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Nudge nelle scelte di risparmio e previdenza

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

Nudge nelle scelte di risparmio e previdenza

Relatrice:

Prof.ssa Cecilia Vergari

Candidato:

Federico Stefanini

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Indice:

Abstract

Introduzione .1

1. Teoria del ciclo di vita di Modigliani .4

1.1. Il modello .6

1.2. Profilo longitudinale e sezionale del risparmio .9

1.3. Evidenze contrarie alla Teoria di Modigliani .12

1.4. Critiche alla Teoria del ciclo di vita .17

2. Teoria della scelta razionale e violazioni a tale teoria .21

3. Scelta intertemporale, il tempo nelle scelte .31

3.1. Modello di sconto esponenziale .32

3.2. Modello di sconto iperbolico .37

4. Teoria economica del Self-Control .41

4.1. Il modello Planner Doer .43

4.2. Regole e “Mental accounting” .46

4.3. Applicazione del modello .51

4.4. Varie implicazioni del modello .55

5. Uso dell’Economia comportamentale per aumentare i tassi di risparmio .66

5.1. Save More Tomorrow® .70

5.1.1. SMarT plan e adeguatezza del risparmio .83

5.1.2. Effetti potenziali su tasso di risparmio personale U.S.A. .85

(3)

5.2. “Segnali minimi” per aumento della contribuzione .90

5.3. L’utilizzo dell’economia comportamentale per il risparmio italiano .93

5.3.1. Il caso ENPAP .96

5.4. I vantaggi per le imprese .98

6. Etica dei nudge e critiche .100

6.1. Nudge, definizioni e motivo del loro sviluppo .100

6.2. Critiche e repliche sulla spinta gentile .106

CONCLUSIONI .116

BIBLIOGRAFIA .119

SITOGRAFIA .123

(4)

Abstract:

Nell’ultimo decennio si è registrato un aumento dell’utilizzo degli strumenti noti come “nudge” o spinte gentili. Tale aumento è accompagnato da un crescente interesse verso quella particolare branca dell’Economia nota con il nome di Economia Comportamentale.

Tali nudge possono essere utilizzati negli ambiti più disparati e con i fini più vari e meritevoli. Tra tali vari ambiti di utilizzo troviamo anche quello del risparmio e della previdenza. Molti autori e studiosi, infatti, nei tempi più recenti, con un’ottica paternalistica, hanno cercato e cercano di

sfruttare gli strumenti di nudge per incrementare i tassi di risparmio.

Possono tali spinte gentili risultare efficaci? E, soprattutto, possono costituire una valida alternativa agli strumenti tradizionali come leggi, incentivi e divieti?

In the last decade there has been an increase in the use of tools known as "nudge" or gentle thrusts. This increase is accompanied by a growing interest in that particular branch of Economics known as Behavioral Economics.

These nudges can be used in the most disparate fields and with the most varied and deserving purposes.

Among these various areas of use we also find that of savings and pensions. Many authors and scholars, in fact, in more recent times, with a paternalistic perspective, have tried and try to exploit the nudge tools to increase savings rates.

Can such effective gentle thrusts be effective? And, above all, can they constitute a valid alternative to traditional instruments such as laws, incentives and prohibitions?

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1

Introduzione:

Uno dei maggiori problemi che l’uomo, prima o poi, è costretto ad affrontare è decidere se e quanto risparmiare del proprio reddito. Come avremo modo di vedere, una persona può risparmiare per i più svariati motivi, tutti accomunati dal fatto di dover sottrarre del reddito al proprio consumo. Nonostante questo problema non sia nuovo, poiché le persone risparmiano sotto varie forme da centinaia di anni, alcune di loro non riescono, ancora oggi, ad accumulare una quantità di ricchezza tale da consentirgli un tenore di vita adeguato dal momento in cui, per loro decisione o per cause a loro non imputabili, smettono di lavorare.

Ma quanto dovrebbe risparmiare una persona per non avere problemi al momento del

pensionamento? A questa domanda cercano di rispondere, da sempre, gli economisti, con vari modelli e teorie normative. Fra questi autori uno dei più importanti e celebri insieme a Milton Friedman è Franco Modigliani, economista italiano vincitore del Premio Nobel per il suo “Modello del ciclo di vita”.

Se una persona seguisse pedissequamente il comportamento dell’agente del modello di Modigliani dovrebbe avere, al momento del pensionamento, un risparmio adeguato.

Da vari studi empirici sul risparmio delle persone però è possibile vedere che queste non si

comportano come immaginava l’economista italiano: sinteticamente il risparmio delle persone, per vari motivi che saranno analizzati, non segue il famoso andamento a “gobba” ma si comporta diversamente.

La motivazione principale di questa discrasia sta nella pretesa di considerare le persone come Homo Oeconomicus o Econi, vale a dire lungimiranti pianificatori dotati di estrema razionalità

intellettuale, quando alla realtà dei fatti, le persone non sono altro che semplici Umani o Homo Sapiens capaci sì di compiere scelte, ma che la maggior parte delle volte si rivelano sbagliate. Le scelte sbagliate vengono prese involontariamente, commettendo errori cognitivi dovuti a dei bias comportamentali e mentali.

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Per questo motivo, soprattutto negli ultimi decenni, una particolare branca dell’economia, ovvero l’economia comportamentale, si sta occupando di studiare e scoprire tali tipi di bias cognitivi. L’economia comportamentale si differenzia da quella tradizionale partendo dall’assunto che le persone sono affette da una limitata razionalità.

Ma, soprattutto, l’obiettivo più importante che gli economisti comportamentali, insieme agli psicologi, si sono posti, è come e se sia possibile sfruttare tali bias per migliorare le decisioni e il conseguente benessere delle persone. Questo viene fatto in vari ambiti, dall’ambito sanitario a quello ambientale, ed anche in vari ambiti dell’economia, tramite l’utilizzo di strumenti che sono ormai noti come “Nudge” o spinte gentili. Ne sono un esempio i casi di adesione automatica o del Save More Tomorrow negli Stati Uniti e il caso dell’ente previdenziale degli psicologi in Italia. Possiamo introdurre tali strumenti di nudge attraverso la definizione che Thaler e Sunstein danno nel loro libro: “un nudge è appunto una spinta gentile, cioè qualsiasi aspetto dell’architettura decisionale che altera il comportamento delle persone in maniera prevedibile, senza proibire alcuna opzione o modificare significativamente gli incentivi economici. Per essere considerato come un pungolo, l’intervento deve poter essere evitato facilmente e senza costi eccessivi”1. Da tale definizione emergono vari concetti, che verranno affrontati in maniera più specifica nel sesto

capitolo. Tali spinte gentili sono uno strumento che viene promosso dai sostenitori del più generale “Paternalismo libertario”, termine coniato da Thaler e Sunstein per indicare un approccio

paternalistico capace però di preservare la libertà di scelta, senza imporre niente a nessuna persona.

Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare tale tipo di strumenti innovativi e capire se possono essere un’alternativa valida agli strumenti cosiddetti “convenzionali” nell’ambito previdenziale, come incentivi economici o benefici fiscali. Questo viene fatto partendo dal capitolo primo, in cui viene esposto il Modello del Ciclo di vita di Modigliani in modo da capire come un individuo si comporterebbe se fosse dotato di estrema razionalità intellettiva. Con il secondo capitolo invece

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3

vedremo quando una scelta è razionale o meno. Con il capitolo terzo invece, introduciamo l’argomento del tempo nelle scelte poiché, quando parliamo di previdenza e risparmio non possiamo non considerare il fattore temporale. In tale capitolo verranno esposti due modelli di sconto, per primo il modello di sconto esponenziale e successivamente il modello di sconto iperbolico. Nel quarto capitolo viene esposta la teoria economica del self control con il modello Planner Doer ideato da Thaler e Shefrin per poi arrivare al quinto capitolo dove vedremo dei casi in cui l’economia comportamentale e in particolare i nudge, sono stati utilizzati per incrementare i tassi di risparmio delle persone. Per ultimo, nel sesto capitolo, dopo una breve descrizione dei principi del paternalismo libertario, dei nudge e delle ulteriori motivazioni al loro utilizzo, verranno evidenziate le critiche verso l’utilizzo di tali strumenti e le repliche dei promotori delle spinte gentili. Infine, saranno esposte delle conclusioni con il punto di vista dell’autore.

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1. Teoria del ciclo di vita di Modigliani:

Il modello del ciclo vitale del consumo e del risparmio, elaborato da Franco Modigliani nel 1954, insieme a Richard Brumberg e Albert Ando, rappresenta uno dei modelli maggiormente utilizzati in economia, in particolare nelle teorie che cercano di spiegare risparmio e consumo.

