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La clausola di particolare tenuità del fatto nel diritto societario e

5.1 …nei reati fallimentari

La clausola di particolare tenuità del fatto può essere applicata ad alcuni dei reati fallimentari previsti dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267. L’inserimento della clausola di non punibilità in questione nei reati fallimentari va ad alleggerire notevolmente la responsabilità dell’imprenditore con riferimento a una serie di condotte che spesso ricorrono nelle situazioni di crisi di un’impresa.

Il reato non punibile viene però a tutti gli effetti considerato dalla legge commesso. È per questo che permane la responsabilità in sede civile per i danni derivanti dalla condotta dannosa nei confronti delle società e dei creditori. Di tali danni il reo risponderà con tutto il suo patrimonio.

I reati in questione sono:

 la bancarotta preferenziale (artt. 216, comma 3, 223, 227);

 la bancarotta semplice (artt. 217, 224, 227);

 il ricorso abusivo al credito (artt. 218, 225, 227);

 la denuncia di creditori inesistenti e le inosservanze del fallito (artt. 220, 226, 2279);

 l’accettazione di retribuzione non dovuta (artt. 229, 231, 237);

 l’omessa consegna o deposito di cose del fallimento (artt. 230, 231, 237);

 le domande di ammissione dei crediti simulati o distrazioni senza concorso con il fallito (art. 232);

 il mercato di voto (art. 233);

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 il concordato preventivo (art. 236);

 il falso in attestazioni o relazioni (art. 236-bis).

Vorrei soffermarmi sulle prime due tipologie di reati fallimentari, che prevedono due diverse ipotesi di bancarotta.

Intanto preme chiarire cosa si intenda per reato di bancarotta. La bancarotta è un reato fallimentare che consiste in un’attività di dissimulazione delle proprie disponibilità economiche reali, oppure ad un’attività di destabilizzazione del proprio patrimonio, diretta a realizzare un’insolvenza, anche apparente, nei confronti dei creditori. Tali reati sono contenuti nella Legge fallimentare, così come modificata dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

La prima tipologia di bancarotta è quella preferenziale. Si tratta di un delitto mediante il quale viene punito colui che consapevolmente soddisfa alcuni creditori piuttosto che altri, in netto contrasto con il principio della “par condicio creditorum” di cui all’art. 2741 c.c. Ai sensi dell’art. 216, comma 3, della L. fallimentare, è previsto che “è punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”.

Per poter valutare l’illecito come esiguo è necessario valutare in primo luogo l’entità del credito privilegiato, per poi guardare la sua natura, l’atteggiamento passivo del credito favorito, e il periodo che intercorre tra il pagamento preferenziale e la dichiarazione di fallimento. Questo ultimo elemento consente facilmente di poter rilevare che il soggetto che paga alcuni dei suoi creditori molto prima della dichiarazione di fallimento abbia agito con un dolo poco intenso, sperando di poter nel frattempo risollevare le sorti dell’impresa.

166 Il delitto di bancarotta semplice documentale, ossia per omessa tenuta della contabilità, è invece un reato di pericolo presunto che, grazie all’intervento degli organi fallimentari, tutela l’attività di ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari facendo in modo che i creditori possano essere al corrente della consistenza economica del fallito. L’illecito si realizza nel mero inadempimento del precetto di cui all’art. 2214 c.c.38, costituendo un reato di pura condotta, anche quando non realizza un danno nei confronti dei creditori.

Per quanto riguarda questo tipo di reato emblematica fu una pronuncia del Tribunale di Torino con cui fu prosciolta l’imputata accusata di aver commesso reato di bancarotta semplice documentale ex artt. 217, comma 2, e 224 della Legge Fallimentare, n. 267 del 1942.

Nel caso specifico l’imputata fu accusata di aver omesso di tenere, nei 3 anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento della società di cui era rappresentante legale, i libri e le scritture contabili previste dalla legge, ossia il libro giornale e il libro degli inventari.

Posteriormente alla contestazione sia oggettiva che soggettiva dell’esistenza del reato di bancarotta, il Tribunale, in seguito all’istruttoria dibattimentale e alle conclusioni delle parti in giudizio, ha ritenuto che il fatto fosse ascrivibile alla nuova clausola di non punibilità per particolare tenuità del fatto, fondando la sua valutazione sui seguenti elementi:

38Art. 2214 c.c.: “L'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il

libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori”.

167

 il reato di bancarotta semplice, punito con la reclusione da sei mesi a due anni, rientra nei limiti edittali previsti per l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.;

 la condotta, “meramente omissiva”, non deteneva una connotazione in termini di gravità;

 il danno arrecato ai creditori era chiaramente di particolare tenuità, “in ragione delle insinuazioni al passivo della società, a fronte di un attivo comunque apprezzabile”;

 la scarsa intensità del dolo e del grado della colpa, in quanto la fase istruttoria aveva rilevato una “rimproverabilità minima, meramente colposa”. Tenendo anche conto che il commercialista della società non aveva consigliato la tenuta delle scritture contabili;

 la condotta illecita era occasionale, in quanto l’imputata era incensurata.

