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Analisi dei tipi di testi utilizzati dall’associazione italiana Slow food per lo sviluppo di un programma di educazione al gusto

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Academic year: 2021

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“PEDAGOGIAESCIENZEDELL’EDUCAZIONE”

XXVICICLO

ANALISI DEI TIPI DI TESTI UTILIZZATI

DALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SLOW FOOD PER LO

SVILUPPO DI UN PROGRAMMA DI

EDUCAZIONE AL GUSTO

COORDINATORE: Chiar.ma Prof.ssa Isabella LOIODICE TUTOR DOTTORANDA:

Chiar.mo Prof.re Federica CIRULLI

PierpaoloLIMONE

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Ringraziamenti

Rivolgo i miei ringraziamenti alle molte persone che a vario titolo hanno contribuito allo sviluppo della presente tesi.

Innanzitutto, desidero ringraziare il mio tutor, il Prof. Pierpaolo Limone per la fiducia riposta in me, per l’opportunità di crescita professionale e personale concessami nell’indagare i miei interessi attraverso la ricerca universitaria.

Uno speciale ringraziamento va ai membri del collegio del dottorato di ricerca; in particolare, alla Prof.ssa Franca Pinto Minerva e alla Prof.ssa Isabella Loiodice per l’attenzione verso la mia indagine e per avermi spronato a un approccio critico e impegnato.

Inoltre, la mia profonda gratitudine va alle ragazze dell’ERID Lab per aver vissuto insieme questo periodo di studio, per il supporto e la presenza durante gli anni del dottorato.

In questi anni, ho avuto la fortuna di incontrare molti docenti e studiosi che si sono dimostrati indispensabili per inquadrare e approfondire il tema della mia ricerca; tra questi, vorrei ringraziare il Prof. Philippe Verhaegen e il Dott. Baptiste Campion dell’Université Catholique de Louvain (Belgio), per aver condiviso con me le loro conoscenze di semiotica e per il sostegno nel reperimento del materiale bibliografico.

Ancora, un particolare ringraziamento è rivolto al personale tecnico-scientifico, tecnico-amministrativo e alle segreterie del Dipartimento che hanno fornito un essenziale contributo alla buona riuscita del mio lavoro.

Infine, ringrazio la mia famiglia (Franco, Sabina, Antonio, Annalisa, Gaetano, Emma, Vincenzo). Sono grata a chi mi è stato vicino e a tutti coloro che in modi differenti mi hanno incoraggiato, donato tempo e offerto preziose occasioni di riflessione.

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Indice

Introduzione

1. Il tema della ricerca: Slow Food e la cultura dell’alimentazione ... 5

2. I presupposti teorici ... 10

2.1. La pragmatica della comunicazione ... 10

2.2. Il significato e la relazione ... 14

3. Il disegno della ricerca ... 16

3.1. Ricerca teorica e ricognizione bibliografica sui temi del progetto ... 18

3.2. Piano di raccolta dati ... 19

4. Pubblicazioni e Convegni sui temi della ricerca ... 20

4.1. In attesa di pubblicazione ... 20

4.2. Presentazioni di abstract a convegni e seminari ... 20

4.3. Convegni, corsi e seminari in qualità di uditrice ... 21

4.4. Periodi e attività all’estero ... 22

I CAPITOLO

Slow Food e i linguaggi della formazione nel campo della sana alimentazione 1. Il ruolo dell’associazione “Slow Food” negli attuali ambiti dell’educazione al gusto . 23 2. L’alimentazione e i differenti approcci all’educazione per la salute ... 24

2.1. Alimentazione, corpo, mente: il mondo dell’infanzia ... 31

2.2. Programmi di educazione alimentare per la scuola ... 32

3. Modelli di educazione alimentare ... 38

3.1. Gli obiettivi dell’educazione alimentare ... 43

3.2. Alcuni strumenti dell’educazione alimentare ... 45

3.3. L’approccio culturale al cibo ... 46

4. Il tema della sicurezza nutrizionale: contesti e prospettive ... 47

4.1. Una moderna idea di qualità del cibo ... 50

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II CAPITOLO

L’approccio comunicativo per l’educazione alla salute

1. Health promotion e Health education ... 56

2. Comunicare la salute e la qualità della vita ... 60

3. Tipologie di “testi” per l’educazione alla salute nei contesti di vita quotidiani ... 62

3.1. La natura del segno ... 66

3.2. Le strutture del linguaggio: unità testuali esplicite e unità testuali implicite ... 68

3.3. Differenti proposte per l’analisi del testo, del discorso e della conversazione ... 73

4. Casi di dispositivi per la salute: le tecnologie persuasive ... 75

5. Conoscere i dispositivi mediali di Slow Food: l’orientamento pragmatico della ricerca 78

III CAPITOLO

L’implicito educativo di Slow Food: considerazioni sui risultati e sulle prospettive della ricerca 1. Modelli ed esperienze della comunicazione pragmatica ... 84

1.1 Il modello di Shannon-Weaver ... 84

1.2 Il modello inferenziale di Grice ... 85

1.3 La teoria della rilevanza ... 85

2. La ricerca: metodologia e descrizione dell’analisi ... 88

2.1. Studio di tre dispositivi di comunicazione educativa mediatizzata in Slow Food . 88 2.1.1. Il video “Alle origini del gusto” ... 91

2.1.2. Il fumetto “Storie di pesci” ... 98

2.1.3. Il sito www.slowfood.it ... 108

3. I risultati dell’analisi e il modello di apprendimento individuato ... 118

Conclusioni ... 123

Sviluppi futuri: la proposta di un modello per l’educazione alimentare ... 127

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INTRODUZIONE

Relazionarsi con i cittadini su questi temi significa incontrarli nei luoghi della quotidianità, nei contesti in cui vivono, studiano, lavorano. Significa proporre percorsi di educazione alla salute nelle scuole, discutere di ambienti di vita e di lavoro, ma anche comunicare con le persone in luoghi originali, quali i centri commerciali, le piazze, gli stadi, oppure essere presenti negli ambienti virtuali. (Carlo Petrini, 2005)

1. Il tema della ricerca: Slow Food e la cultura

dell’alimentazione

Il presente lavoro nasce da una riflessione sui temi dell’alimentazione, della salute e del benessere e si propone di definirne gli aspetti pedagogici a partire da alcune esperienze nate all’interno dell’associazione italiana senza scopo di lucro “Slow Food”. Tale realtà internazionale nasce a Bra, una cittadina del basso Piemonte, da un’iniziativa di Carlo Petrini e si afferma oggi come soggetto culturale che ha dato vita a una esperienza internazionale per la valorizzazione e la salvaguardia della filosofia del cibo.

L’affermazione dell’organizzazione si fa risalire alla primavera del 1979, quando in Piemonte, nella sezione dell’ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana) delle Langhe, viene realizzata una prima rassegna di canzoni popolari legata alla tradizione del "Cantar le uova". Iniziativa che, dato il successo, viene poi replicata l’anno seguente in tutta Europa.

Nel 1981, l’associazione vive l’influenza culturale della “Libera e Benemerita Associazione Amici del Barolo” che ha come statuto, la rivendicazione del diritto al piacere conviviale: in quest’occasione vengono promosse le prime attività e inizia il tesseramento dei soci.

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I produttori di vino delle Langhe si dimostrano i primi stakeholder dell’organizzazione: se fino a quel momento, i vignaioli agivano sul mercato in maniera non organizzata, divisi tra piccole rivalità e senza una mission comune, Carlo Petrini si propone loro come un trait d’union capace di divulgare, sia commercialmente sia culturalmente, il loro prodotto in quanto specialità del territorio. La volontà è quella di focalizzarsi sulla qualità e sul valore della regione langarola.

Sotto la guida di Carlo Petrini, Slow Food diventa la capofila degli oppositori dei fast-food e dell’industrializzazione dell’eredità alimentare. Carlo Petrini (2001) dà eco a una riflessione sulla scarsità delle risorse naturali, sull’importanza dell’origine dei prodotti e sulla valorizzazione dell’etica della responsabilità che vi si riflette.

