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La particolare tenuità del fatto: profili sostanziali e procedurali, problematiche applicative e questioni interdisciplinari

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

La particolare tenuità del fatto: profili sostanziali e procedurali, problematiche applicative e questioni interdisciplinari

Il Candidato Il Relatore

Silvia Marino Chiar.mo Prof. Enrico Marzaduri

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INDICE

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO 1 ... 8

PROFILI DI DIRITTO SOSTANZIALE ... 8

1. Premessa ... 8

2. La clausola di particolare tenuità del fatto: l’iter di approdo della riforma e l'introduzione dell'articolo 131 bis c.p. ... 12

3. Corte di Cassazione a pochi giorni dell'entrata in vigore dell'art 131 bis c.p., afferma importanti principi in materia ... 20

4. Questioni circa la compatibilità della nuova causa di non punibilità con il diritto fondamentale alla “presunzione di innocenza” di cui all'art 6, comma 2 della CEDU ... 24

5. Il contesto costituzionale ... 27

6. Presupposti applicativi per l’operatività dell’istituto ... 29

6.1 I limiti edittali ... 30

6.2 Tenuità dell’offesa ... 36

6.3 La non abitualità del comportamento... 39

7. Le ipotesi escluse ... 48

CAPITOLO 2 ... 52

PROFILI PROCESSUALI ... 52

1. Le modifiche al codice di procedura penale con il d.lgs. n. 28 del 2015 52 2. Fase delle indagini preliminari: l’archiviazione per particolare tenuità del fatto ... 57

2.1 Il ruolo della persona offesa ... 59

2.2 Ruolo dell’imputato ... 62

2.3 Contenuto e conseguenze dell’opposizione. ... 65

3. Riconducibilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. all’art. 129 c.p.p. ... 72

4. La sentenza di non luogo a procedere all’esito dell’udienza preliminare. ... 74

5. Proscioglimento predibattimentale per particolare tenuità del fatto: la sentenza di non doversi procedere ex art. 469, comma 1-bis, c.p.p. ... 77

(3)

5.2 Portata e limiti dell’opposizione formulata dal pm e

dall’imputato. ... 80

5.3 Modalità con cui il giudice, in sede predibattimentale, può riscontrare la particolare tenuità del fatto. ... 85

6. Proscioglimento dibattimentale per particolare tenuità del fatto . 88 7. La particolare tenuità del fatto nei giudizi di legittimità ... 93

CAPITOLO 3 ... 100

QUESTIONI PROBLEMATICHE POSTE IN SEGUITO ALL’ENTRATA IN VIGORE DELL’ISTITUTO ... 100

1. Premessa ... 100

2. La tenuità del fatto in assenza di norme transitorie ... 101

3. L’applicabilità dell’istituto nei procedimenti speciali ... 105

3.1 Il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti 107 3.2 Il giudizio immediato ... 108

4. Particolare tenuità del fatto e responsabilità amministrativa degli enti………. ... 109

5. L’applicabilità dell’istituto nel processo minorile e in quello dinnanzi al giudice di pace ... 111

5.1 L’art. 131 bis c.p. nel processo minorile ... 113

5.2 La particolare tenuità nel procedimento dinnanzi al giudice di pace………115

6. L’iscrizione al casellario giudiziale dei provvedimenti di archiviazione ... 123

6.1 Dubbi di legittimità costituzionale conseguenti all’iscrizione nel casellario giudiziale anche dei provvedimenti di archiviazione……….125

CAPITOLO 4 ... 131

SPUNTI SULL’OPERATIVITA’ DELL’ART. 131 BIS C.P. NELL’AMBITO DEL DIRITTO PENALE SPECIALE ... 131

1. Premessa ... 131

1.1 Rapporti con i reati che prevedono soglie di punibilità ... 132

2. L’esclusione della punibilità nei reati in materia di circolazione stradale ... 135

3. L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto nel diritto penale tributario ... 143

3.1 Applicabilità dell’art. 131 bis c.p. agli omessi versamenti Iva………..144

3.2 Compatibilità dell’art. 131 bis con il delitto di dichiarazione infedele ... 148

(4)

3.3 Questione di compatibilità dell’art. 131 bis c.p. con il reato

tributario di indebita compensazione ... 149

4. L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto nel diritto penale del lavoro e dell’ambiente ... 150

4.1 …nel diritto penale del lavoro ... 150

4.2 …nel diritto dell’ambiente ... 152

4.2.1 La persona offesa nei reati ambientali ... 155

4.2.2 La clausola di particolare tenuità in alcuni reati ambientali ... 156

4.2.2.1 Il disastro ambientale colposo ... 157

4.2.2.2 I reati edilizi ... 157

4.2.2.3 L’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, i reati paesaggistici ... 159

4.2.2.4 Reati di inquinamento idrico ed atmosferico. ... 161

5. La clausola di particolare tenuità del fatto nel diritto societario e fallimentare ... 164

5.1 …nei reati fallimentari ... 164

5.2 …nei reati societari ... 169

CONCLUSIONI ... 172

(5)

5

(6)

6

INTRODUZIONE

Il d.lgs. n.28 del 16 marzo del 2015 ha introdotto nell’ordinamento giuridico penale italiano il nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

L’istituto non è però una novità nel panorama giuridico penale: difatti, già prima del 2015 esistevano due istituti che, in due diversi ambiti e sebbene in un rapporto di specialità rispetto all’art. 131 bis c.p., perseguivano finalità simili. Ci si riferisce all’improcedibilità per particolar tenuità del fatto (art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000) e all’istituto dell’improcedibilità per irrilevanza del fatto (art. 27 del d.P.R. N. 448 del 1988).

Il nuovo istituto è chiaramente ispirato a finalità deflazionistiche del carico giudiziario in quanto permette di operare una selezione in concreto dei casi in cui occorre effettivamente irrogare una pena così contribuendo a ridurre, quando ne ricorrano le condizioni, il già pesante carico di lavoro dell’autorità giudiziaria.

La clausola di non punibilità per particolare tenuità del fatto in ordine ai profili contenutistici individua, nei primi commi dell’articolo in commento, “criteri fattuali” utili ai fini dell’applicazione della predetta disciplina e regola, mediante l’introduzione di ulteriori articoli nel codice di procedura penale, l’operatività dell’istituto nelle diverse fasi procedimentali.

Il legislatore ha infatti predisposto una “nuova ipotesi di archiviazione” che consente al pm e anche al giudice delle fasi successive alle indagini preliminari, di poter archiviare il fatto, non perché il reo non l’abbia commesso o non sia imputabile, ma perché il fatto risulta particolarmente tenue.

La tesi si propone di analizzare i nuovi epiloghi del procedimento penale in seguito all’introduzione della clausola di non punibilità, e

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7 quindi di descrivere come l’istituto si inserisca in un tessuto di regole processuali già esistente.

Vengono così delineate le principali problematiche interpretative sorte, data la spesso sfuggente portata normativa, nonché le criticità emerse in dottrina e nelle prime pronunce giurisprudenziali.

Si rileva infatti che, nonostante il legislatore abbia individuato in astratto una fattispecie incriminatrice tipica a cui in seguito poter ricondurre la fattispecie concreta, ha lasciato al giudice ampio spazio di discrezionalità sulla valutazione circa la non punibilità in concreto del fatto contestato. Quello che emerge è che spesso, nonostante teoricamente ci siano tutti i presupposti per l’applicabilità della causa, questa non viene applicata dal giudice sulla base di altre valutazioni inerenti al caso concreto.

L’estrema discrezionalità del giudice però spesso porta a soluzioni contrastanti e non può non rilevarsi come una tale impostazione non sia del tutto in linea con i principi di certezza del diritto, di uguaglianza di fronte alla legge e di prevedibilità della decisione. Principi tra l’altro non solo posti alla base dell’ordinamento penale, ma specialmente a garanzia del cittadino e di uno stato di diritto.

