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Sovraffollamento carcerario e la necessita' di una riforma organica del sistema esecutivo delle pene

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Indice

Introduzione………4

Capitolo I……….7

Analisi del sovraffollamento carcerario……….7

1. Le fonti in ambito penitenziario………7

2. Le origini delle criticità nel sistema penitenziario………..12

2.1. Gli interventi di clemenza……….14

3. La politica repressiva………..15

3.1 La visione carcerocentrica……….………..……17

3.2 La legge ex Cirielli, in ambito della recidiva……….…… 20

3.3 La legge Bossi-Fini sull’immigrazione……….……. 21

3.4 La legge Fini-Giovanardi in tema di stupefacenti ……….…….22

3.5 Il “Pacchetto sicurezza”………..…….23

4. Nuove modalità di risposta ai reati……….…….25

5. Il sovraffollamento carcerario attraverso i dati……….…..30

6. Distorsione delle funzioni della custodia cautelare e del magistrato di sorveglianza………33

Capitolo II……….………..…..39

Sentenze Sulejmanovic e Torreggiani……….……39

1. La sentenza Sulejmanovic……….39

1.1 Il criterio dei 3 metri quadrati………40

1.2 L’opinione dissenziente del giudice Zagrebelsky……… 44

2. La sentenza Torreggiani………..47

2.1 Il carattere di sentenza pilota ………47

2.2 Il criterio dei 3 metri quadrati e l’intervento della Cassazione…….50

(2)

3. Differimento di esecuzione della pena e relativa sentenza della Corte

Costituzionale……….……….………56

4. Competenza sulla domanda risarcitoria……….….…60

5. Il responso del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa…..….63

Capitolo III………64

Interventi normativi del legislatore nazionale………..…64

1. Le indicazioni normative della Corte Edu ………..………64

2. Il “piano carceri” ……….………65

3. La l.199/2010 relativa all’esecuzione della pena presso il domicilio..68

4. Contrasto al fenomeno delle “porte girevoli” ……….70

4.1 La nuova normativa sugli ospedali psichiatrici giudiziari…………71

5. Il d.l. 78/ 2013 in materia di esecuzione penale………..……72

5.1 Valorizzazione del lavoro di pubblica utilità………73

6. Nuova disciplina sull’affidamento in prova e liberazione anticipata..74

6.1 Nuovo reclamo ex art. 35-bis dell’ordinamento penitenziario……..77

6.2 Modifiche al testo unico sugli stupefacenti e istituzione del Garante nazionale dei detenuti……….81

7. Deleghe al governo in materia sanzionatoria……….…..84

7.1 Tenuità del fatto………..86

8. Introduzione di nuovi rimedi risarcitori….………89

Capitolo IV………..………..94

Proposte per rimediare al sovraffollamento carcerario……..………….94

1. Rimozione dei reati ostativi alle misure alternative al carcere. Proposta della Commissione “Palazzo”………..…..94

1.1 Proposta della Commissione “Giostra”….………99

2. Giustizia riparativa………103

2.1 Mediazione penale ….………104

(3)

3. Pena pecuniaria per tassi………107

4. Pena interdittiva e prescrittiva……….………..109

5. Opportunità dell’intervento di clemenza………….………..110

6. Attività lavorativa per i detenuti………..………..111

7. Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale………113

8. Gestione degli arresti……….………114

9. Detenzione domiciliare……….……….117

10. Numerose soluzioni pratiche immediatamente eseguibili…….……118

Conclusioni……….……….121

Bibliografia……….127

(4)

Introduzione

Il lavoro di tesi che vado a proporre ha come intento quello di approfondire il funzionamento del sistema penitenziario, più precisamente quello di analizzare la problematica legata al sovraffollamento carcerario registrato, negli ultimi anni, in Italia.

Il tema che vado ad affrontare non è nuovo, ma è sempre di incredibile attualità, si tratta dell’eterno conflitto tra trattamento sanzionatorio e diritti individuali fondamentali.

Ad oggi si sovviene la necessità di ristabilire la legalità all’interno del nostro sistema penitenziario, andando ad evitare che la detenzione da strumento di punizione diventi strumento di crimine.

Sono stati notevoli i progressi normativi, registrati nel lungo periodo, in ambito del riconoscimento di diritti fondamentali in capo ai detenuti, questo anche grazie all’entrata in vigore della Costituzione e alla sottoscrizione di numerose Convenzioni europee ed internazionali. Tuttavia ancora oggi il carcere è caratterizzato preoccupanti situazioni di violazione dei diritti dei ristretti, problema prodotto da alcune scelte di politica penitenziaria e dalla negligenza verso situazioni concrete.

Esporrò un breve excursus storico sulle condizioni carcerarie e sulla politica penitenziaria, con particolare riguardo al clima generato dalla riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975.

Analizzando alcune delle cause che hanno comportato l’allontanamento della realtà penitenziaria dalle auspicabili finalità della pena previsti dalla Costituzione, si scorge come in tale direzione abbiano fortemente contribuito il ricorso a generalizzati atti di clemenza e una politica penitenziaria fortemente securitaria e repressiva.

Intendo riportare gli allarmanti dati statistici legati allo status della popolazione ristretta, forniti dal Ministero della Giustizia, da cui emerge

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che la causa del sovraffollamento non risiede tanto nel numero dei detenuti, quanto nel rapporto tra soggetti presenti e posti disponibili. Non può mancare, nell’analisi dell’argomento, lo studio delle sentenze emesse dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in seguito Corte Edu), in particolare i casi Sulejmanovic e Torreggiani . Con tali sentenze l’Italia 1 2 è stata condannata per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (in seguito CEDU), ovvero per comportamenti inumani e degradanti. 3

Tuttavia solo con il ricorso Torreggiani la Corte Edu ha ritenuto opportuno scegliere la forma di “sentenza pilota”, a dimostrazione della strutturalità assunta del problema carcerario e della necessità di un intervento da parte dello Stato italiano.

Che le condizioni di vita dei detenuti siano troppo spesso intollerabili è ormai un dato di comune conoscenza, ed è stato accertato, oltre che dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche nel messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Non sono tardati nemmeno gli interventi dei giudici nazionali, rilevanti sono le pronunce della Corte Costituzionale, che si è espressa sull’inopportunità di un differimento nell’esecuzione della pena, così come era stata proposta da alcuni magistrati di sorveglianza.

L’attenzione è poi concentrata sul contesto normativo nazionale, in cui si sono dovuti mettere in atto profondi cambiamenti in poco tempo, in maniera tale da riuscire a rispettare il termine di un anno, concesso inizialmente dai giudici di Strasburgo, per rimediare alle pessime situazioni detentive riscontrate.

Sulejmanovic c/italia, Strasburgo, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 16 1

Luglio 2009, ricorso n.22635/03

Torreggiani e altri c. Italia ricorsi nn. 4357/09, 46882/09, 55400/09; 57875/09, 2

61535/09, 35315/10, 37818/10

Articolo 3 CEDU: “Proibizione della tortura. Nessuno può essere sottoposto a 3

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La decisione giurisprudenziale ha comportato una serie di riforme tutte a scopo deflativo e volte a riconoscere una maggior tutela dei diritti dei detenuti, nonché a fornire metodi risarcitori nei casi in cui si realizzino ancora violazioni degli standard minimi di vivibilità.

Sulle linee guida indicate dalla Corte Edu, il legislatore ha predisposto nuovi piani di edilizia penitenziaria, è ricorso a figure di liberazione anticipata e ha favorito misure alternative alla detenzione carceraria. I meccanismi normativi previsti hanno sortito gli esiti sperati, ovvero hanno inciso in maniera deflativa, anche se forse il cambiamento non è stato abbastanza organico e sistematico. A tal proposito propongo una visione auspicabilmente completa dei rimedi configurabili, in modo tale da arginare radicalmente l’emergenza legata agli istituti penitenziari.

