• Non ci sono risultati.

6. Presupposti applicativi per l’operatività dell’istituto

6.3 La non abitualità del comportamento

Ai fini della non punibilità ex art. 131 bis c.p., oltre alla particolare tenuità dell'offesa, rileva anche l'accertamento sul fatto che il comportamento del reo non risulti abituale; condizione analoga è prevista negli istituti per i minori e per i reati rimessi al giudice di pace, cambia solo la formulazione adoperata per indicare l'occasionalità del comportamento: qui il legislatore adopera la locuzione di “non abitualità”.

L'intento sembrerebbe quello di voler ampliare la portata applicativa dell'istituto, in quanto “non abitualità” sembrerebbe detenere un raggio d'azione più ampio rispetto di “occasionalità” che sarebbe sinonimo di “mancata reiterazione abituale o sistematica”46.

A fini di maggior chiarezza il legislatore delegato ha dato una definizione del requisito della non abitualità del comportamento, in disarmonia con l'intento iniziale di lasciare all'interprete il compito di darne una definizione. Il legislatore ha dato alcune linee guida nella relazione allo schema del decreto, come ad es.: quella di non poter ritenere integrato il requisito in caso di un unico precedente; quella di considerare preferibile una lettura dell'abitualità riferita al fatto oggetto di giudizio; e quella di reputare compatibile l'istituto di cui all'art. 131 bis c.p. con il reato abituale47.

La sommatoria delle varie indicazioni è ora contenuta nel terzo comma dell'art. 131 bis c.p., dove appunto si stabiliscono i casi in cui il comportamento è da considerarsi abituale: “nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun

46 PEPINO L., Art. 27, in M.CHIAVARIO (a cura di), Commentario al codice di

procedura penale. Leggi collegate I, Il processo minorile, Utet, 1994, p. 284.

40 fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate”.

È discusso se le ipotesi citate siano o meno tassative e se il giudice possa individuare altri casi di abitualità rispetto a quelli indicati nella disposizione; c'è da dire che una volta che il legislatore ha deciso di dare una definizione di “comportamento abituale”, la relativa elencazione dovrebbe potersi ritenere tassativa.

La relazione ministeriale di accompagnamento allo schema di decreto legislativo opta però per una diversa lettura della disposizione che dovrebbe riferirsi alla descrizione di “alcune ipotesi in cui il comportamento non può non considerarsi non abituale”.

Sembra comunque preferibile la tesi opposta della tassatività, data anche la portata specificatamente definitoria dell'art. 131 bis c.p. A sostegno di tale ultima posizione vi è un noto giurista pisano che la giustifica: “sia per la corrispondenza simmetrica tra le due disposizioni, sia per l'assenza di locuzioni idonee ad esprimere un intento di esemplificazione, sia soprattutto, per l'evidente esigenza di tassatività che si impone nella disciplina di una causa di non punibilità generale e comune”48.

Sul secondo punto invece, vi sono alcune indicazioni che tendono a riconoscere un potere discrezionale in capo al giudice.

In realtà la dottrina propende per l'impossibilità di ampliare la portata delle ipotesi richiamate dall'art. 131 bis, 3 comma, c.p., al fine di evitare di riconoscere una qualsiasi forma di discrezionalità al giudice con riferimento all'individuazione di circostanze la cui esistenza comporti la non applicazione della causa di non punibilità.

48 PADOVANI T., Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir.

41 La “non abitualità” per come descritta dalla norma sembra che possa ricavarsi anche da condotte per le quali non è intervenuto un precedente accertamento giudiziale definitivo49.

Tuttavia è da ritenere che il comportamento valutabile debba comunque essere verificato in termini di certezza, dovendo la valutazione essere riferibile esclusivamente all'autore del reato.

Detto questo si passa alla trattazioni delle singole ipotesi che configurano la non abitualità del comportamento ai sensi del terzo comma art. 131 bis c.p.

La prima ipotesi in esame è il caso di dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza.

Per aversi tale ipotesi è necessario che vi sia una espressa dichiarazione del giudice di abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere.