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8

CAPITOLO 1

PROFILI DI DIRITTO SOSTANZIALE

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’iter di approdo della riforma e l’introduzione dell’art. 131 bis c.p. – 3. La Corte di Cassazione afferma alcuni rilevanti principi in materia – 4. Questioni di compatibilità della nuova causa di non punibilità con il diritto fondamentale alla “presunzione di innocenza” di cui all’art. 6 Cedu. –5. Il contesto costituzionale. – 6. I presupposti applicativi per l’operatività dell’istituto. – 7. Le ipotesi escluse.

1. Premessa

Il capitolo si propone di eseguire una disamina, dal punto di vista storico, dei precedenti parlamentari e delle vicende legislative di una delle principali riforme del sistema sanzionatorio penale, realizzate in attuazione della legge delega n.67 del 2014, art.1,1comma lett. M, e al conseguente decreto legislativo attuativo 16.3.2015, n. 28.

Mediante tale decreto, è stato inserito, con l'introduzione dell’art. 131-bis c.p., il nuovo istituto della “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”.

L’introduzione di una clausola di tenuità era finalizzata a esigenze di giustizia quotidianamente sperimentate nelle aule giudiziarie, dove la “stridente contraddizione di un’applicazione di sanzioni fortemente ineccepibili ma obiettivamente sproporzionate alle reali dimensioni dei fatti, oggetto dei giudizi, costituisce una delle principali disfunzioni del sistema penale (rispetto ai valori costituzionali, alle logiche normative, al comune sentimento dei cittadini), fonte di tensione del principio di

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9 uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e a volte anche di forzature interpretative”1.

La clausola di non punibilità, ex art. 131 bis c.p., attiene a una dimensione minima dell’offesa nel quadro di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, nonché ai principi generalissimi di proporzione e di economia processuale che, come si evince dalla bozza del d.lgs. istitutivo, hanno piena ed effettiva dignità costituzionale. Tale istituto non appare come una novità: la rinuncia alla sanzione penale a fronte di “offese esigue” è infatti da non pochi anni alla base del diritto minorile, art 27 del D.P.R. n.448 del 22 settembre 1988, e del sistema penale di fronte al giudice di pace, art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274.

Nel primo caso mi riferisco alla “sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto” e nel secondo, alla “esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto”.

Essi, pur connotati da significative differenze rispetto al nuovo istituto introdotto con l’art. 131 bis c.p., con questo condividono la logica di fondo e, in parte, le funzioni.

Infatti, come emerge dalla relazione al d.lgs. n. 274 del 20002, l’istituto previsto davanti al giudice di pace “avrebbe ben potuto fungere da campo di sperimentazione per possibili future estensioni del suo raggio di applicazione”.

L’intervento legislativo in questione sembra essere il punto di arrivo di un processo “necessitato”3 essendo ormai da decenni sollecitata

1Si veda Schema di d.lgs. recante disposizioni in materia di “Non punibilità per

particolare tenuità del fatto”, audizione dei rappresentanti ANM in commissione di

Giustizia della Camera dei Deputati, 27 gennaio 2015. 2Relazione al d.lgs. n.274 del 2000, p.40 in Diritto penale.

3SANTORIELLO C., La clausola di particolare tenuità del fatto, Dike Giuridica Editrice, Roma, p. 132.

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10 l’estensione applicativa dell’istituto ed essendone stata proposta l’introduzione in gran parte dei progetti ministeriali di riforma del codice penale.

Peraltro, la necessità di una nuova disciplina ispirata a finalità deflazionistiche del sistema penale, è coerente con precedenti interventi legislativi finalizzati a tal fine e ancora più importante è in linea con il principio di sussidiarietà e con il principio di proporzione: l’ottica è quella della pena come “ultima ratio” e, di conseguenza, la necessità di precluderla quando emerga l’esiguità dell’offesa e quindi l’esenzione dalla sanzione penale4.

A differenza degli interventi di depenalizzazione che operano in astratto, 5 in questo caso il legislatore ha voluto realizzare una “depenalizzazione in concreto”, mantenendo il fatto come reato ma attribuendo al giudice il potere discrezionale di scegliere caso per caso se il fatto sia tenue e quindi non suscettibile di sanzione penale, sulla base di precisi parametri normativi6.

L’istituto dell’irrilevanza del fatto ha poi solido riscontro nel panorama europeo, in cui allo stesso modo, si è mossi dall’esigenza di precludere dall’ambito di irrilevanza penale singole condotte detenenti un basso grado di offensività, le quali appesantirebbero le aule giudiziarie, riducendo le risorse per la definizione di procedimenti di reale allarme sociale.

Si pensi all'istituto della “mancanza di meritevolezza della pena” nell'ordinamento austriaco in cui si prevede che:

“Quando, per un fatto perseguibile d'ufficio è prevista una pena pecuniaria, una pena detentiva non superiore a tre anni o le due pene congiunte, esso non è punibile se:

4 BARTOLI R., L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, Riv. It.

Dir. Pen. Proc., 2015, p. 661.

5 TRINCI A., Particolare tenuità del fatto, Giuffrè Editore, 2016, p.7. 6 Ibidem

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11 1. la colpevolezza dell'autore è irrilevante;

2. il fatto non ha comportato conseguenze o ha comportato soltanto conseguenze insignificanti o, in seguito a uno sforzo serio dell’autore, le conseguenze del fatto sono state nella loro essenzialità elise, riparate o comunque compensate;

3. non si impone una punizione per trattenere l'autore dal commettere altri reati o per prevenire la commissione di reati da parte di altri”7.

Si pensi anche all'art 153 c.p. tedesco, che ammette una clausola di “non luogo a procedere per esiguità”.

Il pubblico ministero, con il consenso del giudice, può astenersi dall'esercizio dell'azione penale quando, trattandosi di delitto, la colpevolezza dell'autore si presenta esigua e quando manca l'interesse pubblico al procedimento penale.

Se le conseguenze del fatto sono oggettivamente irrilevanti, non è neppure necessario il consenso del giudice8.

O ancora agli istituti del “fatto di scarsa rilevanza penale” e delle “archiviazioni incondizionate e condizionate del sistema penale-processuale sloveno”9.

7 FORNASARI G., Profili di giustizia conciliativa dell'esperienza di diritto

comparato, in Picotti-Spangher (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”,

Milano, 2002, p. 69 ss.

8 MORGENSTERN C., “Diversion” e sanzioni non detentive nell'ordinamento

penale tedesco: una comparazione con il sistema penale italiano del giudice di pace,

Picotti-Spangher (a cura di), Competenza penale del giudice di pace e “nuove“pene

non detentive, p. 91 ss.

9 FOLLA N., Riflessioni sul nuovo sistema penale sloveno, Riv. It. Dir. Proc. Pen.,

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12

2. La clausola di particolare tenuità del fatto: l’iter

di approdo della riforma e l'introduzione

dell'articolo 131 bis c.p.

“La nostra attuale legislazione fa un uso eccessivo dell’arma della pena. Ci sarebbe da riflettere, se non meriti di trovare di nuovo accoglimento il vecchio principio del ‘minima non curat praetor’, o come regola di diritto processuale (intesa come superamento del principio di legalità), o come norma di diritto sostanziale (intesa come esenzione da pena per violazioni di lieve entità)”10.

Le parole elaborate da von Liszt alla fine degli anni’80 sembrano essere oggi una vera e propria profezia. Le tematiche adottate dal celebre penalista, riguardo il fenomeno dell’ “ipertrofia del diritto penale”, sono oggi un tema di profonda attualità.