Per queste ragioni il Tribunale di Torino ha ritenuto sussistenti i requisiti richiesti per l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. e ha prosciolto l’imputata per tenuità del fatto39.

Di recente la S.C. ha nuovamente statuito che nel caso di reato di bancarotta documentale, nell’ipotesi in cui il danno economico realizzato dall’imprenditore sia particolarmente tenue, deve comunque essere contestato il reato in questione in seguito al fallimento ma deve altresì essere applicato lo sconto di pena previsto nei casi di speciale tenuità40.

Nel caso di specie il rappresentante legale della società fallita era stato condannato anche dal giudice d’appello per il reato di bancarotta documentale in conseguenza della sottrazione di materiale informatico

39 Tribunale di Torino, Sez. IV, pronuncia 9 aprile 2015. 40 Cassazione penale, Sez. V, 5 settembre 2016, n. 36816.

168 e beni immobili alla società e anche per aver omesso la tenuta delle scritture contabili previste per legge.

Il condannato aveva proposto ricorso in Cassazione sul motivo che la Corte territoriale avesse escluso il ricorso alle attenuanti generiche sulla sola circostanza che il rappresentante legale fosse responsabile di plurime condotte illecite.

Quando in realtà si sarebbe potuta rilevare la tenuità del danno in conseguenza del modesto valore dei beni e del materiale informatico oggetto di sottrazione.

La S.C., accogliendo il ricorso, non condivise la posizione della Corte territoriale chiarendo che la pluralità delle condotte in riferimento al reato di bancarotta siano già considerate dalla Legge Fallimentare come “fattispecie aggravata” e che nulla vieta quindi di poterle bilanciare con eventuali altre circostanze attenuanti, compresa quella della tenuità del fatto di cui all’art. 219, comma 3 della Legge Fallimentare.

A fronte di più comportamenti penalmente rilevanti ma recanti una modesta lesione al bene giuridico protetto dalla norma, il giudice può ammettere le due circostanze come equivalenti o addirittura far prevalere quella più favorevole al reo sulla base del fatto che “il dato empirico della pluralità dei fatti non ha nulla a che vedere con i parametri cui avere riguardo ai fini della concessione dell’attenuante prevista dal citato articolo 219, comma 3, fondati solo sulla verifica in concreto del quantum di danno cagionato”41.

La Corte aggiunge che i presupposti per riconoscere la circostanza attenuante devono essere valutati tenendo conto del danno causato ai

41 Sul punto la Corte si era già pronunciata stabilendo che: “il giudizio relativo alla

particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti”.

169 creditori, con riguardo all’incidenza che il reato ha avuto sul diritto dei creditori ad esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste dall’ordinamento a tutela degli stessi.

In pratica, il giudizio sulla valutazione della circostanza attenuante per particolare tenuità “deve essere misurato in relazione alla diminuzione globale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa creditoria ed alla sua disponibilità per il riparto qualora non si fossero verificati gli illeciti”.

Date le predette osservazioni, la Corte di Cassazione, pur attestando la responsabilità penale dell’imputato, ha annullato e rimesso la questione alla Corte d’appello rilevando la presenza della circostanza attenuante per speciale tenuità.

5.2 …nei reati societari

Possono beneficiare della causa di non punibilità in questione gli autori di tutti i reati societari previsti dal codice civile, ad esclusione dell’ipotesi di false comunicazioni sociali in danno alla società, ai soci e ai creditori, nel caso di società quotate in borsa, e quando il fatto di reato abbia cagionato ai risparmiatori un grave pregiudizio, art. 2622, comma 4, c.c.

Complessa è la questione relativa al delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c.

Nel 2015 con L. 27 maggio, n. 69, il legislatore ha modificato la materia allo scopo di rendere effettiva la tutela penale degli interessi tutelati dall’art. 2621 c.c., tutela ridotta dal precedente intervento del 2002. In primo luogo ha trasformato l’illecito da contravvenzione a delitto, irrigidendo la sanzione, ha poi eliminato le soglie di punibilità e il dolo intenzionale e ha reso il delitto procedibile d’ufficio.

La riforma del 2015 ha fatto di più, ha inserito nel codice civile due articoli nuovi, l’art. 2621 bis e l’art. 2621 ter c.c. inserendo una

170 disciplina relativa in un caso ai fatti di lieve entità e nell’altro alla non punibilità di tale fatti per particolare tenuità.

Nello specifico, l’art. 2621 bis c.c. introduce due ipotesi speciali. La prima, disciplinata al comma 1, attiene a fatti di “lieve entità” e applica una riduzione della pena (da sei mesi a tre anni) con riguardo alla natura e alle dimensioni della società, alle modalità e agli effetti della condotta e attiene solo ai fatti che rientrano nella fattispecie di cui all’art. 2621 c.c.