In assenza di un tale espresso provvedimento non sarà quindi ammissibile ritenere sussistente la causa ostativa, che viene meno anche nel caso in cui la citata dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato e quella di tendenza a delinquere si estinguano per effetto della riabilitazione ex art. 109, comma 4, c.p.

L'art. 131 bis c.p., infatti non menziona il contravventore abituale, per il quale non viene ammessa l'applicabilità dell'istituto ex art. 131 bis c.p. per il fatto di aver commesso più reati della stessa indole.

È quindi necessario che il giudice verifichi che l'abitualità nel reato sia caratterizzata dal fatto che il soggetto tragga dall'attività delinquenziale i mezzi per la propria vita, mentre non è sufficiente che egli abbia commesso gli illeciti per motivi di lucro. Ciò vale anche per attribuire

49 Sarà ammissibile una valutazione derivante anche da comportamenti di precedenti

giudiziari quali, condanne non definitive, declaratorie di estinzione del reato, di

42 la qualifica ex art 105 c.p., ossia è necessaria la previa contestazione della professionalità del reato.

In particolare, non essendo sufficiente la mera contestazione della recidiva, per poter affermare o negare che il reo viva abitualmente dei proventi derivanti dai commessi reati, vanno necessariamente indicate le condizioni richieste per l'abitualità nel reato e non la condotta e il genere di vita dell'imputato che formano oggetto di libero apprezzamento giudiziale.

Presupposto necessario per la dichiarazione di tendenza a delinquere è invece la commissione di un delitto non colposo contro la vita e l'incolumità individuale, per cui, a differenza dell'abitualità e della professionalità, è sufficiente la realizzazione anche di un solo delitto, purché offensivo di beni giuridici determinati.

La commissione di tale delitto, unitamente agli indici di capacità a delinquere previsti dall'art. 133, 2 comma, c.p., deve esprimere una particolare manifestazione di una inclinazione a delinquere, che derivi da una particolare malvagità del soggetto, intesa come assenza di senso dell'umanità.

È necessario poi che non ricorra un vizio totale o parziale di mente derivante da infermità o da abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti. Bisogna chiarire infine che, poiché la particolare tenuità del fatto non può che attenere al disvalore oggettivo del reato, è strano come si sia attribuita rilevanza escludente a reati di rilevante pericolosità sociale. Inoltre la norma presuppone una non abitualità del comportamento che nel caso concreto potrebbe difettare per l'eterogeneità e la distanza temporale del fatto rispetto ai precedenti valutati per la dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere.

Con riferimento invece all'aver commesso più reati della stessa indole, per integrare la seconda ipotesi è necessario e sufficiente che vi sia stata una sentenza di condanna definitiva a carico dell'interessato, per un reato della stessa indole di quello per il quale si procede, a prescindere

43 che la recidiva non è stata contestata o ritenuta sussistente o non sia tecnicamente configurabile.

La sussistenza quindi di precedenti condanne risultanti dal certificato del casellario giudiziale dell'imputato, non esclude che egli venga ritenuto non punibile ai sensi dell'art. 131 bis c.p., qualora i precedenti penali non abbiano alcun rapporto con il nuovo reato, e non siano della stessa indole secondo i parametri di cui all'art. 101 c.p.50

Il requisito dell' “abbia commesso più reati” e la ratio del “non esentare da pena chi dimostri un abitudine a delinquere”, consentono di attribuire rilevanza ostativa non solo alla condizione dell'imputato che sia già stato condannato con sentenza definitiva per un reato della stessa indole di quello per cui si procede, ma anche alla condizione dell'imputato incensurato accusato di aver commesso una pluralità di reati della stessa indole giudicati tutti nell'ambito dello stesso procedimento ove si discute sull'applicabilità dell'art. 131 bis c.p.

Inoltre se l'imputato commette più reati ma di indole diversa e tutti di particolare tenuità, non sembra esservi ostacolo all'applicabilità dell'art. 131 bis c.p.