L’intento principale del diritto penale moderno infatti è, da un lato, quello di tendere all’obiettivo deflattivo e dall’altro quello di calibrare l’esercizio del potere punitivo sull’effettiva gravità del fatto.

Muovendosi in tal senso, la legge 28 aprile n. 67 del 2014 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della particolare tenuità del fatto. Atteso da diversi anni e presente in vari precedenti progetti di riforma mai andati a buon fine, il nuovo istituto ha radici lontane nel tempo ed ha la funzione di ripristinare un sistema basato sull’efficienza e la proporzionalità. E’ poi diretto a promuovere un risanamento della giustizia, superando l’inefficienza del sistema penale, legata al fenomeno dell’ipertrofia.Il fenomeno allude a un’esponenziale crescita del numero delle fattispecie incriminatrici e al conseguente aumento di condotte criminali detenenti un basso grado di offensività.

10 LISZT V., Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Berlino, 1903, p. 76, in PALIERO

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13 Il processo di inflazione della pena, che da tempo impegna il legislatore nel tentativo di cercare possibili interventi a soluzione del problema, è una preoccupazione non recente.

Tornando indietro nel tempo si possono ravvisare dei riferimenti già in opere di autori ispirati al pensiero illuministico, in cui l’auspicio degli stessi sembra essere quello di una “legislazione penale più contenuta”. Anche i penalisti della scuola positiva denunciavano la crescente rilevanza penale di delitti ravvisabili come semplice indisciplina (ubriachezza, vagabondaggio..), perdendo di vista i fenomeni di maggior allarme sociale.

A pochi anni dalla fine della Guerra, Carnelutti iniziò a parlare di “fenomeni di inflazione legislative”. Il giurista sottolineava come un simile effetto portasse a un’inevitabile “svalutazione delle leggi, specialmente della loro efficacia generalpreventiva”11.

Il problema in questione si è sviluppato in fasi e momenti storici distinti, e perlopiù si possono constatare maggiori aggravi nelle fasi di più profonde modificazioni dei contesti sociali e culturali.

In particolare maggiori riscontri del fenomeno dell’ipertrofia del diritto penale si sono avuti con le codificazioni unitarie della seconda metà dell’800, in seguito all’instaurazione dello Stato liberale a discapito dell’assolutismo e conseguenti all’obiettivo della semplificazione del diritto nell’ottica del superamento del “particolarmismo giuridico”. Con lo Stato liberale infatti si ebbe il trasferimento di competenza al giudice criminale per le infrazioni minori, precedentemente rilevate dall’esecutivo, e il superamento dei regimi penali differenziati ad es. per status sociale o qualifiche personali.

A ciò, di converso, seguì un’inevitabile incremento del numero dei reati per fattispecie che, in precedenza, non avevano alcuna rilevanza penale

11 CARNELUTTI F., La crisi della legge,1930 in Discorsi intorno al diritto, Padova

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14 ma detenevano esclusivamente valore di trasgressioni amministrative; ciò portò nell’area del penalmente rilevante anche “lesioni bagatellari”a persone o al patrimonio, illeciti amministrativi o di polizia.

Era l’autorità di polizia a detenere però il potere di applicare la pena. Solo con la L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, si ebbe il definitivo processo di giurisdizionalizzazione, con l’attribuzione alla giurisdizione ordinaria “anche delle cause per contravvenzione”: quindi l’estensione dell’azione penale pubblica a delitti di poca rilevanza politica o a fattispecie di reato lievemente lesive.

I giuristi dell’epoca rilevano come l’errore più grave fu proprio quello di aver irrigidito le fattispecie penali, classificando come reati anche fattispecie di scarsa rilevanza determinando un chiaro aumento delle notizie di reato. La conseguenza diretta fu un aumento del carico giudiziario che pian piano portò a una paralisi della giustizia penale. Anche con la successiva trasformazione dello Stato di diritto di stampo liberale in Stato sociale è costante il ricorso allo strumento penale a presidio delle specifiche discipline settoriali.

Il legislatore, laddove ravvisi un abuso, pensando di conoscerne le cause e le relative conseguenze, tende a proibire il comportamento invece di trovare una soluzione volta a impedire che la violazione venga nuovamente commessa.

Questa è la ragione per cui le “leggi proibitrici” crescono a dismisura, facendo apparire sempre più limitata la libertà dei consociati.

Fin dalla metà degli anni’80 il tentativo a risoluzione del problema fu quello di enunciare, in via normativa, dei criteri per selezionare vicende che, pur non meritevoli in astratto di essere espulse completamente dalla sfera della giustizia penale, finiscono per assumere forme di reato che fanno apparire eccessiva la risposta punitiva dello Stato con l’instaurazione del processo.

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15 Ma la mancanza di uno strumento sanzionatorio che si ponesse in una posizione di reale alternatività alla sanzione penale ostacolava qualsiasi progetto di depenalizzazione.

La sanzione amministrativa infatti deteneva solo una funzione riparatoria a presidio di interessi particolari riferibili alla pubblica amministrazione, cosicché la sanzione penale rimaneva di fatto la sola in grado di esplicare una funzione punitiva. La distinzione fra illecito penale e illecito amministrativo si sostanziava su un piano qualitativo, con la conseguenza di precludere qualsiasi fungibilità tra i due tipi di sanzione, non lasciando nemmeno spazio per una valutazione discrezionale del legislatore12.

Fortunatamente in seguito andò consolidandosi un diverso orientamento secondo il quale, all’interno del genus della sanzione amministrativa si potevano individuare singole species con lo scopo di prevenire gli illeciti e svolgere una funzione sostitutiva della pena. Proprio da qui prese le mosse un modello di sanzione amministrativa punitiva che si ritrova nella legge 689/1981 e che ha consentito alla depenalizzazione di diventare il punto centrale della politica criminale italiana sino alla fine degli anni ’90.

Nonostante la legge 689/1981 viene considerata il fulcro da cui si sviluppa in Italia il processo di depenalizzazione, questa non fu però in grado superare veramente i limiti delle prime leggi di depenalizzazione13.

La legge andò a depenalizzare tutti i reati sanzionati con la sola pena pecuniaria (multa oltre che ammenda), non tenendo conto dei limiti edittali (art. 32, co. 1), ma salvaguardò quelle fattispecie in cui la

12 DOLCINI E., Sanzione penale o sanzione amministrativa: problemi di scienza della

legislazione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1984, pp. 591-592.

13 Il riferimento è alla Legge di depenalizzazione 3 maggio 1967, n. 317; alla L. 9

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16 sanzione amministrativa poteva apparire sproporzionata per difetto oppure inadeguata alle funzioni di prevenzione e di repressione14. Il legislatore ebbe quindi parecchie difficoltà, in ambito applicativo, in seguito alla L. 689 del 1981 e a dimostrarlo fu la legislazione successiva all’entrata in vigore della legge che, non fu sempre coerente e chiara nello stabilire quando e in quali ipotesi si dovesse ricorrere alla sanzione amministrativa e quando a quella penale.

La conseguenza fu che, per alcune materie “depenalizzate” dalla L. N. 689, tornò ad essere applicata la sanzione penale e per le materie in cui la “depenalizzazione” fu esclusa operò invece la sanzione amministrativa.

Diviene quindi necessario individuare criteri guida della discrezionalità legislativa nella scelta dei fatti meritevoli di tutela penale.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri di lì a poco li individuò nel principio di proporzione e nel principio di sussidiarietà.

Questo rese il legislatore maggiormente consapevole degli strumenti di cui poteva disporre, permettendogli di dare vita negli anni ’ 90 a una serie di diverse attività di depenalizzazione15.