"Pensiamo che il cibo sia lo strumento ideale per sperimentare e promuovere un’educazione articolata, complessa e creativa che dia valore all’interdipendenza, all’ambiente e ai beni comuni" (Il manifesto Pedagogico di Slow Food, 2010, p.1).

A tali scelte, si affianca l’interesse italiano per i temi dell’educazione alimentare dopo il meeting organizzato dall’Unione Europea sulla Politica Agricola Comune (PAC): quest’incontro ha avuto numerosi obiettivi, tra cui quello di riflettere sulle esigenze alimentari della popolazione e interessarsi sempre più alle questioni legate alla relazione tra salute e alimentazione.

Una delle prime finalità dell’attuale PAC è stata quella di sostenere la qualità e la sicurezza alimentare così come quella di sviluppare un settore agricolo in grado di garantire la tutela dell’ambiente e il benessere alimentare. Ciò ha significato tendere verso un maggior equilibrio tra un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, il rispetto delle tradizioni locali e una dieta gustosa e salutare. Parallelamente, nel Maggio del 2007, la Commissione Europea ha pubblicato il Libro Bianco dal titolo “Una strategia europea sugli aspetti sanitari connessi all’alimentazione, al sovrappeso e all’obesità” in cui si affronta il tema dell’obesità dei bambini, la sua importanza per la salute pubblica e il suo impatto economico e sociale in Europa.

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Tale documento ha evidenziato il ruolo chiave ricoperto dall’agricoltura in queste problematiche e l’esigenza di impostare un’azione sinergica a livello europeo. Ancora, questo documento evidenzia chiaramente l’importanza di educare i consumatori a un’alimentazione responsabile e di garantire la disponibilità di cibi salutari a tutta la popolazione. Una vasta gamma di attività della Direzione Generale della Commissione Europea per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale è stata dedicata a diffondere la necessità di una dieta migliore e più equilibrata tra le nuove generazioni, con l’obiettivo di influire positivamente sulla salute delle fasce di popolazione in età scolare riducendo l’insorgere dell’obesità.

Al fine di correggere le abitudini alimentari dei bambini, la Commissione Europea ha poi realizzato il programma “Latte nelle scuole” e, più di recente, nella sfera della riforma del settore ortofrutticolo, ha presentato l'iniziativa “Frutta nelle scuole”, diffusosi a partire dal 2009 (Commissione delle Comunità Europee, 2007). Attualmente, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) reputa che gli stili di vita non salutari causino quasi il 50% delle malattie negli uomini e quasi il 25% nelle donne nei paesi europei più sviluppati. E’ talvolta evidente una sproporzione tra quanto viene investito per la prevenzione e quanto invece per gli interventi di assistenza. Per i governi, promuovere sani stili di vita rappresenterebbe un investimento realmente efficace per migliorare la salute della popolazione: si stima che con un investimento pari all’1,5 % della spesa sanitaria si potrebbe giungere a una riduzione della mortalità anche del 43%. Al riguardo, il Piano Triennale della Prevenzione (2006-2008) ha individuato interventi organici su differenti ambiti di azione che vanno dalla promozione dell’attività fisica e di una sana e corretta alimentazione, alla prevenzione degli incidenti in ambienti di vita e di lavoro. Il Piano promuove gli screening oncologici e le vaccinazioni. L’assunto di fondo è che sulla salute possono incidere diversi fattori: da quelli genetici a quelli ambientali, da quelli socio-economici a quelli relativi agli stili di vita individuali.

L’evoluzione del concetto di salute ha quindi contribuito a dare un ruolo sempre più importante alle dinamiche di promozione della salute stessa, all’analisi del bisogno di salute e ai fattori di rischio, insieme allo sviluppo di un’idea di

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promozione e crescita con una stretta connessione fra stili di vita, ambiente e condizione fisica (Libro bianco sul futuro delle politiche sociali, 2009).

In tale prospettiva, l’educazione, la formazione e l’informazione sono strumenti indispensabili per incoraggiare la pratica e l’apprendimento di abilità utili a stimolare la responsabilità rispetto alla propria salute. Il sapere condiviso, e non rivolto esclusivamente a una cerchia di addetti ai lavori, oltre a favorire la promozione del benessere, può migliorare la trasparenza dei relativi progetti e la condivisione dei medesimi; esso risponde ai principi di multisettorialità e interdipendenza, considerati quali punti focali nella creazione di salute, tali da mettere ciascun individuo in grado di accrescere il più possibile il proprio potenziale di vita.

A questi progetti, si è affiancato da alcuni anni l’interesse a livello internazionale per la promozione di un giusto rapporto tra comunicazione e salute, non solo e non tanto per ciò che riguarda l’informazione sanitaria in senso stretto, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la comunicazione nel significato più ampio, dalla comunicazione di massa alla comunicazione sistemica e quindi alla comunicazione interpersonale:

- la comunicazione di massa vista come mezzo di diffusione, a vasto raggio e per mezzo dei mass-media, di messaggi e di informazioni sulle ragioni delle malattie, sull’offerta di prodotti e sui relativi consumi e sul loro contributo in termini di salute;

- la comunicazione sistemica quale strumento di appoggio per i settori della società e delle istituzioni solitamente estranei alle tematiche sanitarie (i sottosistemi del sistema sociale): dall’economia alla produzione industriale e agricola, al mondo dei servizi, a quello del commercio, alla politica, ai mass-media;

- la comunicazione interpersonale in quanto dispositivo di approccio personalizzato agli stili di vita salutari per mezzo di iniziative condotte nei luoghi della socialità e presso i mediatori e moltiplicatori sociali (insegnanti, gestori, venditori, professionisti di settore, ecc.) (Sintesi del Rapporto predisposto dalla Task Force del Ministero della Salute, 2003).

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Coerentemente con tali iniziative, Slow Food si è resa promotrice di un cambiamento di modello culturale: da uno centralizzato, a uno basato sulla diversità e sulla produzione di piccola scala. Il presupposto è che oggi l’educazione alimentare sia destinata a infanzie diverse e contraddistinte da differenti risorse culturali e abitudini alimentari, ma anche da specifiche modalità di adattamento agli ecosistemi locali e da proprie capacità di definire identità e personalità attive in una società complessa.

Sulla base di queste considerazioni, l’educazione alla sana alimentazione acquisisce forme articolate e diversificate, in grado di raggiungere chiunque, abitante rurale o cittadino urbano, indipendentemente dal proprio stato economico o culturale.

Il presente studio ha preso spunto da tali riflessioni. Nello specifico, il progetto di ricerca ha avuto l’obiettivo di indagare le seguenti domande:

 Quale modello educativo emerge dall’analisi semiotica dei media utilizzati da Slow Food per promuovere percorsi di educazione alimentare?

 In Slow Food, esiste un implicito pedagogico nell’attività di diffusione dei principi di sana alimentazione?

L’esperienza di ricerca ha permesso di definire il contesto teorico, il modello pedagogico dell’associazione e le possibili scelte metodologiche più idonee a migliorarlo.

L’ipotesi dalla quale è partita l’indagine mira a indagare il rapporto cibo-cultura da diversi punti di vista. Il primo considerato è di carattere prettamente comunicazionista e permette di offrire un possibile quadro di rappresentazione sociale che il cibo acquista per mezzo dell’idea che ne diffonde l’associazione. A tal fine, sono stati analizzati “pragmaticamente”, alcuni specifici media utilizzati da Slow Food per comprendere qual è (e se c’è) un modello educativo che emerge dei documenti utilizzati.

L’altro punto di vista analizzato è più specificatamente destinato alla riflessione sull’attuale ricerca educativa e sulle modalità di adattamento che i programmi di educazione all’alimentazione sviluppano all’interno delle nuove comunità di apprendimento. Questo approccio è quello del progettista chiamato a sviluppare

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specifici modelli per l’insegnamento-apprendimento sull’educazione alimentare in contesti formali, informali e non formali (Pinto, 2001).

L’interesse dello studio è stato incentrato su alcuni principi della riflessione didattico-educativa scaturita dall’analisi di tre dispositivi mediali: un cartone animato, un fumetto e il sito web dell’associazione.

