugna un illimitato ed incondizionato libero arbitrio, un approccio più mite ed intermedio ci permette di intendere l‟uomo come una entità dotata sì di una innegabile libertà di autodeterminarsi, ma anche estremamente sensibile agli stimoli provenienti dall‟ambiente che lo circonda. Costatata, dunque, la caratteristica di insopprimibile socialità e di suscettibilità alle influenze esterne che è

1

DONNE, J., Meditation XVII, in Devotions upon Emergent Occasions, 1624, cit. “No man is an Island,

entire of itself; every man is a piece of the Continent, a part of the main; if a clod be washed away by the sea, Europe is the less, as well as if a promontory were, as well as if a manor of thy friends or of thine own were; any man's death diminishes me, because I am involved in Mankind; And therefore never send to know for whom the bell tolls; It tolls for thee”.

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indubbiamente connaturata all‟essere umano, la questione che conseguentemente si pone è la seguente: quando si può parlare di “controllo mentale”, o addirittura di “lavaggio del cervello”? Offrire una risposta convincente a questa domanda, apparentemente banale, non è affatto agevole. Infatti, è d‟uopo segnalare la perdurante mancanza di un accordo teorico-scientifico sul tema2. Gli esperti, in costante confronto tra loro, hanno proposto diverse alternative definitorie rispetto al concetto di “manipolazione mentale”. In ambito criminologico, esso viene fatto consistere nella “riprogrammazione emotivo-culturale di un individuo, con conseguente sua

destrutturazione percettivo-ambientale”3. Essa si inserisce nell‟ambito del “condizionamento”, innestandosi “cioè sul processo psicologico con il quale si

„influisce‟ sul comportamento altrui, ma rispetto ad altre forme di condizionamento sfocia in un risultato specifico: una “riprogrammazione” dell‟intera personalità”4

. Steven Hassan, ex adepto della Chiesa dell‟Unificazione e successivamente sottoposto con successo ad un processo di deprogrammazione, è autore del libro “Mentalmente

liberi: come uscire da una setta”. Nella sua trattazione, egli definisce il controllo

mentale come “un sistema di influenze capaci di distruggere, sostituendola con una

nuova, l'identità di un individuo, complessivamente intesa come l'insieme delle sue credenze, il comportamento, il pensiero e le emozioni”5. La nuova “fisionomia mentale”

che viene per questa via acquisita, nella maggior parte dei casi, non sarebbe mai stata accettata dal precedente assetto identitario, in mancanza dell‟intervento manipolatore6. L‟autore spiega come un carattere distintivo del controllo mentale sia quello di agire in maniera occulta ed assolutamente impercettibile, in modo che la vittima non sia in grado di avvedersi del processo in corso, o acquisirne una qualche coscienza. Pare, dunque, di poter trarre da queste definizioni la visione della manipolazione mentale come meccanismo capace di operare una destrutturazione psicologica dell‟individuo, di realizzare quasi un furto della sua identità, per poi riprogrammarla, orientandola nel senso più confacente agli ideali e agli scopi del manipolatore. Il metodo che consente di succedere nel raggiungere questo scopo è ben illustrato, sinteticamente, da Tizzani e

2 http://www.allarmescientology.it/txt/rdm_plagio.htm , estratti audio di una lezione universitaria tenuta

dalla Dott.ssa Raffaella Di Marzio, psicologa della religione, il 20 maggio 2011.

3 Così BRUNO F. - BARRESI F.- MASTRNARDI V. – FIORI M., Sette religiose e satanismo criminale:

aspetti criminologici e psichiatrico-forensi, in V. VOLTERRA (a cura di), Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, 2^ ed., Milano, 2010, p. 413.

4 NISCO, A., La tutela penale dell‟integrità psichica, Torino, Giappichelli, 2012 5 Ivi, cit., p. 27.

6

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Giannini7: “Occorre creare un canale privilegiato di comunicazione che veicoli le

informazioni distorsive nella mente del manipolato in modo tale che queste vengano accolte acriticamente ed inserite nella narrativa personale, sostituendo quella autentica, entrando così a far parte della sua identità”.

Solitamente, per indicare il suddetto fenomeno, vengono utilizzati indifferentemente i termini “manipolazione mentale” e “brainwashing” come sinonimi di “riforma (o controllo) del pensiero” o “persuasione coercitiva”8

. In realtà, si tratta di locuzioni che, seppur contigue, hanno un‟origine ed una storia diversa, che verrà analizzata più approfonditamente nel prossimo paragrafo. Hassan traccia una decisa linea di distinzione tra i concetti di “lavaggio del cervello” e di “manipolazione psicologica”9

. Il primo sarebbe basato su metodi coercitivi, di varia natura. In questo contesto, la vittima è perfettamente consapevole di trovarsi alla mercé del nemico. Essa viene sottoposta a maltrattamenti, abusi e perfino torture, e la relazione con il manipolatore è peculiarmente e chiaramente connotata, profilandosi una netta distinzione tra i rispettivi ruoli. Questo metodo è spesso violento e, in un certo senso, anche abbastanza rozzo e, tuttalpiù, solo provvisoriamente efficace: infatti, le persone vengono forzate ad agire nel modo in cui sono obbligate per proteggersi o salvarsi, e, una volta che l‟hanno fatto, attraverso le convinzioni inculcate, razionalizzano quanto gli è accaduto. Pertanto, l‟effetto di conformità ottenuto è destinato a dissolversi non appena il soggetto riesce a liberarsi dalla sfera di influenza dei manipolatori, in quanto evidentemente i nuovi concetti non sono stati completamente interiorizzati. L‟autore rinviene un esempio del presente fenomeno, allineandosi così all‟uso che viene generalmente fatto di questo termine, nell‟esperienza dei soldati americani i quali, fatti prigionieri durante la guerra di Corea, erano giunti a rinnegare i propri valori e a riconoscersi perfino responsabili di crimini di guerra. La seconda espressione, invece, che egli ritiene sinonimo di “controllo del pensiero”, si avvale di un metodo più sottile e raffinato, che non implica abuso fisico, ma che, in modo occulto, utilizza l‟ipnotismo e le dinamiche di gruppo per ottenere l‟effetto di indottrinamento. Qui manca l‟elemento coercitivo e della minaccia, sostituito da una manipolazione ed un inganno che vengono portati avanti costantemente e che si inscrivono in un contesto caratterizzato non da una aperta

7

TIZZANI E., GIANNINI A. M., La manipolazione mentale nei gruppi distruttivi, in Rivista di Criminologia, 01 Dicembre 2011, Issue 3, p.67.