Un altro importante intervento di depenalizzazione in Italia fu quello che si ebbe con l’introduzione della legge 25 giugno 1999, n. 205 che

14 LARIZZA S., Profili critici della politica di depenalizzazione, in Riv. It. Dir. Proc.

Pen., 1981, p. 61 ss.

15 Ad es., La legge 28 dicembre 1993, n. 561, in materia di “Trasformazione di reati

minori in illeciti amministrativi”, ha portato alla depenalizzazione di diversi illeciti penali utilizzando due criteri: quello del loro modesto disvalore (cioè del coefficiente di offensività, che consente la loro sanzionabiltà attraverso semplici misure amministrative pecuniarie) e quello della loro significativa incidenza sul carico

giudiziario (cioè la capacità di ridurre il numero dei procedimenti penali pendenti in

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17 ha delegato il Governo a depenalizzare i reati minori e a modificare il sistema penale e tributario16.

La legge in questione rileva non solo sul piano della depenalizzazione ma anche della deflazione complessivamente intesa, suggerendo parecchi spunti a soluzione del contenimento dell’area penalmente rilevante: dalla depenalizzazione in concreto, alla decriminalizzazione in astratto, all’adozione di meccanismi di deflazione in concreto (come l’allargamento del novero dei reati perseguibili a querela).

Dopo una lunga e non sempre insoddisfacente stagione, in cui le forti esigenze di riordino della giustizia penale paiano essere tradotte in plurime leggi di depenalizzazione, la continua volontà di rinnovamento sembra pretendere dal legislatore più sofisticati strumenti di intervento capaci non solo di elidere ma anche di adeguare la risposta dell’ordinamento alle peculiarità del fatto tipico posto in essere in concreto.

Nell’ambito del processo ordinario una importante soluzione in tal senso si ebbe, come si accennava nelle considerazioni iniziali, solo dopo diversi tentativi di introduzione di quella che oggi può dirsi una “clausola di esclusione della punibilità per particolare tenuità de fatto”.

Facendo un passo indietro, un importante tentativo di introduzione dell'istituto fu proposto dalla Commissione Grosso nel 2000-2001, che diede un enorme contributo in materia, cercando di concentrare le modeste risorse a disposizione nell'accertamento delle fattispecie più gravi e di maggior allarme sociale, lasciando che le ipotesi minori cadessero in prescrizione.

Con la XVI legislatura si ebbe un'iniziativa parlamentare che presentò un disegno di legge in materia, mai approvato dalla Commissione di

16LATTANZI G., LUPO E., Depenalizzazione e nuova disciplina dell’illecito

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18 Giustizia della Camera, ma che tentò di individuare i parametri, le modalità e le eventuali conseguenze dannose o pericolose della condotta ai fini dell'accertamento della particolare tenuità del fatto. Il testo prevedeva la necessità di modifiche al procedimento penale minorile e al rito penale difronte al giudice di pace, spinto da esigenze di coordinamento.

Il tema venne poi ripreso dal ministro Cancellieri a lato della più ampia riflessione sulla riforma del sistema sanzionatorio.

Venne quindi istituita una commissione di studio ad hoc, sulla base del precedente disegno di legge n.5019 recante “Delega al governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, e sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili”.

Anche tale iniziativa non ebbe riscontro, ma ebbe il merito di allargare notevolmente la portata originaria della riforma senza la necessità di riformare il codice17.

Il passo decisivo si ebbe grazie al legislatore parlamentare con i progetti di legge nn. 331 e 927 che scaturirono poi nella legge n. 67 del 2014 che, rispetto alla proposta legislativa iniziale si arricchì di ulteriori contenuti, uno tra i quali l'istituto della particolare tenuità del fatto18. La legge n. 67 del 2014 all’articolo 2, prevede una delega al Governo per riformare la disciplina sanzionatoria dei reati e contestualmente introdurre sanzioni amministrative e civili, nel rispetto di una serie di principi e criteri direttivi (comma 1).

Nello specifico, il comma 2 dell’art. 2 è relativo alla depenalizzazione, mentre il comma 3 attiene all’abrogazione di reati e al passaggio delle relative sanzioni penali in sanzioni civili.

17 PALAZZO F., Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture, Riv. It. Dir.

Proc. Pen., 2014, pp. 1704 ss.

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19 Nel 3 comma è stata poi inserita anche una delega per la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina.

Il Governo ha trasmesso al Parlamento due distinti schemi di decreto legislativo:

 l’A.G. 145, in attuazione del comma 2 dell’art. 2 della legge n. 67 del 2014, “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di depenalizzazione”;

 l’A.G. 146, in attuazione del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 67 del 2014, “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili”.

Il 4 comma impone che i decreti legislativi siano adottati entro il termine di 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega. La disposizione prevede anche che sugli schemi dei decreti legislativi debbano dare il loro parere le competenti commissioni, entro il termine di 30 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti divengono efficaci anche in mancanza dei pareri.

Si stabilisce poi che, il Governo tenga conto delle eventuali modifiche della normativa vigente fino al momento dell'esercizio della delega. Si prevede che i decreti legislativi contengano le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia.

Infine il comma 5 stabilisce che, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti, possono essere emanati uno o più decreti correttivi ed integrativi nel rispetto della procedura, di cui al comma 4, nonché dei principi e criteri direttivi19.

19 SERVIZIO STUDI UFFICIO RICERCHE SULLE QUESTIONI

ISTITUZIONALI, GIUSTIZIA E CULTURA, Dossier n. 258, XVII Legislatura, 2015.

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20 Dopo il conferimento di quattro distinte deleghe da parte del Parlamento al Governo, una commissione di studio fu incaricata di elaborare proposte per l'attuazione, predisponendo, a termine del lavoro, quattro diversi articolati uno per ogni delega.

Il lavoro della commissione risultò molto vario poiché mancavano veri e propri criteri direttivi e i principi delle varie deleghe e, si ebbero diverse difficoltà in ragione della natura innovatrice dell'istituto. Il lavoro conclusivo fu concretizzato in un decreto legislativo che fu sottoposto all'approvazione delle camere: in Parlamento si valutò attentamente, anche grazie al contributo di magistrati e avvocati, la conformità dell'istituto con le normative esistenti, e gli effetti che potrebbero derivare dalla sua applicazione.

Il testo venne approvato ed entrò in vigore con decreto legislativo attuativo n. 28 del 16 marzo 201520.

3. Corte di Cassazione a pochi giorni dell'entrata in

vigore dell'art 131 bis c.p., afferma importanti

principi in materia

Subito dopo l'entrata in vigore della causa di non punibilità di cui all'art 131 bis c.p., la Corte di Cassazione è intervenuta in materia affermando alcuni importanti principi di diritto21, utili non solo per la comprensione dell'istituto, ma specialmente funzionali a colmare dubbi interpretativi sin da subito emersi dalla portata letterale della norma.

20SANTORIELLO C., La clausola di particolare tenuità del fatto, p. 135.

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21 Il primo principio che può essere ricavato implicitamente dalla sentenza della Corte attiene alla valutazione circa la compatibilità dei reati che prevedono soglie di punibilità, (come i reati ambientali, i reati in materia di circolazione stradale come la guida in stato di ebbrezza o, come nel caso di specie, i reati tributari) con la causa di non punibilità ex art 131 bis c.p.

La sussistenza di soglie di punibilità potrebbe rilevare come una “presunzione legale di rilevanza dei fatti” che di fatto si collocherebbe al di sopra delle soglie previste per l'applicabilità dell'art 131 bis c.p. Tuttavia tale possibilità viene sopperita laddove si asserisca che le soglie in questione misurino l'offesa rilevante (danno o pericolo), e per tale ragione è possibile applicare l'art 131 bis c.p., anche per i reati che si collochino di poco sopra le soglie stesse.

