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Il fulcro della strategia preventiva nei confronti della criminalità non deve essere costituito dalla intimidazione e dalla neutralizzazione, che si ottengono con la privazione della libertà personale. La scelta migliore è di puntare alla capacità dell’ordinamento giuridico di tenere alto il consenso dei cittadini rispetto alle norme ivi previste, cioè di far aderire i consociati ai precetti normativi per scelta e non per timore.

L’elemento del recupero del condannato è assolutamente da preferire a quello della sua espulsione sociale, per questo ci deve essere da parte del reo una presa di coscienza sul fatto criminoso, così da consolidare l’autorevolezza delle norme e la loro capacità di persuasione. 124

Il sistema penale dovrebbe utilizzare maggiormente gli strumenti orientati alla riparazione in favore delle vittime e alla riconciliazione tra queste e il reo, si avrebbe in tal senso una giustizia che gestisce in concreto la commissione di un reato e non tramite la componente simbolica della detenzione.

La giustizia riparativa consiste in un approccio al reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò ne consegue l'obbligo, in capo all’autore di porre rimedio alle conseguenze lesive della sua condotta. A tal fine, si prospetta un coinvolgimento attivo di vittima, dell'agente e della società nella ricerca di soluzioni idonee a far fronte all’insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato.

Di importanza notevole per la deflazione processuale ed anche penitenziaria sono gli strumenti di definizione anticipata del processo aventi natura sostanziale. Uno di questi è la procedura riparativa che consiste nel permettere all’imputato, entro una certa fase del procedimento, di presentare una proposta riparativa.

Eusebi L. La riforma ineludibile cit. pp 1315 124

La riparazione oltre a consistere in un risarcimento del danno o in una restituzione deve consistere in un impegno personale a favore dei beni offesi.

Il magistrato deve valutare l’idoneità della proposta effettuata dal reo, secondo parametri che andrebbero stabiliti dalla legge, e in caso in cui venga ritenuta idonea darebbe luogo all’estinzione del reato.

Lo strumento della procedura riparativa comporta numerosi vantaggi:

riaffermazione in concreto del valore delle norme violate

un beneficio reale per la parte offesa

semplicità della procedura

2.1 Mediazione penale

Una soluzione configurabile al legislatore è la mediazione penale, ovvero permettere una rielaborazione del fatto criminoso tra i soggetti coinvolti. La mediazione penale rappresenta una tecnica operativa, un dispositivo per l’applicazione del paradigma della giustizia riparativa.

La mediazione è un modello di analisi e intervento sul reato, inteso come formalizzazione giuridica di uno specifico micro conflitto sociale, caratterizzato dal ricorso a strumenti che promuovono la riconciliazione tra i soggetti in contrasto e la riparazione simbolica e materiale delle conseguenze negative del conflitto, nonché il rafforzamento del senso di sicurezza collettiva.

Il reato non è più considerato come un'offesa commessa contro la società in astratto e che richiede una pena da espiare, bensì come una più complessa relazione sociale, che richiede principalmente l'attivazione di forme di dialogo, di riparazione e riconciliazione legate a quella specifica e irripetibile situazione di conflitto.

La Giustizia riparativa non è coincidente con la giustizia penale, è un'altra prospettiva di analisi e di intervento, dotata di criteri di razionalità suoi

propri, la cui strada in certi punti incrocia la giustizia penale, senza confondersi tuttavia con essa.

La Giustizia riparativa, infatti, non si amministra attraverso il processo, non conosce sostanzialmente i ruoli cristallizzati del diritto, soprattutto non conosce la pena, al contrario muove prima di tutto da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come espressione giuridica di un conflitto che provoca la rottura di aspettative condivise

Una ricerca della verità attraverso un dialogo aperto, che non comprometta il diritto di difesa del reo, gestito da un ufficio di mediazione riconosciuto dall’autorità giudiziaria.