8 USAI, A., Profili penali dei condizionamenti psichici. Riflessioni sui problemi penali posti dalla

fenomenologia dei nuovi movimenti religiosi, Giuffrè, Milano, 1996.

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ostilità, come avviene nel “brainwashing”, bensì da una relazione di (apparente) amicizia e comunione, che induce la vittima alla collaborazione inconsapevole, ed anzi

latu sensu volontaria, dovuta al fatto che in essa, non percependo il pericolo

incombente, non si attivano i consueti meccanismi di auto-difesa che sarebbero sicuramente stati innescati in una situazione normale, priva di tali influenze.

La distinzione appena illustrata ricalca la classificazione delle tipologie di

brainwashing costruita da Kathleen Taylor10, ricercatrice nel Dipartimento di fisiologia, anatomia e genetica dell‟Università di Oxford, la quale articola il fenomeno in due forme di manifestazione: il brainwashing “by force” e il brainwashing “by stealth”. Il lavaggio del cervello che si realizza “con la forza” è determinato da interazioni personali e fortemente coercitive tra la vittima e il brainwasher, indipendentemente dal fatto che il secondo agisca singolarmente, seguendo propri scopi o metodi, come avviene regolarmente nei casi di abuso nell‟ambiente di coppia o verso minori, oppure che sia parte di un gruppo od organizzazione più massiccia ed organizzata, nello stile della riforma del pensiero comunista11. Il presente paradigma manipolatorio si affida ciecamente alle asimmetrie di potere, alla coercizione, alle emozioni e alle relazioni interattive che si possono istaurare nei gruppi, specialmente in quelli di più piccola entità. Richiede necessariamente un non indifferente investimento sia in termini di tempo, sia di energie, e proprio a questo fatale difetto, insieme probabilmente alle riserve etiche, è imputabile il suo scarso uso da parte dei governi Occidentali12, ed è tale tratto distintivo quello che ci ha protetto dall‟avverarsi della terribile distopia descritta da George Orwell nel romanzo “1984”. Al contrario, le piccole formazioni sociali, come quelle terroristiche o rinvenibili nell‟esperienza dei culti, possono vantare un più intenso e totalitario controllo sull‟ambiente della vittima: questa caratteristica permette loro di attuare tecniche più vigorose13. Inoltre, la manipolazione “per mezzo della forza” innesca molto frequentemente una serie di reazioni, anche violente, e nel caso in cui la risposta del brainwasher sia più vigorosa, al fine di vincere tali resistenze, essa rischia di lasciare il soggetto fortemente traumatizzato (ad esempio, i prigionieri americani reduci dalla Corea presentavano alti tassi di malattia mentale)14. Senza dubbio attraverso tale metodo si possono ottenere risultati, ma che però spesso si rivelano non

10

TAYLOR, K., Brainwashing : the science of thought control, Oxford : Oxford University Press ; 2004.

11 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 96. 12 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 97. 13 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 97. 14

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soddisfacenti, in quanto non affidabilmente stabili: niente garantisce che le idee originali che sono state soppresse non riemergano in un momento successivo. Questo accade, esemplificando, nella violenza domestica. Il brainwashing “furtivo”, dall‟altro lato, non si affida alla coercizione, fondandosi su tentativi di condizionamento qualificabili come singolarmente piuttosto deboli, e che, attraverso la loro costante reiterazione, di una ingente quantità e nel corso del tempo15, si sedimentano nell‟identità dell‟individuo in modo invisibile, ma con effetti ben più radicati e promettenti in termini di resistenza. In questa ultima categoria di brainwashing potrebbe inserirsi la pubblicità, la quale è tendenzialmente indirizzata ad un target indifferenziato, del pubblico di massa. Essa si innesta in una cultura globalmente votata alla ideologia comunemente accettata di capitalismo, consumismo e libertà individuale. Di questa cultura nessuna singola operazione pubblicitaria può essere imputata come responsabile, eppure il discorso cambia se consideriamo tutti gli atti di advertising come componenti di un tutt‟uno, capace di trasmettere messaggi dotati di potenti effetti sul nostro comportamento e pensiero. Si avrebbe buona ragione ad indicare nel brainwashing “by

stealth” la forma più insidiosa di manipolazione mentale, delle cui tecniche possono

avvantaggiarsi perfino gli Stati in un loro potenziale anelito di dominio ideologico dei propri cittadini. Da un punto di vista neuroscientifico16, possiamo apprezzare la netta distanza tra le suddette due forme di “lavaggio del cervello”, osservando come il

brainwashing “by force” è maggiormente temuto perché minaccia gli schemi forti e

centrali, le importanti caratteristiche che formano i nostri orizzonti cognitivi17. Invece, i metodi “stealthy” possono mutare alcune concezioni periferiche e forse rafforzare alcune sinapsi nel nostro cervello, ma in definitiva il soggetto non percepisce detta operazione come un cambiamento nell‟ Io18

, nonostante la costante sottoposizione alla pubblicità ci influenzi in realtà pesantemente. Sostiene la Taylor19, regalandoci un‟immagine molto esplicativa della sostanziale differenza tra i due fenomeni: “se la

pubblicità è erosione, il brainwashing per mezzo della forza è un terremoto o l‟impatto di una cometa: una interferenza esplosiva col nostro mondo interno”20. Di fatto, si possono verificare, nelle nostre menti e nelle nostre credenze, sia cambiamenti

15 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 96.