Tali concettualizzazioni sul giusto modello per l’educazione alimentare hanno avuto un carattere prettamente pedagogico finalizzato al miglioramento della pratica educativa.

In tal senso, l’obiettivo principale dell’analisi ha riguardato la definizione di una proposta didattica da stipulare in accordo con i referenti di Slow Food che potesse avere utili ricadute nei programmi di aggiornamento per gli operatori della formazione in tale specifico ambito di interesse. Riflettendo su questa tipologia di temi, lo “sguardo” legato alle teorie della comunicazione diventa strumento interpretativo in grado di dare un contributo sostanziale alla comprensione di un contesto e di un particolare approccio, entrando in relazione con la riflessione sugli aspetti più “interni” a una determinata realtà e proponendo per essa spunti nuovi e prospettive differenti.

L’elaborato riproduce il risultato parziale e conseguentemente sinottico di un percorso di ricerca che si è focalizzato sullo studio di modelli didattici, sui nuovi linguaggi mediali, sul ruolo degli enunciati nell’elaborazione di testualità complesse e sulle potenzialità dei media nel favorire processi di educazione alimentare.

2. I presupposti teorici

2.1.

La pragmatica della comunicazione

La ricerca di tesi s’inserisce nella sfera degli studi legati alla pragmatica della comunicazione. Le riflessioni avviate nell’ambito di questo filone pongono particolare attenzione alle strutture discorsive dell’enunciazione, validando l’importanza del ruolo dei temi, degli attori, dei tempi e dei luoghi dell’enunciazione (Austin, 1962). Non risulta semplice dare una definizione univoca di “pragmatica” in quanto essa:

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- si caratterizza per una sostanziale interdisciplinarità;

- posiziona il proprio oggetto di studio all’incrocio di differenti domini, quali la filosofia, la linguistica, l’antropologia, la psicologia, la sociologia, ecc.

L’attuale impiego del termine pragmatica può riallacciarsi alle teorie di Morris (1938) secondo il quale l’oggetto di studio della pragmatica dovrebbe essere ricercato nella relazione tra segni e interpreti. Lo studio di tale relazione si qualifica nei seguenti tre ambiti:

1) la sintassi, ovvero la relazione tra i segni;

2) la semantica, ovvero la relazione tra un segno e l’oggetto cui il segno fa riferimento;

3) la pragmatica, ovvero la relazione tra i segni e il destinatario del messaggio (Ivi). In tale prospettiva, ogni atto comunicativo riguarda la creazione di reti intersoggettive che comportano:

- l’instaurarsi di rapporti d’inclusione/esclusione costitutivi di entità più o meno coerenti;

- l’organizzazione di queste entità attraverso specifici rapporti (Peraya, Meunier, 2001).

Per definire il significato di pragmatica è necessario quindi far riferimento ai processi di intenzionalizzazione, di scelta, di rappresentazione e inferenza (Balconi, 2008).

In un’ottica prettamente pragmaticista, tutti i differenti modi in cui la comunicazione “prende vita” hanno qualcosa che li lega alla relazione tra la parola e la gestualità non verbale, l’immagine e il suono. In tal senso, la “comunicazione mediatizzata” riguarda tutte le forme di comunicazione che utilizzano un dispositivo tecnologico: un messaggio televisivo, un film, una classe virtuale, una consultazione documentaria su internet, un forum di discussione, un giornale o un sito web per la trasmissione di specifici messaggi. In questa prospettiva, il mezzo portatore di contenuti viene inteso come un “dispositivo di comunicazione mediatizzata” la cui definizione si è sviluppata grazie alla convergenza di correnti teoriche differenti quali la psicologia cognitiva, la linguistica e le teorie sull’enunciazione (Peraya, Meunier, 2001).

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Nell’approccio di Peraya (2000), “un dispositivo di comunicazione mediatizzata è un’istanza, un luogo sociale di interazione e cooperazione dotato di intenzioni, di un funzionamento materiale e simbolico e di modi di interazione propri” (Ivi, p.2). La mediatizzazione rimanda alla presenza di un mezzo, un intermediario che rende possibile la comunicazione tra gli interlocutori e che può essere un documento stampato o elettronico, un’immagine o un testo, un’illustrazione o uno strumento materiale. In questa definizione si fa anche riferimento al concetto di media inteso come mezzo di comunicazione di massa. Per tale ragione, i dispositivi di comunicazione mediatizzata possono esser visti come “generatori” di senso e significato in molteplici forme attraverso diversi registri semiotici: il linguaggio naturale, i linguaggi visivi, le scritture scriptovisuali, ecc.

Essi contribuiscono, attraverso la loro configurazione tecnica, contemporaneamente alla definizione e alla costruzione del significato, prescrivendone forma e struttura. Di conseguenza, con la pragmatica della comunicazione non è più possibile considerare la lingua e i sistemi di comunicazione come delle entità autonome, ma come strettamente connessi alla realtà, alla relazionalità e alla definizione di nuove alleanze tra le scienze della comunicazione e le scienze sociali in generale.

L’analisi pragmatica dei messaggi audio-scripto-visuali è pertanto un’analisi di tipo qualitativo che prevede:

- di prendere in considerazione i possibili effetti di una relazione immediata con il destinatario;

- di porre questi effetti in un quadro più generale di sistemi sociali nei quali il messaggio si inserisce;

- di poter analizzare questi effetti dal punto di vista potenziale e non reale. Essa si colloca allo stesso livello dell’azione, dove il discorso è parte costitutiva dell’interazione sociale e dunque chiaramente racchiuso nella maniera in cui le persone strutturano i rapporti, si attribuiscono dei ruoli, rappresentano l’immagine di sé.

In questo modo, la realtà viene interpretata e “costruita” sia per mezzo di strumenti cognitivi sia per mezzo di tecnologie intellettuali; gli strumenti cognitivi non sono

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necessariamente degli oggetti materiali o tecnici, ma possono essere anche di natura prettamente simbolica come, per esempio il linguaggio (Peraya, Rickenmann, 1998).

Lo studio dal punto di vista pragmatico implica l’identificazione della funzione che l’enunciazione sviluppa con il contesto, inteso sia come contesto verbale (le enunciazioni che precedono e seguono) sia come contesto situazionale.

Infatti, la produzione e la comprensione di un messaggio vede le persone impegnate attivamente in differenti compiti cognitivi diretti al raggiungimento di un “obiettivo comunicativo complesso ed articolato” (Balconi, Amenta, 2008, p.166).

Il sincretismo tra la pragmatica della comunicazione e la comunicazione educativa/pedagogica è nato con le prime analisi sui media comunicativi, soprattutto televisivi, giornalistici e pubblicitari, e con il loro uso nelle scuole. Questo campo di studi interdisciplinare è strettamente legato alla semiotica strutturale della fine degli anni ‘60 ed emerge sulla scia della linguistica post-saussuriana. Negli anni, la semiotica ha dato rilevanza al punto di vista pragmatico e ha assimilato le teorie dell’enunciazione per cui la comunicazione deve essere interpretata come un processo intenzionale che coinvolge questioni complesse - trasmettitori e ricevitori - ma anche le relazioni interpersonali, il contesto, i risvolti pedagogici.

Al riguardo, Bruner (1966) ha sostenuto una posizione simile a quella di Vygotsky (1934): per quest’autore il linguaggio è un “amplificatore culturale” e un dispositivo di comunicazione mediatizzata. Esso non è semplicemente un oggetto materiale, ma possiede delle componenti simboliche, sociali e culturali. Anche la scrittura, svolge il ruolo di mediatore simbolico proprio perché è “una tecnologia intellettuale creatrice di significati sia sul piano dell’immaginario che su quello religioso, scientifico o estetico” (Lévy, 1987, p.9).

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2.2.

Il significato e la relazione

Le osservazioni dei paragrafi precedenti permettono di evidenziare un primo aspetto di cui si è tenuto conto nell’analisi delle tipologie testuali ossia ciò che viene reputato “significato”.

