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Rimozione dei reati ostativi alle misure alternative al carcere Proposta

commissione “Giostra” 2. Giustizia riparativa 2.1 Mediazione penale 2.2 Sospensione del processo con messa alla prova 3. Pena pecuniaria per tassi 4. Pena interdittiva e prescrittiva 5. Opportunità dell’intervento di clemenza 6. Attività lavorativa per i detenuti 7. Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale 8. Gestione degli arresti 9. Detenzione domiciliare 10. Numerose soluzioni pratiche immediatamente eseguibili

1. Rimozione dei reati ostativi alle misure alternative al

carcere. Proposta della Commissione “Palazzo”.

Alla base del lavoro di rimodulazione dell’assetto normativo deve esserci l’esigenza di riaffermare il primato della finalità rieducativa della pena, sancita dall’art. 27 Cost.

Si deve ripudiare un sistema di esecuzione penale incentrato su percorsi differenziati, sotto il profilo trattamentale e di accessibilità alle forme di espiazione della pena alternative al carcere, distinti in ragione del tipo di autore, identificato unicamente sulla base del reato oggetto della condanna. E’ necessario sopprimere le disposizioni che compongono l’imponente sistema di preclusioni normative all’accesso ai benefici penitenziari. Un fatto da rilevare è che poter ammettere alle misure alternative i soggetti meritevoli, rimuovendo generalizzati sbarramenti preclusivi, non soltanto favorisce un deflusso di popolazione penitenziaria, ma incide, sul lungo periodo, anche sul numero degli ingressi.

Partendo da queste constatazioni il 10 Giugno 2013 è stata istituita, dal Ministro della Giustizia, una commissione ministeriale di studio per

elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio penale, i confini del mandato ricevuto sono tematicamente coincidenti con l’intero sistema sanzionatorio, ma restano preclusi gli interventi sulla parte generale e speciale del codice.

La Commissione deve affrontare un delicato problema tecnico di innesto delle innovazioni proposte sul vecchio tessuto codicistico e di legislazione complementare.

Tale commissione è presieduta dal Prof. Francesco Palazzo e ha presentato una proposta di modifica dell’art. 4-bis, della l. 26 luglio 1975, n. 354. Devono essere eliminati dal sistema penale quegli automatismi preclusivi, che portano alla ineluttabile incarcerazione di categorie di soggetti considerati pericolosi, sulla base di presunzioni assolute, della cui ragionevolezza è fondato dubitare. 116

Il trattamento punitivo deve tendere al recupero sociale del reo, deve essere individualizzato, deciso dal magistrato caso per caso in base all’evolversi del comportamento, non può essere dedotto da presunzioni legislative generalizzate.

Quando il legislatore stabilisce presunzioni assolute di necessità del carcere, sia come cautela, sia come pena, accetta che stia in carcere anche chi non dovrebbe esserci.

Un rimedio a tale scorrettezza del sistema penale è quello di eliminare le residue presunzioni, ad eccezione dei reati di mafia, in modo tale da evitare il carcere laddove non sia indispensabile per fronteggiare l’esigenze cautelari.

Si vuole ricondurre la norma ad una prevenzione relativa ai condannati per delitti di matrice mafiosa o di terrorismo, sulla base di una ragionevole presunzione di rilevante pericolosità di tali soggetti, correlata al perdurare dei collegamenti con le organizzazioni criminali di riferimento. La scelta

Della Bella A. Il termine per adempiere cit. 116

di circoscrivere ai soli condannati per tali particolari delitti l’area di applicazione delle gravi preclusioni di accesso ai benefici penitenziari, si fonda su convergenti valutazioni, tra le quali principalmente il rilievo della tensione con i principi costituzionali, di ragionevolezza, uguaglianza e finalità rieducativa della pena. 117

La proposta della Commissione interviene sul comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. penit., che prevede le ipotesi in cui può venir meno il divieto di accesso al lavoro all’esterno, ai permessi premio e alle misure alternative diverse dalla liberazione anticipata con riguardo ai detenuti e internati per i delitti di cui al comma 1 del cit. art. 4-bis i quali non collaborino con la giustizia ai sensi dell’art. 58-bis della medesima legge.

