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Numerose soluzioni pratiche immediatamente eseguibili

L’associazione Antigone “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” , 132 ha stilato un elenco indirizzato al Ministero della Giustizia con indicate delle soluzioni pratiche immediatamente eseguibili, per migliorare le condizioni di detenzione.

Ricordando che gli unici elementi di separazione tra la vita penitenziaria e quella libera devono essere quelli inevitabilmente connessi alla condizione di detenzione, si possono prospettare le seguenti soluzioni pratiche.

Si possono aprire le celle e le sezioni per almeno dodici ore al giorno. La pena della reclusione deve consistere nello stare chiusi in un carcere, non in una cella. È nell’intero carcere, aule scolastiche, officine di lavorazione, laboratori, aule musicali, palestre, aree verdi, che deve svolgersi la vita dei detenuti.

Antigone-Per i diritti e le garanzie nel sistema penale, X rapporto nazionale 132

È necessario interpretare diversamente il lavoro di custodia della polizia penitenziaria, che non può limitarsi al controllo fisico dei corpi e in un modello deresponsabilizzante nei confronti delle persone detenute.

E’ auspicabile un alleggerimento di tutti i momenti di accompagnamento e gestione dei detenuti da parte degli agenti di Polizia penitenziaria. Va favorita la generalizzazione di modelli, già positivamente applicati in alcune realtà locali, che implicano la responsabilizzazione dei detenuti e la liberazione di unità di personale che potranno essere destinati a compiti propedeutici all’accesso dei detenuti alle misure esterne al carcere

Bisogna, inoltre, tutelare in modo effettivo la salute anche attraverso una figura che sia realmente intesa come medico di fiducia.

Il medico penitenziario svolge molte funzioni, ha tante competenze, alcune delle quali addirittura di natura disciplinare. Tutto ciò non aiuta a far sì che possa essere percepito dal detenuto quale figura di sostegno.

Nella direzione della rieducazione si riscontra l’idea di facilitare al massimo i contatti con le persone care. La censura degli affetti è il fattore principale di allontanamento del detenuto dalla società. Si potrebbe, ad esempio, introdurre una maggiore flessibilità degli orari di accesso al carcere anche utilizzando i giorni festivi e le domeniche per i colloqui. Da un punto di vista prettamente pratico è opportuno controllare i prezzi dei prodotti, essendo inaccettabile che le rivendite interne alle carceri, spesso gestite da cooperative private, applichino nei confronti dei detenuti prezzi svantaggiosi rispetto a quelli pagati dai cittadini liberi. La Corte dei Conti ha più volte segnalato il problema, senza che tuttavia vi sia stato posto rimedio.

Opportuna è la previsione di più poli universitari. Attualmente sono pochi, circa 300, i detenuti iscritti a corsi universitari, di cui solo 18 i laureati, dati del 2012. È importante incentivare ulteriormente gli studi superiori, che rappresentano una forte motivazione contro la recidiva.

Sono numerose le proposte ulteriori in ambito penitenziario da cui sortirebbero effetti in breve tempo, tra queste spiccano : 133

1) L'arruolamento di assistenti sociali ed educatori dipendenti dagli enti locali affinché prestino la loro opera per accelerare la redazione di rapporti sulle condizioni dei detenuti.

2) La valorizzazione del lavoro all' esterno mediante la creazione di un apposito ufficio interno al D.A.P., interamente dedicato alla ricerca di occasioni di lavoro per i detenuti.

3) Pressioni sul C.S.M. affinché induca la magistratura di sorveglianza ad utilizzare pienamente gli strumenti delle misure alternative;

4) La costruzione di strutture leggere ed aperte da destinare all’espiazione di piccole pene detentive in regime autogestito.

Proposte effettuate dall’associazione “Antigone per i diritti e le garanzie nel 133

Conclusioni

I mutamenti nella concezione e nel trattamento della libertà personale che si sono susseguiti nel tempo, pongono in essere sempre nuove sfide nella ricerca del giusto equilibrio tra esigenza di tutela sociale e tutela dei diritti individuali.

Sono effettivamente aumentate le garanzie fondamentali previste per i detenuti, soprattutto grazie alle nuove garanzie giurisdizionali esercitabili, ma la situazione pratica è ancora lontana da quella auspicabile per uno Stato di Diritto.

Le riforme normative intervenute a soddisfare le richieste provenienti dalla giurisprudenza europea, non sono riuscite ad evitare l’applicazione di strumenti invasivi della libertà personale orientati pericolosamente alla tutela di prevenzione sociale o peggio basati su mere logiche presuntive. Qualunque intervento che voglia essere davvero organico e definitivo si deve basare sulla presunzione d’innocenza e sulla detenzione carceraria come extrema ratio.