La stessa giurisprudenza costituzionale ha affermato (in materia di detenzione di stupefacenti in quantità superiore a quella per uso personale) che spetti al giudice accertare “l'offensività in concreto della condotta” e rilevare l'eventuale tenuità del fatto anche in caso di "eccedenza accertata di modesta entità" rispetto al limite-soglia22. Quindi il primo principio prevede che l'art 131 bis c.p. può essere applicato anche ai reati che prevedono soglie di punibilità.

Il secondo principio afferma che la nuova disciplina, più favorevole al reo, è applicabile retroattivamente ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art 131 bis c.p. (infatti nel caso in questione il reato tributario oggetto del giudizio della S.C. risale al 2009).

La Corte però precisa che ai fini della suddetta applicazione è necessario guardare alla norma incriminatrice nella versione vigente al tempo della commissione del fatto, se diversa da quella vigente al momento del giudizio. Il reato tributario in questione, quando il fatto fu

22Corte costituzionale, sent. 11 luglio 1991, n. 333, in dottrina Marinucci G.- Dolcini E., Manuale di diritto penale. Parte generale, IV ed., Giuffrè, 2012, p. 211.

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22 commesso era punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni; dopo la riforma del 2010, la pena, nell'ipotesi di imposte di ammontare superiore a 200.000 euro (come nel caso di specie) è quella della reclusione da uno a sei anni: pena che precluderebbe l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., come di fatto è avvenuto nel caso in esame. Tuttavia la Cassazione ha di fatto ammesso in via di principio l'applicabilità dell'istituto in esame, in una simile situazione.

Una tale soluzione sembra porsi in contrasto il principio in tema di successione di leggi penali - il c.d. divieto di terza legge, corollario del principio di legalità. Il giudice, infatti, deve individuare la legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, tra quelle vigenti al momento del fatto o al tempo del giudizio: non può combinare l'un l'altra, unendone insieme gli aspetti favorevoli23.

Il terzo principio stabilisce che la questione circa la particolare tenuità del fatto, può essere proposta anche nei giudizi di legittimità, in tal senso dispone l'art 609, 2 comma, c.p.p., secondo il quale si estendono alla Corte di Cassazione le questioni che non sarebbe possibile dedurre in appello.

L'ultimo principio, correlato al terzo, attiene all' l'oggetto del giudizio di legittimità nell'ipotesi in cui la Corte sia chiamata, come nel caso di specie, a valutare l'applicabilità della disciplina sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha stabilito che “la valutazione

23 Cassazione Penale, Sez. IV, 17 gennaio 2013, n. 7961: "In materia di successione nel tempo di leggi penali, il giudice, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole, deve applicarla nella sua integralità, senza poter combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell'altra legge secondo il criterio del 'favor rei', atteso che in tal modo verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore con violazione del principio di legalità”.

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23 deve essere in questo caso limitata alla sussistenza in astratto dei presupposti di applicabilità dell'istituto” (particolare tenuità dell'offesa e non abitualità del comportamento), emersi nel giudizio di merito e risultanti dalla motivazione della sentenza impugnata.

In caso di sussistenza in astratto dei presupposti per l'applicabilità della disciplina dell'art. 131-bis c.p. la Cassazione provvederà all'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; diversamente escluderà l'applicazione dell'istituto, rigettando il ricorso.

Il rigetto del ricorso fa infatti leva su plurimi dati presenti nella sentenza impugnata - l'inflizione di una pena superiore al minimo edittale, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancata reiterazione dei “benefici di legge”, in presenza di un precedente penale (non specifico) - "chiaramente indicativi di un apprezzamento sulla gravità dei fatti addebitati...che consentono di ritenere non astrattamente configurabili i presupposti per la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis c.p."-.

Consentendo una definizione anticipata del procedimento, l'istituto della irrilevanza realizza anche una deflazione processuale, a sua volta declinazione del principio di proporzionalità, essendo lo sforzo processuale per fatti modesti sproporzionato sia per l'ordinamento sia per l'autore del reato. Dall'altro canto la proporzione tra disvalore del fatto e la risposta punitiva, che trova autonomo riconoscimento nell'art. 49, 3 comma, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ove si stabilisce che “le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”, è una proiezione del principio di ragionevolezza, che assume rilevanza in materia penale soprattutto alla luce della finalità rieducativa della pena , art. 27, 3 comma Costituzione , che esige che il trattamento sanzionatorio sia proporzionato all'effettivo disvalore del fatto.

La nuova clausola di non punibilità costituisce anche un esito indiretto della nota sentenza della Corte Edu, Sezione II, 8 gennaio 2013,

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24 Torreggiani e altri c, Italia sul Sovraffollamento delle carceri, che ha condannato l'Italia per la violazione dell'art. 3 della Cedu, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, a causa delle inumane condizioni in cui erano i detenuti nelle carceri italiane.

4. Questioni circa la compatibilità della nuova causa

di non punibilità con il diritto fondamentale alla

“presunzione di innocenza” di cui all'art 6, comma

2 della CEDU

L'art. 6 CEDU stabilisce che “ogni persona accusata di un reato si presume innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”24. Il principio in questione viene ad essere considerata una “garanzia procedurale”, che, per sua natura, impone delle condizioni affinché il diritto venga garantito: in primo luogo l'onere della prova in capo all'accusa e in secondo luogo la regola di giudizio secondo la quale in caso di “ragionevole dubbio circa la colpevolezza” questa debba risolversi in favore dell'accusato.

Rileva poi il diritto al silenzio e al diritto esplicitato nel brocardo latino “Nemo tenetur se detergere”25.

La Corte Europea dei Diritti Umani estende tale principio non solo ai procedimenti penali pendenti, endoprocessuali, ma anche ai procedimenti extraprocessuali, conseguenti al definitivo

24 Giurisprudenza della Corte EDU, nella Sentenza “Affaire Allen c. Regno Unito”,

12 luglio 2013, p. 99 e ss. Nello stabilire che l'art. 6, 2° comma CEDU “protegge il diritto di tutte le persone ad essere presunte innocenti fino a che la propria colpevolezza non sia stata legalmente accertata”.

25 Esprime un principio di diritto processuale penale in forza del quale nessuno può

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25 proscioglimento dell'accusato, e costituenti un completamento dei procedimenti penali ove l'interessato deteneva la parte di “imputato”. Quest'ultima ipotesi è funzionale a impedire che, colui che sia stato assolto per mancanza di prove sufficienti alla sua incriminazione, sia trattato da parte delle autorità pubbliche come di fatto “colpevole del reato imputatogli” e, soprattutto, che vengano rispettate le garanzie di un processo equo, come quello enunciato dall'art. 6 CEDU.

Sul punto il giudice europeo ha chiarito che “il dispositivo di una sentenza di proscioglimento deve essere rispettato da ogni autorità che si pronunci direttamente o incidentalmente sulla responsabilità penale dell'interessato”26.

Con riferimento invece a una vicenda italiana, in cui il ricorrente, nonostante fosse stato prosciolto mediante provvedimento di archiviazione, lamentava la motivazione del provvedimento stesso poiché dalla stessa emergeva una sostanziale colpevolezza nei suoi confronti, la Corte di Strasburgo ha precisato che occorre distinguere tra “decisioni che riflettono una sensazione di colpevolezza della persona interessata, e quelle che si limitano a descrivere uno stato di sospetto”.

In rifermento alle prime, si deve ritenere che violino il diritto fondamentale alla presunzione di innocenza stabilito dall'art. 6 CEDU, comma 2, in relazione alle seconde invece la Corte le considera conformi alla Convenzione27.