La terza e ultima ipotesi da analizzare è quella dello “aver commesso reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”. Occorre premettere che la formulazione della norma non è precisa, in

50 Il riferimento è a quei reati in cui viene già volte violata la stessa norma, o quando

si commettano reati che per natura o fatti o per i motivi che li hanno determinati, presentino caratteri fondamentali comuni. In tal senso si è espresso il Tribunale di Massa, sentenza, 7 maggio 2015 n. 351, che ha applicato la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., ad un imputato al quale era stata contestata una recidiva reiterata e infraquinquennale, ma non specifica. A sostegno della sua decisione ha osservato che la circostanza in questione non sia di ostacolo all'applicazione della causa di non punibilità, poiché l'art. 131 bis c.p., non utilizza il concetto di “occasionalità” del comportamento, ma di “non abitualità” che richiede un quid pluris rispetto alla mera presenza di precedenti reati, dovendo il nuovo reato costituire l'anello di una catena comportamentale affinché si possa integrare la causa ostativa

44 quanto sembrerebbe doversi attribuire una lettura disgiuntiva della proposizione, nel senso che si avrebbe la configurazione dell'art. 131 bis c.p. anche al ricorrere di uno solo dei comportamenti sopra detti. C'è poi da rilevare come tali comportamenti possano essere sussistenti anche nell'ambito di un singolo reato e non è chiaro se la volontà del legislatore rispetto all'utilizzo del termine “reati”, al plurale, sia o meno funzionale a richiedere, ai fini della configurabilità del comportamento abituale, la presenza di una pluralità di reati o basti invece la commissione di un singolo reato con plurime condotte abituali o reiterate.

Diverse sono le opinioni in dottrina, ma l'opinione prevalente è quella di ritenere che l'intento del legislatore sia stato riferirsi al singolo reato a struttura complessa.

Altra incertezza è in riferimento alle “condotte plurime”, se queste siano un concetto distinto da quelle “reiterate” o se invece entrambe esprimano il concetto per il quale colui che “reitera” la condotta criminosa non possa sottrarsi all'integrazione del reato51.

Relativamente alle condotte “abituali” si ritiene che con tale espressione ci si riferisca ai reati abituali, per i quali è ormai opinione consolidata che non si debba applicare la causa di non punibilità ex art 131 bis c.p. A tale conclusione si arriva sulla scia della Relazione allo schema del decreto delegato, il quale tracciava una distinzione tra “abitualità del comportamento” e “reato abituale”, ponendo per il primo una non applicabilità dell'art. 131 bis c.p., e per il secondo una conclusione differente.

Ma la Commissione di Giustizia delle Camere, per sopperire a tale inconveniente ha nel terzo comma dell'art. 131 bis c.p. fatto riferimento alle “condotte abituali tout court”.

51 G.AMATO, Con l'estensione al giudizio ordinario si apre una nuova era, in Guida

45 La locuzione “condotte plurime” invece richiama i reati complessi e gli illeciti a consumazione prolungata. Non sembra riferirsi invece ai reati permanenti che non richiedono l'assunzione di una molteplicità di comportamenti.

Per “condotte reiterate” invece si deve fare riferimento a quei reati la cui reiterazione è l'elemento costitutivo dell'illecito e per i quali non è consentita l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p.52

Il problema principale è però quello di capire se la norma così formulata si riferisca ad ipotesi di reato in cui la condotta plurima, abituale o reiterata rappresenti elemento costitutivo del delitto così da escludere sia la tenuità, sia la sussistenza dell'illecito in caso di comportamento isolato, oppure se la norma vada ad escludere l'applicabilità della causa di non punibilità relativamente a quei reati che siano realizzati mediante reiterazione degli stessi atti a comporre un'unica azione, così da non dar luogo a una pluralità di reati, ma ad un singolo reato per la cui consumazione la reiterazione o la pluralità di condotte da parte dello stesso soggetto non è comunque necessaria. Dalla soluzione alla questione dipende il giudizio sulla tenuità dei reati “eventualmente abituali”, cioè che possono essere commessi anche con il compimento di un solo atto tipico della condotta incriminata53.