Mi affido alle parole dello scrittore Roberto Saviano per esprimere il mio pensiero su questa tematica. Parole molto severe, ma giuste. Un articolo che ogni cittadino dovrebbe leggere prima di giudicare una realtà sconosciuta ai più.

Saviano, nell’editoriale di “La Repubblica”, del 16-11-2015:

“Non vi convincerò. Lo so. Non riuscirò a farvi cambiare idea. Ma se

anche solo riuscissi a farvi dubitare, a far vacillare convinzioni radicate, allora sarei felice come se vi avessi completamente convinti alla mia causa.

Avete le vostre idee su Caino e non ritenete che Caino abbia dei diritti. Per voi il carcere è la risposta a molti problemi, è la risposta alla corruzione in politica, è la risposta alla clandestinità. Ma credere che

punire rappresenti un percorso di crescita e che alla fine di questo tunnel ci sia la luce è quanto di più pericoloso esista. Credere che, a fronte di un delitto commesso, nella sofferenza inflitta possa esserci redenzione. Ed è pericoloso fare discorsi di carattere generale. Perché la giustizia, il reato, il processo, la detenzione, il carcere, la pena e la riabilitazione non sono concetti astratti, ma concretissimi. E soprattutto perché giustizia e carcere in Norvegia hanno un significato e in Italia ne hanno un altro. (…)”

L’autore espone il concetto, che ho più volte ribadito, per cui in Italia il sistema penitenziario viene gestito da una politica securitaria che risponde più agli allarmismi sociali che alle logica della pena prevista in Costituzione. Così facendo si cade nell’errore di pensare che la minaccia della detenzione sia più funzionale rispetto a degli interventi a livello sociale. Il modo più adeguato per far sì che una legge non venga trasgredita è che la norma stessa sia concepita come giusta e corretta da parte della società.

E’ necessario che si abbandoni l’idea di pena come male da infliggere, come mera neutralizzazione di un soggetto, solo seguendo una logica di

extrema ratio del carcere e di rieducazione del detenuto si può evitare la

recidiva e rendere più sicura la collettività.

Saviano prosegue: “C'è chi dice che le carceri siano la cartina di

tornasole dello stato della democrazia di un paese. E allora lo stato della democrazia in Italia sta messo male. (…)

Non si paga in questo modo. Non si paga defecando e cucinando nello stesso metro quadrato. Non si paga vivendo senza acqua calda e riscaldamento. Non si paga perdendo dignità. Il carcere è per i poveri? Sì, il carcere è per i poveri. Il carcere è per i disperati? Sì, il carcere è per i disperati.

I tempi della giustizia sono drammaticamente vergognosi e spesso questo sistema inefficiente è usato come grimaldello per convincere i detenuti a collaborare con la giustizia. Ben venga, dirà qualcuno, senza comprendere

che è una scorciatoia che non fa bene a nessuno. Non alle indagini, non alla riabilitazione.

I dati che riguardano le carceri italiane sono allarmanti, ma ormai allarmano solo gli addetti ai lavori e quei pochi che hanno voglia di prestarvi attenzione e che fanno ogni giorno tanto con poche risorse: sto parlando dell'Associazione Antigone e dei Radicali Italiani, unici nel tradurre in dati, parole e politica l'urlo di dolore che si leva dalle carceri italiane.(…)”

I dati allarmanti di cui parla Saviano sono quelli che ho esposto ad inizio trattazione. Si è osservato come in diverse sentenze il fulcro del dibattito 134 fosse la metratura a disposizione del detenuto, il conteggio o meno dell’ingombro del mobilio, dibattiti lontani da ciò che è auspicato in Costituzione o nelle Convenzioni internazionali, siamo al livello delle condizioni minime di vivibilità nel carcere.

Saviano riporta anche il fenomeno dell’uso distorto delle misure cautelari, queste hanno sempre più scopo inquisitorio, allontanandosi dalla originaria previsione di extrema ratio rispondente a necessità di esigenze di natura cautelare.

L’articolo su La Repubblica continua: “Provate a immaginare voi stessi

chiusi in una stanza; provate a immaginare voi stessi senza alcun progetto o prospettiva; provate a immaginarvi poi ammassati in una cella.

Ma perché provare a farlo? vi chiederete. Cosa abbiamo fatto di male, noi siamo onesti, sono loro i disonesti, loro quelli che hanno sbagliato, loro sono Caino.

Pensiero lineare, pensiero che sembra ragionevole. Non lo è perché in carcere ci finisce chiunque, e questa è una verità che solo conoscendo profondamente la realtà giudiziaria italiana possiamo comprendere fino in fondo.