Il lavoro svolto infatti, valse a Modigliani il premio Nobel per l’economia del 1985, conferito «Per la sua analisi pionieristica del risparmio e dei mercati finanziari».

In breve, secondo la teoria del ciclo di vita di Modigliani, una delle ragioni più importanti per risparmiare è quella di provvedere alla pensione. I giovani e gli individui più anziani risparmiano per avere la possibilità di spendere nel momento in cui, non possono o non vogliono più lavorare. Quindi questo fa sì che la ricchezza di una nazione passi di mano in mano tra le generazioni, il massimo della ricchezza viene raggiunto alla soglia della pensione e dopo gli individui, divenuti anziani liquideranno le proprie attività per assicurarsi di poter spendere in alimenti, abitazione e svago durante il periodo di pensione. Queste attività di cui gli anziani si liberano verranno acquistate dai giovani che si trovano in una fase di accumulazione.

Questo, secondo Modigliani ha un’implicazione rilevante2: se la popolazione di un paese cresce

quel paese avrà più giovani che anziani, quindi più persone con risparmio positivo che persone con risparmio negativo con un conseguente risparmio netto positivo.

Se i redditi aumentano, i giovani risparmieranno maggiormente rispetto a quanto gli anziani decumulino, e allo stesso modo della crescita della popolazione, questo genera risparmi positivi. Più è elevata la crescita e più alto sarà il tasso di risparmio, e, secondo Modigliani, non è rilevante il motivo per cui il tasso di risparmio cresce, ma l’importante ai fini del risparmio è il tasso di crescita del reddito totale.3

Tale teoria sostituisce la teoria del reddito assoluto di John Maynard Keynes, secondo cui la

2 Modigliani F., Brumberg R. (1954), Utility analysis and the consumption function: an interpretation of cross-section

data

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5

propensione marginale e media al risparmio cresce all’aumentare del reddito. Per la teoria del ciclo vitale invece il livello dei risparmi dipende dalla struttura demografica della popolazione.

Per completezza di esposizione, e per capire quali sono i motivi per cui un individuo risparmia accenniamo brevemente alla teoria di Keynes, secondo il quale le persone risparmiano per i seguenti 8 motivi elencati nella General Theory del 19364:

1. Il “motivo precauzionale”, costituendo una riserva per fronteggiare eventi imprevisti; 2. Il “motivo del ciclo di vita”, per riuscire a sostenere spese future anche con il reddito futuro,

come nel caso dell’educazione dei propri familiari;

3. Il “motivo della sostituzione intertemporale”, per godere cioè dell’interesse e del capital gain, avendo così in futuro una maggiore disponibilità di consumo reale;

4. Il “motivo del miglioramento”, per godere di una spesa progressivamente crescente, per permettersi una maggiore capacità di spesa futura;

5. Il “motivo dell’indipendenza”, per godere di un senso di indipendenza e avere una maggiore capacità di agire;

6. Il “motivo dell’iniziativa economica”, per iniziare o continuare un progetto imprenditoriale, per attuare investimenti speculativi o commerciali;

7. Il “motivo del lascito ereditario”, per lasciare cioè un patrimonio ai propri eredi; 8. Il “motivo dell’avarizia”, per soddisfare la propria avversione psicologica al consumo.5

Browning e Lusardi, sessanta anni dopo aggiungono a tali moventi di risparmio, quello diretto all’acquisto di beni durevoli come abitazioni, automobili ed altri.6

Secondo Keynes quindi il consumo è una funzione crescente del reddito corrente. L’individuo andrà ad impostare il proprio consumo e quindi il proprio risparmio di un certo periodo basandosi sul

4 Spataro L. (2020), Economia del Risparmio e della previdenza, pag.25

5 Baranzini M. (2005), La teoria del ciclo vitale del risparmio di Modigliani cinquant’anni dopo, in “Moneta e Credito”, pag.119

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6

reddito disponibile in tale periodo.

Quest’ultimo rifiuta la proporzionalità fra consumo e reddito e considerando la legge psicologica fondamentale della sua teoria possiamo riassumere in questi punti:

- Propensione marginale al consumo compresa fra 0 e 1; - Propensione media al consumo decrescente nel livello del reddito;

- Propensione marginale al risparmio compresa fra 0 e 1; - Propensione media al risparmio crescente nel livello del reddito;

Quando il reddito aumenta quindi, il consumo aumenta ma in maniera meno che proporzionale. Sul finire degli anni ’40 e ’50 gli studiosi hanno cominciato a formulare nuove teorie e tra queste appunto, la teoria del ciclo vitale del consumo e del risparmio.

1.1. Il modello:

Tale teoria assume che gli individui cercano di massimizzare l’utilità che deriva dal proprio consumo durante tutto l’arco di vita. Il consumo conseguentemente, dovrà essere una variabile continua anche se il reddito durante il ciclo di vita è una variabile discontinua e il risparmio viene usato (in parte o esclusivamente), per continuare a consumare durante la pensione. La versione base o stilizzata del modello di Modigliani e Brumberg del 1954 si basa sulle seguenti assunzioni7:

1. Ogni persona massimizza la sua funzione di utilità rispetto al proprio consumo vitale rispettando il vincolo delle sue risorse vitali;

2. Persone lavorano N anni con certezza, e vivono L anni, sempre con certezza, dal momento in cui entrano a far parte del mondo del lavoro. L sarà quindi pari agli anni che passano dal momento in cui una persona inizia a lavorare, fino al momento della sua morte. Quindi, la

7 Spataro L. (2020), Economia del Risparmio e della previdenza, pp.65-66

Figura 1: Rappresentazione grafica della funzione keynesiana del consumo

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7

differenza fra L ed N indica il periodo di pensionamento (Se N = 40 anni di lavoro e L = 60 anni, periodo di pensionamento = 60 − 40 = 20 anni);

3. Produttività del lavoro costante;

4. Reddito annuo costante ed uguale per tutti i lavoratori, indicato con Y;

5. Durante il periodo di pensionamento gli agenti non ricevono alcun reddito e potranno consumare solamente se hanno risparmiato precedentemente;

6. Tasso di interesse reale è nullo, pari a 0;

7. Preferenze uguali per tutti gli agenti che preferiscono un consumo costante lungo il ciclo vitale.

Vediamo in maniera analitica il problema di massimizzazione:

𝑀𝐴𝑋 𝑈 = ∑ 𝛽𝑠−1 𝐿

𝑠=1

𝑣(𝑐𝑠)

Dove 𝛽 ≡ 1

1+𝛿 , 𝛿 è il tasso di sconto soggettivo e 𝑣(𝑐𝑠) è l’utilità derivante dal consumo di 𝑐 nel

periodo 𝑠.

Questa massimizzazione della propria funzione di utilità per “L” periodi viene fatta sotto il vincolo:

∑ 𝑐𝑠 (1 + 𝑟)𝑠−1 ≤ 𝐿 𝑠=1 ∑ 𝑦𝑠 (1 + 𝑟)𝑠−1+ 𝑤1 𝑁 𝑠=1

𝑤1 è la ricchezza finanziaria iniziale che plausibilmente è diversa da 0, 𝑟 è il tasso di interesse reale e 𝑦𝑠 è il reddito guadagnato nel periodo s.

Questo vincolo indica il vincolo di bilancio che il lavoratore dovrà rispettare. Infatti, dovrà, nel corso del tempo, mantenere il proprio consumo ad un livello inferiore o almeno pari alle sue risorse, composte dai redditi guadagnati negli anni più la ricchezza finanziaria iniziale.

Dopo aver massimizzato rispetto al consumo e sapendo che le risorse vitali sono pari a 𝑤1+ 𝑁𝑦 vediamo che il consumo annuo è pari a:

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8

𝑐 =𝑤1+ 𝑁𝑦

𝐿 = 𝛼𝑤1+ 𝑛𝑦 con 𝛼 =1

𝐿 propensione marginale del consumo rispetto alla ricchezza, e con 𝑛 = 𝑁

𝐿 propensione

marginale del consumo rispetto al reddito.8

Nella figura 2 possiamo vedere l’andamento del capitale del ciclo vitale, che dopo essere salita fino al culmine comincia poi a

scendere raggiungendo il punto più basso, al momento della morte dell’individuo.

All’inizio del periodo lavorativo, 20 anni, si assume che gli individui abbiano un

risparmio negativo, poiché consumano più del reddito che possono spendere.