Lo scopo della mediazione è quindi quello di giungere all'individuazione di forme di regolazione costruttive dei rapporti di opposizione interpersonali, se si opta per soluzioni giudiziarie invece di risolverli si radicalizzano: gli interessati continuano a covare al loro interno rancore, in quanto la mera declaratoria di torto, o la sanzione, spesso non risultano essere soluzioni idonee. Se il giudizio penale mira a trarre le conclusioni della relazione fallita, la mediazione aspira al contrario a salvaguardare la relazione, ricostruirla, rigenerarla.

La mediazione penale si può facilmente inserire nel contesto della sospensione del processo con messa alla prova. Non è da escludere, però, la possibilità che il giudice richieda una mediazione non solo quando ne possano derivare effetti estintivi, ma anche per arrivare a dei risultati che rilevino nel momento della decisione delle conseguenze sanzionatorie, così da poter utilizzare lo strumento in esame anche riguardo ad illeciti oggettivamente gravi.

I tempi possono ritenersi culturalmente maturi per estendere la mediazione penale al di là di quanto è oggi previsto dalla disciplina della competenza penale del giudice di pace. E’ più che legittimo pensare ad un più esteso

riconoscimento delle possibilità di inserire meccanismi media-conciliativi all’interno del processo, in sostituzione delle tradizionali forme punitive.

2.2 Sospensione del processo con messa alla prova

Un altro strumento di definizione anticipata del processo è la sospensione di questo con messa alla prova. Questo istituto è già ampiamente utilizzato dal tribunale per i minori e consente di strutturare, già in sede processuale, un percorso esecutivo basato sulle condizioni del soggetto agente.

L’istituto in esame è già stato previsto dalla l 67/2014 in cui da un lato, emerge lo spirito ed il fine di forte deflazione procedimentale che ispira la introduzione nel codice di diritto sostanziale di questa forma di definizione alternativa del processo. Dall’altro però si deve evidenziare la limitata offensività delle situazioni processuali in cui l’istituto può trovare concreta applicazione.

Quest’ultima costituisce uno degli aspetti che differenzia sensibilmente la messa alla prova per adulti dall’istituto previsto in materia di processo minorile. La messa alla prova minorile, infatti, non soffre alcun tipo di limite, connesso con la gravità del reato commesso od alla personalità dell’imputato, alla possibilità di accesso del minore.

La messa alla prova per adulti è quindi stata introdotta dalla l. 67/2014, che appare ispirata ad una precisa filosofia che si articola in due direzioni. In primo luogo si orienta verso l’individuazione di strumenti di decongestionamento del processo penale nella sua fase decisoria di primo grado, in relazione a reati di non elevato allarme sociale.

In secondo luogo verso una riforma del sistema sanzionatorio, al fine di prevenire inutili accessi in carcere di persone condannate per reati di contenuto e modesto allarme sociale, nei confronti delle quali il debito penale può essere positivamente estinto con misure contenitive di carattere alternativo alla detenzione.

L’art. 168 bis c.p.p al c 1 prevede il ricorso all’opzione preventiva ed alternativa al processo per i reati puniti con pena pecuniaria o con pena non superiore a 4 anni e per quei reati tassativamente indicati dall’art. 550 c.p.p in tema di citazione diretta a giudizio.

Si osserva che il limite sanzionatorio appare comune a quello per l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale. A differenza dell’affidamento però, che interviene nella fase dell’esecuzione della pena passata in giudicato, la messa alla prova costituisce istituto di diritto sostanziale, inserito nel contesto del procedimento di cognizione penale, quale strumento per evitare la celebrazione di un giudizio che possa portare ineluttabilmente alla condanna dell’imputato.

Tale caratteristica viene puntualmente confermata dal tenore dell’art. 464 bis c.p.p che stabilisce il termine perentorio per la richiesta alle conclusioni nell’udienza preliminare.

Essenza della messa alla prova introdotta dall’art. 168 bis c.p è, quindi, il suo carattere di strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, insorto con la formulazione dell'accusa verso l’imputato o con l’inizio dell’indagine da parte del PM a carico del cittadino.

La messa alla prova del reo consente di dare spazio, già al tempo del processo, a soluzioni ripartire e conciliative. I tempi sono maturi per estendere ulteriormente l’ambito di applicazione di questo istituto.