Nello specifico espongo le proposte delle Commissioni di studio ministeriale costituite ad hoc per porre in essere interventi in tema di sistema sanzionatorio penale e in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione.

Risultano preziosi anche i suggerimenti della dottrina, dei magistrati di sorveglianza e delle associazioni, per provare a concepire un cambiamento, che non sia solo contingente all’emergenza, ma che spinga verso un riavvicinamento del sistema penitenziario ai valori costituzionali.

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Capitolo I

Analisi del sovraffollamento carcerario

Sommario: 1. Le fonti in ambito penitenziario. 2. Le origini delle criticità nel sistema penitenziario. 2.1. Gli interventi di clemenza 3. La politica repressiva. 3.1 La visione carcerocentrica 3.2 La legge ex Cirielli, in ambito della recidiva. 3.3 La legge Bossi-Fini sull’immigrazione. 3.4 La legge Fini-Giovanardi in tema di stupefacenti 3.5 Il “Pacchetto sicurezza” 4. Nuove modalità di risposta ai reati 5. Il sovraffollamento carcerario attraverso i dati 6. Distorsione delle funzioni della custodia cautelare e del magistrato di sorveglianza.

1. Le fonti in ambito penitenziario.

Per secoli, fino alla fine del Settecento, il carcere è stato l’equivalente di terribili abusi da parte dell’autorità pubblica ai danni del detenuto. Ai tempi la reclusione mirava esclusivamente a fini afflittivi e retributivi e aveva come unico scopo la tutela dell’ordine pubblico.

La concezione di detenzione inizia a mutare nel periodo illuminista, solo allora vengono riconosciuti dei diritti umani fondamentali per ogni individuo. Gli illuministi mettono al bando la tortura e fissano regole che limitano la discrezionalità dell’autorità pubblica, ponendo le basi del sistema penitenziario in senso moderno.

Ancora nella prima metà del Novecento, però, il trattamento penitenziario viene concepito solo in un ottica funzionale alla neutralizzazione e alla difesa sociale.

Si dovranno attendere tempi recenti per consacrare i principi per cui il detenuto continua ad essere un individuo titolare di diritti e che le violazioni di questi da parte di organi dello Stato devono essere sanzionate.

(8)

Il definitivo cambiamento di mentalità viene consacrato con l’entrata in vigore della Costituzione e con la riforma penitenziaria.

L’ordinamento penitenziario, ovvero la legge del 26 luglio 1975, n. 354, è la base da cui iniziare una trattazione dell’argomento carcerario; l’impianto di questa legge gravita su due poli: l’idea rieducativo trattamentale e la centralità del carcere. La prima porta alla convinzione che l’esecuzione penitenziaria possa condurre a un buon livello di riadattamento sociale. La centralità del carcere permane nonostante la presenza innovativa delle misure alternative, le quali presuppongono comunque una permanenza carceraria per “l’osservazione scientifica della persona”.

L'ordinamento penitenziario ha fatto delle ottime scelte sul terreno dei principi, attuate però solo in minima parte , infatti i punti fondamentali 4 della normativa del 1975 sono stati praticamente rifiutati.

La realtà andrà a smentire le premesse da cui era partita la riforma, la causa è da ricercarsi nell’aumento di previsioni criminose a cui rispondere col carcere. Inoltre l’obiettivo rieducativo della detenzione si rivela irrealistico per carenza di mezzi ed organizzazione.

Il sistema di individualizzazione del trattamento, costituente un principio cardine della riforma, è stato di fatto ignorato. 5

Molti altri aspetti innovativi dell’ordinamento penitenziario non hanno ricevuto attuazione, mi riferisco al mancato intervento del legislatore nell’indicare il tipo di procedimento processuale idoneo a tutelare i detenuti, da quegli atti dell’amministrazione penitenziaria ritenuti lesivi dei loro diritti.

Le norme inattese sono specificatamente quelle contenute nel capo II della l.354/1975, che attengono al trattamento penitenziario in senso stretto, al

Pavarin G., Le riforme e la realtà della condizione penitenziaria: proposte e 4

fattibilità, consultabile su http://www.ristretti.it/, 2009

Palazzo F. Riforma del sistema sanzionatorio e discrezionalità giudiziale, in 5

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rispetto del principio di umanità e della dignità della persona. Si prevedono in tal punto specifiche caratteristiche tecniche riguardanti gli edifici e disposizioni sulla qualità di vita che comprendono molteplici aspetti: vestiario, igiene, alimentazione e permanenza all’aria aperta. 6

Nella legge del 1975, ma anche nel regolamento del 2000 , sono contenuti 7 una serie di caratteristiche tecniche che devono possedere le carceri. Alcuni di questi standard sono correttamente precisi e rigidi, altre disposizioni sono, invece, a contenuto elastico e andrebbero modificate. Sono esempi di indicazioni troppo generiche le previsioni di “celle dallo spazio sufficiente” o “condizioni igieniche idonee”.

E’ preferibile definire con precisione e normativamente uno standard, così facendo potrebbe intervenire la ASL verificando l’abitabilità delle celle e rilasciando la certificazione di sua competenza. Sarebbe del funzionario ASL il compito di dichiarare abitabile una cella, sulla base di parametri tassativi e potrebbe rivolgersi ad un magistrato di sorveglianza qualora questi siano violati.

L’inosservanza di standard predeterminati comporterebbe immediatamente detenzione illegale, si otterrebbe un irrigidimento dell’offerta penitenziaria e un consolidamento del canone dell’extrema ratio.

Se si alza il livello delle condizioni richieste al sistema penitenziario, la pena carceraria diventa, oggettivamente e materialmente, una risorsa quantitativamente limitata. Se in un ordinamento si dispone solo di un certo numero di posti detentivi che possano assicurare il rispetto degli

standard umanitari minimi, allora si dovranno applicare dei criteri

distributivi che rispondano proprio al principio dell’extrema ratio.

Comucci P., Meddis D., Divieto di trattamenti inumani o degradanti e 6

sovraffollamento carcerario, in “Criminalia”, 2009 pp 450 e ss.

D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 Regolamento recante norme sull'ordinamento 7

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L'Italia ha sottoscritto numerose convenzioni in ambito internazionale ed europeo. Queste convenzioni fanno riferimento ad un generale e inderogabile divieto della pratica della tortura e di trattamenti inumani e degradanti e dettano indicazioni precise su quella che dovrebbe essere la corretta organizzazione degli istituti carcerari e sulle condizioni di detenzione.

Per quanto riguarda il Consiglio d’Europa la fonte principale è da ritrovare nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 1950.

Tra le altre, poi, è stata firmata a Strasburgo, nel 1987, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti.

La Convenzione integra il divieto previsto all'art.3 della CEDU istituendo un organismo di controllo e un meccanismo di natura preventiva. Si tratta del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumane e degradanti (in seguito CPT).

Il lavoro del CPT costituisce un meccanismo di controllo non giudiziale, che integra quello giudiziale della Corte Europea dei Diritti Umani.

Dal generale divieto di tortura ed altri trattamenti inumani e degradanti discendono una serie di norme e principi che costituiscono una sorta di "Carta dei diritti dei detenuti”.

Si tratta di principi minimi, enunciati dapprima nella Risoluzione ONU del 1955 e poi confluiti nella raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle Regole penitenziarie europee del 1987.

Le regole penitenziarie europee pur non avendo valore vincolante sul piano giuridico, a meno che non siano state recepite dalle legislazioni nazionali, sono un importante codice di principi in grado di influenzare le politiche penitenziarie degli Stati che le hanno sottoscritte.

Esse impongono agli Stati un’obbligazione politica e consentono di esercitare una sanzione morale sulle autorità nazionali incaricate di garantirne il rispetto.

