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Da individuare tra i fallimenti legislativi è la proposta, del Ministro della giustizia Severino Di Benedetto, di ampliare il ricorso alle misure alternative alla detenzione con un disegno di legge. Nel d.d.l. in esame 104 si punta principalmente sulla detenzione domiciliare. Si tratta di una scelta obbligata, in quanto altre scelte sanzionatorie sarebbero di difficile prospettazione.

La proposta è: “Prevedere che, per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, la pena detentiva principale sia la reclusione presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza.” 105

Tale alleggerimento del sistema non deve essere inquadrato come un atto di clemenza generale, in quanto sottoposto comunque alla discrezionalità del magistrato , bensì un passo avanti verso la visione del carcere come

extrema ratio. 106

Il fallimento di questa proposta sta nella bocciatura inflitta al d.d.l. n. 5019-bis da parte del Senato della Repubblica.

d.d.l. n.5019- bis, Delega al governo in materia di pene detentive non 104

carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. 2012

Art. 1 d.d.l. n.5019-bis 105

Palazzo F. Riforma del sistema sanzionatorio e discrezionalità giudiziale, in 106

La riforma da considerare più sistematica è quella avviata con la legge delega del 28 Aprile 2014, n.67.

Tale provvedimento, oltre a prevedere l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova anche per gli adulti, conferisce delle deleghe al governo in materia sanzionatoria:

1. Non punibilità per irrilevanza del fatto. 2. Revisione del sistema delle pene principali 3. Depenalizzazione dei reati

4. Trasformazione di alcuni reati in illeciti civili sanzionati con sanzione pecuniaria civile.

Tutte e quattro le deleghe rispondono al principio del carcere come

extrema ratio.

La Commissione ministeriale di studio , incaricata di sviluppare le 107 proposte di attuazione della delega, ha terminato i lavori il 20 Dicembre 2014, presentando un articolato per ogni delega e una relazione finale in cui vengono esposti i principi ispiratori.

Le linee di riforma prevedono una riduzione dell’uso della detenzione carceraria già da parte del legislatore, andando a sostituire la detenzione ordinaria fino ad un massimo di cinque anni, con la detenzione domiciliare.

Riforma accolta con favore dagli economisti, la detenzione domiciliare è una strategia penitenziaria a costo zero, nessun nuovo carcere da costruire e vitto e alloggio a carico della famiglia del soggetto. Tuttavia questo istituto si espone a notevoli critiche, innanzitutto è compreso in una cultura carcerocentrica, in cui a cambiare è soltanto il luogo di esecuzione.

Lo schema di decreto delegato recepisce le proposte elaborate dalla 107

commissione ministeriale nominata con D.M. 27 maggio 2014 per l’elaborazione di proposte in tema di revisione del sistema sanzionatorio e per dare attuazione alla legge delega 28 aprile 2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione, commissione presieduta dal Prof. Francesco Palazzo.

Con la detenzione domiciliare sorgono molti problemi di disparità di trattamento. Si registra un massimo grado di afflizione della pena per i soggetti senza domicilio che devono rientrare in carcere, si penalizzano fortemente gli svantaggiati che devono scontare la pena in ambienti potenzialmente criminogenetici, andando ad annullare la visione di un’alternativa rieducativa. La detenzione domiciliare andrà a favore dei benestanti, per costoro l’afflittività della pena da scontare nella propria dimora è al minimo rispetto a quella della carcerazione. 108

Andando ad offrire diverse soluzioni sanzionatorie al giudice di cognizione, si andrebbe ad intervenire indirettamente sulle figure della sospensione condizionale e dell’affidamento in prova. Tali istituti verrebbero liberati dalla funzione di decarcerizzazione e ritroverebbero la loro finalità risocializzativa.

7.1 Tenuità del fatto

Le disfunzioni del sistema sanzionatorio non si fermano al problema del sovraffollamento carcerario, ma si devono considerare nel loro complesso per giungere ad una soluzione più organica. Si deve, quindi, arrivare a garantire come extrema ratio il controllo penale e la sanzione detentiva. Per rendere il sistema penale uno strumento effettivo di tutela è intervenuta un ulteriore attuazione delle legge delega 67/2014: il d.l. n. 28/2015, recante "Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto.” L’obiettivo di tale provvedimento è la revisione del sistema sanzionatorio, andando ad introdurre nel nostro ordinamento penale un nuovo istituto giuridico: la non punibilità per particolare tenuità dell’offesa.

Mannozzi G. Il legno storto del sistema sanzionatorio, in “ Diritto penale e 108

La disciplina si applica a tutti quei reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria o la pena detentiva non superiore a cinque anni, sia nelle ipotesi che le due tipologie di pena siano congiunte, sia che siano previste in modo distinto.