Viene proposto di aggiungere alle ipotesi ivi contemplate quella secondo cui i suddetti benefici possono essere concessi anche quando risulti che la mancata collaborazione non fa venir meno il sussistere dei requisiti, diversi dalla collaborazione medesima, che di quei benefici permettono la concessione, ai sensi dell’ordinamento penitenziario.

La proposta trasforma l’attuale previsione della mancata collaborazione da presunzione assoluta, di insussistenza dei requisiti che consentono l’accesso del detenuto o dell’internato ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, in una presunzione relativa, in quanto tale superabile, con adeguata motivazione, da parte del giudice: fermo che siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

Le modifiche normative proposte mirano a un superamento della preclusione assoluta di accesso ai benefici che attualmente deriva, per il detenuto, dalla equiparazione tra collaborazione con la giustizia e avviato, o conseguito, ravvedimento personale.

Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura. Relazione della 117

commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza. Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare l’emergenza. 2013

Si deve evidenziare che le motivazioni suscettibili di indurre il detenuto a non compiere una scelta collaborativa possono non coincidere col desiderio o la necessità di rimanere legato al gruppo criminale di appartenenza, ma derivare da altre considerazioni. Si pensi alla valutazione del rischio per l’incolumità propria o dei familiari, al rifiuto morale di rendere dichiarazioni di accusa nei confronti di uno stretto congiunto o di persone legate da vincoli affettivi o di parentela, al ripudio di un concetto utilitaristico di collaborazione che prescinda da un effettivo ravvedimento interiore, al caso in cui la scelta di non collaborare sia riferita a vicende criminose ormai del tutto concluse e sia dovuta al rifiuto di permutare opportunisticamente vantaggi propri con la privazione della libertà di persone non più legate ad attività criminose.

Che, d’altra parte, la condotta collaborativa non rappresenti necessariamente un indizio di avvenuta rieducazione viene riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale che ammette che simile condotta ben 118 può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche.

L’argomento, dunque, secondo il quale la scelta di collaborare con la giustizia è l’unica condotta valutabile per accertare la rottura dei legami del condannato con la criminalità organizzata non è convincente.

E’ del tutto razionale restituire al Tribunale di Sorveglianza la possibilità di valutare se esistano elementi specifici che depongano nel senso di un positivo percorso rieducativo del condannato, tale da consentire l’accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale nonostante l’assenza di una collaborazione resa ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit.

Potrebbe a tal fine assumere rilievo un complesso di comportamenti, pur non collaborativi, che dimostrino il distacco del condannato dalle associazioni criminali e il suo impegno profuso per l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato e, quindi, il concreto interesse

sentenza n. 306 del 2003, 118

dimostrato per attività di risarcimento o, più in generale, riparatorie in favore delle vittime del reato.

Sussistono importanti motivazioni giuridiche ulteriori a sostegno della proposta formulata:

- L’inammissibilità del fatto per cui il diritto di non collaborare, rigorosamente garantito in sede processuale, possa trasformarsi nella fase esecutiva in un dovere di collaborare per poter usufruire dell’ordinario regime di rilevanza della partecipazione al trattamento penitenziario. - L’inammissibilità del fatto per cui, una condotta di tipo utilitaristico sia proposta dalla legge, per fini di prevenzione, non già alla scelta dell’autore di reato per ottenere un vantaggio, bensì per evitare un danno aggiuntivo. - Il fatto per cui la normativa in esame finisce per far dipendere da un elemento successivo alla sentenza definitiva di condanna l’applicazione di un regime sanzionatorio più gravoso rispetto a quello ordinario di esecuzione della pena inflitta in tale sentenza.

-

Il disincentivo che finisce per derivare dalla normativa vigente, con effetti controproducenti in termini di prevenzione, rispetto all’impegno del detenuto per fini rieducativi e di affrancamento dalle organizzazioni criminali.