L’inversione di tendenza si ha nell’intorno dei 40 anni, quando il reddito supera il

livello di consumo. Il risparmio raggiungerà il picco nell’intorno dei 55 anni, successivamente inizierà a scendere fino a tornare negativo nel momento del pensionamento, in questo caso 65 anni. L’ipotesi di un risparmio negativo da parte delle generazioni più giovani è avvalorata dalla

convinzione di Modigliani, secondo il quale dovremmo aspettarci un tasso di risparmio inizialmente negativo e un tasso tendenzialmente costante nelle coorti di età centrali.9

8 Spataro L. (2020), Economia del Risparmio e della previdenza, pp. 66-67

9 Baranzini M. (2005), La teoria del ciclo vitale del risparmio di Modigliani cinquant’anni dopo, in “Moneta e Credito”, pag.124

Figura 2: Andamento del capitale, del risparmio, del consumo e del reddito nel corso della vita del lavoratore.

Fonte: La teoria del ciclo vitale del risparmio di Modigliani cinquant’anni dopo di MAURO BARANZINI

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9

1.2. Profilo longitudinale e sezionale del risparmio:

In questo caso per semplicità assumiamo che le famiglie inizino con un tasso di risparmio positivo. Inoltre, ipotizzando che 𝑤1 sia uguale a 0 e ricordando che il costumo è costante (viste le assunzioni fatte in precedenza, in particolare quella riguardante il fatto che gli agenti preferiscono mantenere un consumo costante, e quella per cui 𝑟 = 0, il consumo sarà costante se 𝑟 = 𝛿 = 0):

𝑐𝐿 = 𝑦𝑁 cioè quello che consumo durante il ciclo vitale dovrà essere uguale al reddito che ho guadagnato durante il periodo lavorativo N. Individuiamo il consumo individuale con:

𝐶 =𝑦𝑁

𝐿 di conseguenza, durante gli anni di lavoro avrà un risparmio positivo pari a 𝑆 = 𝑌( 𝐿−𝑁

𝐿 )

dove 𝐿−𝑁

𝐿 è la propensione marginale al risparmio 𝑠𝑎 .

Il risparmio totale dell’individuo sarà dato allora dalla somma del risparmio positivo e del risparmio negativo pari a (𝑌𝑁

𝐿 )(𝐿 − 𝑁), e sarà uguale a 0. La ricchezza individuale invece, dipenderà dall’età

dell’individuo indicata con E, che all’inizio

sarà pari a 0: {𝐸 ≤ 𝑁 𝑊 = 𝑌(1 − 𝑁 𝐿)𝐸 𝐸 > 𝑁 𝑊 = 𝑌𝑁(1 −𝐸 𝐿)

Possiamo rappresentare l’andamento della ricchezza e dei risparmi con il grafico in figura 3:

- La linea spezzata OBL rappresenta il percorso compiuto dalla ricchezza durante il ciclo di vita;

- OD è il livello di reddito, OC è il livello di consumo;

- L’area in verde è il risparmio delle coorti attive, mentre l’area in rosso è il risparmio delle coorti inattive, dei lavoratori in pensione.

Figura 3: Profilo longitudinale del reddito, consumo, risparmio e ricchezza. Fonte: Spataro (2020), Economia del Risparmio e della previdenza, pag.68 fig.4.1

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10

Il risparmio totale alla fine sarà pari a 0 poiché descrivendo il comportamento degli individui abbiamo stabilito che le due aree siano uguali, così come pari a 0 sarà la ricchezza finale di un individuo poiché questo massimizza la sua utilità. 10

Profilo sezionale:

L’intuizione fondamentale di Modigliani nel 1979 fu quella di trasformare il profilo longitudinale in una cross-section di un’economia stazionaria: se la popolazione è costante allora si possono

derivare le caratteristiche macroeconomiche di questa economia. Assumendo infatti che per ogni possibile fascia di età ci sia solamente un individuo e riportando l’età di un individuo in ascissa, il grafico diventa una rappresentazione cross-section di tale tipo di economia11.

Il risparmio aggregato sarà allora dato da: 𝑆 = 𝑆𝑎 + 𝑆𝑝 = 𝑠𝑎𝑦𝐴𝑤− (1 − 𝑠𝑎)𝑦𝑃

dove 𝑆𝑎 è il risparmio aggregato degli attivi, 𝑆𝑝 è quello degli inattivi, 𝑠𝑎 è la propensione

marginale al risparmio degli attivi, 𝑃 è il numero di pensionati e 𝐴𝑤 è il numero di lavoratori attivi. Con 𝑠 = 𝑠𝑎− (1 − 𝑠𝑎)𝑝 indichiamo la propensione aggregata al risparmio che in questa economia stazionaria è pari a 0, dove 𝑝 = 𝑃

𝐴𝑤 ;

Per trovare la ricchezza aggregata possiamo usare il grafico, infatti questa sarà pari all’area del triangolo con vertici OBL. La ricchezza aggregata 𝑊 = 𝑦𝑁(𝐿−𝑁)

2 e quindi il rapporto fra ricchezza

e reddito aggregato 𝜔 =𝐿−𝑁

2 .

Otteniamo lo stesso risultato di risparmio aggregato pari a 0 anche moltiplicando ogni elemento per un fattore di scala generico X.

Adesso vediamo come cambia il modello se introduciamo una crescita dell’economia ad un tasso costante 𝜌, che può derivare da una crescita della popolazione che cresce ad un tasso costante 𝑛,

10 Spataro L. (2020), Economia del Risparmio e della previdenza, pp. 67-69

11 Per approfondimenti: MODIGLIANI F., BRUMBERG R. (1980), Utility analysis and aggregate consumption functions: an attempt at integration

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11

oppure può derivare da un aumento della produttività indicata con il tasso di crescita 𝜃. Avremo quindi che il tasso di crescita sarà così composto: 𝜌 = 𝑛 + 𝜃.

Partiamo dal caso in cui cresce la popolazione ma non la produttività del lavoro e restano valide le ipotesi della “stripped down version”. Il tasso 𝑝 cambia e diventa:

𝑝 = 𝑃 𝐴𝑤 = ∑𝐿−𝑁−1(1+𝑛)𝑖 𝑖=0 ∑𝑁−1(1+𝑛)𝐿−𝑁+𝑗 𝑗=0 inoltre, 𝜕𝑠 𝜕𝑛 > 0

In questo caso, quando la fonte di crescita è la popolazione, siamo di fronte a quello che è noto come effetto Neisser:

La popolazione cresce e la parte giovane e attiva che accumula ha un peso maggiore rispetto alla parte inattiva che invece decumula. Per questo motivo la propensione al risparmio aggregata aumenta rispetto al caso di economia senza crescita della popolazione.

Il rapporto ricchezza reddito (𝜔 = 𝑠

𝜌) è una funzione decrescente del tasso n, perché questo tasso

decresce all’aumentare del peso delle generazioni più giovani, che avranno un rapporto ricchezza reddito piuttosto basso. Sapendo che il rapporto ricchezza reddito diventa 𝜔 = 𝑠

𝑛, e che 𝑠 = 𝜌 ∙

𝜔(𝜌), vediamo che se la popolazione aumenta n cresce in maniera lineare mentre s cresce in maniera concava. Questo porta il rapporto 𝜔 a ridursi all’aumentare di n.

Passiamo poi al caso in cui la popolazione è costante, per cui 𝑛 = 0 e l’economia cresce perché c’è una crescita della produttività: in questo caso la propensione aggregata al risparmio sarà una funzione crescente di 𝜃.

Il punto di partenza del ragionamento è considerare il consumo come proporzionale alla ricchezza vitale W, o almeno ad una stima di essa.

Secondo Modigliani quando la crescita è dovuta ad un aumento della produttività si può configurare quello che è noto come effetto Bentzel12:

“La crescita della produttività implica che le coorti più giovani hanno risorse vitali maggiori

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12

rispetto a quelle delle coorti più anziane, e, di conseguenza, i loro risparmi sono maggiori del risparmio negativo delle più povere coorti di pensionati. È stato dimostrato […] che, se gli agenti programmano il loro consumo come se non anticipassero la crescita futura del reddito, allora 𝑤(𝜌) 𝑒 𝑠(𝜌) in presenza di crescita della produttività sono quasi gli stessi che per la crescita della popolazione, per valori di 𝜌 appartenenti all’insieme rilevante”13

In altre parole i giovani sono più ricchi degli anziani (il reddito pro-capite aumenta di anno in anno) e vorranno consumare più di quest’ultimi in futuro. Per fare questo dovranno risparmiare di più durante il periodo lavorativo, con la conseguenza che il risparmio aggregato sarà positivo e la propensione aggregata al risparmio sarà una funzione crescente del tasso di crescita della produzione. Così come il rapporto ricchezza reddito era funzione decrescente del tasso 𝑛 con l’effetto Neisser, adesso nell’effetto Bentzel questo è funzione decrescente del tasso 𝜃. Questo per le stesse motivazioni che abbiamo visto quando la causa di crescita è la popolazione.

