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Nuova disciplina sull’affidamento in prova e liberazione anticipata

Un intervento legislativo volto ad ottenere un immediato effetto di contenimento della popolazione carceraria è il d.l. 23 Dicembre 2013, n. 146, convertito in l. 21 Febbraio 2014, n.10 . 90

Anche in questo nuovo decreto legge compare il richiamo alle misure urgenti, incredibilmente si ripropone un provvedimento emergenziale, con una cadenza talmente regolare che di per sé, contrasta con l’emergenza. Questo decreto amplia l’applicabilità dell’affidamento in prova e della liberazione anticipata.

Corvi P. Sovraffollamento carcerario e tutela dei diritti del detenuto: il 89

ripristino della legalità, in “Rivista italiana diritto procedura penale”, 2013, pp

1794 ss.

Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di 90

Specificatamente, all’art. 4 del d.l. n.146 del 2013, si prevede una maggiore detrazione di pena per ogni singolo semestre di pena scontata, vengono tolti 75 giorni anziché 45.

La misura della liberazione anticipata speciale, la cui portata retroagisce al 2010, si applica senza distinzione a tutti i detenuti, con la sola esclusione dei condannati per delitti di maggiore allarme sociale previsti dall’art.4-bis ord. penit.

L’unica condizione prevista dal decreto legge per poter applicare l’istituto sopracitato è la partecipazione all’opera di rieducazione, che attualmente consiste nella semplice attività sportiva o teatrale e nel mantenere colloqui con la famiglia.

Si ritiene che questa misura eccezionale lungi dal risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, mentre al contrario favorisce l’uscita di prigione ai condannati a pene lunghe. A suffragio di questa ipotesi vi è l’ulteriore considerazione che coloro che hanno condanne pesanti sono in celle doppie, massimo triple, per questo tipo di criminali non si pone il problema della violazione dell’art. 3 CEDU. 91

Il d.l. 23 dicembre 2013, n.146, nell’ambito delle misure alternative, ha introdotto l’art. 58-quinquies, “Particolari modalità di controllo nell'esecuzione della detenzione domiciliare”. L’articolo prevede che nel disporre la detenzione domiciliare, il magistrato o il tribunale di sorveglianza possono prescrivere procedure di controllo anche mediante mezzi elettronici, di cui le Forze di polizia abbiano l'effettiva disponibilità. Il d.l. 146/ 2013 è andato ad incidere anche sull’affidamento in prova al servizio sociale, istituto disciplinato dall’art. 47 ord. penit.

La misura alternativa in esame è richiedibile da coloro che hanno una pena inflitta, anche se residua di pena maggiore, che non superi i tre anni.

Tratto dal resoconto stenografico dell’audizione del dr. Ardita alla Commissione 91

Con il sopracitato decreto legge si estende la possibilità di richiedere la misura alternativa dell’affidamento quando la pena da espiare, anche se residua, non superi i quattro anni di detenzione.

Il soggetto per poter ottenere l’affidamento deve dimostrare che, nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, ha tenuto un comportamento che si possa valutare positivo rispetto alla rieducazione e alla prevenzione del pericolo di una recidiva. L’osservazione della personalità si effettua sia che il soggetto nell’anno precedente alla richiesta della misura alternativa stesse espiando la pena, sia che stesse eseguendo una misura cautelare, sia che si trovasse in stato di libertà.

Ciò che rimane poco comprensibile è perché di fronte ad un cambiamento di solo un anno nella pena da espiare, nella misura ordinaria dell’art. 47 ord. penit., l’analisi del comportamento sia così differente da quella introdotta con il d.l. 146/2013 all’art. 47, c. 3-bis.

La disciplina procedimentale per poter presentare l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale prevede che si presenti domanda al tribunale di sorveglianza. Quando sussiste un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, allora la domanda può essere proposta al magistrato di sorveglianza, il quale, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga, dispone la liberazione del condannato e l'applicazione provvisoria della misura. L'ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza che decide entro sessanta giorni.