16 Per approfondire il tema delle basi scientifiche richieste per realizzare il “lavaggio del cervello” ed

avere una completa ricognizione delle conoscenze neuroscientifiche e tratte dalla scienza della genetica sul punto, v. ibidem, capitolo VII- “Our ever-changing brains”, p. 105 e ss.

17 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 125. 18 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 125. 19 Ibidem.

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improvvisi, quando l‟energia sprigionata da emozioni forti si insinua nei nostri sistemi cognitivi codificando un concetto, trasformandolo in senso rafforzativo da mera idea a profonda convinzione, sia cambiamenti lenti, che si realizzano con una gradualità progressiva ed impercettibile, similmente all‟apprendimento di un‟abitudine21.

Possiamo affermare, dunque, che il fine immediato del brainwashing è quello di ottenere un cambiamento nel comportamento. In realtà, l‟aspetto comportamentale è solo secondario: lo scopo principale è di mutare i pensieri della vittima in modo che essi incontrino e condividano l‟ideologia del manipolatore. Frequentemente il cambiamento è così netto da non coinvolgere solo i pensieri e le convinzioni della vittima direttamente collegati a quella ideologia, ma tutti i suoi credi, anche i più banali, così che le sue azioni possono essere interpretate alla luce delle nuove convinzioni. La vittima è concepita non come una persona, ma alla stregua di un semplice strumento da manipolare, in modo da distruggere la sua identità indipendente, la quale sarebbe incompatibile con un controllo eterodiretto. Tale presupposto rende estremamente evidente come il brainwashing condivida, senza dubbio, diversi tratti fondamentali con il fenomeno della tortura, di cui esso rappresenta una evoluzione22. Del resto, molte testimonianze che descrivono situazioni di brainwashing includono atti di tortura fisica o psicologica23; senza dimenticare un altro fondamentale elemento che funge da comune denominatore delle due fattispecie, consistente nella ricerca del dominio sulla vittima. Tutto ciò risulta oltremodo evidente se consideriamo una definizione del concetto di tortura elaborata da John Conroy, ad avviso del quale il fine della tortura sarebbe quello di “ottenere informazioni, punire, obbligare un individuo a cambiare le sue credenze o

adesioni, intimidire una comunità”24. Recentemente, il concetto Cartesiano di “diamond

mind”25, per cui le nostre menti sarebbero pure, trascendenti il mondo fisico, cristalline come diamanti, è stata sostituita ed aggiornata attraverso il riferimento ad una concezione molto più flessibile e composita, e in un certo senso più moderna. I filosofi e gli scienziati hanno argomentato che l‟Io, in qualsiasi modo lo si definisca, somiglia molto più all‟argilla che ad un diamante: malleabile, interconnesso, e dipendente dalla realtà empirica, specialmente dalle caratteristiche della mente umana stessa26.

21 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 207. 22 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 92. 23

Ivi, p. 204.

24 CONROY J., Unspeakable Acts, Ordinary People: the dynamics of torture, University of California

Press, 2001, p. 26.

25 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 207. 26

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Osserviamo quindi come l‟idea di mente, di Io, ed, infine, di brainwashing si riducono ad un dato non statico, bensì oltremodo dinamico. Ma soprattutto, questo modo di concepire la mente ed in generale l‟Io riveste un ruolo centrale nella teoria del

brainwashing: è di immediata comprensione, giovandosi di una semplice metafora,

come una mente “argilla” sia sensibilmente più suscettibile ad un‟opera di rimodellamento e di costruzione di una mente “diamante”. Pur tuttavia, concludere che non esista alcuna via di scampo dall‟attacco psicologico altrui sarebbe eccessivo ed oltremodo fuorviante. Seppur molto sensibile agli stimoli esteriori, infatti, la nostra mente non si trova sprovvista di risorse utili ad attivare meccanismi di auto-tutela. Ci si riferisce in primo luogo alla c.d. “reattanza” 27. Essa rappresenta il naturale meccanismo di resistenza psicologica all‟impulso di seguire ordini provenienti da altri. Agendo alla stregua di un sistema di allarme, segnala un‟imminente minaccia alla libertà. Capiamo dunque il motivo per cui contro di essa si gioca la sfida maggiore per i tecnici dell‟influenza. Ogniqualvolta sentiamo di essere manipolati, la reattanza innesca un meccanismo che viene definito “stop-and-think”, la base della nostra resistenza a tentativi di influenzamento28. Un cambiamento subitaneo di sufficiente entità, come la tempesta di emozioni provocata dal brainwashing by force, annienta questa resistenza attraverso la coercizione, mentre il cambiamento lento e liquido del brainwashing by

stealth procede con metodi più chimerici per superare la nostra consapevolezza di

essere influenzati. Pregio di quest‟ultima categoria di brainwashing è il suo successo nella battaglia contro la reattanza, in quanto riesce ad evitarla29. Ovviamente, è sempre latente il rischio che la vittima possa notare la manipolazione in corso, sebbene ben celata. Tuttavia, i tecnici dell‟influenzamento affermano che prima che questo accada essi avranno comunque già raggiunto il proprio scopo30. Un elemento di cruciale importanza, da questo punto di vista, è quello di evitare che la vittima concettualizzi il loro comportamento come un tentativo di influenzarla. Specialmente quanto il mutamento dell‟assetto di credenze individuali deve essere solo temporaneo31

, il

brainwashing “by stealth” rappresenta una valida e più proficua alternativa alla

manipolazione coercitiva, in quanto più semplice nella metodologia. Nonostante ciò, questa via presenta anche delle difficoltà per il brainwasher, che si apprezzano

27 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 207. 28 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 207. 29 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 230. 30 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 230. 31 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 230.