1.3. Evidenze contrarie alla Teoria di Modigliani:

Una delle insidie che la teoria di Modigliani con l’ipotesi del ciclo vitale ha dovuto affrontare è se i dati offrano sostegno alla tesi oppure no. In particolare, numerose sono state le indagini per

verificare che gli individui risparmino da giovani e liquidino le proprie attività nel momento in cui raggiungono l’età avanzata.

Un elemento venuto alla ribalta nei primi anni ’80 è la rilevanza dei lasciti intergenerazionali nello stock di patrimonio complessivo. Secondo Kotlikoff e Summers i lasciti costituivano oltre la metà dello stock di capitale. Secondo Modigliani invece questa quota si aggirava intorno ad un quarto e solo una piccola parte della popolazione, quella con il reddito più elevato, deteneva ricchezza per il movente del lascito ereditario. Quindi riteneva tale movente poco rilevante nel processo di

accumulazione della ricchezza.

E’ bene sottolineare che per lasciti intergenerazionali si intende l’ammontare di ricchezza passata di

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13

generazione in generazione successiva più i trasferimenti inter vivos.

Le evidenze empiriche emerse prima con Darby nel 1979, successivamente dai già citati Kotlikoff e Summers, trovano conferma anche nel caso dell’Italia, con lo studio degli autori Barca, Cannari e Guiso del 1992 da cui emerge che due famiglie su cinque hanno ricevuto la propria abitazione dalle generazioni precedenti. Un risultato del genere fa emergere quanto siano importanti le eredità nella formazione della ricchezza.

Molti economisti allora in quel periodo cercano di capire quali sono le motivazioni dietro tali lasciti e riassumendoli possiamo dire che questi siano:

- puro altruismo, i genitori si prendono cura del futuro dei propri figli; - tendenza a mantenere in famiglia la ricchezza e l’impresa;

- autogratificazione derivante dal lasciare qualcosa ai propri eredi;

- lascito strategico, in cui come in un accordo i figli si prenderanno cura dei genitori fino a che questi avranno bisogno e i genitori gli lasceranno la propria ricchezza;

- prematura scomparsa di un individuo che ha speso meno di quanto preventivamente stabilito; - avversione alla spesa in età avanzata.

Tutte queste motivazioni vanno ad incidere nella formazione della ricchezza degli eredi e sulla distribuzione del reddito e tutte le affermazioni precedenti sono confermate anche dai dati empirici sulla rilevanza del movente del lascito: in tutti i lavori possiamo osservare che la ricchezza inizia a diminuire verso i 75 anni ma continua a mantenersi elevata anche nella popolazione più anziana.

Passiamo poi alle altre incongruenze contestate a Modigliani. Vari esperimenti empirici fanno emergere che la popolazione più anziana continua tendenzialmente a risparmiare una quota cospicua del proprio reddito disponibile, anche nell’ottica di lasciare qualcosa ai propri eredi. Inoltre, i dati vanno in contrapposizione con una delle ipotesi di maggiore importanza del modello, infatti, i risparmi delle coorti più giovani sembrano tutt’altro che negativi.

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14

Un’altra evidenza in contrasto con Modigliani è che il risparmio cresce all’aumentare del reddito. Occorre quindi, fare un attento riesame.

Molte prove ed evidenze empiriche sembrano andare contro ciò che affermava Modigliani, la propensione al risparmio aumenta al crescere del reddito e anche quando questo fu fatto notare all’economista questo si giustificava dicendo:

“non avevo mai digerito la teoria che il risparmio fosse il privilegio dei ricchi”14;

Dynan, Skinner e Zeldes nel 2000 nel loro articolo “Do the rich save more” rilevano una marcata relazione positiva tra il tasso di risparmio e il reddito nell’arco vitale e sostengono che sono i risparmi precauzionali e il movente del lascito ereditario a far cambiare il tasso di risparmio fra le varie classi di reddito.15

Un’altra evidenza in contrasto con quanto sostenuto da Modigliani è il risparmio dei giovani, che invece di essere negativo o molto contenuto, è molto spesso positivo.

Le evidenze empiriche riguardanti molti paesi, compresa l’America settentrionale molto spesso presa dall’economista come modello per il proprio lavoro, dimostrano che i giovani compresi fra i 20 e i 30 anni presentano risparmi positivi16, facendo emergere una propensione al risparmio

abbastanza elevata. Inoltre, Modigliani osservava che considerando anche i fondi pensioni, il risparmio negativo degli anziani sarebbe stato più marcato, ancora di più tenendo conto anche dei benefici previdenziali. Se così fosse, come fatto notare da Baranzini, allora il risparmio dei giovani dovrebbe essere ancora più evidente. Se tenessimo conto del risparmio obbligato o “forzato” allora il tasso di risparmio dovrebbe apparire più elevato. Possiamo ritrovare quello che abbiamo detto in questa tabella, dove osserviamo i dati relativi a varie nazioni:

14 Sempre Baranzini M. (2005), pag. 126 e Modigliani F., (1999), Avventure di un economista. La mia vita, le mie idee, la

nostra epoca, pag. 63

15 Dynan K. E., Skinner J., Zeldes S. P. (2004),), Do the rich save more? 16 Baranzini M. (2005), pag.150

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15

Tabella 1: Tassi di risparmio individuali per popolazioni con età inferiore a 40 anni, in percentuale, in alcuni Paesi sviluppati. Fonte: Miles (1999),Modelling the impact of demographic change upon the economy, “The Economic Journal”, pag.5.

La propensione al risparmio dei giovani osservata è molto più alta di quello che potremmo

aspettarci, e sicuramente più alta di quanto credesse Modigliani. Questi dati mettono in forte dubbio la conformazione a gobba dei risparmi. Inoltre, non c’è nessuna classe di età che abbia un tasso di risparmio negativo.

Le ragioni per cui i giovani risparmiano una quota elevata del loro reddito può essere ricondotta ad una molteplicità di fattori:

- i giovani possono ricevere una migliore istruzione e con questo, andranno a percepire una retribuzione più elevata;

- i giovani tendono a non sposarsi o a sposarsi più tardi, così come più tardi mettono al mondo dei figli e, quando lo fanno, hanno comunque meno figli dei propri genitori o dei loro nonni. Questo insieme di fattori gli consente di accumulare risparmi durante il periodo della giovane età; - i giovani possono fare affidamento sui genitori, più di quanto potessero fare le generazioni precedenti.

La contraddizione dei dati empirici con i risparmi a gobba emerge anche per quanto riguarda gli individui più anziani, che secondo Modigliani, dopo aver risparmiato nella fase lavorativa, cominciano ad erodere la propria ricchezza dopo i 65 anni.

I lavori empirici che sono stati svolti a partire dai primi anni del 1980 rilevano invece, un tasso di risparmio positivo e, in alcuni casi come Italia o Germania, piuttosto elevato. Alla fine, quindi, se i risparmi sono positivi per tutto l’arco vitale, dovremmo escludere la classica conformazione a gobba. A tali critiche Modigliani rispose che gli autori che avevano svolto tali lavori, come Poterba, avevano travisato il concetto di reddito prodotto con il concetto di reddito disponibile.

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Per l’economista quindi i risparmi alla fine della vita di un individuo dovrebbero tendere a 0, ma l’evidenza empirica, prendendo i dati della Svizzera al 1988, ci dice altro:

- Propensione al risparmio 65-70 anni: -7,60%; -Propensione al risparmio 70-75 anni: 0,87%; - Propensione al risparmio oltre 75 anni: 11,51%.

Anche coloro che superano gli 80 anni e che percepiscono un modesto ammontare di pensione tendono comunque a risparmiare. Ciò può essere dovuto al fatto che spesso la loro condizione fisica fa sì che questi non spendano il proprio reddito, oppure può essere dovuto alla classica avversione a spendere che sembra subentrare quando si è più vecchi. Inoltre, aggirando con vari metodi l’imposta di successione, tanto che alcuni studiosi la ritengono un’imposta facoltativa, questi andranno a lasciare parte della propria ricchezza non allo stato, ma ai propri figli per farli beneficiare di un buon inizio di vita.

Se i dati empirici derivano da un’analisi cross section allora possiamo spiegare la conformazione a gobba senza ricorrere all’approccio della teoria del ciclo vitale: le famiglie dei primi decenni del ventesimo secolo avevano un maggior numero di figli con la conseguente maggiore dispersione della ricchezza fra gli eredi. Inoltre, i giovani che hanno beneficiato in misura inferiore del boom economico degli anni ’60 avranno avuto un tasso di risparmio inferiore a quello delle generazioni più giovani.