Anche se il significato è spesso identificato come una proprietà delle parole e delle frasi e quindi studiato autonomamente, nell’approccio pragmatico, esso viene legato ai processi di significazione che si producono nelle azioni quotidiane. In tal maniera, il significato diviene parte delle attività e delle intenzioni: una comunicazione efficace, o meglio, il trasferimento di successo dei significati, è da intendersi come una dinamica destinata a realizzare uno stato di conoscenza connesso all’intenzione comunicativa. Da ciò è possibile dedurre che il significato pragmatico di un’espressione linguistica non sia da interpretarsi esclusivamente come la “somma” o “composizione” dei significati delle singole parole che la costituiscono, ma sia da ricercarsi in ciò che il parlante vuole esprimere e comunicare e in ciò che chi ascolta riesce a comprendere attraverso specifici processi inferenziali.

E’ significato ciò che si crea nell’interazione tra due individui razionali, dotati di intenzionalità, tradizioni e portatori di un proprio punto di vista sul mondo che può fungere da cornice interpretativa dei messaggi prodotti nello scambio comunicativo stesso. In tal senso, la pragmatica ha attinenza con il significato degli enunciati, ovvero con il significato del parlante; la semantica invece, richiama a proprio campo di indagine il significato delle parole e delle frasi. Se la semantica si focalizza sull’espressione linguistica, la pragmatica dirige la propria attenzione sugli interlocutori e sui processi da loro attuati nella generazione dei significati. Al riguardo, Giuseppe Mininni (1992) rileva l’importanza del contesto quando sostiene che:

"il contesto interno al testo quale esso appare nella ‘messa in discorso’, cioè lì dove si manifesta il ‘piano dell’enunciazione’. Dovendo essere ‘adeguato’ alle strutture della situazione (o contesto esterno), il ‘testo’ se ne fa carico e si sforza di introiettarla il più possibile. Naturalmente, questa tensione assimilatrice è riscontrabile nel ‘prodotto’ solo sotto

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forma di tracce che rinviano a ciò che i ‘co-produttori’ fanno nel loro lavoro di enunciazione del testo" (Ivi, p.44).

Secondo Kress (2003), l’elaborazione dei segni avviene attraverso un processo nel quale chi produce un segno fa solo un tentativo di raffigurazione di un oggetto, fisico o semiotico, nel quale l’interesse per l’oggetto, dal punto di vista della realizzazione della rappresentazione nasce dalla complessità, poiché derivato dalla realtà storica, sociale, psicologica e culturale di chi lo ha pensato.

In altre parole, l’oggetto non viene mai rappresentato nella sua totalità, ma solo attraverso parziali aspetti criteriali e la produzione/comprensione dello stesso avviene in un contesto interattivo, realizzandosi non soltanto come situazione contingente all’interno della quale ha luogo l’interazione, bensì come ambito potenziale in cui trovano spazio le credenze, i desideri e più in generale gli stati mentali ed emotivi degli interlocutori.

Caratteristici del processo di scelta nella rappresentazione di un oggetto sono alcuni principi che ne definiscono la natura. In particolare, si operano scelte e si creano strategie in relazione a specifiche categorie, quali:

- la variabilità, considerata come peculiarità della comunicazione che circoscrive l’insieme delle possibilità all’interno del quale compiere scelte comunicative;

- la negoziabilità, declinata in termini di proprietà della comunicazione che permette la realizzazione di scelte non meccaniche in base a principi e strategie flessibili. La negoziabilità fa scaturire l’indeterminatezza dei processi di scelta, sia da parte di chi produce, sia da parte di chi interpreta; - l’adattabilità, che implica la scelta di preferenze linguistiche negoziabili

all’interno di un vasto ambito di possibilità, indirizzandosi verso la soddisfazione dei bisogni comunicativi;

- il diverso grado di salienza dei processi di adattabilità, poiché non tutte le scelte sono compiute coscientemente, talune sono automatiche, mentre altre profondamente consapevoli. In sintesi, le scelte possono essere operate dal parlante e dall’ascoltatore e possono essere automatiche o elaborate coscientemente;

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- l’indeterminatezza, poiché le scelte, una volta operate possono essere continuamente rinegoziate. Nel principio di adattabilità è implicito il riferimento sia al contesto comunicativo per mezzo del quale le scelte compiute devono essere inter adattabili (ambiente fisico, relazioni sociali, stato mentale ed emotivo di parlante ed interlocutore) sia al contesto privato (elementi della personalità, le emozioni, le fedi, i desideri, i propri obiettivi etc.);

- il prerequisito della dinamicità riguardante i processi di adattamento nel tempo (Balconi, Amenta, 2008).

Una volta scelta un’accezione così allargata di “testo”, diviene problematico definire cosa sia il contesto. Sulla base delle definizioni di Charles Morris (1946), ancora oggi in gran parte mantenute dalle semiotiche interpretative, la pragmatica si differenzierebbe dalla sintassi e dalla semantica proprio in virtù della sua comprensione della situazione concreta di comunicazione.

In questo senso, l’analisi semiotica risulterebbe essere sempre un esercizio sistematico su ciò che già si sa (su un testo, attorno a un testo) in un determinato ambito culturale, storico e sociale. Nello specifico, nelle dinamiche fra testo, relazione e contesto, è possibile inserire l’analisi testuale che pur mantenendo un metodo omogeneo e una definizione relativa al testo, si muove su tre livelli:

1) il livello della situazione “di contorno” al testo,

2) il livello dell’enunciazione, dove si ricercano tutti i fatti inscritti nel testo che rimandano all’istanza di enunciazione,

3) il livello dell’enunciato, dove si studiano le strutture narrative e discorsive di quello che si è eletto come testo-soggetto (Pozzato, 2001).

3. Il disegno della ricerca

Le precedenti considerazioni permettono di introdurre l’analisi effettuata che ha tenuto conto degli aspetti legati all’organizzazione semantico-pragmatica dei testi con particolare attenzione alla componente enunciativa.

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Nel corso della ricerca, sono stati indagati i processi della comunicazione che hanno messo in luce le potenzialità dei media e delle risorse multimediali utilizzate da Slow Food.

Nel dettaglio, particolare interesse è stato riservato allo studio:

- delle caratteristiche fondamentali del sistema-lingua e dei modi in cui esso interviene nella costruzione del significato,

- dell’utilizzo di supporti mediali in contesto educativo, - del panorama dei modelli didattici esistenti.

E’ stata utilizzata una metodologia di ricerca qualitativa, con un approccio finalizzato alla comprensione dei fenomeni comunicativi e alla rilevazione delle relazioni tra gli stessi, in linea con la tradizione di ricerca delle discipline delle scienze della comunicazione e delle scienze pedagogiche. Il lavoro è stato articolato così come di seguito specificato e le fasi della ricerca sono state le seguenti:

 I fase: Raccolta e preparazione dei dati

La prima fase del lavoro ha previsto la scelta e la raccolta del materiale da analizzare. In particolare, si è deciso di selezionare un video (“Alle origini del gusto”), un fumetto (“Storie di Pesci”) e il sito web di Slow Food. La scelta è stata fatta a seguito di un incontro con i referenti nazionali di Slow Food che hanno indicato questi specifici dispositivi come maggiormente rappresentativi dell’identità e del pensiero dell’associazione.

 II fase: Creazione della griglia per l’analisi dei messaggi mediali

Per lo studio del fumetto e del video, la seconda fase del lavoro ha riguardato la definizione della griglia di analisi dei messaggi mediali elaborata sulla base di quella prodotta da Peraya e Meunier (2001). Per lo studio del sito web si è invece tenuto conto dell’approccio sistematizzato da Jewitt per i siti di display (2011). Le particolarità e gli elementi identificativi dell’analisi saranno meglio illustrati nel corso della presente trattazione.

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 III fase: Individuazione dei dispositivi e osservazione sul campo

Dopo la selezione dei dispositivi, si è proseguito con l’analisi del video “Alle origini del gusto”, del fumetto “Fish Tale” e del sito istituzionale dell’associazione.

