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Sin da subito è apparsa complessa l’applicazione dell’istituto in questione ai riti speciali diversi dal giudizio abbreviato.

Il problema nasce dal fatto che, nei riti speciali, “la tenuità del fatto” potrebbe essere preliminarmente dichiarata dal giudice solo facendo applicazione dell’art. 129 c.p.p.

L’art. 129 c.p.p. tuttavia consente al giudice di emettere una pronuncia di “immediata declaratoria di non punibilità” solo relativamente a determinate cause di non punibilità esplicitamente previste nell’articolo, non richiamando invece l’ipotesi della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Parte della dottrina sostiene che il mancato riferimento “non può essere giustificato come un’innocua omissione cui porre rimedio attraverso interpretazioni estensive di altre formule tra quelle contenute nell’art. 129, comma 1, c.p.p.”.

Il mancato richiamo del legislatore alle cause di non punibilità nell’art. 129 c.p.p. è giustificato dal fatto che la verifica della sussistenza dei una causa di non punibilità può essere dichiarata solo “dopo l’accertamento della sussistenza della rilevanza penale e dell’attribuibilità del fatto per cui si procede all’imputato”8.

Vi è però un ulteriore dato che rileva, ossia che nello schema di decreto proposto alla Commissione, l’art. 131 bis c.p. veniva fatto rientrare tra le ipotesi del comma 1 del 129 c.p.p., ma tale soluzione non fu mantenuta nella redazione del testo definitivo.

8 SCOMPARIN L., Cause di non punibilità (immediata declaratoria delle), in Enc.

106 Questo induce a credere che l’intento del legislatore sia stato quello appunto di differenziare le due discipline9.

La giurisprudenza di legittimità tuttavia sostiene di poter superare questo profilo di criticità, intendendo la disposizione come “non preclusiva alla rilevabilità d’ufficio dell’esistenza di una causa di non punibilità”10.

In più la valutazione circa la sussistenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto potrebbe avvenire anche mediante il mero giudizio sulla congruità della pena, che la legge riserva al giudice. Il giudice, nel caso del patteggiamento ad es., prima di pronunciarsi in merito alla questione verifica l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento, appurando se il reato rientra fra quelli suscettibili di essere definiti con tale procedura, se la qualificazione giuridica prospettata dalle parti è corretta e se la pena indicata è congrua rispetto alle finalità.

Se infatti è ammesso al giudice rigettare l’istanza, ex art. 444 c.p.p. sulla base della valutazione secondo cui la sanzione comminata sia incongrua perché eccessiva, a maggior ragione il giudice dovrebbe poter rigettare la richiesta delle parti quando il fatto presentato alla sua attenzione non risulta meritevole di sanzione penale.

Occorre allora valutare se e come nei riti speciali sia possibile dichiarare la non punibilità dell’indagato per particolare tenuità del fatto, sulla base della valutazione secondo cui il reato è stato commesso ma il fatto è di lieve entità.

9 In tal senso MANGIARACINA A., La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: vuoti

normativi e ricadute applicative, p. 10.

107

3.1 Il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti

Con riferimento a questo tipo di procedimento speciale si può ammettere la rilevabilità da parte del giudice, investito da un’istanza concordata di applicazione della pena da parte della parti, della “tenuità” sulla base dell’art. 129 c.p.p., secondo quanto detto dalla sopra richiamata giurisprudenza di legittimità.

Tuttavia alcuni ritengono che rimarrebbe irrisolto il problema della necessaria interlocuzione, almeno parziale, delle parti in relazione alla sussistenza dei presupposti richiesti per l’applicazione dall’art. 131 bis c.p.11

Il problema è tuttavia di semplice soluzione: il giudice a cui viene richiesto il patteggiamento dalle parti, per un fatto che ritiene non meritevole di sanzione penale, ha il dovere di rigettare l’istanza che risulta chiaramente sproporzionata al fatto commesso.

In più, sulla base del combinato disposto di cui agli artt. 131 bis c.p. e 129 c.p.p., non è necessaria un’ulteriore audizione delle parti poiché: il consenso dell’imputato è implicito dato l’esito sicuramente più favorevole rispetto a quello di cui all’art. 444 c.p.p.; il consenso della persona offesa è già precluso dalla natura del rito, egli infatti non può intervenire nel corso del patteggiamento, per questo la decisione ai sensi dell’art. 129 c.p.p. non pregiudica in alcun modo la sua posizione; il consenso del pm non serve, poiché ha già dato il suo parere quando gli è stato chiesto di aderire alla richiesta di patteggiamento.

Quindi il giudice, che ritenga il fatto non punibile ai sensi dell’art. 131 bis c.p., deve rigettare la richiesta di patteggiamento e sollecitare le parti a prendere posizione in merito alla tenuità o meno del fatto.

Nella prassi si riscontrano comunque posizioni in senso contrario.

108 Di recente la Corte in una sua pronuncia ha infatti negato il ricorso in Cassazione contro le sentenze di patteggiamento per mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in quanto tale causa di non punibilità, a detta della Corte, “non rientra nel novero delle ragioni di immediato proscioglimento previsto dall’art. 129 c.p.p., alla cui insussistenza è subordinata la pronuncia che accoglie la richiesta di applicazione concordata”12.

3.2 Il giudizio immediato

Molto più ardua è la questione relativa al giudizio immediato, poiché numerosi sono gli ostacoli all’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. in questo rito.

Di fatti, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il giudice non può pronunciare una sentenza ex art. 129 c.p.p. ma “può solo emettere il decreto che dispone il giudizio oppure rigettare la richiesta rimettendo gli atti al pm”13.

L’ostacolo principale risiede nel fatto che la sentenza verrebbe pronunciata al di fuori del contradditorio, determinando conseguenze alquanto sfavorevoli specialmente per l’imputato. Egli infatti potrebbe preferire un decreto penale di condanna a cui opporsi al fine di ottenere una un’assoluzione piena nel dibattimento, anziché una pronuncia di assoluzione per particolare tenuità del fatto con le pericolose conseguenze che possono derivare dall’iscrizione nel certificato del casellario giudiziale della pronuncia.

Tuttavia anche laddove si ammettesse di pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p. per tenuità del fatto nei riti speciali, tale sentenza non avrà la stessa valenza di cui all’art. 651 bis c.p.p.

12 Cassazione penale, Sez. IV, 6 ottobre 2016, n. 43874.

13 Cassazione penale, Sez. III, 16 marzo 2004, n. 20115. In senso contrario invece:

109 L’efficacia della pronuncia ex art. 129 c.p.p. si limita, nei riti speciali, all’assoluzione dell’imputato, non interessa invece l’accertamento dell’accaduto né tantomeno fa stato nei giudizi civili e amministrativi per le restituzioni e il risarcimento del danno, come invece accade nel caso di una pronuncia ex art 651 bis c.p. 14

4. Particolare tenuità del fatto e responsabilità