La proposta della Commissione mira, quindi, a trasformare l'attuale presunzione di non rieducatività in assenza di collaborazione da assoluta in relativa, senza prevederne l'abrogazione secca.

La Commissione ministeriale presieduta dal prof. Palazzo propone una modifica anche al comma 1, dell’art. 2 del d.l.1 3 maggio 1991, n. 152, dove le parole «commi 2 e 3» sono sostituite con le parole «commi 1-bis, 2 e 3». Questa modifica tecnica trova la sua motivazione principale nell’insostenibilità della presunzione assoluta di mancato realizzarsi del fine rieducativo della pena, o dei progressi nella rieducazione ritenuti rilevanti dalla legge ai fini dei benefici penitenziari, per il mero sussistere di una condotta non collaborante ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit., da

parte del detenuto che, pure, sia stato autore di uno dei reati particolarmente gravi di cui al comma 1 dell’art. 4-bis ord. penit.

Una scelta normativa, questa, la quale comporta che l’eventuale acquisizione in concreto della prova, rispetto al detenuto per tali reati, di un effettivo conseguimento delle finalità rieducative costituzionalmente assegnate dalla Costituzione alla pena e, in particolare, alla fase della sua esecuzione, resta priva, assente la collaborazione, di qualsiasi effetto giuridico. In particolare, le preclusioni cui si riferisce la presente proposta assumono per il detenuto non collaborante che, per i reati di cui sopra, sia stato condannato all’ergastolo un effetto ostativo insuperabile della possibilità stessa di addivenire al reinserimento sociale. Con l’effetto, fra l’altro, di rendere irrilevante, per il medesimo ergastolano, lo stesso riconoscimento dell’unico fra i benefici penitenziari, la liberazione anticipata, cui la preclusione non si estende. 119

Le modifiche normative proposte mirano, pertanto, a realizzare un equilibrato superamento della preclusione assoluta di accesso ai benefici summenzionati che attualmente deriva, per il detenuto di cui s’è detto, dalla equiparazione tra collaborazione con la giustizia e avviato, o conseguito, ravvedimento personale.

1.1 Proposta della Commissione “Giostra”.

La Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, presieduta dal prof. Glauco Giostra, pone l’attenzione sulla necessità di eliminare le presunzioni legislative generalizzate. 120

Commissione ministeriale di studio per elaborare proposte di interventi in tema 119

di sistema sanzionatorio penale, Relazione sulla proposta di modifica dell’art. 4-

bis, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e dell’art. 2 comma 1, del decreto legge 13 maggio 1991, n.152, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203

Commissione istituita con decreto del Ministro della giustizia il 2 luglio 2013 120

La Commissione è intervenuta con proposte di modifica o soppressione delle disposizioni che compongono l’imponente sistema di preclusioni normative all’accesso ai benefici penitenziari, stratificatesi a seguito dei numerosi provvedimenti di legislazione securitaria. 121

Si inscrive in questa prospettiva di riforma anche la eliminazione del divieto assoluto di concessione di qualsiasi misura alternativa al condannato che abbia subito la revoca della detenzione domiciliare, appare di dubbia compatibilità con una concezione rieducativa dell’esecuzione penale. Alla luce della recente giurisprudenza costituzionale , si deve 122 ritenere in contrasto con la finalità rieducativa della pena ogni preclusione di natura assoluta all’accesso ai benefici penitenziari, che non lasci al giudice di sorveglianza la possibilità di verificare se le caratteristiche della condotta e la personalità del condannato giustifichino la regressione trattamentale imposta in seguito alla revoca di una precedente misura alternativa al carcere.

Ancora una volta il fulcro dell’intervento è l’art. 4-bis ord. penit., che preclude l’accesso alle misure alternative per coloro che sono stati condannati per determinate tipologie di reato.

La proposta della Commissione mista è di eliminare le preclusioni assolute, in modo tale da evitare il carcere laddove non sia indispensabile per fronteggiare le esigenze cautelari. E’ quantomeno auspicabile riuscire a restringere il catalogo di reati, previsti dall’articolo in esame come ostativi delle misure alternative, restringendone l’applicazione solo ai reati di criminalità organizzata di stampo mafioso.