Date queste premesse bisogna valutare se l'istituto della particolare tenuità del fatto risulti rispettoso, in tutte le sue accezioni, di tale fondamentale diritto alla “presunzione di innocenza”.

Si può intanto partire dicendo che l'art 131 bis c.p., esclude l'applicabilità della pena ma non esclude l'antigiuridicità penale del

26 Corte EDU, 27 settembre 2007, “Vassilios Stavropoulos c. Grecia” p. 39, ricorso n.

35522/04.

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26 fatto, finendo comunque per detenere gli stessi effetti di un provvedimento formale di condanna. Con la conseguenza che, nel giudizio civile di danno, che si apre dopo la chiusura del procedimento penale mediante assoluzione per particolare tenuità del fatto, si dà per provata la colpevolezza dell'imputato nonostante la stessa non sia stata mai legalmente accertata. Emergerebbe quindi un evidente contrasto con l'art. 6 CEDU, a meno che non si faccia riferimento alla distinzione fatta propria dalla Corte Costituzionale nella sentenza n°49 del 201528, che ha voluto propendere per una concezione sostanzialistica di colpevolezza e condanna, piuttosto che per una visione formale e provvedimentale.

Sul punto la Corte Costituzionale, nella valutazione circa la compatibilità o meno dell'art 131 bis c.p. con l'art 6 CEDU, si è espressa nel senso di dover in primo luogo procedere a un'interpretazione “convenzionalmente conforme alla norma interna” per poi solo in seguito poter procedere a sollevare una questione di legittimità costituzionale ai sensi del combinato disposto dell'art. 6, comma 2 CEDU con l'art. 117 Costituzione.

La Corte ha suggerito ai giudici di esprimersi più in termini di sospetto che non di certezza processuale sulla preliminare valutazione di colpevolezza dell'imputato-indagato poiché il disposto normativo in sé non sembra poter dar soluzioni circa un eventuale incompatibilità con l'art 6. CEDU29.

28 Corte Costituzionale 14 gennaio - 26 marzo 2015 n°49, punto 6.2 del “Considerato in

diritto” in Corte costituzionale.

29 BIONDI G., Non punibilità per particolare tenuità del fatto e presunzione di

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5. Il contesto costituzionale

Interessante è anche delineare il contesto costituzionale in cui si inserisce l'art. 131 bis c.p. che deve assolvere a ruolo di guida per la giurisprudenza nell'interpretazione della norma, tale da delineare canoni di giudizio chiari, espliciti e concordanti circa l'ambito applicativo della stessa. Tali criteri incidono da un lato sul piano del necessario bilanciamento di diritti di pari rango, con riferimento al pluralismo di valori su cui si fonda la Costituzione italiana; dall'altro incidono sul piano dell'argomentazione, in quanto la riforma non attribuisce alcuna discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale del p.m., ma si tratta invece di una causa di non punibilità la cui esistenza dovrà essere accertata, su istanza del p.m. o d'ufficio, da un giudice terzo con decreto motivato, o con sentenza all'esito di una udienza preliminare o nel corso del dibattimento.

In aderenza al primo punto a rilevare è l'art. 112 della Costituzione, “il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale” e l'art. 27 della Costituzione che sancisce il principio della necessaria proporzione tra la pena e il fatto-reato commesso, in un'ottica rieducativa del condannato.

L'art. 112 della Costituzione può essere riconducibile poi a tre altri diversi valori di rango costituzionale: 1) il principio di uguaglianza, art. 3 Costituzione; 2) il principio di legalità, art. 25, 2 comma Costituzione; 3) il principio dell'indipendenza esterna del p.m.

La ratio dell'art. 27 della Costituzione è quella invece di adeguare le risposte punitive ai casi concreti nella prospettiva di attribuire alla pena una funzione rieducativa30.

30 Corte costituzionale, sent. 15-24 giugno 1992, n°299, “L'uguaglianza di fronte alla

pena viene a significare proporzione della pena rispetto alle personali responsabilità e alle esigenze di risposta che ne conseguono, svolgendo una funzione che è essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della

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28 Con l'introduzione dell'art. 131 bis c.p. non si assiste, come a detta di molti, a un'ipotesi di contrasto costituzionale ma come un necessario contemperamento di interessi costituzionali concorrenti.

Spetterà all'autorità giudiziaria stabilire cosa sia da considerarsi offensivo e quindi rilevante ai fini penali, e cosa invece debba ritenersi irrilevante ai fini della responsabilità31.

Sarà quindi una valutazione complessiva circa i precedenti penali e l'excursus criminale dell'imputato a consentire l'applicazione o meno dell'art. 131 bis c.p. Quello che invece è un limite imposto dalla Costituzione all'autorità giudiziaria, è la valutazione circa l'offensività in astratto, poteri spettante alla sola Corte Costituzionale.

In conclusione si può ben dire che, relativamente al profilo costituzionale, la nuova causa di non punibilità impone al giudice un attento esame circa la valutazione sull'applicabilità meno della norma, art. 131 bis c.p. al caso concreto.

Il giudice dovrà porre in essere un vero e proprio bilanciamento di interessi contrapposti.

potestà punitiva statuale. In conclusione, sussiste di regola l'esigenza di un'articolazione legale del sistema sanzionatorio, che rende possibile tale adeguamento individualizzato, proporzionale, delle pene inflitte con sentenze di condanna. Di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento normale”.

31 Fino all'introduzione dell'art 131 bis c.p. Esisteva solo l'art. 49, 2°comma c.p., cioè

il reato impossibile, reato privo di offensività del fatto. Oggi tra il novero di reati che la Corte di Cassazione comprendeva tra i reati impossibili, come ad esempio il furto di merce di modesto valore, rientrano nell'ambito della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.

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6.

Presupposti

applicativi

per

l’operatività

dell’istituto

Il legislatore delegato ha vincolato l'operatività della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla necessaria sussistenza di alcune precise condizioni che vanno a delimitare la portata applicativa della norma, impedendo di fatto la realizzazione di una depenalizzazione in concreto che porterebbe a una riduzione del controllo sulle scelte di politica criminale. Il legislatore nel farlo si è mosso lungo due direttrici:

 La prima incanalata lungo la disciplina sostanziale contenuta nell'art. 131 bis c.p., che pone le condizioni e i limiti di applicabilità della causa di non punibilità;

 La seconda invece si pone sul piano processuale, agli artt. 411 e 469 c.p.p., e nel nuovo art. 651 bis c.p.p., oltre che alle modifiche in materia di casellario giudiziale (artt. 3-4-24-25-DPR 313/2002).

Tre sono i presupposti applicativi alla base dell'art.131 bis c.p.:

1. Con riferimento alla pena edittale: deve trattarsi di “reati puniti in astratto con una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni e/o con la pena pecuniaria”;

2. Relativamente all'offesa: deve essere “particolarmente tenue” nel senso che la particolare tenuità va desunta dall'esiguità del danno o del pericolo sopportato dal bene giuridico protetto o dalla vittima dell'illecito;

3. Circa le modalità della condotta: “il comportamento non deve essere abituale o non devono essere presenti determinate circostanze”.

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30 La particolare tenuità del fatto è legata alla dimensione oggettiva dell'illecito, valorizzando da un lato la condotta e dall'altro il danno e il pericolo; emergono comunque aperture al profilo soggettivo del reato32, il richiamo è ai parametri valutativi dell'art. 133, 1 comma, c.p. Mancano invece espliciti riferimenti al grado del dolo e all'intensità della colpa, che potranno essere rilevati grazie all'accertamento sulle modalità della condotta.

6.1 I limiti edittali

La particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. ha, differentemente dai tradizionali casi di non punibilità disciplinati dal codice penale,33 “carattere generale”, poiché è applicabile in presenza di determinate condizioni, sia in caso di delitti che di contravvenzioni, con il criterio della specie (pena pecuniaria) e del massimo della pena (detentiva) prevista34.