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specialmente quando il processo di controllo si vuole trasferire su una scala maggiore, di massa. Le problematiche che sorgono sono chiaramente dovute al fatto che, come osserva la Taylor, in questo caso sia esponenzialmente più alto il pericolo di venire scoperti, visto che, in primo luogo, il processo si dirige indistintamente verso una massa di soggetti con differenti credenze, retroterra culturali e desideri e, secondariamente, in ragione della più ampia possibilità di accesso a diverse fonti di informazione. Il

brainwasher idealmente preferirebbe, di conseguenza, che la popolazione che sia stata

eletta a bersaglio sia isolata: laddove ciò non sia possibile, si può raggiungere artificialmente l‟effetto di isolamento individuando un nemico comune (come lo sono stati, a suo tempo, i comunisti oppure, più recentemente, Al Qaeda)32.

Il tema della manipolazione mentale è stato tradizionalmente connesso a quello del controllo psicologico distruttivo operato dai cc.dd. culti e dal settarismo criminale. Tuttavia, sarebbe assolutamente errato operare una generalizzazione ed etichettare tutti i culti o, secondo una espressione più recentemente prediletta, Nuovi Movimenti Religiosi quali aggregazioni criminali. E‟ obbligatorio, in altre parole, evitare la discriminatoria equazione tra culto e pratiche di manipolazione mentale o “lavaggio del cervello”, in quanto la stessa psicologia sociale spiega come non vi sia tra i due una corrispondenza biunivoca: possono darsi culti completamente innocui e scevri da alcun tipo di pratica di manipolazione psicologica, così come può sussistere una manipolazione psicologica al di fuori dell‟ambiente settario. Abbiamo osservato come la manipolazione mentale si instauri all‟interno di un particolare tipo di relazione, in cui uno o più individui privi di scrupoli, adottando tecniche sempre più evolute di condizionamento psichico e di suggestione psicologica, ricercano il dominio verso un‟altra persona, tentando di soggiogarla e di imporre su di essa la propria volontà, mettendo in moto relazioni patologiche la cui estrema destinazione risiede nell‟annullamento della identità della vittima e nella sua totale strumentalizzazione33

. Se questo è vero, si esorta a non dimenticare come le stesse dinamiche di potere distruttivo possono essere rintracciate anche in numerose altre situazioni che appartengono all‟esperienza quotidiana di ognuno di noi, come nelle relazioni di coppia o nelle attività purtroppo molto frequenti di sfruttamento di soggetti deboli, come gli anziani, che vengono adescati da truffatori, o i minori, fin troppo facile e succulenta preda per

32 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 231. 33

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organizzazioni criminali eterogenee34. La manipolazione mentale attrae nella propria infida rete anche personalità integrate e prive di profili patologici, le quali, trovandosi in un particolare momento di difficoltà nella propria vita, si rivolgono alla magia e alle promesse di santoni o sedicenti esperti senza scrupoli, la cui finalità è puramente quella di guadagno. Infatti, la manipolazione si estrinseca nel “dirigere e guidare le persone

senza o contro la loro volontà”, e ancora nell‟“utilizzo delle stesse come oggetto e del procacciamento di vantaggi in modo truffaldino o non proprio legale”35. La manipolazione psicologica, nella maggioranza dei casi, non è fine a se stessa, teleologicamente orientandosi piuttosto verso la procurazione di un vantaggio all‟agente, prevalentemente di natura patrimoniale o sessuale36

. In definitiva, sotto la voce “manipolazione psicologica”, a ben vedere, si potrebbe ricondurre una vasta gamma di situazioni relazionali eterogenee: il rapporto genitore-figlio, quello maestro-alunno, quello analista-paziente, quello sacerdote-fedele, e ancora la relazione sentimentale o di amicizia. Si tratta certamente di ambiti in cui si possono verificare episodi di influenzamento reciproco suscettibili di essere qualificati come “normali”, o “fisiologici”. Inoltre, ovviamente, anche in questi casi si può sperimentare l‟instaurazione di una dinamica relazionale che porta alla dipendenza, di vario genere, di un soggetto nei confronti di un altro. Ebbe modo di sottolinearlo la stessa Corte Costituzionale, la quale, nella storica sentenza n. 96/1981, nel motivare la dichiarazione di illegittimità costituzionale del reato di plagio, il quale puniva “chiunque sottopone

una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione”,

osservò criticamente come la formulazione introdotta dalla norma, la quale si imperniava sul controverso concetto di “soggezione” avrebbe potuto rischiare di essere arbitrariamente applicata, a completa discrezione dell‟organo giudicante, alle più disparate situazioni concrete in cui si intravedesse un legame psicologico tra due persone dotato di una certa rilevanza sia quantitativa che qualitativa. Tale profilo rendeva a tutti gli effetti la fattispecie di plagio una “mina vagante” nell‟ordinamento italiano, “potendo essere applicata a qualsiasi fatto che implichi dipendenza psichica di

un essere umano da un altro essere umano e mancando qualsiasi sicuro parametro per accertarne l‟intensità37”.

34 Ibidem.

35 BVerfG, Beschluss vom 26.6.2002, in NJW, 2002, p. 2626 ss.

36 VITARELLI, T., Manipolazione psicologica, Wolters Kluwer, 2016, p. 11. 37

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Non è chiaro, d‟altra parte, quali elementi differenzino qualitativamente la manipolazione dalla costrizione. Si deve infatti negare, come abbiamo sopra osservato, che la manipolazione implichi sempre e necessariamente la costrizione, anche se alcuni, attraverso una elaborazione teorica affetta da una certa circolarità, ritengono che il riconoscimento di un legame di tal fatta sarebbe ben fondato, in quanto la persona manipolata si troverebbe per definizione soggetta a costrizione, essendo il consenso da lei prestato in ogni caso “viziato” o “apparente” proprio in ragione della manipolazione subita38. Costatando tale difficoltà epistemologica, si deve osservare come si riveli estremamente complicato, anche per gli esperti del settore, distinguere i condizionamenti fisiologici, inscrivibili nel diritto ad esprimere liberamente il proprio pensiero e tutelati perciò dall‟art. 21 Cost., da quelli patologici, dunque illeciti e pertanto meritevoli di un intervento repressivo. Peraltro, l‟opacità di tali concetti, che appaiono evanescenti ed astratti, è in parte responsabile della infruttuosità dei vari sforzi legislativi volti alla introduzione di una norma penale a tutela dell‟integrità psichica, che, ricalcando il vecchio reato di plagio, non ne riproduca le fatali mancanze che hanno determinato la Consulta a cancellare l‟incriminazione dal nostro ordinamento.

