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Torreggiani 2.1 Il carattere di sentenza pilota 2.2 Il criterio dei 3 metri quadrati e l’intervento della Cassazione 2.3 Ricevibilità del ricorso 3. Differimento di esecuzione della pena e relativa sentenza della Corte Costituzionale 4. Competenza sulla domanda risarcitoria. 5. Il responso del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa

1. La sentenza Sulejmanovic

Il primo intervento dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sulla problematica situazione dei detenuti nelle carceri italiane è da considerarsi la sentenza Sulejmanovic . 42

Il ricorrente lamenta l’inumanità delle condizione detentive a cui era stato sottoposto, tra il 2002 e il 2003, a causa del sovraffollamento presente nell’istituto romano di Rebibbia, dove era stato ristretto.

Il soggetto riporta di aver diviso con altre cinque persone una cella di 16,20 mq, avendo a personale utilizzo una superficie di soli 2,70 mq. Nel sancire il divieto di tortura, delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti, l’art. 3 CEDU non ipotizza le condotte integratrici della violazione del divieto e, analogamente neppure l’art. 27 Cost, stabilisce alcun specifico canone per la determinazione dei trattamenti vietati, limitandosi solo a stabilire che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

Sulejmanovic c. Italia, del 16 luglio 2009, ric. n. 22635/03 42

Sebbene non sia possibile fissare in maniera certa e definitiva lo spazio personale che deve essere riconosciuto all’interno delle singole celle a ciascun detenuto ai termini della Convenzione, la mancanza evidente di spazio costituisce violazione dell’art. 3 CEDU.

1.1 Il criterio dei 3 metri quadrati

E’ importante riuscire a riconoscere il diritto ad uno spazio personale minimo per garantire la dignità e la personalità del detenuto, dal rispetto di tale diritto dipende materialmente l’efficacia rieducativa del trattamento. 43 Nell’opera di determinazione di tale superficie minima, da garantire all’interno di ogni cella, la Corte Edu ha risentito dell’influenza delle indicazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene con trattamenti inumani o degradanti (CPT), ma non fino al punto di farle proprie.

Invero, la giurisprudenza convenzionale, benché il CPT consideri auspicabile nelle celle a più posti una superficie di almeno 4 mq, ha in più occasioni ritenuto senz’altro violato l’art. 3 della Convenzione laddove il detenuto disponeva di una superficie inferiore ai 3 mq. In altri termini, la giurisprudenza della Corte individua in quest’ultimo valore il limite sotto il quale la mancanza di spazio in sé stessa è tale da violare l’art. 3 CEDU. La più elevata soglia raccomandata dal CPT, conserva comunque un suo rilievo. Infatti, quando la superficie detentiva per persona sia pari o superiore al limite dei 3 mq, ma inferiore a quello di 4 mq può configurarsi un trattamento inumano o degradante a condizione che, oltre all’esiguità dello spazio, siano riscontrabili anche altre significative carenze (ad es.,

Gargani A. Sovraffollamento carcerario cit. pp 426 43

l’insufficiente aerazione o illuminazione della cella, i tempi di permanenza all’aperto eccessivamente limitati oppure la grave mancanza di intimità). 44 Una fonte importante in materia di organizzazione carceraria è quindi data dall'insieme dei rapporti annualmente pubblicati dal CPT.

In particolare, nel rapporto del 1992, per la prima volta sono state indicate espressamente le misure minime delle celle. Queste dovrebbero essere di circa 7mq.

Sebbene nel rapporto le misure indicate si riferiscano alle celle di polizia, i giudici della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo hanno interpretato l'articolo in senso estensivo, applicandole per analogia alle celle delle prigioni o di altri istituti di detenzione . 45

E’ difficile stabilire quale sia la misura ragionevole di una cella, ma il CPT ha comunque fornito alcuni criteri guida per gli Stati, in considerazione del sempre più pressante problema del sovraffollamento delle carceri che spinge le autorità penitenziarie a mettere più detenuti nella stessa cella. Nello specifico secondo gli standard del CPT, ogni detenuto deve avere a disposizione 4 mq in cella multipla e, come già indicato, 7 mq in cella singola.

Lo spazio detentivo minimo va determinato sulla base di una pluralità di fattori quali, tra gli altri, la possibilità di accesso all'aria aperta e le condizioni mentali e fisiche del detenuto.

Nella sentenza Sulejmanovic per la prima volta la Corte Edu ha condannato lo Stato italiano a risarcire il ricorrente per il solo fatto che ha sofferto di mancanza di spazio personale mentre era in cella.