A parere di un noto professore pisano “è illogico che il legislatore abbia fatto riferimento al massimo edittale anziché al minimo, dato che il minimo della pena è fissato a tutela dell'ordinamento poiché esprime il disvalore minimo riconosciuto all' offesa, mentre il massimo è a tutela del reo in quanto esprime la soglia oltre la quale non può spingersi la reazione”35.

32 Cassazione penale, Sez. IV, 15 settembre 2015, n. 44683. Ha qualificato l'istituto

come causa di ‘esclusione soggettiva della punibilità’, dato che l’art. 131 bis c.p. oltre ai presupposti oggettivi, prevede anche quelli soggettivi del comportamento non abituale, dell'intensità del dolo e del grado della colpa.

33 Il riferimento è agli artt. 376-384-598-599-649 c.p.

34 Art. 131 bis, comma 1, c.p.: “Pena detentiva non superiore nel massimo a cinque

anni, ovvero pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena”.

35 PADOVANI T., Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir.

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31 Cosi come presentata dal legislatore la norma porta ad esiti discriminatori, in quanto ad es. il delitto di sottrazione e trattenimento di minore all'estero (art. 571 bis c.p.) rientrerebbe nell'ambito di applicazione dell'art. 131 bis c.p. perché la pena spazia da uno a quattro anni di reclusione, mentre il sequestro di persona (art. 630 c.p.), nonostante il suo minimo edittale sia di sei mesi, è escluso perché la pena massima è di otto anni.

Nell’ambito applicativo della norma rientrerebbero quindi sia reati per cui si procede con citazione diretta, sia reati che richiedono l’esito dell'udienza preliminare e persino reati per cui sono ammesse tutte le misure cautelari personali, inclusa la custodia cautelare in carcere. Anche per i reati punti con le contravvenzioni, l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p. dovrà passare attraverso la verifica della sussistenza dei presupposti di operatività della norma.

Il comma 4 dell’art. 131 bis c.p. attiene al meccanismo di determinazione della pena edittale; il legislatore ha previsto che “non si debba tener conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (c.d. “autonome”, art 63, 3 comma c.p.) e di quelle ad effetto speciale che determinino un aumento o una diminuzione della pena base superiore a un terzo”.

Nel caso in cui ricorrano circostanze di questo tipo il giudice non potrà effettuare il giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p., ma dovrà tener conto delle circostanze aggravanti presenti, che incideranno sul calcolo del massimo edittale36.

La ragione di questa eccezione è che, circostanze autonome e ad effetto speciale configurano un reato circostanziato, assimilabile ad una “fattispecie autonoma” dal punto di vista del disvalore37.

36 CAPRIOLI F., Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità

del fatto, in Diritto penale contemporaneo, 2015, n. 2, pp. 13 ss.

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32 Peraltro se sono più le circostanze a effetto speciale a concorrere, bisogna capire se queste siano tutte aggravanti o tutte attenuanti oppure siano una aggravante e l'altra attenuante.

Nell'ipotesi di circostanze ad effetto speciale omogenee, si dovrà far riferimento alle regole di calcolo dell'art. 63 c.p.p.

L'articolo infatti prevede che, in queste ipotesi, l'aumento e/o la diminuzione della pena avverrà una volta sola, poiché eventuali altri aumenti o diminuzioni avrebbero la caratteristica di riprendere il loro effetto ordinario (4 - 5 comma) e non rientrerebbero quindi nell'ambito applicativo del 4 comma dell'art. 131 bis c.p.

Nel caso di circostanze eterogenee invece, la diminuzione opererà sulla pena risultante dopo l'applicazione della circostanza aggravante. Non si deve invece tener conto delle circostanze ad effetto comune, che determinano una diminuzione della pena base fino a un terzo.

Il legislatore però in alcune ipotesi, - come l'aver agito per motivi futili o abietti, l'aver agito con crudeltà o sevizie verso le persone, o l'aver profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa (art. 61 n.1-2-3-5 c.p.) - attribuisce ad alcune circostanze aggravanti ad effetto comune efficacia ostativa. Incerto è invece il caso se rilevano o meno le circostanze aggravanti “indipendenti”, cioè quelle circostanze del reato per le quali la legge determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato stesso (es. artt. 625 - 628, 3 comma, c.p.).

Parte della dottrina qualifica queste circostanze come rientranti in quella a effetto speciale, di cui all'art. 63 c.p., poiché paragonando la nuova cornice edittale con quella ordinaria, si determina un aumento della pena superiore a un terzo. Ecco, ciò potrebbe determinare un irragionevole disparità di trattamento tra circostanze diverse, equiparabili dal punto di vista del disvalore.

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33 La giurisprudenza di merito ha ritenuto di non poter valutare le circostanze aggravanti indipendenti ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità38.

Le circostanze autonome ad effetto speciale invece rilevano ai fini dell'applicazione dell'art. 131 bis c.p., anche nelle ipotesi in cui gli effetti sulla pena vengano annullati dal giudizio di bilanciamento con concorrenti circostanze attenuanti (art. 131 bis, 4 comma, c.p.).

La ratio è quello di impedire che il giudice sia indotto a “forzare” il canone dell'offensività per conseguire il risultato dell'impunità, neutralizzando le circostanze aggravanti.

Secondo la Corte Costituzionale, “la rilevanza delle circostanze autonome o ad effetto speciale nella quantificazione della pena, può essere neutralizzata solo con l'esclusione in fatto della loro sussistenza”39.

Nell'ipotesi quindi in cui ricorrono circostanze ad effetto speciale eterogenee, allora non si ricorrerà all’art. 69 c.p. ossia al loro bilanciamento, ma basterà applicare la circostanza aggravante ad effetto speciale nella sua massima estensione e, da qui, scegliere la minor riduzione ammessa per la circostanza attenuante ad effetto speciale. Il dato letterale della norma consente poi di tener conto di circostanze attenuanti che comportino una riduzione della pena superiore a quella ordinaria. Sembrerebbe essere quindi ammessa l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. anche per reati puniti con pena edittale massima superiore a cinque anni ma solo se, inseguito alla minima riduzione ammessa per le circostanze attenuanti, il limite edittale massimo scende sotto la predetta soglia.

38 Tribunale di Novara, sent. 15 maggio 2015, n. 673.

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34 Più immediato sembra essere il problema del calcolo della pena per il delitto tentato.

Benché non espressamente menzionato dalla norma, non può che essere ormai pacifico che il tentativo è un titolo autonomo di reato, dotato di una propria oggettività giuridica e una propria struttura, cosicché è facile concludere che per calcolare la pena edittale massima del delitto tentato occorre tener conto della pena massima prevista per il delitto consumato, ridotta di un terzo.

Basta accertare che il reato rientri nel limite edittale previsto dalla legge per poi valutare se per le modalità di condotta e l'esiguità del danno o del pericolo determino una offesa particolarmente tenue, sulla base della valutazione ai sensi dell'art. 133, 1 comma, c.p.

Anche qui rileva la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e l'intensità del dolo o il grado della colpa.

Teoricamente quindi la causa di non punibilità sembra essere in armonia con il delitto tentato.

Un esempio assai frequente nella prassi è quello della sottrazione di merce di modesto valore al supermercato, da parte di un soggetto che è stato seguito in tutta l'azione dalla vigilanza che l'ha poi fermato una volta superate le casse.

Configuratasi questa ipotesi, la Corte di Cassazione a sezioni unite40, ha stabilito che debba qualificarsi come una fattispecie di furto tentato aggravato (il riferimento è agli artt. 56, 624 e 625 n. 2 c.p.).