Questa previsione potrebbe aiutare a superare le paure di quei magistrati di sorveglianza, che non sono inclini a sospendere semplicemente l’esecuzione della pena, per evitare di lasciare il condannato in libertà, senza vincoli da rispettare.

Ulteriore intervento del decreto legge in esame riguarda l’affidamento in prova in casi particolari, viene abrogato l’art.5 del Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti. L’art.5 prevedeva il divieto di accesso 92 all’affidamento per più di due volte.

L’eliminazione di tale previsione si stima possa comportare una notevole diminuzione della popolazione carceraria.

Non si comprende perché sia rimasta invariata la previsione dell’art. 90 del medesimo testo unico sugli stupefacenti, che ammette la concessione della sospensione dell’esecuzione di pena solo una volta, ciò rende il sistema disarmonico e contraddittorio. 93

6.1 Nuovo reclamo ex art. 35-bis dell’ordinamento

penitenziario

Un ulteriore aspetto fortemente innovativo del decreto legge n.146/2013 è la revisione della disciplina dei reclami esperibili dai detenuti. 94

d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 Testo unico delle leggi in materia di disciplina 92

degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

Cortesi MF, I giudici europei dettano le linee guida contro il sovraffollamento 93

carcerario, in “Diritto penale e processo” 2014, pp 72 ss.

L’art.3 del d.l.146/2013 modifica l’art. 69, c.6, della l. n. 354/75: “Funzioni e 94

provvedimenti del magistrato di sorveglianza. Provvede a norma dell'articolo 35- bis sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti: a) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa; nei casi di cui all'articolo 39, comma 1, numeri 4 e 5, e’ valutato anche il merito dei provvedimenti adottati; b) l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all'internato un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti.”

Il decreto tipizza un nuovo reclamo che si va ad aggiungere alla disciplina del reclamo non giurisdizionale di cui all’art. 35. ord. penit. 95

Prima di analizzare il nuovo specifico reclamo, è opportuno premettere che l’ordinamento penitenziario, con gli anni, ha visto una progressiva espansione degli ambiti sottoposti al controllo giurisdizionale, con la conseguente erosione degli spazi tradizionalmente affidati all’amministrazione penitenziaria.

I diritti del detenuto devono essere salvaguardati dagli abusi dell’azione amministrativa attraverso dei rimedi esperibili dinanzi al magistrato di sorveglianza.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 26 del 1999 ha imposto che i rimedi esperibili al magistrato di sorveglianza, contro le determinazioni dell’amministrazione penitenziaria, abbiano carattere di giurisdizionalità. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno individuato nel procedimento 96 per reclamo di cui agli art. 14-ter e 69 dell’ord. penit. quello più idoneo per il detenuto.

Successivamente la Corte Costituzionale, con sentenza n. 266/ 2009 ha affermato che il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza decide in base all’art. 69, c.5, dell’ord. penit. sul reclamo in materia di 97 violazione dei detenuti, ha carattere necessariamente vincolante.

Art. 35. Diritto di reclamo: “I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze 95

o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa:

1) al direttore dell'istituto, al provveditore regionale, al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al Ministro della giustizia;

2) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto;

3) al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti; 4) al presidente della giunta regionale;

5) al magistrato di sorveglianza; 6) al Capo dello Stato.”

Sentenza Cassazione Sezioni Unite del 26 febbraio 2003 96

Art. 69 c5 “(…) (il magistrato di sorveglianza) Impartisce, inoltre, nel corso 97

del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati.”

L’intervento del decreto legge, con il nuovo reclamo giurisdizionale che ne consegue, va a colmare un vuoto di tutela da tempo denunciato dalla Corte Costituzionale e successivamente ribadito dalla Corte Edu.