Un altro problema è quello dei sistemi pensionistici, siano essi a capitalizzazione o a ripartizione. Nella maggior parte dei casi, così anche nei sistemi a capitalizzazione, non si può ritirare la totalità, e a volte nemmeno una parte, del capitale al momento della pensione. Non ci sarà quindi

trasferimento di ricchezza dal periodo attivo a quello inattivo così come sostenuto da Modigliani. Potremmo considerarla come una sorta di assicurazione, dove gli individui pagano con la speranza di percepire la pensione il più a lungo possibile.

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scorso possiamo ritenere, come affermato da Baranzini, che la decumulazione durante il pensionamento è molto limitata e spostata più avanti sulla linea temporale. 17

1.4. Critiche alla Teoria del ciclo di vita:

Dopo aver visto dai dati che i lasciti intergenerazionali non sono irrilevanti e tutte le altre incongruenze con la realtà empirica, è cambiato il modo in cui consideriamo il modello di Modigliani, come ammesso da lui stesso nel 1988.

Dobbiamo infatti introdurre il ruolo dell’incertezza, in particolare i pensionati non sanno quando avverrà la propria morte e quindi non riducendo le proprie attività danno vita a dei lasciti

involontari, rivelandosi molto più importanti di quanto lo fossero nella versione base della teoria.18 Modigliani sosteneva che l’incertezza avrebbe aumentato la domanda di risparmio a scopo

precauzionale e il risparmio accumulato, tranne forse per le categorie di giovani, sarebbe stato raccolto sia per la pensione che per avere qualcosa da parte, per precauzione, contro eventi imprevedibili. L’incertezza non avrebbe cambiato in modo significativo il modello.

Molte critiche sono state fatte anche relativamente alla relazione fra crescita economica e risparmio, Tobin infatti sosteneva che la crescita economica non dovesse automaticamente aumentare i tassi di risparmio. Secondo quest’ultimo se un individuo sa che i suoi redditi nel futuro cresceranno, allora dovrebbe presentare un risparmio negativo nella prima parte di vita, consumando più del proprio reddito. Dovrebbe presentare risparmi negativi nelle età estreme del ciclo vitale, finanziandosi con i risparmi che ha messo da parte durante le classi centrali di età.

La relazione quindi fra crescita e tasso di risparmio potrebbe, in estremo, essere negativa cioè più è alto il tasso di crescita economica e minore è il tasso di risparmio.

17 Baranzini M. (2005), La teoria del ciclo vitale del risparmio di Modigliani cinquant’anni dopo, in “Moneta e Credito”, pag. 161

18 Per evidenze empiriche si veda Baranzini M. (2005), “La teoria del ciclo vitale del risparmio di Modigliani cinquant’anni dopo”, pag. 142 dove vengono riportati i dati elaborati da Cereghetti e Staffieri (2005, p. 54) sulla ricchezza personale per classi di età in Svizzera nel 1990 e i dati elaborati da Taddei (2003) e Banca d’Italia riguardanti il reddito e la ricchezza netta in Italia nel 2001.

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Modigliani dubitava dell’efficacia dell’osservazione di Tobin nella pratica, poiché, appare difficile credere che ad individui in giovane età fossero fatti prestiti tali da poter mantenere un tenore di vita di molto superiore a quello che avrebbero con i propri mezzi correnti e, inoltre, più tardi dovranno comunque cominciare a risparmiare per il momento della pensione.

Ma la sfida più grande, una delle maggiori critiche rivolta alla Teoria del ciclo di vita di Modigliani, è relativa ad una delle assunzioni fondamentali del modello: gli individui sono razionali, coerenti, compiono correttamente scelte intertemporali e massimizzano la loro funzione di utilità che è definita lungo tutto il proprio arco vitale.

Questa assunzione fu criticata da psicologi e altre categorie di scienziati comportamentali, dando luogo a numerosi studi sulle anomalie del comportamento umano ma, non vennero ritenute importanti e rilevanti fino ai tempi recenti, ritenendo che queste critiche non avessero effetto sull’analisi economica dominante.

Nel corso degli anni successivi arrivando ad oggi, sono emerse molte anomalie, paradossi ed euristiche che riguardano gli individui. È diventato importante capire come l’uomo si comporta di fronte all’incertezza nell’ambito economico e tale elemento è imprescindibile se andiamo a confrontare il consumo attuale con il consumo futuro.

Anche coloro che dovrebbero essere maggiormente preparati, come i consulenti finanziari, spesso offrono consigli sui piani pensionistici ai propri clienti, ad esempio sul rapporto desiderato tra ricchezza e reddito, che risultano incoerenti con le prescrizioni dettate dal modello del ciclo di vita. A volte questi piani possono condurre persino alla rovina. Questo evidenzia che, se compiono scelte irragionevoli coloro che hanno una serie di strumenti informatici, risorse e conoscenze, coloro che non le hanno potranno fare solamente peggio nel perseguire le regole consigliate dalla teoria del ciclo vitale.

Questa evidenza non ha però scalfito le convinzioni dei sostenitori della teoria economica

dominante, poiché una serie di incongruenze, anomalie e paradossi non offrono alcuna alternativa riguardante lo studio del risparmio. È difficile allontanare gli economisti dalla convinzione che si

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possa spiegare qualcosa anche abbandonando la massimizzazione di una funzione di utilità. Purtroppo quindi, nella realtà l’individuo non si comporta in maniera ottimale. Questo tende a rimandare e procrastinare e le considerazioni precedenti ci consentono di introdurre un concetto che può rappresentare il tipo di persona che, Modigliani e tutti gli altri economisti, considerano quando sviluppano i propri modelli e le proprie teorie, per rapportarlo poi all’uomo reale, meno cinico e razionale.

Il modello sarebbe perfetto per il cosiddetto Homo Oeconomicus, individuo astratto definito per la prima volta da John Stuart Mill, che, mosso dalle sole motivazioni economiche, punta alla

massimizzazione della propria ricchezza, della propria utilità. Secondo quest’ultimo quando consideriamo l’Homo Oeconomicus non dobbiamo considerare la realtà umana nel suo complesso, ma, sgombrando il campo dalle irrazionalità, convenzioni, costumi morali e altre regole di condotta, dobbiamo considerare solo le ragioni economiche. Tale individuo prende scelte senza essere

condizionato dall’ambiente che lo circonda. 19

Lo stesso termine viene utilizzato anche da un autore più recente, Herbert Simon, premio Nobel per l’economia del 1978. Simon ha infatti introdotto il concetto di razionalità limitata.

Nella teoria economica attuale, il concetto di Homo Oeconomicus si identifica nel principio di razionalità dell’agente economico che sceglie varie alternative in base alle proprie preferenze e massimizza la propria funzione di utilità.

Altro autore che tratta dell’individuo come Homo Oeconomicus è Thaler, precursore del cosiddetto “paternalismo libertario” (di cui sarà data la definizione successivamente), che divide gli individui in due possibili tipi: Umani ed Econi.

Il termine Econe viene usato per indicare il cosiddetto Homo Oeconomicus, cioè un individuo in grado di ragionare e scegliere sempre in modo sistematicamente infallibile, ed è conforme all’immagine che ci viene presentata dalla maggior parte dei libri di economia.

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Citando Thaler l’Homo Oeconomicus “ha le facoltà intellettuali di Einstein, una capacità di

memoria pari a quella del Big Blue (supercomputer IBM), e una forza di volontà degna di Gandhi” Ma nella realtà dei fatti sappiamo che gli individui non sono certo così, non rientrando nella

categoria degli Econi ma dei comuni Umani.20

Questo però non vuole necessariamente dire che gli Econi prendano decisioni sempre giuste e perfette, ma devono essere in grado di fare previsioni non distorte. Non devono, con altre parole, sistematicamente sbagliare.

Seguendo l’idea degli autori sopracitati quindi, il modello razionale non è reale, poiché l’individuo è vittima di vari limiti delle capacità cognitive e non è completamente capace di acquisire ed elaborare le informazioni nella maniera più adeguata.

Conseguenza diretta di questi limiti è che l’individuo chiamato a decidere può arrivare a prendere decisioni che sono sbagliate, incoerenti e che non massimizzano la propria funzione di utilità, andando a violare sistematicamente la teoria della scelta razionale.

Citando J.M. Keynes: "Non c’è niente di più pericoloso che perseguire una strategia di investimento razionale in un mondo irrazionale."

Dall’inizio del nuovo millennio però, è aumentato il numero di studi nel settore dell’economia comportamentale, e con questo è aumentata anche la considerazione che si dà a tale materia. Agli studiosi di economia si sono aggiunti psicologi e, tra questi, si sono interessati all’argomento anche gli esperti di neuroscienze. Gli ambiti di cui si occupano sono tra i più vari e vanno

dall’accumulazione della ricchezza e risparmio all’economia green, dall’economia del credito alla medicina.