La seconda si applica alle società non soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, prevendendo per tali ipotesi un meccanismo di procedibilità privilegiato: “la querela dei soci, della società, dei creditori e degli altri destinatari della comunicazione sociale”. Tale ipotesi si applica a prescindere dalla lieve entità del fatto. In comune hanno una cornice attenuata di pena, la reclusione da sei mesi a tre anni, e la clausola di sussidiarietà che determina l’immediata applicazione di tali ipotesi “salvo che costituiscano reato più grave”. L’art. 2621 ter invece richiama la generale ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. stabilendo che il giudice deve valutare “in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori” ai fatti di cui agli artt. 2621 e 2621 bis c.p.

Il legislatore ha quindi voluto che il giudizio sia prevalentemente fondato sull’entità del danno casomai cagionato, scelta che in realtà si concilia a fatica con la struttura dei reati di pericolo concreto quali l’art. 2621 e 2621 bis42.

L’espressione letterale della norma “valutare in modo prevalente” lascia dubbi interpretativi.

Sembrerebbe che il legislatore abbia voluto dar maggior rilievo al giudizio di danno rispetto alle altre condizioni richieste per

42 MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, 2016, p. 33 in

171 l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., ossia una valutazione circa le modalità della condotta e sull’entità del danno o del pericolo43.

Sembra chiaro quindi che il giudizio sulla punibilità ai sensi dell’art. 131 bis c.p. non può esaurirsi con un mero giudizio sul danno cagionato alla società, ma necessita di una valutazione completa dei requisiti richiesti dalla norma.

Infatti laddove il giudice non tenga conto di tutti i requisiti richiesti, si determinerà una violazione di legge, ricorribile in Cassazione.

C’è ancora un dato importante da sottolineare, ossia che l’art. 2621 ter c.c. richiama un delitto di false comunicazioni sociali che ha una struttura analoga a quella dei reati di pericolo che vietano e sanzionano fatti oggettivamente rilevanti e non rispondenti al vero, prescindendo dall’accertamento di un eventuale danno alla società, ai soci e ai creditori.

Sembra alquanto peculiare che l’art. 2621 ter c.c. condizioni l’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. ad un danno che non rappresenti nemmeno un elemento costitutivo della fattispecie.

Non si può certo dire che il legislatore abbia voluto ammettere l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. solo ai casi di false comunicazioni sociali concretamente dannose, e allora bisogna ritenere che come viene concessa la non punibilità a un delitto di false comunicazioni sociali che di fatto ha determinato un lieve danno, allo stesso modo la non punibilità dovrebbe essere concessa se il danno non si sia verificato. C’è infine da dire che le norme in esame, così come strutturate, destano dubbi di legittimità costituzionale poiché sembra che introducano un regime di non punibilità diverso rispetto a quello previsto per altre fattispecie penali, punite con pene omogenee e che abbiamo recato allo stesso modo danni lievi.

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CONCLUSIONI

Esaminate le innumerevoli problematiche che emergono dall’introduzione nell’ordinamento giuridico penale dell’istituto della particolare tenuità del fatto, non può non rilevarsi che l’istituto segna un grande divario interpretativo tra i commentatori e gli studiosi della materia.

Nonostante le migliori intenzioni del legislatore, spinto dall’intento di ripristinare la fiducia nell’organo della giustizia, l’istituto manca troppo spesso di solide basi a cui ancorare le varie interpretazioni.

La sfuggente portata delle norme lascia troppi dubbi sulla materia e il giudice dovrà valutare caso per caso ogni condotta criminosa, non potendosi in via definitiva ancorare l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. ad alcune fattispecie di reato in via preliminare.

Tali dubbi, tali diverse posizioni, non fanno altro che contribuire a peggiorare un sistema penale che, proprio per la “non univocità” della risposte del diritto finisce per avere scarsa efficacia.

L’attuale formulazione dell’istituto è spesso richiedente dell’intervento della Suprema Corte, ossia di una pronuncia che dia in maniera chiara e univoca una direzione da seguire ai giudici di merito. Offrire una disciplina organica e non fuorviante permette di garantire certezza al diritto.

C’è da chiedersi quindi se l’istituto così come oggi si presenta sia rispondente all’intento del legislatore e alla sua finalità sottese.

A mio parere però tale istituto, almeno ideologicamente, è il passo giusto su cui ancorare il cambiamento.

Il legislatore con questa riforma ha voluto ripensare ai modi di risposta punitiva conseguenti ai reati in sede di condanna, prevedendo delle misure che non si preoccupino solo di punire il colpevole con una pena

173 che sia di pari gravità al fatto di reato, determinando un’aggiunta del male ad un male commesso, ma di intervenire sulle conseguenze concrete derivanti dal reato stesso. In questo senso si impegna a una giustizia riparativa e conciliativa più che repressiva.

La non punibilità non si baserebbe su una valutazione di meritevolezza o sul “bisogno di pena”, ma su ragioni di opportunità che determinano una rinuncia alla pena stessa.

Sembra infatti che l’istituto de quo si proponga di regolare le dispersioni processuali, inserendole in un progetto di alleggerimento del carico giudiziario, e di garantire allo Stato italiano di adeguarsi al resto dell’Europa e rispondere alle esigenze di modernità dei nostri tempi.

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