Inoltre, di seguito, si descrivono le iniziative alle quali si è aderito:

- Novembre 2012 (13 Novembre). Partecipazione all’attività “Festa degli orti scolastici”- San Vito dei Normanni (Br).

- Maggio 2013 (25 Maggio). Partecipazione alle Giornate Nazionali dello Slow Food Murge – Altamura (Ba).

 IV fase: Individuazione e comprensione del modello pedagogico adottato Tale individuazione e comprensione sono state rese possibili dall’analisi semiopragmatica dei testi analizzati e dallo studio dei materiali raccolti durante l’osservazione sul campo.

 V fase: Analisi del sito dell’associazione tesa a verificare che il dispositivo sia stato realizzato secondo i criteri del modello educativo individuato.

 VI fase: Riflessione sui risultati dell’analisi e proposta di innovazione del modello di apprendimento individuato.

3.1.

Ricerca teorica e ricognizione bibliografica sui temi

del progetto

Nel corso del dottorato, sono stati approfonditi i seguenti nuclei tematici: • Il profilo dei destinatari degli interventi didattici.

Il pubblico di utenti a cui la comunicazione si rivolge è profondamente mutato: i “nativi digitali” (Prensky, 2001) appartengono a una generazione multitasking e ipercomunicativa, una generazione che “vive” nei media digitali e li utilizza come spazi di conoscenza e socializzazione. I ragazzi oggi sono abili utilizzatori delle tecnologie moderne e apprendono soprattutto fuori dalla classe scolastica.

• I linguaggi dei nuovi media e il concetto di “alfabetizzazione” nell’era digitale. I nuovi media impongono mutate forme di alfabetizzazione (New London Group,

(20)

1996; Cope & Kalantzis, 2000), rinnovate competenze di lettura e di scrittura (“multiliteracies”). I termini di testualità multimediale e multimodale (Kress, 2003; 2005; Kress & Van Leeuwen, 2001) descrivono le nuove forme linguistiche generate dall’affiancamento di codici e strumenti comunicativi differenti.

• Educazione al gusto.

A partire da differenti posizioni storico culturali, nell’ambito degli studi sulla cognizione e sull’apprendimento situato, c’è oggi un sostanziale accordo nel considerare decisivo il contesto ambientale (fisico, oltre che sociale e culturale) per la comprensione dei processi formativi e di apprendimento.

• Lifelong learning e tecnologie digitali.

Dalla ricerca di mercato “Bambini e nuovi media” condotta dalla società di ricerche di mercato “People per Terres des hommes”, in occasione del Child Guardian Award 2010, è emerso che non solo i giovani sono più competenti degli adulti nell’utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione, dai cellulari ai social network, ma che questo crea ansia e disorientamento in famiglia. Il 72% dei genitori italiani fatica, infatti, a gestire la relazione dei figli con i nuovi media. I ragazzi, in realtà, "sono soliti pensare ed elaborare le informazioni in modo sostanzialmente diverso dai loro predecessori” (Prensky, 2001).

3.2.

Piano di raccolta dati

Definizione dei seguenti elementi che hanno definito i differenti strumenti utili per l’organizzazione delle attività svolte:

• strutture e ambiti presso i quali è stata effettuata la raccolta, • pianificazione temporale di ciascuna attività,

• fonti e tecniche di raccolta, • quantità di dati da raccogliere,

• criteri e modalità di aggiornamento o revisione del piano stesso, • criteri di archiviazione e classificazione dei materiali raccolti,

Nel corso della ricerca, inoltre, ci sono stati periodici momenti di confronto con il tutor e con gli esperti disciplinari, anche grazie alla partecipazione a seminari e

(21)

incontri di studio di carattere nazionale e internazionale (di seguito, riportati nel dettaglio).

Un ruolo determinante per l’organizzazione dell’attività di ricerca ha avuto l’esperienza all’estero all’interno del Groupe de Recherches en Médiation des

Savoirs (GReMS - Université Catholique de Louvain): il gruppo è costituito da un

team di professori e ricercatori del Centro di Ricerca in Comunicazione dell’UCL interessati alle dinamiche di divulgazione dei saperi e dei processi di conoscenza.

4. Pubblicazioni e Convegni sui temi della ricerca

 Cirulli F. (2012). ComunIcare: integrazione aula-rete per la formazione professionale nella sanità. Metis:Bari. ISSN 2240-9580. In http://www.metis.progedit.com/anno-ii-numero-2-dicembre-2012/87- buone-prassi/279-comunicare-integrazione-aula-rete-per-la-formazione-professionale-nella-sanita.html

 Cirulli F. (2013). Slow food: analisi degli enunciati in “Alle origini del

gusto”. Atti del Congresso “ATEE Winter Conference - Learning & Teaching

with Media & Technology”. Genova (7-9 marzo 2013) ISBN 97890815639. In http://www.ateegenoa2013.sdf.unige.it/images/proceedings/proceedings_a tee_genoa_2013rid.pdf

4.1.

In attesa di pubblicazione

Recensione del volume:

 De Serio B. (a cura di) (2012). Costruire storie. Letture creative a scuola. Progedit: Bari.

4.2.

Presentazioni di abstract a convegni e seminari

 Giugno 2011- École internationale d’été “Communication des patrimoines” -

Université d’Avignon et des Pays de Vaucluse, Avignon. Intervento sul tema: “From mediation to participation Participatory design for the development of a museum web site”.

(22)

 Marzo 2012 (21-23 Marzo) - International conference on Digital Story Telling – Universitat de Valencia, Valencia. Digital Video Poster sul tema: “Digital Storytelling: a Powerful Tool in Adult Women Education”.

 Dicembre 2012 (9-10 Dicembre) – International Workshop “The spoken language in a multimodal context” – Universitat Pompeo Fabra, Barcellona. Intervento sul tema: “Analysis of the types of texts used by the Italian association "Slow food" for the development of a food education program”.  Marzo 2013 (6-9 Marzo) – Atee Winter Conference – Università di Genova.

Intervento sul tema: “Analysis of the types of texts used by the Italian association "Slow food" for the development of a food education program”.  Novembre 2013 (11-13 Novembre) - "ICT in Higher Education And Lifelong

Learning". Università di Bari "Aldo Moro". Katia Sannicandro, Federica Cirulli, Annamaria De Santis. Intervento sul tema: “University Orientation: the experience of E-learning Courses for the preparation of the admissions test for the access to degree in Education, University of Foggia”.

4.3.

Convegni, corsi e seminari in qualità di uditrice

- 20 Maggio 2011: Convegno Nazionale Siped - S.I.PED - Società Italiana di

Pedagogia, "Progetto generazioni. Gli adulti, la cura e la società civile", Università degli Studi di Bari, Bari.

- 16-17 Giugno 2011 V Seminario Sird - Società italiana ricerca didattica. “Quinto seminario della Società Italiana di Ricerca Didattica. La ricerca nelle scuole di dottorato in Italia. Dottorandi e docenti a confronto”, Università di Roma tre, Roma.

- 26 Giugno-9 Luglio 2011. Programma LLP, Azione Erasmus, Intensive Programme. “Metodologie didattiche innovative per le donne adulte”, Università di Foggia.

- 30 Settembre 2011: Convegno Sirem - Società italiana di ricerca sull’educazione mediale. Competenze digitali e formazione degli Insegnanti, Università di Roma tre, Roma.

(23)

- 05 Dicembre 2011. BarCamp, Business, Culture, Innovation. Progetto Media-evo, Università degli Studi di Foggia, Foggia.

- 2-6 Luglio 2013. Corso di formazione in Psicologia dell’Apprendimento della Matematica, Nevegal (BL).

- 9-11 Settembre 2013. Ciclo di seminari “Innovazione didattica e Multiliteracy”, Università degli Studi di Foggia, Foggia.

- 11-13 Dicembre - Multimodality and Academic Writing: The Futures of Scholarly Publishing. Università degli Studi di Foggia, Foggia.

4.4.