Tornando adesso sul nostro percorso logico, dobbiamo capire cosa si intende per scelta razionale.

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2. Teoria della scelta razionale e violazioni a tale teoria:

In precedenza abbiamo parlato di scelta razionale, ma non abbiamo detto quali sono le condizioni per cui una scelta si rivela tale. È necessario quindi introdurre tali condizioni.

Una relazione per essere razionale deve rispettare gli assiomi di Completezza e Transitività. - Completezza: 𝑥 ≽ 𝑦 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑦 ≽ 𝑥 altrimenti entrambe le relazioni sono vere per ogni x e y. Tale assioma richiede che il consumatore sappia scegliere tra panieri diversi, andando a preferire uno agli altri, oppure essendo indifferente nella scelta. L’individuo preferirà il tè al caffè o viceversa preferirà il caffè al tè oppure potrebbe essere indifferente alla scelta.

- Transitività: se 𝑥 ≽ 𝑦 𝑒 𝑦 ≽ 𝑧, allora 𝑥 ≽ 𝑧 (per ogni x, y e z).

Questo assioma implica quindi che se il consumatore preferisce il paniere X al paniere Y e preferisce il paniere Y al paniere Z, allora deve preferire il paniere X al paniere Z. Non sarà possibile preferire la birra al caffè, il caffè al tè e allo stesso tempo non preferire la birra al tè.

Le preferenze possono essere classificate in un ordinamento delle preferenze, andando a fare un elenco delle alternative disponibili mettendo in cima l’alternativa preferita e in fondo a tale elenco quella considerata peggiore. Tale ordine delle preferenze può essere rappresentato graficamente tramite delle curve di indifferenza come quelle mostrate nella figura 4.

Altra nozione importante è quella di funzione di utilità che ci aiuta a ordinare le preferenze andando ad associare un numero ad ogni elemento del set delle alternative disponibili. Il numero più alto verrà associato all’alternativa preferita, il più basso a quella meno gradita. 21

21 Angner E. (2016), Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta, pp. 18-32

Figura 4: Esempio di curve di indifferenza.

Fonte: Erik Angner, “Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta” pag. 35

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Formalmente una funzione di utilità 𝑢(⋅), definita dall’insieme delle alternative disponibili a un insieme di numeri reali, è una funzione di utilità che rappresenta la relazione di preferenza ≽ solo nel caso in cui 𝑥 ≽ 𝑦 ↔ 𝑢(𝑥) ≥ 𝑢(𝑦) (per ogni x e y).

Teorema della rappresentazione: Se un insieme di alternative è finito, allora ≽ è una relazione di

preferenza razionale solo nel caso esista una funzione di utilità che rappresenti ≽. 22

Abbiamo visto in precedenza, tra le critiche a Modigliani, che gli individui non sono perfettamente razionali e questo li porta a compiere scelte sbagliate o peggiori.

Allora, dopo aver chiarito quando una scelta è razionale o meno, è necessario elencare alcuni di quei fenomeni che, secondo gli economisti comportamentali, vanno a contraddire la teoria della scelta razionale.

Le critiche ai modelli tradizionali hanno fatto crescere, soprattutto negli ultimi 50 anni, l’interesse verso l’economia comportamentale e verso i processi decisionali degli individui.

Una sorta di novità nell’ambito delle scienze economiche e comportamentali si è avuta congli psicologi israeliani Amos Tversky e Daniel Kahneman nel 1974, i quali pubblicando il libro “Judgment Under Uncertainty: Heuristics and Biases” rivoluzionano il modo in cui gli economisti concepiscono il nostro modo di pensare.

Con il loro lavoro i due autori mostrano come i processi decisionali delle persone nella realtà li portassero a risultati che si discostavano da quelli che invece avremmo dovuto aspettarci nel caso in cui si fossero comportati come nei modelli economici tradizionali. Infatti, molto spesso, per

comprendere meglio la teoria dietro questi fenomeni è utile testarla con esempi reali e vedere cosa emerge, andando ad evidenziare i comportamenti degli agenti.

Dal loro lavoro emerge che le persone, al momento di dover prendere una decisione, quando devono agire, sono influenzate da molteplici fattori, sia individuali sia legati al contesto di scelta, e non fanno valutazioni attraverso calcoli di utilità e probabilità ma basandosi su delle euristiche.

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Volendo definire l’euristica della scelta possiamo dire che è una regola empirica o una strategia mentale che la persona usa per risolvere un problema decisionale. Sono utilizzate per risolvere problemi decisionali di ogni giorno nel minor tempo possibile e utilizzando il minimo sforzo cognitivo. Sono quindi una sorta di escamotage mentale che aiuta le persone a costruirsi un’idea su un argomento per prendere determinate scelte.

Tali euristiche non sempre però funzionano perfettamente ed il loro utilizzo può portare al compimento di errori sistematici, bias che sono prevedibili23.

I bias cognitivi sono quindi, costrutti fondati su pregiudizi, su percezioni errate o deformate della realtà, e vengono utilizzati spesso per prendere decisioni in maniera veloce e con il minimo sforzo. Le principali euristiche sono tre: ancoraggio, disponibilità e rappresentatività.

L’ancoraggio viene spesso accompagnato dal termine aggiustamento poiché è un processo

cognitivo che si svolge fondamentalmente in due step: per prima cosa viene fatta una stima iniziale denominata appunto ancora e, successivamente, viene aggiustata tale stima verso l’alto o verso il basso. Ad un gruppo di studenti è stato chiesto di risolvere in 5 secondi una delle seguenti

moltiplicazioni, la prima 8x7x6x5x4x3x2x1, la seconda 1x2x3x4x5x6x7x8. Sappiamo che i risultati dovranno essere equivalenti ma sorprendentemente il gruppo a cui è stata sottoposta la prima ha dato una risposta mediana di 2250 mentre il gruppo a cui è stata sottoposta la seconda ha dato una risposta mediana di 512. Il risultato esatto era 40320.

L’approssimazione si rivela insufficiente in entrambi i casi, ma nel primo caso partendo da un valore più alto viene fissato un maggiore valore “ancora” che porta ad una risposta più elevata. Il decisore, di fronte a un problema di scelta complesso, fissa il proprio punto di riferimento, la propria ancora, sulla prima informazione ricevuta e poi effettua degli aggiustamenti che molto spesso si rivelano inefficaci.

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La seconda euristica, quella della disponibilità è un processo attraverso il quale le persone

esprimono giudizi sulla probabilità di un evento e i rischi conseguenti, in base alla facilità con cui riescono a fare un esempio pertinente. Tanto più un individuo riesce a formulare esempi di un evento e tanto più quel determinato rischio apparirà rilevante. È più facile, ad esempio, pensare ad un attentato terroristico come più probabile dopo gli eventi dell’11 settembre 2001.

Gli investitori, secondo Tversky Kahneman, tendono a giudicare la qualità di un investimento in base alle notizie più recenti, ignorando altri fatti magari più rilevanti.

Due concetti da considerare quando parliamo di euristica della disponibilità, sono la rilevanza e l’accessibilità. Chi ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza di un terremoto tende a vedere questo evento come più probabile rispetto a chi lo ha visto solamente al telegiornale.

L’ultima, è l’euristica della rappresentatività, che viene chiamata da Thaler e Sunstein anche euristica della similarità. In questo caso nel valutare la probabilità che un evento A appartenga alla categoria B, le persone si domandano quanto l’evento A sia simile all’immagine che hanno

dell’evento B. Possiamo rendere meglio il concetto con il famoso esempio chiamato “il problema di Linda”, dove agli studenti venivano date le seguenti informazioni:

“Linda è una donna di trentuno anni, single, schietta e molto brillante. Ha una laurea in filosofia. Quando era studentessa era profondamente interessata ai problemi di discriminazione e giustizia sociale e ha partecipato anche a una manifestazione contro il nucleare”24.

Gli studenti dovevano classificare otto possibili futuri per Linda, ordinandoli per probabilità. Secondo loro era più probabile che Linda diventasse una “cassiera di banca attiva nel movimento femminista” che una semplice “cassiera di banca”.

In realtà sappiamo che la probabilità di due eventi congiunti è inferiore alla probabilità del verificarsi uno solo di essi. Questo errore accade perché la descrizione di cui disponevano rappresentava molto meglio la cassiera di banca attivista che non la semplice cassiera di banca.

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Ai fini del lavoro è maggiormente utile però, esporre le violazioni alla scelta razionale e le distorsioni che ci interessano maggiormente, con particolare attenzione alla distorsione verso lo status quo.