Albano A., Picozzi F.Contrasti giurisprudenziali in materia di (misurazione 44

dello) spazio detentivo minimo: lo stato dell'art.e. in “ Archivio penale” 2015, n.1

Vedi in seguito Sentenza Sulejmanovic c/Italia, Strasburgo, Corte Europea dei 45

Stabilire un limite definito rappresenta una semplificazione forse eccessiva, venendo in tal modo equiparate molteplici situazioni dalle quali dipendono sensibili differenze nella condizione vitale del detenuto. Tuttavia deve ritenersi positivo che la Corte abbia stabilito un limite minimo inderogabile, tenendo conto dell’esigenza di ricercare un criterio accettabile dall’ampio complesso degli Stati aderenti alla Convenzione. E’ una scelta, pienamente condivisibile, quindi, quella di trovare almeno un parametro chiaro, correlato allo spazio vitale del detenuto. Ed è difficile sostenere che 3 mq per una persona non siano effettivamente un limite minimo.

Non deve andare perso lo sforzo di semplificazione compiuto dalla Corte per oggettivizzare la soglia del trattamento inumano: la giurisprudenza europea sul tema del sovraffollamento dimostra infatti che l’aver ancorato il limite minimo di vivibilità all’interno di un carcere ad una misura di superficie, l’aver cioè ridotto in metri quadri il concetto di dignità della persona, ha reso operativo nella pratica il principio contenuto nell’art. 3 CEDU e, lungi dall’averlo svilito, gli ha attribuito un’efficacia dirompente. La Corte, quindi, nel tutelare i diritti dei detenuti si è rifatta all’art. 3 CEDU, interpretandolo estensivamente e in maniera dinamica.

La Corte europea ha richiamato anche la normativa nazionale, in particolare l’art. 6 dell’ordinamento penitenziario: “I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale (…)” Si osserva così che la disposizione non contiene alcuno standard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento.

La Corte Edu si è riferita inoltre all’art. 18 delle regole penitenziarie europee: “I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad

accogliere i detenuti durante la notte, devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d’aria, l’illuminazione, il riscaldamento e l’aerazione.(…) Il diritto interno deve prevedere dei meccanismi che garantiscano il rispetto di queste condizioni minime, anche in caso di sovraffollamento carcerario.(…).”

Si deve constatare che anche nelle regole penitenziarie europee, adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 1987, non vi è stabilito con precisione quanto devono essere ampie le celle.

Alla luce di questa normativa e del principio generale contenuto nell’art. 3 della CEDU, la Corte ha riconosciuto che il sovraffollamento nella cella del ricorrente ha integrato un trattamento disumano e degradante.

Considerare violato il divieto di tortura o di pene o trattamenti inumani e degradanti nell’ambito della situazione carceraria del nostro Paese, significa ritenere sostanzialmente vanificato il precetto contenuto nell’art. 27 Cost., che pone il principio della finalità rieducativa della pena. 46 Pur riconoscendo che nulla lascia pensare che vi fosse da parte delle autorità italiane la volontà di umiliare o mortificare i ricorrenti, la Corte conclude che questi ultimi hanno subito un trattamento che eccedeva il livello inevitabile di sofferenza connesso alla detenzione penale e riscontra quindi una violazione dell’art. 3 CEDU. 47

Questo orientamento giurisprudenziale assume grande rilevanza considerando il momento storico nel quale si registra, negli istituti penitenziari, il più alto indice di sovrappopolazione di tutti i tempi. Da qui

Della Morte G. La situazione carceraria italiana viola strutturalmente gli 46

standard sui diritti umani (a margine della sentenza Torreggiani c. Italia), in

“Diritti umani e diritti internazionali”, 2013, pp 147 ss.

De Stefani P. La sentenza Torreggiani: una sentenza pilota contro il 47

ne deve conseguire un impegno del legislatore e dell’amministrazione penitenziaria a procedere alla rimozione delle cause che comportano tale problematica, così da evitare molteplici condanne in questa direzione e non meno importanti conseguenze umane negative per i detenuti.

L’importanza della sentenza Sulejmanovic sta nel fatto che per la prima volta un criterio oggettivo, quello spaziale, è stato di per sé sufficiente per constatare una violazione della Convenzione.

Gli Stati membri non possono accettare che nemmeno un solo detenuto sia destinato programmaticamente a trascorrere la vita carceraria o una parte non momentanea di questa, in una cella dove il suo spazio vitale sia inferiore a 3 mq. Ciò va affermato quale che sia il complesso di attività che nel carcere sia eventualmente allestito ed anche se il tempo quotidiano trascorso nella cella sia alquanto limitato.

1.2 L’opinione dissenziente del giudice Zagrebelsky

La decisione sulla condanna dello Stato italiano non è stata presa all’unanimità dalla Corte, il giudice italiano Zagrebelsky ha esposto una opinione dissenziente, a cui ha aderito anche il giudice Jociene.