Periodi e attività all’estero

- Maggio - Ottobre 2012: Erasmus Placement – Attività di ricerca svolta presso il “Groupe de Recherche en Médiation des Savoirs” (GReMS), Université Catholique de Louvain (UCL) – Louvain La Neuve, Bruxelles – Belgique.

(24)

CAPITOLO PRIMO

Slow Food e i linguaggi della formazione nel

campo della sana alimentazione

1. Il ruolo dell’associazione “Slow Food” negli attuali

ambiti dell’educazione al gusto

L’educazione al gusto è cultura personale, miglioramento delle capacità sensoriali e critiche, mezzo di difesa ed evoluzione della più ampia educazione alimentare. Quest’ultima è stata a volte erroneamente immaginata come l’insieme delle norme dietetiche non legate al valore dell’esperienza individuale, unite all’edonistico spirito del momento storico nel quale questo concetto si è evoluto; spesso ha invece incontrato un notevole interesse e più profondi riconoscimenti che hanno permesso lo sviluppo di studi su questa materia, sebbene in differenti ambiti disciplinari.

Per Attore (2007), la storia dell’educazione al gusto è segnata dal passaggio da una società prevalentemente rurale a una società industriale (e rapidamente post-industriale) e dalla necessità di ripensamenti progettuali volti a un’analisi dei rapporti imprescindibili tra agricoltura e rinnovamento dell’economia: elemento centrale delle nuove progettualità imprenditoriali, ma più in generale di un diverso modello di sviluppo, è l’ambiente percepito come luogo ed elemento orientativo delle scelte economiche. In Italia, l’industrializzazione e i processi di modernizzazione degli inizi degli anni cinquanta hanno marcato il passaggio da una società rurale a un paese allineato al modello di sviluppo delle nazioni più ricche, come gli Stati Uniti, in cui si manifesta il peso dei settori dell’industria e dei servizi. In particolare, gli intensi movimenti migratori all’interno del paese, i profondi cambiamenti negli stili vita, nel modo di pensare e nei canoni di consumo, hanno provocato grandi trasformazioni anche nel modo di alimentarsi. Ancora, un ruolo rilevante in tal senso ha avuto la nuova morfologia della famiglia: l’affermazione delle donne nel processo produttivo, la frammentazione dei consumi e la loro globalizzazione, la produzione industriale dei prodotti, sono tutti fattori che hanno concorso a modificare sensibilmente il rapporto con il cibo, ma anche,

(25)

più genericamente, a cambiare quella struttura di rapporti sociali e umani che qualificavano una società nella quale era ancora ben forte la relazione tra i consumi e il mondo rurale.

In tale quadro, la proposta di Slow Food – Associazione Italiana di Educazione al Gusto – nasce per condividere non solo la piacevolezza gastronomica, ma anche le iniziative, i progetti, le campagne concretamente indirizzate alla salvaguardia ambientale e alla sostenibilità produttiva dell’industria alimentare nell’ambito di una realtà caratterizzata da una fitta rete di relazioni. Intenti che hanno a che fare con gli stili di vita e la necessità di ricostruire un paesaggio vitale e vissuto, non meno che con aspetti specificatamente legati ai prodotti e al loro consumo (Petrini, 2003).

L’organizzazione no-profit dichiara di porsi specifici obiettivi per la tutela ambientale, sociale, culturale e dell’economia. Nello specifico, Slow Food afferma di:

 promuovere la salute e il benessere;

 valorizzare le tradizioni gastronomiche locali;  assicurare un ambiente sicuro e di supporto;

 salvaguardare la biodiversità e la sostenibilità delle produzioni;

 migliorare il ruolo sociale dei produttori rafforzandone la loro capacità organizzativa;

 rafforzare l’identità culturale dei produttori e valorizzare le zone di produzione (Ivi).

2. L’alimentazione e i differenti approcci

all’educazione per la salute

L’Organizzazione Mondiale della Salute e il Consiglio d’Europa hanno elaborato idee, definizioni e strategie d’intervento che tengono conto sia dei fattori da cui dipende la salute, sia delle condizioni da cui dipendono le più recenti patologie da cui questo bene è minacciato.

Nel 1986 a Ottawa, in Canada, è stata redatta la Ottawa Charter for Health Promotion, nella quale si legge:

(26)

"La promozione della salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere. [...]. È essenziale mettere in grado le persone di imparare durante tutta la vita, di prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di saper fronteggiare le lesioni e le malattie croniche. Ciò deve essere reso possibile a scuola, in famiglia, nei luoghi di lavoro e in tutti gli ambienti organizzativi della comunità. È necessaria un’azione che coinvolga gli organismi educativi, professionali, commerciali e del volontariato, ma anche le stesse istituzioni” (Ivi, p.3).

La Carta di Ottawa (1986) ha fornito rilevanti avvertenze sul concetto di promozione della salute e rappresenta una delle tappe più importanti nell’ interpretazione del concetto di salute quale processo sociale e politico che coinvolge non solo azioni atte a consolidare e sviluppare le abilità di affrontare le esperienze della vita, ma anche azioni destinate a modificare le condizioni dell’ambiente e i domini sociali ed economici in modo che possano risultare favorevoli per il miglioramento della salute pubblica e della salute individuale: in altri termini, tutte le azioni tese al miglioramento della qualità della vita. Nella Carta di Ottawa (1986), si pensa alla salute come "vissuta" dalle persone all’interno degli ambienti della vita quotidiana. Qui lo stato di salute è ottenuto attraverso la cura di se stessi e degli altri, attraverso la capacità di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, assicurandosi che la società in cui si vive possa rendere possibili le condizioni che consentono a tutti i suoi membri di raggiugere uno stato di salute soddisfacente. La carta rende espliciti i prerequisiti e le

(27)

aspettative per la salute quali elementi che non possono essere sostenuti solo dal settore sanitario. Ne consegue una promozione della salute che richiede un’azione coordinata da parte di tutti i soggetti coinvolti: i governi, il settore sanitario, le organizzazioni non governative e di volontariato, le autorità locali, l’industria e i mezzi di comunicazione di massa. Le persone di ogni ceto sociale sono coinvolte come individui, famiglie e comunità. Per la ricerca della salute, i gruppi professionali e sociali e il personale sanitario assumono l’importante responsabilità di mediare tra i diversi interessi presenti nella società. In tal senso, le strategie e i programmi di promozione della salute dovrebbero essere adattati ai bisogni locali e alle possibilità dei singoli paesi e regioni, in modo da tenere conto dei diversi sistemi sociali, culturali ed economici.

Dal documento si evince inoltre, come l’atto del promuovere la salute possa sottintendere la costruzione di una politica per la tutela del benessere, creare ambienti capaci di offrire sostegno, rafforzare l’azione della comunità, sviluppare le capacità personali e riorientare i servizi sanitari.

Secondo questo punto di vista, la popolazione potrebbe essere messa nella condizione di agire attivamente, e i vari interessi sociali ed economici, che sono spesso contrastanti, potrebbero trovare punti di mediazione.

Dopo la Ottawa Charter for Health Promotion, i documenti e le iniziative nazionali e internazionali tesi a promuovere azioni concrete in favore di stili di vita sani e una migliore qualità della vita nella società contemporanea sono stati numerosi, con particolare attenzione per gli interventi promossi all’interno delle politiche scolastiche.

L’Health Promotion Glossary (1998), pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha rafforzato il concetto di educazione alla salute come percorso educativo volto non solo a fornire informazioni attinenti all’ambito sanitario, ma piuttosto a motivare gli studenti operando sul miglioramento della fiducia in se stessi e sulla capacità di prendere decisioni con riferimento alle scelte di salute. Il soggetto in formazione deve sviluppare (Ingrosso, 2005):

(28)

 un’adeguata health literacy: insieme di abilità cognitive e sociali che gli consentano l’accesso, la comprensione e la capacità di usare le informazioni utili per il proprio benessere personale e sociale;

 un buon grado di empowerment: capacità di influenzare e controllare le risorse e il contesto;

 un set appropriato di life skills: cioè abitudini, capacità di scelta e conoscenze che lo mettano in grado di sviluppare dei comportamenti positivi ed efficaci rispetto alle domande e alle sfide della vita quotidiana.