(11)

La prima parte della raccomandazione contiene i principi fondamentali, ricondotti a quello della umanità della pena: rispetto della dignità umana, dei diritti individuali dei detenuti, imparzialità e non discriminazione, rieducazione dei condannati al fine di un loro reinserimento nel tessuto sociale, regolarità delle ispezioni degli istituti penitenziari.

La seconda parte della raccomandazione riguarda i diversi aspetti della gestione del sistema penitenziario. In particolare prevede che i locali di detenzione debbano venire incontro alle esigenze di rispetto della dignità umana e osservare criteri minimi in materia di igiene e sanità. 8

In considerazione dei problemi che hanno gli istituti di pena con riguardo alla crescita della popolazione carceraria, il Comitato dei Ministri ha precisato che ogni Stato dovrebbe garantire l'osservanza di questi requisiti minimi, anche nel caso di sovraffollamento delle carceri.

La legge del 1975 ha riprodotto alcuni di tali principi.

Il testo sancisce che nonostante la privazione della libertà personale, è necessario rispettare la dignità umana, andando a prevedere delle condizioni minime di vita che la garantiscano.

Se ne deduce che, lo Stato quando va a comprimere la libertà personale di un condannato o imputato, è responsabile di garantirgli condizioni di detenzione che ne rispettino la dignità e le garanzie previste formalmente. Autorevole dottrina vede la radice del problema penitenziario proprio nella riforma del 1975. La norma è composta di enunciazioni encomiabili che però nascondono una realtà carceraria rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione, attraverso gli strumenti della normativa secondaria e terziaria e tramite le assegnazioni e i trasferimenti. 9

Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, 8

“Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di

accoglienza e trattamento per migranti in Italia”, http://www.senato.it/, 6 marzo

2012

Padovani T. Promemoria sulla questione giustizia, in Cass. pen., 2007, p. 4026 9

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Come anticipato il divieto di pene inumane è consacrato in numerose fonti internazionali e nazionali cogenti, spetta, però, all’interpretazione giudiziaria definire la portata delle norme convenzionali alla luce di fattispecie concrete.

La Corte di Strasburgo svolge un ruolo fondamentale nella determinazione dell’applicazione del divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti, in quanto vigila affinché l’esecuzione della pena non superi quel livello inevitabile di afflittività legato alla detenzione.

L’ambito carcerario è, per antonomasia, un settore carico di dolore, ma nella storia recente stiamo assistendo ad un incremento del fenomeno dell’affollamento penitenziario che sta portando ad un vero e proprio collasso istituzionale. 10

2. Le origini delle criticità nel sistema penitenziario.

Il sovraffollamento carcerario è un problema complesso, risalente nel tempo e dovuto ad una molteplicità di fattori.

Fin dall’epoca della riforma dell’ordinamento penitenziario, nel 1975, le carceri appaiono sature, ma la composizione della popolazione ristretta è omogenea e c’è molta fiducia nel ricorso alle nuove misure alternative alla detenzione, previste per la prima volta proprio dalla l. n. 354/75. Inoltre l’emanazione dell’ordinamento penitenziario avrebbe dovuto inserirsi in un quadro organico di riforma di tutto il sistema penale, cosa che però non avviene.

Non si riesce ad eliminare il primato riconosciuto alla pena detentiva nel nostro sistema sanzionatorio.

Gargani A., Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un 10

circolo virtuoso per la legalità dell’esecuzione penale. in “Cass. pen.”, 3, 2011,

(13)

Vi è stato, poi, un espandersi della criminalità legata al traffico di droga, al terrorismo e l’emersione del fenomeno associativo delinquenziale, che hanno inciso fortemente sull’aumento del numero di detenuti.

Il legislatore continua ad affrontare questa esplosione di criminalità in maniera inadeguata, non effettua scelte strutturali riguardo le cause del sovraffollamento.

Si susseguono una serie di aperture e chiusure nella politica repressiva, che si ripercuotono anche sui percorsi di risocializzazione delle persone detenute.

Tentativi di deflazione carceraria sono sia la legge Gozzini , che la legge 11 Simeone-Saraceni . 12

E’ estremamente difficoltoso inserire tali norme in una visione giusta di premialità, basata su di un processo di rieducazione, in quanto appaiono piuttosto frutto di un esigenza di alleggerimento della popolazione detenuta, una premialità tout court.

La legge Gozzini introduce: la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova in casi particolari, permessi premio e l’eliminazione di alcuni reati ostativi alle misure alternative.

La legge Simeone predilige la misura deflativa nei casi in cui a dover essere eseguite sono pene detentive fino a tre anni.

Da queste riforme il sistema di esecuzione penale ne esce indebolito, soprattutto non viene visto positivamente da parte dei consociati, non si riesce ad assicurare la certezza della pena e la sicurezza della collettività. La certezza della pena viene poi ulteriormente minata dagli indulti, concessi ai detenuti nel corso degli anni; si raggiunge un vero e proprio abuso di questi negli anni ’90.

l. 10 ottobre 1986, n. 663 11

l. 27 maggio 1998, n.165 12

(14)

Se ne fa un uso eccessivo, incompatibile con il carattere di eccezionalità che dovrebbe connotare tale istituto.

2.1. Gli interventi di clemenza

L’indulto mal si concilia con la logica individualizzata del trattamento rieducativo, in cui andrebbero premiati solo i soggetti che effettivamente hanno avuto comportamenti positivi durante il periodo di restrizione della libertà personale.

La clemenza tout court come strumento di regolamentazione della pressione carceraria è sempre un segnale di fallimento del sistema sanzionatorio.

La razionalità della politica criminale, però, deve confrontarsi con l’irrazionalità del sistema effettivo di un carcere che va a ledere diritti inviolabili, allora si può giustificare un indulto che ripristini la dignità del detenuto.

La strada della clemenza, che per definizione paga il costo della rottura dell’uguaglianza nell’applicazione della legge, ha il vantaggio di essere la meno impegnativa sul piano delle scelte di politica legislativa; una semplice, contingente e inevitabilmente discriminatoria correzione di alcuni effetti del sistema esistente.

La clemenza è stato lo strumento di gestione delle carceri fin dall’Unità d’Italia.

Durante il fascismo si registra l’uso dell’amnistia più di una volta all’anno, non avendo a disposizione misure alternative questo diventava l’unico mezzo di governo del carcere. 13

Durante la Repubblica l’indulto è stato comunque utilizzato eccessivamente dal legislatore, fino a quando è intervenuta una modifica

Padovani T. Introduzione a Libertà in carcere, libertà nel carcere, Affermazione 13

e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Giappichelli

(15)

alla legge costituzionale riguardante il quorum necessario per poter approvare gli atti di clemenza. 14

Tale notevole aumento della maggioranza parlamentare richiesta per poter approvare l’applicazione dell’indulto, ha portato ad un forte ridimensionamento nel ricorso all’istituto in esame.

L’uso moderato della clemenza si registra fino al 2003, anno in cui i carceri sono sull’orlo del collasso dalla quantità di detenuti, quando si propone la sospensione condizionata della parte finale della pena detentiva nei limiti dei due anni, il c.d. “indultino”.

Con la legge 31 luglio 2006, n. 241, si ricorre nuovamente all’uso dell’indulto, come soluzione obbligata da uno stato emergenziale legato alla grande sofferenza fisica e mentale inflitta ai detenuti, si riduce il numero da 60.710 persone detenute del Luglio 2006, a 38.326 di Settembre dello stesso anno.

L’effetto deflativo viene rapidamente riassorbito: al 31 dicembre 2008 la popolazione carceraria è già risalita a oltre 58 mila persone.

Non si è colta la grande opportunità data da questo forte ridimensionamento del numero di ristretti, né andando a varare una riforma del codice penale, né andando a prevedere una ristrutturazione organica dell’amministrazione penitenziaria.