Lo stesso esito si ha per l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p., al reato continuato, nel caso in cui si configurino più condotte integranti diversi reati, nell'esecuzione dello stesso disegno criminoso.

Il terzo comma dell'art. 131 bis c.p., sembra precludere la qualificazione in termini di tenuità di quel singolo episodio delittuoso che, considerato isolatamente, appaia di gravità irrisoria ma allo stesso tempo si collochi in un rapporto di continuità con uno o più episodi criminosi, andando a

52 Il riferimento è ad es., ai reati di cui all'art. 612 bis c.p.

53POMANTI P., La clausola di particolare tenuità del fatto, in Archivio penale, 2015,

46 rappresentare l'elemento unificante una “catena comportamentale criminosa”54.

A conclusione di tali presupposti, sembra quindi che non si possa applicare l'art. 131 bis c.p., in caso di reato continuato.

Infatti se inteso come reato unico, esso ha ad oggetto condotte plurime, se inteso invece come una pluralità di reati, il soggetto agente avrà commesso più reati della stessa indole55.

L'ultima questione da porsi è se possa rientrare nelle ipotesi in esame, il reato permanente, cioè se sia ammissibile l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p.

Si ritiene che siano permanenti tutti quei reati nei quali la fattispecie è strutturata in modo tale da pretendere che la condotta tipica non possa risolversi in un istante, dovendo necessariamente durare per un certo lasso di tempo56.

Tuttavia il reato in questione viene dalla dottrina prevalente considerato come un reato unico, poiché offensivo di un unico bene giuridico. Da ciò dovrebbe derivare una ammissibilità di applicazione dell'art. 131 bis c.p., salvo ritenere che nel caso concreto il protrarsi nel tempo

54 SANTORIELLO C., La clausola di particolare tenuità del fatto, p. 73.

55 Così si è espressa la Corte Suprema, Cassazione penale, Sezione III, 28 maggio

2015 n. 29897, Rivista n. 264034. In senso contrario, Trib. Milano 16 aprile 2015, n. 4195. Soluzioni di apertura in merito all’applicabilità dell’istituto al reato continuato si basano sulla “inopportunità di preclusioni assolute e automatiche”. Il giudice potrebbe applicare l’art. 131 bis c.p. al reato continuato data l'inclusione di tale ipotesi nell'ambito dei "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituai e reiterate", per le quali è ammesso vagliare sulla gravità in concreto delle singole condotte e quindi escludere la punibilità nelle ipotesi in cui le “singole ipotesi considerate siano di particolare tenuità”. In tal caso difatti non per forza, a differenza dei "reati della stessa indole", il comportamento è da considerarsi abituale.

56 Esempio tipico, riconducibile a tale categoria è il reato di sequestro di persona, ma

sono altresì riconducibili altre classi di reati come quelli ambientali, paesaggistici e urbanistici.

47 dell'offesa si sia manifestata attraverso una pluralità di condotte o abbia impresso al fatto specifico una lesività tale da non renderlo lieve. In tal senso si è espressa la Suprema Corte, che ha statuito come il reato permanente, essendo caratterizzato da una condotta preesistente e non dalla reiterazione della condotta, non sia riconducibile alle ipotesi di “comportamento abituale” individuate dall'art. 131 bis c.p.57

La Corte ha aggiunto che l’esclusione dell’art. 131 bis c.p. si basa sulla durata della permanenza: tanto maggiore sarà la permanenza dell’offesa, quanto meno probabile sarà l’applicabilità della declaratoria di non punibilità58.

Se quindi l’offesa perduri, o non sia ancora cessata, l’art. 131 bis c.p. non potrà essere applicato59.

57 Cassazione penale, Sez. III, 8 ottobre 2015 n. 47039 e Cassazione penale, Sez. VI,

31 marzo 2016, n. 17679.

58 Cassazione penale, Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039. 59 Cassazione penale, Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 50215.

48