Tenendo conto della Guida per l’Educazione Alimentare nella Scuola Italiana (2011), le indagini effettuate negli ultimi anni, mostrano come siano in aumento nei giovani i problemi legati a cattive pratiche alimentari e alle abitudini di stili di vita poco salutari: dal 1990 ad oggi si è verificato un incremento della quantità di giovani in sovrappeso e con problemi di obesità, e il numero sembra destinato ad aumentare anche nei prossimi anni, a meno di sistematici ed efficaci interventi educativi.

L’estensione dei fenomeni del sovrappeso tra i più giovani è particolarmente allarmante se si pensa alle implicazioni socio sanitarie del futuro, conseguenti al prevedibile incremento delle malattie croniche connesse a questi stati.

Per De Cristofaro (2009), esistono indici predisponenti e fattori controproducenti per lo sviluppo delle condotte alimentari rappresentati da:

 elementi genetici e biologicamente determinanti,  elementi socio-culturali,

 indici della personalità e individuali,  interazione familiare/conflitti,  malattie,

 diete restrittive,  conflitti sessuali.

I modelli di nutrizione delle nuove generazioni potrebbero dunque essere lo specchio della paura per la novità da una parte e della confusione gastronomica dall’altra, riproducendo i comportamenti sociali di chi si trova tra la paura di

(29)

abbandonare la tradizione locale e la necessità di aderire alle opportunità del "villaggio globale" (Ivi, p.5).

"Il concetto di nutrizione è ovviamente interdisciplinare e integrativo di acquisizioni di origine diversa che conducono ad applicazioni pratiche di educazione alimentare con la finalità di perseguire, attraverso la risposta fisiologica, un ottimo stato di salute e di benessere" (Lanzola, Agostoni, p.8).

Sulla base di queste riflessioni, il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha diretto il progetto “OKkio alla SALUTE - Promozione della salute e della crescita sana dei bambini della scuola primaria” al fine di misurare e monitorare nel tempo lo stato di salute, le abitudini di vita, l’espansione e l’influenza delle misure e delle attività di prevenzione ed educazione alla salute e di valutarne l’efficacia nel tempo permettendo un confronto tra le diverse aziende sanitarie, regioni e nazioni. Tale iniziativa è stata promossa dal Ministero della Salute insieme con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e coordinato dall’ISS, in collaborazione con le regioni tra cui il Veneto, collegato al programma europeo “Guadagnare salute” ed al Piano Nazionale di Prevenzione.

Nei dati più recenti del sistema di sorveglianza “OKkio alla Salute”, “il 22,9 % dei bambini coinvolti è risultato in sovrappeso e l’11,1% in condizioni di obesità”. Le cifre mostrano una sostanziale variabilità interregionale, con percentuali tendenzialmente più basse nell’Italia settentrionale e più alte nel sud. Al fine di comprendere l’estensione di questo fenomeno in Italia, nel 2007 il Ministero della Salute ha sovvenzionato il programma “Sistema d’indagini sui rischi comportamentali in età 6-17 anni”, coordinato dall’Istituto superiore di Sanità in cooperazione con le Regioni, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, l’INRAN e le Università di Torino, Siena e Padova.

Inoltre, a partire dal 1975, la “Prima Conferenza Nazionale per l’educazione Alimentare” svoltasi a Roma dall’Istituto Nazionale della Nutrizione e nel 1981, è stato organizzato il convegno “L’Educazione Alimentare in Europa” dalla Cooperazione dei Consumatori a Bologna.

(30)

In entrambi i casi, per mezzo del confronto delle esperienze di Educazione Alimentare condotte nel nostro e in altri Paesi, dell’Europa, si sono definiti alcuni punti fermi che avrebbero contrassegnato lo sviluppo dell’Educazione Alimentare in Italia negli anni successivi.

Questi i principali elementi di riflessione emersi allora:

 la necessità di distinzione tra “momento informativo “ e "momento educativo” nel settore della comunicazione destinata a migliorare le abitudini alimentari;

 l’individuazione della complessità dell’atto alimentare come risultato di elementi fisiologici, psicologici , sociali e culturali.

 il bisogno di fronteggiare l’educazione alimentare in modo sistemico, rendendo partecipe la popolazione, e i giovani in particolare, su tutti i piani individuali come importanti per la creazione del rapporto con il cibo.

Nei dieci/quindici anni seguenti, sono aumentati i progetti di Educazione Alimentare che tuttavia sono stati in grado di acquisire quanto raccontato in maniera parziale e qualche volta contraddittoria, sul sostegno della reattività dei promotori.

Nello specifico, due i punti di debolezza riscontrabili in alcuni progetti:

1) Definire l’educazione alimentare come educazione nutrizionale. Sulla spinta di una crescente necessità di tipo sanitario, legata sempre agli effetti della cattiva alimentazione tra i più giovani, si è compiuto spesso l’errore di mescolare gli obiettivi dell’intervento educativo con i contenuti da trattare. Talvolta ci si è trovati a proporre concetti tecnico-nutrizionali complessi con l’idea che un approccio di tipo cognitivo tecnico-scientifico potesse portare a una reale presa di coscienza da parte dei giovani e a un’effettiva modificazione dei loro comportamenti. Un assunto che, nei fatti, si è dimostrato poco efficace.

2) La parcellizzazione e la dispersione delle esperienze. La mancanza di un programma di lungo respiro partecipato a livello nazionale, ha impedito che in questo tempo si avviassero una raccolta, un confronto e una valutazione delle diverse esperienze poste in atto.

(31)

Nello stesso periodo, si è rafforzata la posizione di quegli studiosi che, consci che ciò che guida l’uomo nelle sue scelte alimentari riguarda molto gli aspetti psicologici, hanno incominciati a spostare l’approccio dell’educazione alimentare su un livello che fosse davvero motivante, più connesso alla realtà e agli interessi e alla prassi quotidiana dei giovani interlocutori. Anche in questo caso, furono due i fenomeni emersi in maniera più evidente:

1) l’affermarsi dei progetti di educazione sensoriale, per un coinvolgimento attivo, consapevole e critico all’alimentazione;

2) l’aumento di valore delle attività collegate alla cucina nell’ambito di percorsi scolastici per la creazione di un rapporto più diretto e concreto col cibo. Gli esiti di questo cambiamento sono stati positivi: è stata esplorata una strada capace di vedere i giovani realmente motivati e disponibili a una riflessione sul proprio comportamento personale che rappresenta il primo passo per diventare protagonisti attivi delle proprie scelte e modificare le proprie abitudini.

La corrente Rete delle Scuole che Promuovono la Salute in Europa - la Rete SHE (Schools for Health in Europe) - ha tratto solide basi dal suo predecessore, la Rete Europea delle Scuole che Promuovono Salute (ENHPS – European Network of Health Promoting Schools), istituita nel 1991 dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Salute, dal Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea, beneficiando dell’esperienza precedente.

I Paesi membri della Rete SHE sono quarantatré in Europa. La Rete SHE garantisce un’idea positiva di benessere che trae le sue basi nella Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite e nella Convenzione Europea sull’Esercizio dei Diritti dei Minori del Consiglio d’Europa.

Ultimamente, a distanza di molti anni dalla prima, la Seconda Conferenza Nazionale per l’Educazione Alimentare di Roma ha avuto il merito di esserne un utile punto di sintesi. Nello specifico, ha permesso di evidenziare come le attività di educazione nutrizionale, sensoriale e di cucina, parte dell’educazione alimentare nella scuola, avessero contribuito a promuovere un’idea di qualità del cibo che si poteva sintetizzare nella rilevazione di quattro parametri essenziali:

(32)

2) caratteristiche sensoriali (il cibo deve soddisfare specifiche caratteristiche legate all’aspetto, alla forma, al colore, all’odore, al sapore, alla consistenza, ecc.);

3) valore nutrizionale (il cibo deve contenere sostanze utili all’organismo); 4) gratificazione (il cibo deve riguardare la gratificazione psicologica e sociale

del consumatore) (Ivi).

2.1.