3. La politica repressiva

La legislatura successiva all’indulto del 2006, che ha portato un generale malcontento tra i consociati e ad una sfiducia sull’efficacia della pena, ha imboccato la strada di una politica securitaria. Tale scelta risponde ad un

l. Cost. 6 marzo 1992 Art. 1. L'articolo 79 della Costituzione e' sostituito dal 14

seguente: "L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.”

(16)

malumore diffuso ed è focalizzata su obiettivi diversi e disfunzionali rispetto alla riduzione della popolazione carceraria.

Le politiche securitarie improntate su esigenze di neutralizzazione e difesa sociale non tengono conto di numerosi fattori come la carenza di risorse finanziarie, di mezzi disponibili e invecchiamento del personale amministrativo e di polizia. Tutto ciò lungi dal produrre sicurezza, aumenta solo il pregiudizio alle già scarse opportunità di prevenzione speciale positiva.

Questo tipo di politica porta a criminalizzare condotte che sono solo espressione di disagio e precarietà sociali, per cui si dovrebbe intervenire a livello sociale e non tramite l’incarcerazione di coloro che le pongono in essere.

Le tipologie di criminali che effettivamente scontano la pena detentiva sono i ladri, spacciatori, tossicodipendenti, è molto più raro che vengano incarcerati autori di gravi speculazioni patrimoniali, autori di falsi in bilancio, corruzioni, frodi fiscali ecc.

Una tendenza che, come accennato, non è arginata dalle recenti riforme securitarie. 15

Per comprendere al meglio le scelte legislative si devono calare nel contesto sociale generale di oggi.

Gli interventi normativi si basano sul contingente, le forze politiche sono a conoscenza che, in una democrazia emotiva come quella attuale, il 16 governo dell’insicurezza sociale riscontra il favore dei consociati.

Vi è un clima incline all’allarmismo e sensibile alle esigenze di tutela in senso repressivo.

Dolcini E. Pene detentive, pene pecuniarie, pene limitative della libertà 15

personale: uno sguardo alla prassi. in “Rivista italiana diritto penale

processuale” 2009, pp 95 ss.

Giostra G., Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare l’emergenza, 16

(17)

Le riforme strutturali del sistema vengono paradossalmente avvertite dalla società come eversive rispetto alla tradizione repressiva, ignorando il vero significato di queste, ovvero quello di conciliare le istanze di extrema ratio con l’esigenza di maggiore effettività della pena. 17

La recente politica criminale sembra inseguire specifici fenomeni criminosi, raramente tiene conto di una visione d’insieme del sistema. Ogni scelta generale a livello legislativa si scontra con la peculiare esigenza repressiva di un reato.

Diminuiscono le possibilità di una riforma organica in questo clima diffuso di repressivismo, in quanto in una società piena di paura e stremata dalla crisi non mancheranno mai tipologie di reati avvertiti come particolarmente odiosi. Ciò comporta, a livello di produzione normativa, il formarsi di elenchi di illeciti esclusi o inclusi nell’ambito applicativo di un istituto, andando a ledere il principio di uguaglianza, soprattutto perché queste scelte politiche derivano principalmente dal grado di attenzione mediatica data a quel fenomeno criminoso.

E’ facile intendere come una formazione mentale di questo tipo sia la meno idonea a favorire riforme organiche del settore penale ed esecutivo. Il sistema degli elenchi di reato ha l’ulteriore svantaggio di rendere più difficile la conoscibilità della disciplina dei vari istituti, minando la certezza del diritto.

3.1 La visione carcerocentrica

L’impostazione carcerocentrica, che deriva da una mentalità repressiva, è la causa principale del sovraffollamento penitenziario.

L’esubero di detenuti comporta, tra le varie conseguenze, una modifica delle finalità di istituti nati a scopo rieducativo, solo a titolo

Palazzo F. Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture, in “Rivista 17

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esemplificativo si pensi alla sospensione condizionale e all’affidamento in prova.

Strumenti che vengono utilizzati non tanto in un ottica rieducativa o di snellimento processuale, quanto come mezzi per decongestionare la condizione carceraria satura.

Questa contraddizione implica che, da una parte le nostre carceri sono piegate dal problema dell’esubero di detenuti e dalla conseguente violazione dell’art. 3 CEDU, dall’altra parte la pena viene sempre più percepita come ineffettiva.

La riforma del sistema sanzionatorio, arrivati a questo punto di contraddittorietà, si va ad imporre anche se separata dalla riforma del codice penale. Questa constatazione è una novità obbligata dagli eventi e dal clima politico, perché a livello teorico sarebbe assolutamente da preferire una riforma del sistema sanzionatorio italiano collegata ad una riforma del codice penale del 1930.

Esempi di una politica repressiva e carcerocentrica sono la c.d. legge Bossi-Fini riguardante l’immigrazione, la legge Cirielli sulla recidiva e 18 19 la Fini-Giovanardi in tema di stupefacenti. 20

Provvedimenti che comportano un aumento esponenziale della popolazione carceraria, senza raggiungere la diminuzione della criminalità sperata, né miglioramenti sul fronte dell’ordine pubblico e della sicurezza sociale.

Questo tipo di politica criminale ha portato ad una quantità di popolazione carceraria eccessiva, con moltissimi giovani stipati in una cella, senza attività alcuna da svolgere, ciò evidentemente in contraddizione con il

l. 30 luglio 2002, n. 189 18

l. 5 dicembre 2005, n. 251 19

l. 21 febbraio 2006, n. 49, conversione in legge, con modificazioni del decreto-20

legge 30 dicembre 2005, n. 272.Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi.

(19)

trattamento rieducativo, fissato come obbiettivo dal nostro legislatore costituzionale . 21

Se si lavorasse sulla modifica di queste leggi, se si riconoscesse il fallimento del sistema repressivo in materia di stupefacenti e in materia di immigrazione e si ammettesse l’inutile crudeltà della legge ex- Cirielli, si riuscirebbe a riportare un giusto livello di razionalità in questi settori normativi e si otterrebbero effetti straordinari a livello penitenziario. 22 Inoltre ogni volta che il legislatore prevede una nuova fattispecie penale dovrebbe anche considerare le spese che questa comporta, andando ad indicare la copertura finanziaria rispetto ai costi che produrrà sul sistema dell’esecuzione penale.

La condizione di sovraffollamento implica una costante mancanza di privacy, nonché ridotte possibilità di svolgere attività ricreative, educative e lavorative, servizi medico sanitari insufficienti, aumento di tensione e di violenza tra i detenuti e, infine, riduzione degli standard igienici.

Bisogna registrare, inoltre, una continua violazione del principio di territorializzazione della pena, per cui si dovrebbe detenere un soggetto in prossimità dei luoghi di residenza dei familiari, così da agevolarne il continuo contatto.

Si deve sottolineare come la limitazione della possibilità di contatti con i familiari, o col mondo esterno al carcere in generale, incida fortemente sulle libertà fondamentali del ristretto.

Si ricordi a tal proposito che l’isolamento di un detenuto, quindi una limitazione della sua socialità in carcere, è legittimo, secondo la Corte

Articolo 27 Cost. “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è 21

considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.”

Padovani T. Introduzione a Libertà in carcere, libertà nel carcere, Affermazione 22

e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Giappichelli

(20)

Edu, solo se vi è comunque la possibilità per il soggetto di avere contatti con il personale penitenziario, medico e religioso, gli avvocati e i parenti. Nelle carceri non ci si occupa dei diritti degli innocenti ma di quelli dei colpevoli. E non è così facile, capire che anche in questo modo si difendono i diritti di tutti, si afferma lo stato di diritto, si rende più matura e migliore la nostra democrazia.

3.2 La legge ex Cirielli, in ambito della recidiva.

La legge ex Cirielli, riguardante la recidiva, ha avuto conseguenze dirette e importanti sul sovraffollamento carcerario.

Per i recidivi sono stati introdotti inasprimenti di pena e il divieto della prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti ed è stata fortemente irrigidita la possibilità di ottenere misure alternative.