Con il d.l. n.146 del 2009 si inserisce, nell’ordinamento penitenziario del 1975, un nuovo reclamo giurisdizionale introdotto ex novo dall'art. 35-bis ord. penit. E’ utile analizzare il nuovo reclamo nel dettaglio.

L’art. 35-bis, c.1:“Reclamo giurisdizionale. Il procedimento relativo al reclamo di cui all'articolo 69, comma 6, si svolge ai sensi degli articoli 666 e 678 del c.p.p. Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell'articolo 666, c 2, del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso anche all'amministrazione interessata, che ha diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste.”

Ne risulta un ruolo più accentuato del magistrato di sorveglianza come garante giurisdizionale dei diritti del detenuto. 98

Viene disciplinato il procedimento del reclamo giurisdizionale facendo riferimento agli art. 666 e 678 c.p.p., andando cioè a seguire la normativa del procedimento di esecuzione.

La seconda parte dell’art.35-bis recita così: “Il reclamo di cui all'articolo 69, comma 6, lettera a) e’ proposto nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. In caso di accoglimento, il magistrato di sorveglianza, nelle ipotesi di cui all'articolo 69, comma 6, lettera a), dispone l'annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare. Nelle ipotesi di cui all'articolo 69, comma 6, lettera b), accertate la sussistenza e l'attualità del pregiudizio, ordina all'amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato dal giudice.” Se ne deduce che il nuovo reclamo va a rafforzare la tutela specifica del detenuto, tuttavia la forza virtuale di questa previsione deve sempre

Filippi L. Adelante Pedro.. con poco juicio. Un passo (avanti o indietro?) verso 98

scontrarsi con una realtà carceraria molto dura. Rimane, infatti, da chiedersi come l’amministrazione penitenziaria, a seguito di un ordine in tal senso del magistrato di sorveglianza, potrà risolvere una violazione che non ha volontariamente determinato.

Il magistrato di sorveglianza che riceve il reclamo avverso un provvedimento e decide di accoglierlo, non ha il potere di modificare la sanzione altrimenti incorrerebbe in un’ingerenza del potere disciplinare, può solo annullare il provvedimento dell’amministrazione.

Nel caso in cui il magistrato accerti un pregiudizio ai diritti del detenuto può ordinare all’amministrazione di porvi rimedio, indicando un termine per adempiere.

Fino a che gli strumenti logistici penitenziari rimarranno immutati serve a poco prevedere metodi di richiamo dell’amministrazione più severi. 99 Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso il reclamo al tribunale di sorveglianza entro quindici giorni dalla notifica o comunicazione della decisione.

La decisione del tribunale di sorveglianza “è ricorribile per Cassazione per violazione di legge nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito della decisione stessa”.

L’art. 35-bis procede in tal senso: “In caso di mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione, l'interessato o il suo difensore munito di procura speciale possono richiedere l'ottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento.”

Si tratta di un giudizio di ottemperanza, modellato sulla disciplina del giudizio amministrativo, ma posto in essere dal magistrato di sorveglianza. Costui deve procedere come indicato dall’art. 35-bis, c.7: “Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 del c.p.p. Il magistrato di

Ciciriello T. Il rinvio dell’esecuzione della pena detentiva: scelta obbligata 99

nell’attuale condizione del sistema penitenziario?, in “ Rivista italiana di diritto e

sorveglianza, se accoglie la richiesta: a) ordina l'ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto; b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito; d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta. Il magistrato di sorveglianza conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario. Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza e’ sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge.

6.2 Modifiche al testo unico sugli stupefacenti e istituzione

del Garante nazionale dei diritti dei detenuti

Un intervento necessario deriva dalla constatazione dell’altissima incidenza percentuale, quasi il 40%, dei soggetti ristretti per reati in materia di stupefacenti sull’intera popolazione detenuta.