Alimentazione, corpo, mente: il mondo

dell’infanzia

L’atto del “mangiare” e del sentirsi “nutrito” rappresenta per il bambino un’esperienza di fondamentale importanza in quanto i vissuti positivi o negativi con il cibo e con le relazioni che attraverso di esso si instaurano, possono segnare, anche profondamente, i futuri comportamenti alimentari. La prima conoscenza dei sapori non risale all’infanzia, ma alla vita intrauterina. Infatti, il feto conosce l’alimentazione materna e a questa rimane vincolato, in modo più o meno evidente per tutto il corso della vita. Da ciò deriva che le preferenze in ambito alimentare sono condizionate da moltissimi fattori. Schaal B. et al. (2001) hanno reso noto come nei giorni immediatamente successivi alla nascita, il neonato si dimostri sensibile all’odore di sostanze aromatiche: si tratta di una prima espressione della memoria olfattiva. Il sistema olfattivo del bambino, infatti, è stimolato perché riconosce il profumo di un aroma, e mostra per esso una certa preferenza. Notevole rilevanza hanno anche acquisito i comportamenti che la madre tiene durante le prime settimane di vita del figlio. Se subito dopo la gravidanza ingerisce cibi ricchi di aromi, può esercitare un’influenza tardiva sul comportamento selettivo del figlio. Già dai sette anni, si ha una buona consapevolezza della differenza tra cibi salutari e non salutari.

In particolare, i bambini delle scuole primarie appaiono essere i più condizionati dalle abitudini e dalle preferenze dei genitori. Per Piccinni (2012), i consigli materni, più o meno volontari, sono associati a un più alto livello di disciplina alimentare del piccolo. In tale prospettiva, l’esortazione materna all’essere magri potrebbe indurre i bambini a essere più vulnerabili agli effetti di messaggi televisivi,

(33)

specialmente per i cibi “light” e per i cibi dietetici che sembrano incrementare il consumo di snack. Infatti, se da una parte questo interesse famigliare potrebbe aiutare i bambini a una maggiore sensibilizzazione alimentare prevenendo l’incremento di peso e i rischi di obesità, dall’altra è comunque importante che si attui una corretta comunicazione con i più piccoli.

2.2.

Programmi di educazione alimentare per la scuola

Negli ultimi anni, la scuola ha visto ampliare la propria capacità educativa a più attuali e trasversali contesti, tra i quali anche quello dell’educazione alimentare. In particolar modo, il regolamento sull’autonomia scolastica (D.P.R. n.275 08.03.1999) ha portato a inquadrare diversamente la scuola italiana in relazione alla complessità sociale e territoriale in cui agisce.

Con l’opzione dell’autonomia scolastica, la scuola ha ottenuto più strumenti per mettersi in contatto con il territorio e con gli ambiti sociali e produttivi locali.

Fautrice di cultura e di relazioni, l’istituzione scolastica può offrire alle famiglie mezzi utili per comunicare e cominciare un processo di reale cambiamento dei comportamenti alimentari.

In tal senso, la parola “partecipazione” assume un valore rilevante: infatti, se è vero che la scuola è chiamata a una specifica assunzione di responsabilità con l’introduzione dell’educazione alimentare nel curriculum, è altrettanto vero che l’educazione alimentare va vista come una chiave universale in grado di stimolare la crescita di ogni attore sociale. Per questo motivo sarebbe utile dar vita a ampie sinergie, capaci di coinvolgere tutti i soggetti della vita sociale, e finalizzate alla promozione del benessere come indispensabile elemento di crescita comune. Le istituzioni socio-sanitarie, gli enti Locali, l’industria alimentare, il mondo agricolo, della distribuzione, della vendita e della comunicazione, e, soprattutto, le famiglie, i cittadini in quanto tali e in quanto consumatori dovrebbero strutturare le relazioni con la scuola, orientate a un’idea condivisa di promozione del benessere personale, sociale e ambientale da realizzarsi in particolare attraverso l’educazione alimentare sviluppata nella scuola stessa (Linee Guida per l’Educazione Alimentare a Scuola, 2011).

(34)

Obiettivi Contributi discuplinari

Figura 1.

Gli obiettivi e i contributi disciplinari dell’educazione alimentare. Esemplificazione in ordine alle attività di convivenza civile nella Scuola Primaria. Tratto da: Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle Scuole dell’infanzia (2002), p. 82. FONTE: http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dm100_02a.pdf Da più parti, nella dichiarazione dei diritti del fanciullo, emerge la riflessione relativa alla necessità di uno sviluppo armonico del bambino con se stesso e con il mondo che lo circonda. Il supporto delle istituzioni preposte alla formazione e all’educazione diventa in tal senso prezioso per favorire lo sviluppo e l’autonomia del bambino.

Sulla base di queste riflessioni, gli interventi educativi, rivolti ai bambini, potrebbero realizzarsi in sinergia con le professionalità e le persone che lavorano nel mondo dell’infanzia, la famiglia e la scuola, insieme a chi, a vario titolo, si occupa di salute, alimentazione, attività motoria e comunicazione.

Genitori e insegnanti possono rappresentare un modello di apprendimento per abitudini alimentari corrette e uno stile di vita attivo; interventi realizzati nel contesto-scuola con l’insieme di valori comuni possono aiutare a migliorare le abitudini e gli stili di vita. Tale “impalcatura” può essere realizzata già nella scuola dell’infanzia per ciò che riguarda l’educazione alla salute, per mezzo di una giusta

(35)

programmazione che faccia uso degli strumenti educativi più adatti a bambini e ragazzi: “attività ludiche, percorsi didattici, drammatizzazioni con giochi di ruolo, sperimentazioni in laboratorio che, in tale accezione, diventano strumenti che favoriscono il vivere attivamente il momento educativo, facendolo divenire parte integrante del proprio bagaglio esperienziale e culturale” (Istituto superiore della Sanità. 2008, p.11).

In letteratura (Trento et al., 2012), viene osservato come più del 60% dei bambini è in sovrappeso già prima della pubertà e continuerà a esserlo, verosimilmente, anche in età adulta. Questo stato aumenta il rischio di sviluppare, nel tempo, malattie legate all’obesità, come ad esempio il diabete, l’ipertensione e le alterazioni del metabolismo.

L’aumento del sovrappeso e dell’obesità nell’infanzia e nell’adolescenza è dato, oltre che da fattori genetici, dalla trasformazione dello stile di vita: nell’attuale società la popolazione, sempre più sedentaria, tende a consumare cibi ad alto tasso energetico, ricchi di zuccheri o con un’eccessiva quantità di sale. Tali atteggiamenti possono essere favoriti dalle particolarità fisiche e organizzative dei prioritari contesti di vita del singolo e della comunità.

Studi recenti hanno riportato alcuni risultati incoraggianti per ciò che concerne la prevenzione dell’obesità nei bambini per mezzo di programmi organizzati e svolti all’interno delle scuole.

Tali programmi hanno previsto l’utilizzo del gioco come strumento facilitante e capace di coinvolgere il bambino in attività finalizzate al miglioramento delle abitudini alimentari. Per mezzo del gioco, il bambino comincia a comprendere il funzionamento degli oggetti e attraverso primi caratteri rappresentativi rivela il gioco funzionale.

Giocare è un’esperienza culturale che può essere verosimilmente localizzata nell’ambito potenziale tra la madre e il bambino.

L’attività del gioco può migliorare la creatività e ravviva le capacità cognitive, insegna a essere tenace e a mantenere la consapevolezza delle proprie capacità, il bambino scopre un mondo interiore ed esteriore, cominciando ad accettare le legittime esigenze di queste due realtà.

Figura

Tabella 2.  Motivatori.
Figura 2. Elementi delle strutture enunciative (Peraya, 2011).
Figura 3. Dispositivo d’enunciazione e relazione con lo spettatore (Peraya, 2011).  La relazione con lo spettatore porta alla creazione di diversi modelli contrattuali, o,  per dirla con Landowski (1989), forme di sociabilità: un sistema della distanza e u
Figura 4. Video "Alle origini del gusto".
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