La norma in esame modifica le previsioni riguardanti i tempi di prescrizione, andando ad agevolare l’ingresso in carcere di autori di furti e di piccoli reati in materia di stupefacenti.

D’altro canto nel prevedere l’accelerazione della prescrizione dei reati si favorisce l’impunità per autori di illeciti anche molto più gravi. 23

Per quanto riguarda la recidiva degli ex detenuti, il monitoraggio più significativo si riferisce alla rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del dipartimento amministrativo penitenziario (DAP).

Il DAP fornisce dei dati da cui emerge che il tasso di recidiva è circa del 33%: al 30 giugno 2011 erano 12.462 i soggetti rientrati in carcere, dopo aver beneficiato dell'indulto del 2006, su 36.741.

La legge ex Cirielli ha modificato l’art.157 c.p. , mutando profondamente il 23

modo di calcolare la prescrizione. Fino al 2005 infatti la durata della prescrizione veniva calcolata in scaglioni, a seconda della fascia a cui apparteneva la pena massima dell’illecito contestato al reo. L'attuale configurazione della norma invece rimanda direttamente alla pena massima,fermo restando i limiti della soglia minima di 6 anni per i delitti e di 4 per le contravvenzioni.

(21)

3.3 La legge Bossi-Fini sull’immigrazione.

Il problema del sovraffollamento penitenziario è da ricercarsi, anche, nel fatto che la legge c.d. Bossi-Fini prevede come strumento alternativo al carcere per gli immigrati condannati definitivamente, l’espulsione dall’Italia.

Questa previsione è fallita nella pratica perché mancano accordi con i paesi d’origine e non vi è sempre la possibilità di dare un identità certa ai soggetti.

Effetti diretti ha avuto l'inottemperanza dell'obbligo di espulsione nel momento in cui lo straniero senza giustificato motivo permane illegalmente sul territorio italiano, inottemperanza punita con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

L'impatto della norma sul sistema penitenziario è significativo in termini di presenze in carcere per esecuzione di pena, ma è ancora maggiore in termini di ingressi, essendo prevista l'obbligatorietà dell'arresto.

Le persone colpite da questa legge restano dunque detenute e concorrono a formare quel 37,5 % di stranieri detenuti nel nostro paese.

La tendenza normativa ad aumentare l’utilizzo della detenzione, sia come custodia cautelare, sia nell’esecuzione penale, ha comportato, soprattutto per gli immigrati, l’effetto di un ingresso e di un uscita dal carcere nell’arco di pochi giorni, funzione che risponde alla mera accoglienza, a scapito dello scopo trattamentale che dovrebbe avere un istituto penitenziario

Da registrare è proprio l'elevato turnover dei detenuti.

Ogni anno 90.000 persone provenienti dalla libertà transitano in carcere e oltre 40.000 di loro vi restano per periodi brevi . 24

Nel 2010, 21.093 fino a tre giorni, 1.915 fino a sette giorni, 5.816 fino a trenta 24

(22)

Il fenomeno cosiddetto delle "porte girevoli" ha coinvolto nel 2011 più di 17.000 soggetti.

Da evidenziare la dichiarazione dall’allora Ministro della Giustizia Severino: "Evitare questo rilevante numero di entrate e di uscite da un lato, allevierebbe il lavoro del personale penitenziario nelle impegnative fasi dell'accoglienza e alleggerirebbe il totale delle presenza in carcere, dall'altro eviterebbe il trauma delle pratiche di identificazione, perquisizione e inserimento carcerario per persone destinate, nella gran parte dei casi, ad essere rilasciate nel giro di pochissimi giorni”.

3.4 La legge Fini-Giovanardi in tema di stupefacenti

Un altro dato che incide fortemente sul sovraffollamento carcerario riguarda l’applicazione della legge Fini-Giovanardi.

Delle 92.800 persone entrate in carcere nel 2008, ben 30.528 appartengono alla categoria dei reati collegati alla droga, e 28.795 vi sono entratati per ipotesi criminose previste specificatamente dal Testo Unico sugli stupefacenti sopracitato. 25

Se si vuole analizzare il numero alla luce delle misure alternative, su oltre 14.700 tossicodipendenti ristretti alla fine del 2008, solo 1.200 sono stati affidati ad un percorso terapeutico.

Prima del 2006, l'affidamento terapeutico in comunità coinvolgeva quasi un terzo dei detenuti tossicodipendenti, mentre nel 2009 solo un decimo è sottoposto a misure alternative.

Si registra quindi una diminuzione del numero di fruitori di affidamento terapeutico, nonostante la legge Fini-Giovanardi abbia incentivato l'azione di disintossicazione da attuarsi in libertà, aumentando a 6 anni la pena da scontare eventualmente all’esterno del carcere.

Comucci P., Meddis D., Divieto di trattamenti inumani cit. 2009 pp 450 e ss. 25

(23)

Nello stesso tempo la legge ha però ridotto a due il limite delle concessioni dell'affidamento terapeutico, precludendone l'applicabilità per un numero elevato di soggetti.

Inoltre, se nel 2005, due terzi degli affidamenti terapeutici erano svolti in libertà, senza il transito dal carcere, oggi la decarcerizzazione dei tossicodipendenti avviene solo dopo un periodo di reclusione.

L’affidamento terapeutico in prova diretto per i detenuti tossicodipendenti, con residuo pena inferiore a sei anni, consentirebbe un elevato risparmio, considerato che il costo quotidiano di un detenuto è pari a circa 130 euro, quello di un soggetto in comunità è pari a circa 50 euro e quello di un affidato al Ser.T.(Servizi per le Tossicodipendenze) è di circa 15 euro. La diffidenza del legislatore in un maggiore ricorso alle misure alternative è del tutto ingiustificata.

E’ statisticamente dimostrato che il tasso di recidiva fra coloro che scontano la pena in carcere è del 68%, mentre fra coloro che beneficiano di una misura alternativa il tasso scende al 20%, per quanto sia vero che si possono fare obiezioni in grado di temprare tale cifre, il dato è valido nella sua sostanza. Inoltre i costi di gestione, come sopra evidenziato, del sistema delle misure alternative è inferiore rispetto a quelli del sistema penitenziario. 26

3.5 Il “Pacchetto sicurezza”

All’aumento spropositato dei detenuti ha contribuito anche il “Pacchetto sicurezza” , con cui si è allargato il ricorso obbligatorio all'arresto e alla 27 custodia cautelare in carcere.

Comucci P. Divieto di trattamenti inumani cit.,pp 450 ss. e Giostra G. 26

Sovraffollamento carceri cit. pp 55 ss

nello specifico il d.l. 23-02-2009 n.11 27

(24)

Il legislatore ha introdotto un meccanismo automatico di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i reati più gravi.

Il congegno normativo, riferito a un catalogo di fattispecie considerate meritevoli del trattamento speciale, è stato ampliato.

E’ intervenuta la Corte costituzionale in tema di automatismi cautelari, pubblicando tre declaratorie di illegittimità dell’art. 275, c. 3, c.p.p. . 28 La Corte Costituzionale ha progressivamente demolito l’impianto del “pacchetto sicurezza”, esprimendo un disagio ad accettare un indiscriminato ampliamento del ricorso a meccanismi automatici indefettibili di applicazione delle misure cautelari. Inoltre la novella normativa del 2009, non sembra guidata da criteri di oggettiva gravità edittale, né da un’omogeneità dei beni giuridici tutelati, quanto piuttosto dal ricorrere di episodi di cronaca nera.

Tra i reati per cui si prevede l’obbligo della carcerazione cautelare è presente il delitto contro la libertà sessuale, che registra ben il 30 % di casi in cui all’applicazione della custodia cautelare segue un proscioglimento processuale.