Secondo Kathleen Taylor, quando si parla di “brainwashing”, si devono tenere in considerazione tre profili39. In primo luogo, il termine può assumere significati diversi in base a chi pronuncia questa parola, in dipendenza del proprio retroterra culturale. L‟espressione non può mai essere privata di connotazioni intrinsecamente politiche e valutative: citando l‟autrice, “quando si tratta di brainwashing, bisogna essere

consapevoli che si sta discutendo anche di politica, essendo le due fortemente interconnesse”40. Secondariamente, il brainwashing presenta una varietà di sfaccettature che non possono essere tenute separate. Esso non può essere visto solo e riduttivamente come un mero insieme di tecniche raffinate e consolidate, ma anche come un sogno, una visione di un definitivo controllo del comportamento e del pensiero altrui41. Il

brainwashing è più ambizioso e più coercitivo della semplice persuasione, e questo

rappresenta un punto di distinzione tra i due concetti42. Ma soprattutto, frequentemente si tende a fare uso di questo termine quando non si è in grado di trovare alcuna altra spiegazione convincente per motivare razionalmente fenomeni straordinari. Si allude,

38

NISCO, A., La tutela penale dell‟integrità psichica, Torino, Giappichelli, 2012.

39 TAYLOR, K., Brainwashing : the science of thought control, Oxford : Oxford University Press ; 2004. 40 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 8.

41 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 9. 42

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per esempio, a tragici episodi quali i suicidi di massa, primo fra tutti quello di Jonestown in Guyana, o all‟ apparentemente inspiegabile e sensazionale sentimento di dedizione sviluppato dalla giovane Patty Hearst nei confronti dei suoi aguzzini43. Inevitabilmente, il nostro primo istinto è quello di qualificare queste esperienze come atti di brainwashing, nel nostro costante bisogno di assegnare un nome alle cose, forse illudendoci così di acquisirne una migliore conoscenza. Non sappiamo come altro definirli, per cui ci si accontenta dell‟uso di un‟espressione nata come metafora giornalistica, a seguito dello stravolgimento del proprio significato originale, e che risente di tale origine mediatica44. Possiamo fare esperienza di questa umana e naturale tendenza non solo nell‟approcciarci a fatti di cronaca di tale portata, ma anche nella vita quotidiana quando, di fronte a scelte, etero-indotte, che ci appaiono imprevedibili e stravaganti, perché opposte al consueto stile di vita conformista, o distanti dai valori morali dominanti, si elevano accuse di lavaggio del cervello45. Come altro si potrebbe spiegare l‟adesione a culti strani, eccentrici46

? Sicuramente, come spesso avviene, l‟opinione pubblica corre ad assestarsi su posizioni estremamente critiche, sospettando immediatamente una lesione dell‟altrui integrità psichica. Usai riassume questo fenomeno nella locuzione “tirannia della normalità”47

, indicando la generalizzata sensazione per cui il campanello di allarme per il presunto compimento di un lavaggio del cervello stia nella conduzione di una vita “strana”. L‟autore si esprime in questi termini: “si parte infatti dalla tautologia che le dottrine proposte dai NMR siano

assurde e da ciò deriva quindi che coloro che ci credono non sono persone psichicamente normali. La stessa idea della tirannia della normalità è condivisa anche da Del Re (pag. 167), che parla di culto “ragionevole”, che si indentifica in definitiva con quanto è ritenuto tale dalla maggioranza ed è un concetto che chiaramente,

43

Per approfondire sull‟argomento, si veda TAYLOR, K., Brainwashing : the science of thought control, Oxford : Oxford University Press ; 2004., p. 10 e ss.

44 http://www.allarmescientology.it/txt/rdm_plagio.htm , estratti audio di una lezione universitaria tenuta

dalla Dott.ssa Raffaella Di Marzio, psicologa della religione, il 20 maggio 2011.

45

VITARELLI, T., Manipolazione psicologica, Wolters Kluwer, 2016.

46 USAI, A., Profili penali dei condizionamenti psichici. Riflessioni sui problemi penali posti dalla

fenomenologia dei nuovi movimenti religiosi, Giuffrè, Milano, 1996, cit. p. 85: “È da ribadire, infatti, che una larga corrente di pensiero, ostile ai NMR (Nuovi movimenti religiosi), ritiene che la possibilità di programmare gli individui sia l‟unico modo per spiegare come sia possibile che tante persone entrino a far parte di un cult. Ciò avviene sulla base della spesso veritiera premessa che il „santone‟ che guida la setta sia obiettivamente un ciarlatano, che insegna un insieme di dottrine assurde ed in evidente contraddizione logica, e che offre un sistema di vita poco interessante, se non innaturale e ripugnante. La conseguenza dell‟ assunto è che nessuna persona in grado di ragionare abbraccerebbe spontaneamente un tale sistema di vita. L‟ulteriore conseguenza è che le persone che lo fanno non lo facciano volontariamente, ma in quanto siano soggette a fattori concomitanti che producono in modo deterministico la conversione”.

47

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applicato al campo religioso, apre la porta ad abusi e persecuzioni, soprattutto se diventa anche il metro per giudicare il contenuto fideistico del culto”.