Si pensi che l’art. 4-bis ord. penit. nell’elenco di reati per cui è previsto l’obbligo di collaborazione, pena preclusione al soggetto delle misure

Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure 121

alternative alla detenzione, Documento conclusivo Corte cost., sent. n. 189/2010

alternative, ne prevede alcuni ormai vetusti, un esempio è il contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Ne emerge la necessità di aggiornare il catalogo di reati, aggiungendone alcuni di necessaria previsione, come quello di strage, ed eliminando quelli desueti.

Le preclusioni dell’art. 4-bis, attualmente estese ad un catalogo eterogeneo di delitti, comportano una disciplina dell’esecuzione penale caratterizzata da statuti differenziali, ispirati alle figure dei tipi di autore, di dubbia efficacia sotto il profilo special-preventivo e poco coerenti con i principi costituzionali, poiché strutturati sul mero richiamo al titolo del reato, senza che sia lasciato spazio alla possibilità, per il giudice, di tenere conto delle circostanze del caso concreto e di quegli elementi individualizzanti, riferibili alla posizione del singolo soggetto, che consentirebbero di conformare l’esecuzione penale all’evoluzione della personalità del condannato e della sua concreta pericolosità sociale.

Il complessivo intervento proposto, volto ad eliminare restrizioni legate al solo titolo del reato, consentirebbe una adeguata valutazione della meritevolezza del condannato alla fruizione dei benefici penitenziari, creando le condizioni per la riespansione dell’area di applicazione delle misure esterne al carcere, governata dalla prudente valutazione del magistrato.

Si stima, che un intervento abrogativo dell’art. 4-bis ord. penit., comporterebbe una diminuzione di 5.000/10.000 presenze stabili in carcere in un anno e una diminuzione di 15.000/20.000 ingressi in meno, mantenendosi su una prospettiva pessimistica.

Non si tratta soltanto di concorrere in tal modo ad un decongestionamento penitenziario, ma di evitare che siano ingiustamente ristretti in carcere imputati la cui pericolosità potrebbe essere fronteggiata con misure meno limitative della libertà personale.

Le motivazioni che si possono opporre a una simile soluzione, sono legate alla paura di una minore sicurezza sociale. Tuttavia eliminare le

preclusioni non significa ammettere alle misure extracarcerarie chi non è meritevole di accedervi, ma semplicemente di accertare in concreto se vi siano i requisiti per l’applicazione dell’istituto in esame o meno.

Ad avvalorare la tesi che smentisce il timore di una minore sicurezza sociale, se si rinuncia alla preclusione alle misure alternative, si ricorda che quelle concesse negli altri Stati sono assolutamente superiori rispetto alla pratica italiana, si pensi che l’Inghilterra ne concede 197.000, la Spagna 111.000, la Germania 120.000, mentre nel nostro Paese sono solo 13.000 i soggetti che ne usufruiscono. 123

La Commissione ministeriale, presieduta dal prof. Giostra, ha criticato anche la previsione contenuta nel c.3 dell’art. 275 c.p.p., che, impone il carcere obbligatorio come unica misura cautelare applicabile nei confronti dei soggetti raggiunti da gravi indizi in ordine a taluni delitti particolarmente gravi. La Commissione, condivide le ragioni che giustificano un regime differenziato in materia cautelare con riguardo ai procedimenti per delitti di mafia in senso stretto, ma ritiene che anche in relazione a questa situazione vada superato il modello imperniato su presunzioni assolute.

E’ necessario rientrare nella prospettiva di un ricorso alla carcerazione preventiva quando è strettamente necessario, andando a potenziare l’applicazione delle misure non carcerarie. Ciò deve, secondo la Commissione, passare sia attraverso interventi volti a rendere più incisive le misure oggi previste, sia ampliando il ventaglio delle possibili alternative cautelari. Si è previsto di istituzionalizzare la possibilità di applicazione cumulativa nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto di più misure cautelari, in modo tale da ampliare le possibilità di accesso a queste.

Giostra G., Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare 123