Il giudice dissenziente, pur mostrandosi sensibile al problema del sovraffollamento carcerario, considera che le condizioni del ricorrente, basandosi sulla sua giovane età e sulla breve durata della detenzione, non avessero raggiunto quel livello di gravità, che era sempre stato richiesto dalla giurisprudenza europea, per considerare un certo comportamento violazione dell’art. 3 CEDU.

Il giudice Zagrebelsky, inoltre, adduce che i suoi colleghi di maggioranza basando la loro decisione esclusivamente sul parametro indicato dal CPT, sono incorsi in un errore, perché tale parametro in realtà indicherebbe solo un livello auspicabile e non una regola minima.

In conclusione, il giudice dissenziente ritiene che la decisione presa dalla Corte Edu sia più che altro orientata su ciò che è auspicabile, piuttosto che a quanto è dovuto, con il rischio di relativizzare il divieto assoluto disposto dall’art. 3 CEDU.

Il caso specifico, sostiene il giudice Zagrebelsky, avrebbe potuto comunque trovare una tutela nell’art. 8 della Convenzione, che interessa il diritto alla vita privata e familiare, a cui si può collegare con una interpretazione estensiva la protezione all’integrità fisica di una persona. Tali autorevoli rilievi meritano un breve commento.

Riguardo gli standard del CPT è effettivamente vero che la superficie minima da loro indicata per le celle della polizia va intesa come auspicabile e non come uno standard minimo obbligatorio. Tuttavia nel suo rapporto il CPT precisa che le condizioni materiali di detenzione in luoghi dove le persone possono essere trattenute per periodi più lunghi devono essere migliori di quelle considerate accettabili nelle stazioni di polizia. Se ne può dedurre che, in un istituto penitenziario destinato a ospitare molti detenuti per periodi anche lunghi, gli standard applicabili siano ancora più elevati di quelli fatti propri dalla Corte nel caso in esame. Riguardo all’uso sbagliato dei precedenti giurisprudenziali della Corte, il giudice Zagrebelsky fa notare come nel caso Valašinas c. Lituania i 48 giudici non avessero ravvisato violazioni dell’art. 3 CEDU a fronte di condizioni detentive paragonabili a quelle in cui era stato sottoposto Sulejmanovic.

Le due situazioni, tuttavia, non sono del tutto sovrapponibili. Se è vero che nel caso Valašinas lo spazio pro capite all’interno di uno dei dormitori in cui era consegnato il ricorrente era inferiore ai 3 mq, le dimensioni della camerata superavano gli 86 mq e ai detenuti era permesso di circolare liberamente in un’intera ala del penitenziario e nel cortile interno

sentenza del 24 luglio 2001 48

dell’istituto durante tutto l’arco del giorno. La Corte precisa espressamente che la scarsità di spazio in termini relativi è bilanciata dalle grandi dimensioni del dormitorio e dalla libertà di movimento concessa ai ristretti.

Il giudice italiano richiama poi il ricorso Labzov c. Russia , in cui la Corte 49 afferma che, al fine di stabilire se le condizioni di detenzione in discussione fossero degradanti, la mancanza di spazio costituisse un fattore che incideva pesantemente, senza affermare che esso fosse da solo sufficiente a integrare una violazione della Convenzione. In effetti, nel caso di specie fu proprio ed esclusivamente la mancanza di spazio, solo 1 mq a detenuto, la ragione per cui la Corte decretò l’incompatibilità delle condizioni di detenzione col dettato dell’art. 3 CEDU.

La sentenza della Corte, che condanna l’Italia, non può quindi ritenersi completamente innovativa rispetto ai suoi orientamenti pregressi. 50

Il merito che va riconosciuto alla Corte, con la sentenza Sulejmanovic, è quello di aver evidenziato un problema che, in Italia, da tempo è di tipo strutturale. Si è rilevato una mancanza di politiche penitenziarie nazionali che siano in grado di risolvere, in modo organico e razionale, le cause del sovraffollamento.

Il nostro Paese si è limitato a regime a tale monito con un insieme disorganico di provvedimenti a matrice emergenziale, tanto che nel 2013 la Corte Edu è tornata a valutare la condizione carceraria italiana attraverso la nota sentenza Torreggiani . 51

sentenza del 15 giugno 2005 49

Sommario E. Il sovraffollamento delle carceri italiane e gli organi 50

internazionali per il rispetto dei diritti umani, in “Questione giustizia” n.5, 2012

pp 33 ss.

Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, Causa Torreggiani e altri c. Italia, 8 51

gennaio 2013 Ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10.