La Corte Costituzionale è intervenuta per passare da una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere ad una presunzione vincibile attraverso elementi che dimostrino come le esigenze cautelari possano essere soddisfatte attraverso la scelta di altre misure. 29

Cfr. rispettivamente Corte cost., sent. 29 marzo 2013, n. 57; Corte cost., sent. 28

18 luglio 2013, n. 213, Corte cost., sent. 23 luglio 2013, n. 232, ibidem.

Gaboardi A., Gargani A., Morgante G., Presotto A., Serraino M. Libertà in 29

carcere, libertà nel carcere, Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Giapichelli 2013

(25)

4. Nuove modalità di risposta ai reati

Sul tema del sovraffollamento carcerario è intervenuto anche il Presidente della Repubblica con il suo Messaggio alle Camere del 8 ottobre 2013, in cui evidenzia come: “vi sia un abisso che separa una parte della realtà carceraria di oggi dai principi dettati dall’art. 27 della Costituzione.” Il Presidente Napolitano si è mostrato sensibile alle sollecitazioni provenienti dalla Corte Europea e profondamente disturbato dall’inerzia legislativa, andando a evidenziare la necessità di fermare una situazione carceraria che rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia.

Il Presidente parla di imperativo morale, ancor prima che giuridico e politico, auspicando un intervento delle Camere nel sistema sanzionatorio e penitenziario che sia profondo ed organico. 30

Se è vero che il sovraffollamento è in teoria superabile attraverso rinnovamenti nelle strutture penitenziarie, rimane comunque il problema del significato da attribuire alla pena, di come nella pratica questa vada eseguita.

E’ da domandarsi se sia effettivamente giusto ricorrere, quasi unicamente, alla detenzione a seguito di una condanna.

In base alla funzione assegnata alla pena, e allo scopo che la società prefigge a questa, va a mutare anche l’entità della popolazione ristretta, in quanto si va ad incidere sui criteri applicativi reali del ricorso al carcere. Quando parliamo di situazione carceraria allarmante stiamo trattando casi in cui a mancare è lo spazio minimo vitale, l’illuminazione, l’areazione naturale, l’acqua e la disponibilità di servizi igienici. Di questi elementi vitali sono private migliaia di detenuti, persone limitate nella libertà

Ciciriello T, Il rinvio dell’esecuzione della pena detentiva: scelta obbligata 30

nell’attuale condizione del sistema penitenziario?, in “Rivista italiana di diritto e

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personale, che dovrebbe essere l’unica pena inflitta dallo Stato in nome della giustizia.

Deve essere assolutamente chiaro che le suddette condizioni di sostentamento, per cui i detenuti hanno ricorso alla Corte edu, son ben lontani dal rappresentare condizioni di vita conforme alla dignità umana, per questo lo Stato ha il dovere assoluto di garantire almeno standard minimi di qualità della vita e della salute ai detenuti.

Bisogna tenere presente che risolvere esclusivamente il problema delle condizioni edili delle carceri è un modo superficiale di affrontare la questione, ben più ampia, di come rispondere al reato, per questo motivo non si può minimizzare la condizione attuale del sistema penitenziario ad un semplice problema organizzativo.

Se è vero da un lato che la situazione emergenziale odierna deve essere affrontata velocemente, senza poter aspettare una riforma dell’intero sistema sanzionatorio, è anche vero dall’altro lato che non ci si può accontentare di un semplice rimedio contingente.

Ogni violazione dei diritti umani non è solo un fatto eticamente riprovevole ma una vera e propria violazione della legalità. Questa illegalità non è contingente, frutto di una situazione particolare, resa ancora più drammatica dalla crisi economica, dalla scarsità di risorse e destinata ad essere prima o poi superata. Essa è, bensì, la diretta conseguenza della quasi assoluta identificazione della pena con il carcere. E’ una conseguenza di ciò la riduzione dell’istituto penitenziario a luogo di custodia e di reclusione e la generale elusione della funzione di recupero e di integrazione che la Costituzione italiana attribuisce alla pena.

Il sistema penale dovrebbe arrivare a delegittimare la pena intesa come doppio reato, come un male, una violenza, un controllo coattivo esterno, come un dolore necessario, solo così si riuscirebbe a screditare la giustizia basata sulla detenzione e ad affidare, invece, un ruolo primario alle sanzioni non privative della libertà.

(27)

Le politiche penali sono costruite dai legislatori pensando non all’uomo che soffre, ma al trasgressore dei precetti, al delinquente che merita d’essere condannato.

Il problema in cui si trovano attualmente le carceri italiane ci obbliga a ripensare alla modalità di risposta ai reati.

Sarebbe auspicabile affrancarsi dal sistema retributivo della pena e riformare le risposte sanzionatorie principali.

La risposta che viene data al problema del sovraffollamento carcerario continua ad essere il ricorso a interventi di carattere contingente e non strutturali.

La finalità di ridurre il numero di detenuti potrebbe essere perseguita, nell’immediato, attraverso misure clemenziali e l’ampliamento dell’accesso a sanzioni sostitutive, ma a tutto ciò deve necessariamente seguire una riforma organica dell’apparato sanzionatorio penale.

Un intervento normativo strutturale, non solo risponderebbe ad esigenze di contenimento del numero di detenuti, ma sarebbe il presupposto per raggiungere una prevenzione penale più efficace.

Prevedere la pena detentiva come unica risposta sanzionatoria significa muoversi dall’assunto per cui un medesimo modello d’intervento sia efficace rispetto alla commissione di qualsiasi tipo di reato.

La carcerazione si configura come una conseguenza che mira a riprodurre nei confronti del reo quella negatività da lui prodotta con la commissione dell’illecito, ciò rappresenta uno scopo generalpreventivo legato alla intimidazione. Questa però è efficace solo dove la probabilità che un fatto criminoso venga sanzionato sia alta, cioè laddove la cifra oscura dei reati sia modesta, il che è difficile. 31

Eusebi L. La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, in “Rivista 31

(28)

Un sistema penale che punta tutta la sua efficacia esecutiva sulla detenzione, implica una neutralizzazione del detenuto, il problema è che tale politica finisce per liberare “posti di lavoro” in ambito criminale ben presto occupati da altri soggetti. La neutralizzazione non riesce ad incidere sui tassi sociali della criminalità e non incide nemmeno sui tassi di recidiva del reo, che subisce una detenzione fine a sé stessa.

Nel nostro sistema esecutivo della pena si prescinde a priori dai fatti che intervengono nel rapporto tra i soggetti coinvolti in un reato, ciò è evidente nel disinteresse a creare spazi nel processo dedicati alla mediazione penale o a comportamenti riparativi.

Fondare la risposta al reato solo sulla detenzione ha come ulteriore svantaggio quello di porre in secondo piano le misure sanzionatorie che possono incidere sugli interessi economici, che sono alla base della maggior parte della criminalità organizzata e d’impresa.

L’opinione pubblica è completamente incentrata sulle forme tradizionali del crimine, che per quanto gravi e terribili hanno conseguenze negative circoscritte alle persone coinvolte dal reato. Mentre altre forme di criminalità dagli effetti immediati meno percepibili, hanno conseguenze più ampie andando a destabilizzare le regole, economiche ed istituzionali, che sono la base dell’organizzazione della società.

Il diritto penale deve contrastare principalmente questi tipi di reato, essendo maggiormente legati a una pianificazione dell’agire antigiuridico. Rispetto ai reati comuni sarebbe preferibile un’intercettazione preventiva dei contesti relazionali a rischio da parte dei servizi sociali.

Si deduce che la direzione da assegnare alla pena è quella riparativa e conciliativa, più sensibile alla dignità umana ed indispensabile per evitare un ulteriore collasso del sistema penitenziario. 32

Eusebi L. Ripensare le modalità della risposta ai reati, in “Cassazione penale” 32

(29)

Alle condizioni penitenziarie attuali non si tratta più soltanto di dover riparare lo Stato di Diritto, bensì di bloccare una criminosità.