Le influenze sociali rientrano nella normalità delle relazioni umane e possono deviare dalla norma se sono connotate da una intensità molto elevata, eccessiva ed indebita, che dobbiamo immaginare posizionata all‟estremo di una astratta scala che misuri l‟entità dei condizionamenti sociali48

. Come abbiamo già notato, questo non si verifica sempre, neppure nei gruppi che definiamo “sette”. Il brainwashing sviluppa il condizionamento, specialmente quello condotto attraverso il controllo ambientale della vittima, fino ad un livello estremo, in modo da raggiungere la totale padronanza del mondo della vittima. Avvertiamo, allora, l‟esigenza di focalizzare l‟attenzione su quali siano i caratteri del brainwashing, i suoi tratti distintivi e definitori. Ci serviamo, a questo scopo, ancora una volta della dissertazione di Kathleen Taylor, la quale mette in luce quattro profili peculiari del “lavaggio del cervello”49. Anzitutto, lo scopo (“purpose”): il brainwashing è un atto deliberato, non necessariamente votato ad uno scopo maligno, poiché tale valutazione dipende grandemente dal punto di vista che si adotta, ben potendo il manipolatore ritenere che la sua attività sia benefica per la vittima50. Ciò che rileva in questa sede è la sussistenza di una consapevole e volontaria azione condotta per cambiare la vittima. Per profilarsi un caso di brainwashing, tuttavia, questo elemento, seppur necessario, non è sufficiente. Si richiede, in aggiunta, il dato della “differenza cognitiva” (“cognitive difference”), che consiste nella diversità (a volte estrema) tra il nuovo assetto di credenze e quelle precedenti51. Con l‟espressione “credenze”, è d‟uopo specificare, si allude ad una nozione di non facile definizione, che “concerne certi oggetti o situazioni e che implica che il titolare delle stesse credenze

accetti la verità delle affermazioni riguardanti tali oggetti o situazioni”52. Nel brainwashing la differenza cognitiva è veramente sostanziale ed immediatamente percepibile, anche se i pensieri acquisiti attraverso tali tecniche potrebbero non resistere molto a lungo nella mente della vittima. Inoltre, va considerato anche un quarto fattore, denominato “timescale”, o “arco di tempo”: più breve è il tempo in cui si verifica la transizione tra le vecchie e le nuove convinzioni, più è probabile che un processo di

48 http://www.allarmescientology.it/txt/rdm_plagio.htm , estratti audio di una lezione universitaria tenuta

dalla Dott.ssa Raffaella Di Marzio, psicologa della religione, il 20 maggio 2011.

49 TAYLOR, K., Brainwashing : the science of thought control, Oxford : Oxford University Press ; 2004.,

p. 10 e ss.

50 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 10 51 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 11

52 TAYLOR, K., Brainwashing : the science of thought control, Oxford : Oxford University Press ; 2004,

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brainwashing sia avvenuto53. Imprescindibile, infine, è il riferimento all‟ultima caratteristica del lavaggio del cervello, definita dall‟autrice “last resort” (“ultima risorsa”)54

, poiché va notato come quello di brainwashing sia tipicamente un concetto a cui approdiamo solo in ultima istanza, quando ci sfuggono, almeno a prima vista, alternative giustificatrici convincenti.

Apprestandoci ad una ricostruzione storica della figura del “lavaggio del cervello”, si ritiene opportuno preliminarmente sgombrare la mente da alcuni “falsi miti”. Il primo, è quello per cui questo terribile meccanismo permetterebbe di transitare da un forte e consolidato stato di credenze ad uno nuovo, altrettanto potente. Questo è stato supposto nel caso dei prigionieri di guerra americani, ma non è assolutamente scontato che le credenze sostitutive godessero della stessa consistenza e fossero tanto radicate quanto quelle primigenie. Oltre alla già esplicata constatazione per cui sovente la persuasione di cui ci si vale non è di natura coercitiva, ma anzi è portata a termine attraverso l‟inserimento del soggetto in una rete di amore e accettazione, bisogna avvedersi della circostanza che le nuove credenze sono associate con stati di natura estremamente emozionale. Si fa leva sull‟emotività dell‟individuo, sulle sue fobie; si ricorre al ricatto psicologico e affettivo55. Ne consegue che, al contrario di quanto comunemente si crede, sfidare e ricusare questi tipi di credenze da un punto di vista razionale risulta estremamente complicato, se non praticamente impossibile.56 Questo perché il soggetto manipolato opporrà una forte resistenza all‟interlocutore, percependo qualsiasi sfida al suo assetto ideale come una presa di posizione ostile e rifiutando di intrattenere un confronto razionale: le nuove credenze sono infatti considerate sacre e quindi inattingibili dalla ragione57.

2. Il percorso storico della manipolazione mentale

Il termine “brainwashing” ha origine in guerra, in particolare durante la Guerra di Corea. La sua data di nascita risale al 1950. A coniarlo fu Edward Hunter (1902-1978), agente della CIA e giornalista sotto copertura, il quale ricalcò questa espressione dal cinese hsi-nao o xi-nao, termine usato in via colloquiale per identificare la “riforma del

53 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 11. 54

TAYLOR, K., Brainwashing, p. 11.

55 http://www.allarmescientology.it/txt/rdm_plagio.htm , estratti audio di una lezione universitaria tenuta

dalla Dott.ssa Raffaella Di Marzio, psicologa della religione, il 20 maggio 2011.

56 TAYLOR, K., Brainwashing, p. 12. 57

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pensiero” operata dai comunisti cinesi58

, impiegata per riformare le idee originatesi in ambiente borghese che, in quanto penetrate negli stati profondi della personalità59, erano resistenti alla dottrina rivoluzionaria60. Le tecniche usate nella riforma del pensiero del Paese asiatico facevano grande leva sull‟emotività, e si servivano di un serrato ed esasperato criticismo interno ed esterno all‟individuo, incoraggiando queste dinamiche all‟interno dei gruppi di studenti inseriti nelle apposite accademie, e parallelamente osteggiando apertamente le idee dissenzienti. Il metodo si basava inoltre su letture estenuanti e sulla totale negazione della privacy, non disdegnando l‟uso di torture fisiche e minacce61. Per la verità, la locuzione cinese affonda le proprie radici in un‟epoca molto più antica, risalendo, probabilmente, al tempo di Meng K‟o, un pensatore Confuciano del IV secolo a.c., ed indica il processo di “pulire la mente”, lo spirito e l‟anima attraverso l‟opera purificatrice della meditazione. Un‟accezione dunque eminentemente positiva, attinente ad un percorso di miglioramento intellettivo, che venne stravolta nell‟opera di Hunter, il quale, distorcendola, la circondò di un‟ aura assolutamente negativa, in un senso che coincide con un tipo di “stupro mentale”62