Costo opportunità:

Il costo opportunità, chiamato anche costo implicito, è il valore di ciò a cui rinunciamo al momento del compimento di una scelta. Per comprendere meglio possiamo fare un esempio come quello dell’acquisto di un bene immobile di 1000€. L’individuo vede immediatamente il costo diretto di mille euro ma non considera i costi opportunità. Ipotizziamo che in un anno, i titoli azionari rendano 1000€, mentre il bene immobile renda 900€. Allora in questa situazione il costo opportunità di comprare un immobile è 1000€ con una perdita di – 100€, mentre quello di comprare azioni sarà 900€ con profitto di 100€. Se ci fossero più alternative il costo opportunità sarebbe comunque il valore più alto tra le opzioni disponibili. Aggiungendo alle opzioni di scelta anche dei Buoni del tesoro che consentono di guadagnare 150€ il costo opportunità resta 900€ e il profitto resta 100€. Analiticamente il costo opportunità:

𝑐(𝑎𝑖) = max {𝑢(𝑎1), 𝑢(𝑎2), … , 𝑢(𝑎𝑖−1), 𝑢(𝑎𝑖+1), … , 𝑢(𝑎𝑛) }

ed è quindi la massima utilità che deriva dalle alternative rimaste disponibili, in altre parole è il valore della migliore opzione a cui rinuncio. Dalla massimizzazione viene infatti esclusa l’utilità derivante dall’opzione scelta.

La scelta si rivela razionale quando l’individuo considerando la propria funzione di utilità tiene conto anche del costo opportunità: ai è una scelta razionale se e solo se:

𝑢(𝑎𝑖) ≥ 𝑐(𝑎𝑖)

L’utilità deve rivelarsi maggiore o uguale del costo opportunità sostenuto.

Nella realtà però, le persone tendono a valutare il costo opportunità in maniera errata, sottostimandolo o trascurandolo, cosa irrazionale soprattutto nell’ambito degli investimenti.

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Dall’altro lato però, secondo lo psicologo Barry Schwartz più sono le alternative di scelta e più saranno rilevanti i confronti con i loro costi opportunità traendo minore soddisfazione dall’opzione che scegliamo. Questo è quello che Schwartz chiama “paradosso della scelta”, molte alternative ci faranno sentire peggio. Ciò accade però quando consideriamo il costo opportunità in maniera eccessiva.25

Costi irrecuperabili:

Una scelta si rivela irrazionale se nel processo di decisione andiamo a considerare dei costi che non sono recuperabili. I costi irrecuperabili non devono

influenzare la decisione.

Immaginiamo ad esempio di compiere un investimento in due step così come illustrato nella figura:

- al primo step possiamo investire 9 milioni o non investire.

-nel secondo step possiamo investire 1 milione o non investire.

La scelta di investire 1 milione o di non investire non dovrebbe dipendere dal fatto che ci troviamo nel nodo #2 o nel nodo #3, poiché non c’è alcuna possibilità di riavere indietro i 9 milioni. Farsi influenzare da questo vorrebbe dire essere irrazionali nel compimento della scelta.

La fallacia dei costi irrecuperabili è nota anche come “fallacia del Concorde”: i governi del Regno Unito e della Francia continuarono ad investire in un progetto che di lì a poco si sarebbe rilevato fallimentare. Lo fecero perché erano influenzati dall’ingente quantità di denaro già investita, andando solamente ad aumentare le perdite rilevate al momento della chiusura del progetto. Questo dimostra che la fallacia dei costi irrecuperabili può rivelarsi molto onerosa e causare danni.26

25 Schwartz B. (2004), The Paradox of Choice: Why More Is Less

26 Angner E. (2016), Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta, pag.49

Figura 5: Problema dell’investimento multi-step. Fonte: Figura 3.5 Erik Angner, in “Economia

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Dipendenza dal menù ed effetto decoy:

Introduciamo la condizione di espansione, secondo la quale se x viene scelto dal menu {x, y} senza essere indifferenti fra x e y, allora non è possibile scegliere y dal menu {x, y, z}.

Questo però non sempre si verifica, poiché può capitare che le preferenze delle persone cambino nel momento in cui cambia il menu di scelta, aumentando le alternative. Questo fenomeno è denominato “dipendenza dal menu”. Fatta questa premessa possiamo introdurre l’effetto decoy o effetto attrazione con un semplice esempio.

Immaginiamo che un’azienda voglia vendere un prodotto denominato target e un’altra azienda vende lo stesso prodotto, chiamato competitor. Come vediamo dalla figura (a) il consumatore può permettersi entrambe i prodotti poiché sia il prodotto target che quello competitor si trovano sulla retta del vincolo di bilancio. Guardando le curve di indifferenza però emerge che il consumatore preferisce il prodotto competitor a quello target perché il primo si trova su una curva che porta un’utilità maggiore.

È però possibile manipolare e cambiare la scelta che sarà effettuata dal consumatore: il prodotto target domina tutti i prodotti presenti nel riquadro B e nel C, mentre il prodotto competitor domina tutti i prodotti presenti nel riquadro A e B. Se viene aggiunto un prodotto denominato esca che si posiziona all’interno del riquadro C, che nessun consumatore vorrà comprare prodotto perché è peggiore in confronto a quello target, vengono modificate le scelte del consumatore.

L’effetto grafico possiamo osservarlo nella figura (b) e vediamo che le curve di indifferenza ruotano in senso orario verso il prodotto esca. Adesso il bene target si colloca su una curva di indifferenza maggiore.

Figura 6: Cambiamento nelle curve di indifferenza dopo l’inserimento di un prodotto esca.

Fonte: Erik Angner, “Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta” pag.57

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Nessuno vorrà comprare il prodotto esca, ma la sua introduzione rende più attrattivo il bene dominante (prodotto target).

Le scelte del consumatore sono cambiate andando a violare la condizione di espansione.

Il consumatore manifesta quella che in gergo viene chiamata avversione agli estremi, evitando le opzioni di scelta con costo massimo e minimo.27

Distorsione verso lo status quo:

Termine coniato da Samuelson e Zeckhauser nel 1988 è un’altra causa di inerzia a cui è sottoposto l’individuo28. Questo ha una tendenza a preferire la situazione in cui si trova e la decisione presa,

senza apportare cambiamenti, rispetto alle alternative disponibili. Tale tipo di distorsione interessa in maniera rilevante le decisioni di risparmio e le scelte in tema di piani pensionistici, in particolare, come avremo modo di vedere, in termine di scelta della percentuale di contribuzione.

Incorrendo in questo tipo di distorsione viene violato il teorema di Coase, secondo cui in assenza di costi di transazione lo scambio di mercato porterà ad un’allocazione efficiente delle risorse. Ma, purtroppo, anche quando i costi di transizione sono minimi o nulli e la decisione da prendere ha una grande importanza gli individui si mostrano soggetti allo status quo bias 29.

Un esempio rilevante è quello fatto da Thaler riguardo, appunto, i piani di risparmio previdenziale, in particolare ad un fondo americano per i professori universitari: gli iscritti a tali piani scelgono con quale modalità investire i propri risparmi all’inizio, al momento della sottoscrizione e poi non se ne occupano più. La media di cambiamenti apportati nella composizione del portafoglio durante l’arco dell’intera durata è in media zero. Ancora più sorprendente è il fatto che molti partecipanti sposati, un tempo single al momento dell’adesione, avevano ancora la madre come principale beneficiario in caso di morte.

Oppure, possiamo prendere come esempio gli abbonamenti a riviste che iniziano se il consumatore

27 Angner E. (2016), Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta, pp. 58-61. 28 Samson A. (Ed.) (2020). The Behavioral Economics Guide 2020, voce “”status quo bias” 29 Sempre Angner E. (2016), pag.74.

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non cancella la propria iscrizione dopo aver ricevuto le prime 3/4 copie gratuite. 30

Possiamo capire quindi, che questa tendenza allo status quo può essere facilmente sfruttata come pungolo (e possono usarlo anche le agenzie di marketing).

Perché le persone preferiscono lo status quo? 31 Molte sono le motivazioni, tra le quali troviamo:

1. Effetto dotazione ed avversione alle perdite: Per la teoria della scelta razionale le preferenze devono essere indipendenti da ciò di cui si dispone al momento della decisione. La nostra disponibilità a ad accettare deve essere uguale alla nostra disponibilità a pagare qualcosa. Questo è quello che dovrebbe fare un individuo che si comporta razionalmente ma così non è poiché subentra quello che è noto come “effetto dotazione”. L’individuo tende a compiere le proprie scelte in base alle proprie dotazioni iniziali, valutando le diverse opzioni in base a dei punti di riferimento.

L’effetto dotazione e il fenomeno dei punti di riferimento possono essere spiegati come risultati di quella che è nota come “avversione alle perdite”.

Per la maggior parte delle persone la motivazione a evitare una perdita è superiore alla motivazione a realizzare un guadagno. Approssimativamente, afferma Thaler, quando perdiamo qualcosa si prova un’infelicità due volte maggiore della felicità di ottenere la stessa cosa.