Se ad applicarsi fosse la diminuente di cui all'art. 56 c.p., la pena edittale massima non supererebbe i cinque anni di reclusione, mentre la fattispecie consumata e aggravata non rientrerebbe nella portata applicativa dell'art. 131 bis c.p., dato che l'aggravante configurerebbe la pena della reclusione da uno a sei anni.

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35 In più si tratta anche di una aggravante ad effetto speciale che si colloca tra le circostanze in cui il giudice deve tener conto nel calcolo del massimo edittale a fini dell'applicabilità della causa di non punibilità in esame (4 comma, art. 131 bis c.p.). Il 4 comma, art. 56 c.p. prevede il caso di recesso attivo, che riduce la pena da un terzo alla metà, in quanto si configura come una circostanza attenuante ad effetto speciale. La diminuente si calcola sulla pena per il delitto tentato, (pena massima per il delitto consumato diminuita di un terzo) ridotta ulteriormente di un terzo, salvo ricorrano una o più circostanze aggravanti ad effetto speciale.

A conclusione si può rilevare che l'esclusione di fattispecie punite con pena superiore ai limiti edittali massimi previsti per l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p., a prescindere dalla valutazione circa il caso concreto, configura non poche perplessità, non è infatti da escludersi che reati astrattamente sanzionati con una pena superiore a cinque anni di reclusione rechino di fatto un'offesa “particolarmente tenue”. Emblematico è il caso del peculato avente ad oggetto un bene di scarso valore economico che incide minimamente sulla funzionalità e sull'operatività del servizio.

Da questo esempio appare evidente come sia di fatto irragionevole circostanziare la portata applicativa dell'art. 131 bis c.p. dato che fattispecie di reato punite con pene edittali eccedenti i limiti imposti della norma, possono di fatto configurarsi come “condotte particolarmente tenui”.

Il rischio è come accennato in precedenza che l'interprete sia portato a forzare il canone dell'offensività pur di avere come risultato l’assoluzione41.

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6.2 Tenuità dell’offesa

Posto che a rilevare in tale ambito non è la mancanza assoluta di offensività del fatto, ma la sua esiguità, è bene chiarire come in primo piano debba essere significativo il profilo della lesione del bene giuridico, ossia il disvalore dell'evento, nonché il rapporto tra la tenuità e l'offesa; a differenza del diritto minorile o del sistema davanti al giudice di pace, in cui il rapporto rilevante è tra tenuità e fatto.

Si tratta di elementi che, come si è detto, attengono più al disvalore oggettivo e che permettono di tener conto del grado di lesione o esposizione al pericolo del bene, recuperando la “valutazione del mezzo criminoso” intesa sia come impiego di strumenti peculiari, sia come “luogo” e “circostanze ambientali della commissione”42.

Date tali premesse si può dire che i presupposti della “particolare tenuità dell'offesa” sono ancorati a due indici-requisiti: da un lato le modalità della condotta e dall'altro l'esiguità del danno o del pericolo.

Entrambi devono valutarsi in riferimento ai parametri di cui all'art. 133, 1 comma, c.p., parametri posti a base del giudizio sulla gravità del reato. Il richiamo all'art. 133 c.p. è stato dai primi commentatori inteso al fine “imporre al giudice di tener conto dell'intensità del dolo o del grado della colpa nella valutazione sulle modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo”43.

Quindi, relativamente alla modalità della condotta, dei parametri di cui all'art. 133, 1 comma, c.p., rilevano la natura, la specie, i mezzi,

42 PALIERO C.E., “Minima non curat praetor”, ipertrofia del diritto penale e

decriminalizzazione dei reati bagatellari, Cedam,1985, p. 741.

43 MARZADURI E., “L'ennesimo compito arduo (...ma non impossibile) per

l'interprete delle norme processual-penalistiche: alla ricerca di una soluzione ragionevole del rapporto tra accertamenti giudiziali e declaratoria di non punibilità ai sensi dell'art.131bis c.p.”, in Archivio penale, 2015, n.3, p. 3.

(37)

37 l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione, compresi l'intensità del dolo e il grado della colpa.

In particolare, per quanto riguarda il dolo, possono considerarsi esimenti della punibilità tutti i criteri di graduazione del dolo: il quantum di coscienza del fatto, ad es. un soggetto che ha agito nella rappresentazione dubbia degli elemento della fattispecie; il quantum di volontà, ad es. quando si rileva dolo eventuale; il quantum di durata e di complessità del processo de deliberazione ad es. quando un soggetto agisce con un dolo d'impeto; e il quantum di coscienza del disvalore del fatto, quando ad es. un soggetto per scarso livello di istruzione o per la sua età ha agito senza sapere che il fatto costituisca reato.

Anche con riferimento alla colpa possono e devono essere valutati dal giudice tutti i criteri di misurazione come il quantum di divergenza fra la condotta doverosa e quella tenuta, ad es. quando in caso di infrazione per superamento della velocità, si supera di poco il limite massimo di velocità consentito; il quantum di esigibilità della osservanza delle regole cautelari circa la valutazione sulla competenza, conoscenza, esperienza, abilità del soggetto agente.

Il giudice dovrà valutare anche il quantum di previsione o prevedibilità dell'evento e il tipo di motivazione che ha spinto il reo ad agire, tenendo presente i casi di particolare difficoltà ad osservare la regola di condotta, per ad es. un improvviso malore o stress emotivo, ecc. E' importante sottolineare che i criteri oggettivi posti a fondamento dell'operatività della clausola di non punibilità ex art 131 bis c.p. siano “definiti ma al tempo stesso dotati di opportuna flessibilità in modo da consentire un'applicazione dell'istituto compatibile con il rispetto del principio di obbligatorietà dell'azione penale”44.

44 Schema di d.lgs. recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare

tenuità del fatto, audizione dei rappresentanti ANM in commissione giustizia della Camera dei Deputati, 27 gennaio 2015.

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38 Per rilevare l'esiguità del danno o del pericolo occorre accertare che dalla condotta del reo sia derivato un danno-pericolo per l'interesse protetto dalla norma e che esso, nonostante sia penalmente rilevante, risulti talmente modesto da non meritare nemmeno la risposta sanzionatoria più lieve comminata dall'ordinamento per quel fatto. Il danno deve essere inteso sia come danno civile subito dalla persona offesa, sia come danno criminale ossia come offesa necessaria per l'esistenza del reato45.

L'art. 131 bis c.p., opera anche per i reati plurioffensivi, come ad es. in caso di rapina. Il giudice in questo caso valuterà se ai fini della sussistenza del reato basti la lesione anche di uno solo dei reati (c.d. plurioffensività alternativa) o se invece sia necessaria l'offesa cumulativa ad entrambi i beni giuridici tutelati (c.d. plurioffensività cumulativa). Per quest'ultimo caso si dovrà dimostrare che tutti i beni protetti dalla norma violata siano stati lesi in modo superficiale, altrimenti, laddove anche per uno solo di essi non sia stato possibile rilevare la lievità del danno, la punibilità non potrà essere esclusa.

Problematica è la questione circa l'ammissibilità ad escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto quando il reato per cui si procede preveda una soglia di punibilità, ma la questione verrà riproposta in seguito.

45 Così ad es. nei delitti contro il patrimonio l'entità del danno dovrà essere valutata

anche in relazione alle condizioni patrimoniali della vittima, secondo le linee tracciate dalla giurisprudenza nell'applicazione dell'art. 62 n. 4 c.p.; o ancora nel caso di lesioni personali il giudice dovrà valutare sia la lesione dell'integrità fisica che le perdite patrimoniali, come per es. le spese per le cure mediche, e quindi il pregiudizio alla salute e le sofferenze subite dalla vittima.

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