. La distanza tra le due concezioni dello stesso termine è sottolineata dallo psicanalista Robert Jay Lifton che, in un seminario sul tema, affermò: “è molto importante capire

che quello che noi vediamo come un insieme di manovre coercitive, i comunisti cinesi lo vedono come una esperienza moralmente edificante, armonizzante e dal valore scientificamente terapeutico”63. Il brainwashing “all‟americana” alludeva ad un indottrinamento, “un trattamento coercitivo che cancella i pensieri, le opinioni, le

categorie mentali di una persona, per consentire di manipolarne successivamente la psiche, annullando la capacità di autodeterminazione”64. Hunter pubblicò sulla stampa americana alcuni articoli nel 1950, e successivamente, nel 1951, compose l‟opera

58 TAYLOR, K., Brainwashing : the science of thought control, Oxford : Oxford University Press ; 2004,

p. 4.

59 DEL RE, M.C., Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell' integrità psichica, in

Studi in memoria di G. Delitala, I, Milano, 1984, p. 328.

60 INTROVIGNE, M., Nuovi movimenti religiosi e salute mentale, in www.cesnur.org, cit.: “Il timore che

i comunisti possiedano tecniche ipnotiche irresistibili comincia a diffondersi in Occidente con le confessioni pubbliche di crimini immaginari nei processi della "grande purga" staliniana degli anni 1936-1938, e con la confessione altrettanto pubblica del cardinale József Mindszenty nel processo di Budapest del 1949”.

61 TAYLOR, K., Brainwashing, p.22. Nelle accademie per la riforma del pensiero, si verificarono inoltre

molti casi di suicidio.

62

TAYLOR, K., Brainwashing, p. 4.

63 LIFTON, R.J., Thought Reform and the Psychology of Totalism: A Study of “Brainwashing” in China,

New York: W. W. Norton, 1961, p. 15.

64 USAI, A., Profili penali dei condizionamenti psichici. Riflessioni sui problemi penali posti dalla

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“Brainwashing in Red China”, dove si dedicava ad illustrare i vari metodi di "rieducazione" utilizzati nelle prigioni dei comunisti cinesi ai danni degli americani catturati in guerra, dei missionari cristiani e dei nazionalisti di Chang Kai Chek65. Il giornalista, riqualificando il termine cinese, gli attribuì una funzione del tutto propagandistica: si intendeva in questo modo spiegare come persone apparentemente “normali” potessero convertirsi ad una ideologia così deviata quale quella comunista.

Ma la storia della manipolazione mentale è assai più risalente. Negli anni Venti, si indagò su come e perché i “proletari” -il cui orientamento politico avrebbe dovuto semmai essere di segno opposto, perlomeno secondo le previsioni elaborate sul punto dal marxismo- abbracciassero invece posizioni fasciste o nazional-socialiste66, e aderivano alle idee propugnate dal Nazismo. È questa la tematica su cui si impernò e fiorì un interessante dibattito, non scevro da connotazioni politiche, specialmente marxiste, in cui intervennero, tra gli altri, studiosi del calibro di Erich Fromm (1900-1980) e Theodor W. Adorno (1903-1969). Siffatta fertile discussione pose le fondamenta della Scuola di Francoforte. Tale corrente di pensiero si affermò nella metà degli anni Trenta negli Stati Uniti, dove venne fondato l‟Istituto Internazionale per la Ricerca Sociale. Tale istituzione si dedicò all‟approfondimento degli studi sulla c.d. “personalità fascista” (arrivando sino al punto di elaborare una “scala F”, con cui misurare il “grado di fascismo” dell‟ individuo manipolato). Successivamente l‟attenzione degli studiosi si soffermò sulla c.d. “personalità totalitaria”, di stampo indifferentemente fascista o comunista. È proprio questo il campo di ricerca in cui si affermò ed emerse potentemente la figura dello psicoanalista Erik H. Erikson (1902-1994), il quale così offrì importanti contributi allo studio di alcune ideologie totalitarie. Egli sosteneva che, contrariamente a quanto si possa comunemente pensare, non ci fosse niente di magico nella gestione dell‟influenza e che i regimi ed i gruppi “totalisti” usassero tecniche che sono in realtà ampiamente attive e operative in ogni società.

Ma è negli anni Cinquanta che ebbe luogo una fondamentale diramazione scientifica, che produrrà un doppio percorso di studi67. Da una parte, Robert Jay Lifton ed Edgar Schein, allievi di Erikson, misero a punto una teoria del “totalismo” che

65 ALETTI M.; ALBERICO C., Tra brainwashing e libera scelta. Per una lettura psicologica

dell‟affiliazione ai Nuovi Movimenti Religiosi, in Mario Aletti e Germano Rossi (a cura di), Ricerca di sé e trascendenza, Centro Scientifico Editore, Torino 1999

66 INTROVIGNE, M. Legge sul plagio, capriccio liberticida della Casa per le libertà, articolo su "il

Foglio", 19 marzo 2004.