Il d.l. 146/2013 ha apportato delle modifiche all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, testo unico sugli stupefacenti, andando a configurare come autonoma ipotesi di reato, non come mera circostanza attenuante, la fattispecie descritta al c.5 e abbassandone la pena edittale da sei a cinque anni. L’intento è quello di contenere la pena entro dei limiti per cui siano azionabili le misure alternative alla detenzione, con la conseguenza di uno sgravo processuale e ricadute deflative anche a livello carcerario.

Il d.l. 20 marzo 2014, n. 36 , anche a seguito della dichiarazione di 100 incostituzionalità , ha modificato ancora una volta il quinto comma 101 dell'art. 73 del testo unico sugli stupefacenti, che a questo punto recita: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”

Tale precetto, raccordato con l’art. 280 c.p.p. , evita il ricorso alla 102 custodia carceraria, determinando una significativa riduzione del numero di detenuti, essendo la Fini-Giovanardi una delle leggi che più influisce sulla quantità di popolazione carceraria.

Un ulteriore intervento auspicabile, ad opinione della Commissione di studio presieduta dal prof. Giostra, riguarda il versante esecutivo della pena. Si vogliono ampliare la possibilità di applicare l’affidamento terapeutico al condannato tossicodipendente, inoltre si vuole prevedere tale istituto anche ai soggetti internati, al fine di non interrompere un eventuale progetto di recupero già attivato nel corso dell’espiazione della condanna,

“Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze 100

psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale”

sentenza n.32/2014 con la quale la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità 101

costituzionale degli art. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 “(…) Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e

modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309)”

Art.280 c.p.p c.2 “La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per 102

delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti”

che vanificherebbe inevitabilmente l’effetto risocializzante e riabilitativo del percorso intrapreso di uscita dalla dipendenza.

Si ricorda che la cura del tossicodipendente vale come la pena, in quanto l’affidamento terapeutico rimane pur sempre una forma di espiazione, non è da considerarsi come uno sconto per il detenuto. Nel momento in cui serve una cura alla dipendenza l’unica vera possibilità di reinserimento sociale passa attraverso questo percorso riabilitativo, l’esecuzione in regime ordinario della pena detentiva non produrrebbe alcun effetto positivo per il soggetto tossicodipendente. Si può affermare che per questa particolare categoria di rei la cura vale più della pena, è più efficace soprattutto analizzando gli studi sulla recidiva.

Con l’art.7 del d.l. 146/2013 viene poi istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, organo collegiale formato da tre componenti in carica per 5 anni non prorogabili, nominato con decreto del Presidente della Repubblica., al quale il detenuto può indirizzare i reclami ordinari. Il Garante è istituito presso il Ministero della giustizia, il personale dell’ufficio è composto da soggetti dipendenti dallo stesso Ministero.


La dottrina si è dichiarata scettica sulla scelta di collocare questo organo all’interno del Ministero, per il rischio che ciò possa incidere sul carattere di terzietà dello stesso rispetto al potere politico. 103

I compiti del Garante sono di controllo e vigilanza, deve monitorare le condizioni di detenzione affinché queste siano conformi al dettato della Costituzione, delle convenzioni internazionali e dei regolamenti, ha la facoltà di visita, non necessita di autorizzazione alcuna per recarsi presso i luoghi ove siano collocati i soggetti privati della libertà personale.

Al Garante è assicurato solo il rimborso delle spese sostenute in funzione delle proprie competenze, nessuna retribuzione è prevista per l’incarico.

Della Bella A., Emergenza carceri e sistema penale, G. Giappichelli Editore, 103

Ad oggi non risulta che sia avvenuta la nomina dei componenti di questo Ufficio. Il d.l. 146/2013 non ha affrontato il rapporto tra il neoistituito Garante nazionale e i Garanti locali, limitandosi a prevedere che il Garante nazionale deve promuovere e favorire i rapporti di collaborazione con i garanti territoriali. Non è stato introdotto alcun riferimento normativo specifico in grado di regolare le rispettive attività e ambiti di intervento.