Sulejmanovic c. Italia, Torreggiani e altri c. Italia, Cassazione sez.I 134

In un sistema al collasso, gli errori giudiziari sono all'ordine del giorno e le carcerazioni preventive sono quasi la metà del totale. I tribunali sono gravati da una infinità di procedimenti, molti frutto di leggi proposte e approvate sulla scorta di ondate di securitarismo tanto incosciente quanto inutile.

Un sistema inefficiente, come il nostro, è un sistema ingiusto, è un sistema che sbaglia.

Non è purtroppo un caso che all'interno dei Tribunali di sorveglianza ai quali è rimessa la disciplina della esecuzione delle pene si annidino più forti i residui della cultura inquisitoria.

Ma il carcere non deve essere più giusto solo per evitare che l'ingiustizia travolga i giusti, il carcere deve essere giusto soprattutto per i colpevoli, soprattutto per chi ha sbagliato.

In un paese civile il carcere deve essere il culmine dello Stato di Diritto. Il carcere deve essere dignitoso e umano; dev'essere lo specchio di una società ideale. Un carcere dignitoso è indice di una società dignitosa, un carcere che rieduca è conseguenza di una società empatica, che considera ogni individuo un cittadino con pieni diritti.”

Il concetto basilare è che l’unica privazione consentita allo Stato è quella delle libertà personale del detenuto, tutti gli altri diritti in capo al soggetto devono essere garantiti e rispettati, se ciò non è possibile è lo Stato che deve modificare la propria politica, in quanto si tratta di diritti indisponibili la cui violazione non può essere giustificata dalla mancanza di risorse economiche. Come ho precedentemente ribadito nelle carceri non ci si occupa dei diritti degli innocenti ma di quelli dei colpevoli. E’ necessario comprendere che anche in questo modo si difendono i diritti di tutti, si afferma lo Stato di Diritto, si rende più matura e migliore la nostra democrazia.

Saviano prosegue: “Poggioreale ha il 33 % dei detenuti condannati o in

questi numeri la legalizzazione delle droghe leggere. Non si tratta di reati con aggravante mafiosa, quindi per lo più chi si trova qui sono piccoli spacciatori e tossicodipendenti. Detenuti che forse dovrebbero scontare la loro pena altrove, magari in comunità di recupero. Il 12 % è dentro per furto, il 25 % per rapina, il 5% per omicidio e tentato omicidio. Un altro 5% per associazione di tipo camorristico. Queste percentuali raccontano bene la disperazione di un territorio, e un carcere che se non riesce a essere riabilitazione diventa accademia del crimine: più le condizioni carcerarie sono insopportabili, più il detenuto si rivolgerà alle organizzazioni criminali per ottenere ciò a cui avrebbe diritto. Viceversa, più nel carcere i diritti dei detenuti sono rispettati, più non ci sarà spazio per le organizzazioni criminali e per i loro sistemi di protezione.

Il carcere deve smettere di essere il luogo in cui la società si libera dei propri "rifiuti" e deve diventare uno strumento che viene in soccorso alla società.(…) Lo Stato vince quando non diventa un soggetto peggiore di colui che ha sbagliato, quando non utilizza le logiche criminali che sono logiche da legge del taglione. Punire e torturare non portano giustizia ma decuplicano sofferenze che spesso il detenuto ha già vissuto. Non si può educare alla legalità attraverso la coercizione e il carcere. La recidiva è altissima quando in carcere non si lavora, non si è impegnati, quando non ci si sente utili. Mi fermo qui. Vi ho raccontato una utopia: una società, libera dalla necessità del carcere. Nonostante Caino.”

Le percentuali riportate per l’istituto penitenziario di Napoli hanno validità nazionale. L’unico modo per affrontare in maniera risolutiva la restrizione dei tossicodipendenti è garantirgli un percorso di riabilitazione, tramite l’affidamento terapeutico. Smorzare la rigidità della normativa in tema di stupefacenti comporterebbe un effetto deflativo a livello processuale e penitenziario che si può ritenere necessario. Abbandonare i detenuti al proprio destino all’interno degli istituti carcerari non rende la collettività più sicura, rende solo lo Stato colpevole di violazioni gravissime.

L’Italia è una Repubblica democratica e non lo si deve dimenticare nemmeno quando si ha a che fare con coloro che hanno sbagliato, perciò tutti si deve auspicare la fine delle violazioni all’art. 27 Cost e all’art. 3 CEDU, solo così ci si potrà effettivamente definire uno Stato di Diritto anche in ambito penitenziario.

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