Per fermare e punire una situazione antigiuridica, che lede dei beni e dei diritti riconosciuti dall’ordinamento, solitamente si ricorre all’applicazione dei precetti penali. Non è presente, però, nel nostro codice penale un reato direttamente ricollegabile alle violazioni dei diritti subite dai detenuti. Tuttavia si può rinviare alla fattispecie antigiuridica dei maltrattamenti e ricomprendere in questa casistica anche tutte le inosservanze dei diritti dei ristretti.

L’ambito di applicazione dell’art. 572 c.p. ha superato da molto le 33 concezioni che lo limitavano all’ambito familiare. E’ in atto un allargamento della prospettiva, dell’istituto in esame, per permettere di punire le offese alla dignità umana, facendo rientrare nel caso anche il sovraffollamento carcerario.

A legare il maltrattamento in famiglia e la condizione carceraria attuale sono il disconoscimento della dignità umana e l’oppressione ingiustificata della libertà fisica e morale, appare difficile quindi non comprendere il sovraffollamento nell’applicabilità dell’art. 572 c.p. 34

Attualmente il sovraffollamento penitenziario travalica i limiti oggettivi della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere, davanti cui tutti i soggetti coinvolti si riparano svolgendo il proprio segmento di iter burocratico.

Le condizioni inumane e degradanti delle nostre carceri danno luogo ad una vera e propria situazione tipica e illecita, nonché criminale. 35

Art. 572 c.p.“Chiunque(..) maltratta una persona della famiglia o comunque 33

convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'art.e, è punito con la reclusione da due a sei anni.(…)”

Coppi, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli , in “enc.dir.” , vol xvx, 34

Giuffrè, 1975, pp 233 ss.

Gargani A. Sicurezza sociale cit. pp 639 35

(30)

5. Il sovraffollamento carcerario attraverso i dati

Per contestualizzare al meglio la problematica del sovraffollamento carcerario è utile andare ad analizzare alcuni dati rappresentativi:

Dal 1947 al 1970 le presenze in carcere diminuiscono da circa 65.000 a 21.000. Fase di decarcerizzazione.

Dal 1971 al 1990 si ha un aumento dei ristretti da 21.000 a circa 30.000. Dal 1990 al 2013 si raddoppia la popolazione carceraria e si arriva ad una cifra intorno ai 65.000 detenuti. Fase di carcerizzazione. Il processo di ricarcerizzazione è di dimensioni ulteriori rispetto all’aumento di presenze negli istituti, in quanto bisogna guardare anche a quelle cifre potenziali, a tutta la domanda di penalità.

La delittuosità dal 1990 ad oggi è aumentata del 35%, la popolazione carceraria nel medesimo periodo di riferimento è aumentata da circa 20.000 presenze a giorno fisso a 65.000. 36

In sintesi se si analizzano questi dati si comprende come le condanne carcerarie siano triplicate nel corso degli anni, senza che la delittuosità si sia triplicata, per cui è aumentata la repressione penale.

I dati forniti dal ministero della giustizia sono indispensabili per capire al 37 meglio la situazione carceraria per cui lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte Edu a intervenire velocemente.

Randazzo E., Mazzucato C., Pavarini M., Sovraffollamento carcerario e 36

differimento dell’esecuzione penale, in “Criminalia”, 2013, pp 459 e ss.

Consultabili al link: https://www.giustizia.it/giustizia/ 37

(31)

!

Si osserva il raggiungimento dell’apice del sovraffollamento nel 2010, quando a fronte di 45.022 posti regolamentari nelle carceri, i detenuti effettivi sono 67.961.

Dall’unità d’Italia ad oggi non si era mai registrato un numero così elevato di detenuti, il tasso medio di occupazione delle carceri è del 150%, un sovrappopolamento che ha raggiunto livelli veramente critici.

L’amministrazione penitenziaria spesso fa riferimento alla capienza tollerabile, che esprime di per sé il sovraffollamento andando ad indicare un valore che lo ridimensiona e lo giustifica, riposizionando sempre più verso l’alto il livello di ciò che è tollerato.

In risposta alle sentenze comunitarie, che in seguito si andranno ad analizzare nel dettaglio, il legislatore italiano si è attivato in due direzioni. Da un lato sono aumentati i posti regolamentari disponibili, passando dai 43.066 del 2008, ai 49.655 del 2015.

Dall’altro lato sono diminuite le presenze dei detenuti, dal numero massimo di 67.961 del 2010 a 52.144 del 2015.

La regione, ad oggi, con più detenuti è la Lombardia (7.607), seguita dalla Campania (6.800).

Tra i molti sintomi di disagio, si segnala che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia.

(32)

Il numero di suicidi in carcere in confronto a quello denunciato per la popolazione è superiore a quello generale di circa venti volte, dato ottenuto con una metodica di rilevazione che muove dal dato delle presenze medie in carcere. Considerando, invece, non solo la media delle presenze, ma tutti gli ingressi negli istituti penitenziari il tasso di suicidi sarebbe superiore, a quello della popolazione, di sette volte.

Non è formulabile con precisione una legge statistica che instauri una precisa correlazione tra il tasso di sovraffollamento e quello dei suicidi, ma vi sono studi che paiono confermare che il restringimento degli spazi è collegato con il suicidio e più in generale con gli atti di autolesionismo. 38 I numeri forniti dal Ministero della Giustizia riferiscono un apice di suicidi nel 2011, con 63 morti su una popolazione carceraria di 67.400 detenuti, nel 2014 i decessi sono scesi a 40 a fronte di 50.000 detenuti.

Il tema del sovraffollamento e delle concrete condizioni di detenzione travalica l’ambito soggettivo della pietà umana o delle aspirazioni politiche e diventa un problema di applicazione concreta della legge e del necessario rispetto dei diritti individuali.

La situazione degli istituti penitenziari del Paese è allarmante, con il numero di detenuti in continuo crescendo, mentre gli investimenti e le risorse dedicate a tali luoghi rimangono invariati nel tempo. Tutto ciò comporta che la violazione delle adeguate condizioni di detenzione, non siano episodi rari, bensì un vero e proprio fattore fisso.

Il nostro sistema penitenziario sta perdendo contatto con lo Stato di diritto. Se uno Stato è incapace di soddisfare la pretesa punitiva, assicurando contemporaneamente condizioni di umanità e legalità ai detenuti, deve modificare la propria politica criminale, in nessun caso può sacrificare i diritti inviolabili dell’uomo.

Natale A. Carceri: capienza (in)tollerabile, cultura della giurisdizione e valore 38

(33)

La risposta ed il rimedio non è da cercarsi in provvedimenti che si limitino a tamponare la crisi, come l’aumento di posti carcerari disponibili o atti di clemenza generali, serve un intervento risolutivo più radicale, che proponga nuove politiche penali e una riorganizzazione totale del sistema penitenziario.

Se si accetta la violazione dei diritti dei detenuti come inevitabile, se si ritiene che ragioni di forza maggiore impediscano una diversa impostazione e che il diritto alla sicurezza, ammesso e non concesso che il carcere attuale riesca a produrre sicurezza, ben valga una restrizione della dignità della persona, il problema delle carceri non potrà avere soluzioni.

5.Distorsione delle funzioni della custodia cautelare e del

magistrato di sorveglianza

.

Ricapitolando sono stati principalmente due i fattori che hanno portato al collasso delle carceri.

La prima causa è la crescita della criminalizzazione, ovvero la continua introduzione di leggi che prevedono nuove fattispecie criminose e nuove aggravanti, andando inevitabilmente ad aumentare il numero dei detenuti. Da questo punto di vista sarebbe necessario intervenire su alcune leggi speciali e procedere a una loro depenalizzazione o quantomeno a riqualificarle, in modo tale da evitare le pene detentive laddove sia possibile.

La seconda causa si può ritrovare nel frequentissimo ricorso alla custodia cautelare in carcere. 39

Su questo punto è utile ricorrere nuovamente ai dati statistici forniti dal Ministero della Giustizia.