67 INTROVIGNE, M., Legge sul plagio, capriccio liberticida della Casa per le libertà, articolo su "il

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studiava l‟adesione a ideologie “totalitarie”, sia di natura politica, con particolare attenzione al modello Comunista cinese, sia religiosa (soprattutto il fondamentalismo)68. La teoria si articolava sulla formulazione di tre variabili, tutte necessarie: l‟educazione ricevuta nell‟infanzia, le preferenze filosofiche e culturali e la “persuasione coercitiva” nell‟ambito di programmi di “riforma del pensiero” tipici delle “istituzioni totali”, ma non solo, visto che, come Shein precisò, la “persuasione coercitiva” era consolidata anche in numerose istituzioni completamente lecite (come le accademie militari, le prigioni, i conventi di clausura)69. Una valutazione sulla loro accettabilità non poteva prescindere da una accurata osservazione non soltanto del metodo con cui venisse portata avanti la persuasione, ma anche e soprattutto del contenuto della stessa. Da notare, inoltre, come detta persuasione non fosse depurata da rischi di fallibilità, dovendo interagire anche con le altre due variabili sopra esposte70, come fece notare lo stesso Robert Jay Lifton.

Dall‟altro lato, nel turbolento contesto della Guerra Fredda, le tesi di Lifton e Shein vennero abusivamente impiegate da parte degli americani per motivare razionalmente l‟adesione a regimi “assurdi” come quello fascista o principalmente comunista, dato che veniva radicalmente esclusa l‟ipotesi della spontaneità e sincerità della condivisione di tali ideologie politiche da parte di individui che non fossero stati oggetto di manipolazione71. Si trattò di una netta semplificazione della complessa analisi del totalitarismo operata dalla Scuola di Francoforte72. Ecco quindi che fece la propria comparsa ed entrò nel vocabolario comune l‟espressione “lavaggio del cervello”, ideata da Edward Hunter e caricata di una accezione spregiativa e spiccatamente politica ed ideologica, indubbiamente figlia del suo tempo. Si diffuse largamente l‟erronea idea che termini come “brainwashing”, “riforma del pensiero” e “persuasione coercitiva” non rappresentassero altro che sinonimi. Per la verità, come abbiamo già accennato, si tratta di espressioni con un‟origine ed un significato diversi e tra di loro sussiste una sovrapponibilità solo approssimativa73. “Coercive persuasion” è la denominazione che Shein74, sotto il profilo della psicologia sociale, attribuì agli abusi praticati in danno dei prigionieri di guerra in Corea. Invece, Lifton adoperò la locuzione “thought reform” per

68 Ibidem. 69 Ibidem. 70 Ibidem. 71 Ibidem.

72 INTROVIGNE M., (2014) Advocacy, brainwashing theories, and new religious movements, Religion,

44:2, 303-319, DOI: 10.1080/0048721X.2014.888021.

73 ALETTI M.; ALBERICO C., Tra brainwashing e libera scelta, p.1. 74

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spiegare le metodologie impiegate in Cina per persuadere le masse ad accettare l‟ideologia comunista. Per di più, la dottrina di Lifton, segnatamente, apparve fornire la perfetta spiegazione delle tecniche utilizzate dai cinesi sui prigionieri di guerra americani. Questi ultimi erano detenuti nei c.d. thought reform camps, dove venivano rieducati attraverso maltrattamenti psicologici tesi a riplasmare le loro posizioni politiche ed ideologiche, deviandole in modo da renderle conformi a quelle imposte dal sistema cinese. Le tecniche, fini strumenti del lavoro di manipolazione, secondo la c.d.

teoria del lavaggio del cervello, sostenuta dal direttore della CIA Allen Welsh Dulles

(1893-1969) nel 1953, si prestavano sorprendentemente ad essere incasellate nelle categorie di Lifton, che aveva predisposto otto criteri che contraddistinguono l‟uso della “riforma del pensiero”. Infatti, ricorrevano gli elementi del milieu control (vista la stretta sorveglianza a cui i prigionieri erano sottoposti), il cult of confession (per il clima di diffidenza e sospetto che veniva creato tra di loro per mezzo delle periodiche confessioni semi-pubbliche a cui erano indotti), la mystical manipulation (il modo di esprimersi con toni mistici che prese il posto della logica nella vita quotidiana), l‟acceptance of basic group dogma as sacred (cioè l‟accettazione dei dogmi proposti come verità sacre), i demands for political and/or ideological purity (ovvero richieste di purezza politica o ideologica), la constriction or loading of language into polarizing

terms (consistente nell‟utilizzo di un linguaggio molto semplice e schematico), la doctrine over person (per cui la dottrina è considerata superiore rispetto all‟individuo,

pertanto le esperienze personali, anche passate, vengono interpretate alla luce dell‟ideologia e, se contrastanti, soccombono rispetto ad essa: l‟identità della persona viene quindi rimodellata per renderla coerente con la dottrina, reputata più valida e reale di qualsiasi altro aspetto dell‟esperienza umana75

) e la dispensing of existence (per cui l‟individuo percepisce la propria esistenza come dovuta alla sua dispensazione da parte dell‟autorità). Per queste vie, si otteneva un cambiamento apprezzabilmente duraturo76

75 GROENVELD, J., Gli otto punti distintivi del Controllo Mentale, Cult Awareness & Information

Centre, Australia, traduzione a cura di Simonetta Po, primavera 1999, in http://www.allarmescientology.it/txt/cm7.htm.

76 USAI, Profili penali, p. 24, nota 7:“Grazie alle analisi compiute da HINKLE L.E., WOLFF H.G.,

Communist Interrogation and Indoctination of 'Enemies of the State', in Am. Med. Ass. Arch. Neur.

Psych., 1956, 76, p. 115 ss., si è a conoscenza della vita-tipo del prigioniero. Egli veniva isolato in una cella buia e piccola, subiva interrogatori, torture fisiche, umiliazioni, maltrattamenti, deprivazione di sonno; l'alimentazione era scarsa, gli abiti inadeguati. In tal modo si tendeva a distruggere I' identità individuale del prigioniero, ponendolo in conflitto con I' ambiente circostante, stimolando forti ed ansiosi sensi di colpa. Insistentemente si pretendeva la confessione dei prigionieri, che, più volte, dovevano scrivere la storia della propria vita. Le storie venivano poste a confronto tra loro, ed ogni volta venivano chiesti nuovi dettagli. A mano a mano che cedeva alle pressioni, il prigioniero otteneva un allentamento

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