Un esperimento importante su questa avversione è stato condotto sempre da Tversky e Kahneman nel 1991: in una classe alla metà degli studenti viene consegnata una tazza con il logo dell’università, l’altra metà dovrà esaminare tali tazze da vicino. Conclusa questa operazione tutti gli studenti dovevano indicare il prezzo al quale erano disposti a comprare/vendere tale tazza.

Alla fine era possibile osservare che gli studenti che avevano la tazza chiedevano un prezzo

30 Thaler R. H., Sunstein C. R. (2008), La spinta gentile, pp. 43-44. 31 www.economicshelp.org, voce “status quo bias”

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pari a circa due volte il prezzo che coloro che non l’avevano erano disposti a pagare.

Questo dimostra che gli individui subiscono un danno maggiore quando devono rinunciare a qualcosa, rispetto al piacere che provano nel ricevere qualcosa.

L’avversione alle perdite viene catturata dagli economisti comportamentali tramite la funzione valore v(.) che ci indica come un individuo valuta un cambiamento. Tale funzione

considera i cambiamenti rispetto ai livelli delle disponibilità totali e mostra una modifica a partire dai punti di riferimento, funzione che possiamo osservare nella figura;

2. Paura dell’ignoto: gli individui tendono a scartare ciò che non conoscono;

3. Costo di prendere decisioni: Samuelson e Zeckhauser nel 1988 scoprirono che la preferenza per lo status quo era maggiore quanto vi erano un maggior numero di scelte possibili. Più scelte, quindi, fanno aumentare il costo di prendere una decisione, e, con questo, aumenta anche l’attrazione allo status quo;

4. Inerzia: le persone non hanno semplicemente voglia di cambiare;

5. Fedeltà: gli individui possono restare fedeli ad una scelta, sia in tempi buoni che in tempi peggiori. Come esempio possiamo prendere un tifoso di una squadra, ma lo stesso principio può essere applicato in economia.

A causa principalmente dell’avversione alle perdite, dell’effetto dotazione e della non curanza nelle decisioni, l’opzione di default attrae una grossa quota di persone al momento di una scelta.

Inoltre, le persone sono portate a credere che la soluzione di default goda dell’approvazione dei policymaker.

Grazie a tutte queste motivazioni possiamo capire l’importanza di stabilire le migliori opzioni di default possibili e la loro grande efficacia se utilizzate come strumenti di nudge.

Figura 7: Funzione valore.

Fonte: Erik Angner, “Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta” pag. 65.

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3. Scelta intertemporale, il tempo nelle scelte

Le scelte che una persona compie possono portare a delle conseguenze immediate (mangiare un gelato, puntare sul rosso alla roulette) e in questo caso l’elemento temporale non è rilevante. La maggior parte delle decisioni che prendiamo ogni giorno però, hanno conseguenze che

emergono con il passare del tempo (basti pensare alla classica domanda che un lavoratore si pone ogni giorno “quanto posso spendere oggi e quanto devo risparmiare?”).

Infatti, in molte delle scelte compiute dall’individuo, soprattutto in quelle inerenti al risparmio e alla previdenza, le conseguenze non sono immediate ma molto distanti nel tempo.

Possiamo prendere come esempio due tipologie di decisioni che portano a conseguenze che si verificano in istanti diversi:

- Decisioni che hanno benefici immediati e costi differiti, ed è questo il caso della procrastinazione, dove si preferisce godere di qualcosa nell’immediato anziché rimandare il beneficio al futuro; - Decisioni che hanno costi immediati e benefici futuri, ed è questo il caso del pagamento del premio di una polizza assicurativa, oppure del risparmio per la pensione, dove si preferisce mantenere un tenore di vita futuro stabile piuttosto che togliersi una soddisfazione immediata (comprare una moto). Oppure un altro esempio, molto comune tra le giovani generazioni, è quello riguardante l’investimento nel proprio capitale umano: iscrivendosi ad un’università uno studente andrà a sostenere immediatamente dei costi, tra i quali le tasse universitarie, il materiale utile allo studio e rinuncerà a lavorare e quindi ad un conseguente stipendio per il periodo di studi.

Quindi, in tutte le decisioni intertemporali, se vogliamo essere lungimiranti sarà necessario considerare l’elemento temporale, andando a pesare i flussi di utilità, i costi e i benefici, che si verificheranno in momenti diversi.

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3.1. Modello di sconto esponenziale:

Il primo modello, che ha caratterizzato i primi anni del ventesimo secolo, è il modello sviluppato da Ramsey e Samuelson, ed è il modello di sconto esponenziale.

Tale modello è alla base delle teorie della scelta intertemporali più recenti, riuscendo facilmente a rappresentare la preferenza degli individui per una somma di denaro immediata rispetto ad una somma di denaro futura (l’utilità derivante da una somma X di denaro oggi è maggiore dell’utilità derivante dalla solita somma X di denaro ma in un periodo successivo).

Supponendo che 𝑢 > 0 sia l’utilità derivante dal ricevere un euro oggi, l’utilità del ricevere un euro in futuro dovrà essere inferiore ad 𝑢.

Per fare questo usiamo il fattore di sconto 𝛿 che moltiplicato per 𝑢 restituisce un valore 𝛿𝑢 < 𝑢, poiché 0 < 𝛿 < 1.

Secondo questo modello una persona adotta una funzione di sconto esponenziale e adotta un fattore di sconto costante durante il corso del tempo.

Il fattore di sconto riflette le preferenze e le caratteristiche dell’individuo che compie la scelta: - se l’individuo è impaziente avrà un fattore di sconto basso, all’estremo prossimo allo zero; - se l’individuo invece dimostra di essere paziente avrà un fattore di sconto alto, all’estremo sarà prossimo ad uno.

Possiamo mostrare lo sconto del futuro tramite il grafico in figura 8: Sull’asse delle ascisse abbiamo il tempo, mentre sull’asse delle ordinate abbiamo l’utilità. Le curve rappresentano quanto vale ricevere la

ricompensa al tempo t, cercando di valutarla negli

istanti precedenti t-1 e t-2. Spostandosi a sinistra partendo da t osserviamo che la ricompensa vale sempre meno in termini di utilità, variando in base al tasso di sconto stabilito.

Figura 8: Sconto esponenziale. Fonte: Erik Angner, “Economia comportamentale, Guida alla teoria della scelta” pag. 219.

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Cogliamo quindi la differenza fra individui pazienti e non pazienti anche dal punto di vista grafico. Infatti, con un 𝛿 basso possiamo osservare una curva molto ripida, segno di un poco interesse verso ciò che succede in futuro, mentre con un 𝛿 elevato, prossimo ad uno, osserviamo una curva più piatta.

Per valutare una sequenza di utilità, una serie di eventi, usiamo quello che è noto come “modello delta”. In tale modello, secondo la funzione delta, abbiamo un’utilità così definita:

𝑈0(𝑢) = 𝑢0+ 𝛿𝑢1+𝛿2𝑢2+ 𝛿3𝑢2+ ⋯ = 𝑢0+ ∑ 𝛿𝑖𝑢𝑖

𝑖=1

𝛿 , come abbiamo già detto è il fattore di sconto e ci dice che per un individuo nell’istante successivo un euro vale 𝑢 ∗ 𝛿. A volte possiamo trovare il fattore di sconto 𝛿 espresso come 𝛿 =

1

(1+𝑟) dove 𝑟 è il tasso di sconto ed è pari a 𝑟 = (1−𝛿)

𝛿 .

Una domanda che possiamo porci è quella su quanto sia il giusto valore del fattore di sconto 𝛿, in altre parole dobbiamo chiederci quando un delta può essere considerato razionale.

Ma se 𝛿 rappresenta le preferenze temporali di un individuo allora assumerà un valore puramente personale senza dover sottostare ad alcun vincolo nella scelta, con la conseguenza che l’utilizzo di qualsiasi fattore di sconto sarà sempre razionale. Infatti, prendendo come esempio il caso di comportamenti autodistruttivi (assunzione di droghe), possiamo osservare che con un 𝛿 basso, la ricerca di una gratificazione immediata è perfettamente razionale nel contesto preso in analisi. La razionalità richiede però che il fattore di sconto delta sia unico e costante nel tempo.

Il valore di 𝛿 invece, dovrebbe essere deciso con molta precisione poiché, come nelle analisi costi benefici, dove i costi sono immediati e i benefici sono differiti nel tempo l’assegnargli un valore alto o basso, può portare a risultati opposti:

- 𝛿 basso: i costi assumono un valore maggiore dei benefici, con la conseguenza che il progetto di investimento non viene finanziato;

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