Corvi P. Sovraffollamento carcerario e tutela dei diritti del detenuto: il 39

ripristino della legalità, in “Rivista italiana diritto procedura penale,” 2013, pp

(34)

! Dove:

Nella categoria “misti” confluiscono i detenuti imputati con a carico più fatti, ciascuno dei quali con il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva.

La categoria “da impostare” si riferisce ad una situazione transitoria. E' relativa a quei soggetti per i quali è momentaneamente impossibile inserire nell'archivio informatico lo stato giuridico, in quanto non sono ancora disponibili tutti gli atti ufficiali necessari.

Gli “internati”, sono persone condannate e che hanno interamente espiato la pena, ma che continuano la permanenza in carcere perché considerati socialmente pericolosi.

La reclusione degli internati si distingue dalla pena in quanto non ha funzione retributiva, ma solo rieducativa del reo. Il periodo di detenzione può andare da uno a quattro anni. Una volta terminato questo periodo è il magistrato di sorveglianza che valuta la pericolosità sociale dell’internato ed eventualmente dispone un'ulteriore permanenza nella struttura, che non prevede una scadenza.

Il punto maggiormente critico è che la funzione rieducativa che dovrebbe avere la pena, attraverso l’avviamento al lavoro e il reinserimento nella società, si scontra con le condizioni materiali di una vera e propria reclusione in strutture carcerarie spesso fatiscenti e sovraffollate, in cui è difficile praticare un lavoro e in generale la risocializzazione del soggetto.

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Ritornando all’analisi della tabella di cui sopra, nel 2009 la quantità di imputati presenti in carcere è praticamente la medesima di quella dei condannati definitivi.

Complessivamente il 40% dei reclusi è in attesa di giudizio, una percentuale doppia rispetto alla media europea. 40

L’Italia è lo Stato membro con più detenuti presunti innocenti, perlopiù sottoposti a condizioni carcerarie degradanti.

Si deve però evidenziare che la nozione di custodia cautelare include anche soggetti che hanno già riportato almeno una condanna in primo grado o addirittura in grado di appello, ricorrenti per Cassazione, sicché il numero dei detenuti in attesa della prima decisione si riduce ad una cifra pur sempre rilevante, ma pari al 19 % del totale.

Siamo di fronte ad un abuso della custodia cautelare, che viene utilizzata come un mezzo per investigare coattivamente e non come mezzo di difesa sociale come sarebbe auspicabile.

E’ frequente imbattersi nell’idea inquisitoria di p.m. e giudici, per cui l’imputato deve collaborare perché a conoscenza della verità procedimentale. Si ricorda, però, che l’Italia ha aderito al Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966, che all’art. 14 stabilisce che un imputato non può essere costretto a deporre contro sé stesso o a confessarsi colpevole.

Il concetto semplice ed efficace è che se la custodia cautelare venisse utilizzata solo quando giustificata da reali esigenze di difesa sociale, probabilmente il numero della popolazione carceraria diminuirebbe notevolmente.

Questo fattore va affrontato intervenendo, su quei reati per cui è previsto l’arresto, con le seguenti modalità:

Gargani A. Sicurezza sociale e diritti dei detenuti nell’età del sovraffollamento 40

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obbligo di liberazione nei casi in cui il p.m. ritenga di non dover applicare una misura custodiale

consolidare le misure interdittive, alternative alla custodia cautelare

eliminare le presunzioni assolute di custodia cautelare in carcere previste dall’art. 275 c.p.p.

Questi interventi sul sistema penitenziario, dovrebbero essere accompagnati dalla rivisitazione delle funzioni assegnate alla magistratura di sorveglianza, togliendole compiti di natura amministrativa, in modo che possa concentrarsi maggiormente sull’applicazione delle misure alternative al carcere.

In tutta Italia, attualmente, su 202 magistrati di sorveglianza previsti, ne sono effettivamente in servizio 168.

Per calcolare il carico di lavoro dei giudici andiamo ad analizzare i dati relativi a Roma, che nel 2011 ha registrato circa 30.000 procedimenti. Considerando che l'ufficio di sorveglianza di Roma rappresenta indicativamente il 10% del totale dei magistrati di sorveglianza in Italia, si può presumere che siano circa 300.000 i procedimenti affidati ai 168 magistrati, sull'intero territorio nazionale, dato approssimativo, ma che comunque evidenzia la carenza preoccupante di organico.

Questo carico eccessivo di lavoro condiziona pesantemente l'attività della magistratura di sorveglianza, facendone soprattutto un organo giurisdizionale, a scapito di una serie di compiti previsti dall’ordinamento penitenziario.

In particolare, l'art. 69 ord. penit., prevede tra le attività dei magistrati una presenza assidua negli istituti carcerari, visite periodiche, un contatto diretto con le persone ristrette, un'azione di vigilanza sull'organizzazione degli istituti di pena e un'attenzione costante al trattamento rieducativo. Nella pratica, invece, le decisioni sulle istanze costituiscono l'attività prevalente della magistratura di sorveglianza, e ciò penalizza spesso il rapporto diretto con detenuti e internati.

(37)

Il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è stato denunciato da più fronti: detenuti, magistrati di sorveglianza e dagli istituti penitenziari, in quanto nei carceri vi sono condizioni disumane e degradanti per chi vi è ristretto, con una palese violazione della dignità umana.

Trattandosi di diritti inviolabili è necessario garantire forme di tutela, in maniera tale da poter rendere effettivi quei diritti previsti in maniera astratta, ma in Italia ciò non avviene e anche per denunciare questo vi è stato l’intervento della Corte Edu.

E’ solo se si assume il principio di inviolabilità dei diritti umani, come definiti dalle leggi interne e internazionali, in ogni circostanza che si può trovare la chiave per una strategia che, con i tempi e le gradualità necessarie, affronti strutturalmente il problema.

Viene stabilito formalmente il diritto del detenuto ad una pena che ne assicuri il rispetto della dignità umana, ma allo stesso tempo non sono previsti strumenti efficaci che permettano di ristabilire questo diritto in caso di lesione.

Uno degli errori più gravi in cui si possa incorrere nella cultura giuridica è ritenere che il diritto si identifichi e si esaurisca nella legge, che per tutelare i diritti basta prevederli formalmente.

In tutti i settori dell’esperienza giuridica è invece vero l’opposto, che non esiste giustizia né diritto senza corretta ed efficace esecuzione.

Questo è drammaticamente vero nel caso della tutela dei diritti dei detenuti. Se ne deduce la necessità che il legislatore vada ad individuare concretamente le forme di tutela previste dal nostro ordinamento e l’organo competente ad occuparsene.

Attualmente la funzione di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti è affidata alla magistratura di sorveglianza.

Analizziamone le problematiche:

Tutela incentrata sul reclamo, la cui disciplina è complessa, perché frutto di una legislazione stratificata e frammentaria.

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La garanzia del contraddittorio nei diversi modelli di reclamo non è sempre assicurata in maniera piena ed effettiva.

Mancanza di effettività, difficoltà nel garantire l’efficacia esecutiva del provvedimento decisorio emesso dal magistrato di sorveglianza di fronte all’inerzia dell’amministrazione penitenziaria.

Deve essere assicurata al detenuto l’assistenza tecnica nella redazione del reclamo e quella di un difensore al momento del procedimento di fronte al giudice di sorveglianza.

La decisione del magistrato che segue il reclamo, non si deve limitare ad accertare la violazione del diritto, ma deve essere idonea a farla cessare, cioè deve consistere in una tutela ripristinatoria.

La censura della Corte Edu, come è approfondito in seguito, non si limita alla denuncia del sovraffollamento carcerario, ma riguarda anche l’inadeguatezza degli strumenti di tutela dei diritti del detenuto. 41

Corvi P. Sovraffollamento cit. pp 1794 e ss. 41

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