Con l’istituto della tenuità del fatto si intende agevolare la fuoriuscita dal sistema giudiziario di condotte che, pur integrando gli estremi del fatto tipico, antigiuridico e colpevole, appaiono non meritevoli di pena in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale; sono estranee all’istituto in esame le finalità riparatorie, ancorché una particolare attenzione sia dedicata alla tutela della persona offesa dal reato. 109

I criteri sui quali deve incardinarsi il giudizio di “particolare tenuità del fatto”, secondo il nuovo art. 131 bis c.p., sono i seguenti:

la particolare tenuità dell’offesa, che implica una valutazione sulle modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo.

la non abitualità del comportamento dell’autore, che quindi non deve essere un delinquente abituale, professionale o per tendenza, né aver commesso altri reati della stessa indole.

Solo a seguito di un accertamento rigoroso di tali condizioni da parte del giudice, lo Stato rinuncerà ad applicare una pena detentiva per attuare una tutela risarcitoria e restitutoria tipicamente civile.

Il giudice, nel valutare il fatto, oltre ai rigorosi limiti normativi, dovrà tenere conto delle istanze della persona offesa e dello stesso indagato o imputato, le cui contrapposte ragioni dovranno emergere nella dialettica procedimentale, tanto in fase di contraddittorio sulla eventuale richiesta di archiviazione, quanto nella fase dibattimentale.

La tenuità deve ritenersi esclusa e non applicabile quando la condotta è caratterizzata da crudeltà, motivi abietti o futili, in danno di animali, con

Mangiaracina A., “La tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.: vuoti normativi e 109

sevizie o nei confronti di persona con minorate possibilità di difesa o quando le conseguenze procurate dall’offensore siano di particolare gravità.

Dal punto di vista processuale spetta al p.m. verificare la ricorrenza delle condizioni volute dalla legge, e in caso di esito positivo chiedere l’archiviazione. Della richiesta deve essere dato avviso sia all’imputato che alla parte offesa, anche se quest’ultima, con la denuncia o querela, non abbia chiesto di essere avvisata in caso di richiesta di archiviazione.

Il Giudice deve sentire le parti se è stato espresso il dissenso sulla richiesta di archiviazione e proposta opposizione. La decisione relativa è pronunciata con ordinanza. In mancanza di opposizione, il Giudice si pronuncia con decreto. Resta salva la facoltà per il Giudice di rigettare la richiesta di archiviazione e provvedere a’ sensi dell’art. 409 c.p.p.

La disciplina così introdotta risponde al dibattito sulla necessità di affidare al giudice una chance valutativa direttamente incidente sulla rilevanza penale del fatto attraverso un attento vaglio del suo quoziente di offensività che, ove di flebile entità, viene ritenuto in grado di scongiurare indagini e processo.

L’istituto si pone nell’esatto interstizio che corre tra l’inoffensività del fatto, art. 49 c.p., e la sua piena rilevanza penale ed esso per sua stessa definizione, lungi dall’affidarsi a un libero scrutinio del giudice, pretende di misurarsi su indici rivelatori che la legge stessa individua in termini astratti, rimettendo all’interprete la loro concreta applicazione per gli effetti che ne conseguono.

Non può tuttavia ignorarsi che l’intento deflativo può correre il rischio, nella pratica, di una frammentazione interpretativa e un cambiamento del ruolo del pubblico ministero, coinvolto nel crisma dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Si intuisce come l’istituto della non punibilità per tenuità del fatto avrà un forte effetto deflativo sul sistema penitenziario, andando ad escludere la pena per numerosi casi di fatti ritenuti di tenue gravità.

Il problema insito nella irrilevanza penale del fatto è che induce il giudice a guardarlo con sospetto, in quanto si rinuncia completamente alla pena nonostante l’indiscussa offensività del fatto, per quanto tenue questa possa essere.

In futuro il legislatore potrebbe prendere in considerazione, anche, l’opportunità di evitare un obbligo generalizzato di denuncia attribuito ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio, così facendo si favorirebbe probabilmente la collaborazione dei cittadini al contrasto della criminalità. E’ auspicabile che la legge vada ad individuare criteri in base ai quali notizie di reato non particolarmente gravi, pervenute alla polizia o alle autorità amministrative, restino gestite dalle medesime autorità attraverso forme di ammonimento.

Si deve arrivare a concepire un diritto penale minimo, o almeno ridotto, che intervenga a protezione dei beni giuridici solo laddove vi sia assoluta necessità del suo intervento.

Se per la tutela dei beni, che pur appaiono meritevoli di protezione, sono sufficienti sanzione diverse da quelle penali, è proprio a queste che si deve ricorrere, perché altrimenti la sanzione penale non riuscirebbe a mantenere le promesse sul piano della prevenzione sia generale, che speciale.