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“ La salvaguardia del territorio
consiste nel saggio uso della terra
e delle sue risorse,
per il bene duraturo degli uomini:
il futuro è il territorio del passato.”
Gifford Pinchot
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INDICE
:
Prefazione
CAPITOLO I:
LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO, LE
ATTIVITA’ EDILIZIE E I TITOLI ABILITATIVI
1.1 Pianificazione territoriale ed urbanistica: nozioni generali e caratteri distintivi
1.2 Pianificazione territoriale: funzione e classificazione
1.3 Pianificazione e strumenti urbanistici: origine, funzione ed evoluzione normativa
1.4 Ripartizione delle competenze: art. 117 Cost.
1.5 Il fondamentale ruolo di V.I.A, V.A.S, A.I.A, nella pianificazione territoriale
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1.6 I titoli abilitativi, profilo storico: dalla “Licenza”, alla
“Concessione”, al “Permesso edilizio” , fino alla disciplina dei titoli abilitativi oggi
1.7 Edilizia libera: interventi che non richiedono titolo abilitativo
1.8 Il permesso di costruire, il procedimento, la decadenza e l’annullamento:
1.8.1 il permesso “in deroga”
1.8.2 il permesso edilizio e la tutela dei beni ambientali e culturali
1.8.3 il mutamento di destinazione d’uso
1.8.4 il contributo di costruzione, le sanzioni per il ritardato o omesso versamento
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CAPITOLO II:
ABUSIVISMO EDILIZIO, ANALISI ED
APPROFONDIMENTI
2.1 Concetto di abusivismo edilizio
2.2 Premessa: evoluzione legislativa degli ultimi anni e problema della normativa da applicare
2.3 Le stagioni dell’abusivismo edilizio e la Legge 47/1985
2.4 Abusivismo edilizio connesso al rischio idrogeologico e sismico, cenni
2.5 Abusivismo edilizio e criminalità organizzata, cenni
2.6 Sanzioni amministrative: i poteri dei Comuni e l’eventuale intervento regionale
2.7 Sanzioni Penali
2.8 Sanzioni Civili
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CAPITOLO III:
LA LOTTIZZAZIONE ABUSIVA
3.1 Premessa: piani di lottizzazione
3.2 La lottizzazione vista come strumento alternativo al piano particolareggiato e la “convenzione di lottizzazione”
3.3 Uno sguardo alla frammentazione della proprietà e ai suoi possibili rimedi: cenni ai c.d. “contratti di cubatura” e al
metodo della perequazione
3.4 La lottizzazione abusiva, nozioni e caratteri generali: il trinomio della lottizzazione abusiva materiale, lottizzazione abusiva cartolare e lottizzazione abusiva mista
3.5 Duplice orientamento giurisprudenziale sulla natura del reato di lottizzazione abusiva (doloso o colposo?), oggi risolto
3.6 Le sanzioni previste per il reato di lottizzazione abusiva: sanzioni civili, sanzioni amministrative, sanzioni penali, sanzioni accessorie
3.7 La competenza per territorio, problemi interpretativi
3.8 Uno sguardo su alcune significative e recenti pronunce giurisprudenziali in materia di lottizzazione abusiva
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3.8.1 Approfondimento: esempio di lottizzazione abusiva legata ai campeggi, il caso specifico del “Camping Seven Star” di Latina
3.8.2 Pronuncia della Corte di Cassazione del 24.01.2014 a proposito delle caratteristiche degli allacci ed ancoraggi delle strutture nei campeggi
CAPITOLO IV:
IL CONDONO EDILIZIO
4.1 Definizione: cosa si intende per “condono”
4.2 L’evoluzione normativa del Condono: i c.d. “tre condoni”
4.3 Le ragioni giuridiche alla base del Condono
4.4 La “ragionevolezza” del terzo condono
4.5 La Corte Costituzionale ed il terzo condono:
4.5.1 Riparto di competenze Stato-Regioni
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4.5.3 Il Condono e la tutela del paesaggio
4.6 La “chiave di lettura” del terzo Condono Edilizio
4.7 Il significato del silenzio del Comune sulle istanze di Condono nelle varie leggi regionali
4.8 Il c.d. “condono paesaggistico” nella Legge 308/2004
4.9 Le ipotesi di condono paesaggistico: la “Sanatoria a regime” e il “Condono eccezionale”
4.10 Il salvataggio del condono paesaggistico: la sentenza della Corte Costituzionale n.183/2006
Considerazioni conclusive e spunti critici Ringraziamenti
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PREFAZIONE:
Politica ed economia, ora più che mai, influenzano
e condizionano l’urbanistica, materia già di per se
interconnessa con la sociologia.
Alla
luce
delle
evoluzioni
della
materia
amministrativa ed urbanistica in relazione alla
pianificazione territoriale, all’abusivismo edilizio ed
al condono, andremo ad analizzare gli aspetti più
salienti di queste complesse materie, attraverso un
iter che si focalizzerà in primis sulle normative
relative alla pianificazione del territorio, per poi
soffermarsi
sulla problematica dell’abusivismo
edilizio e della lottizzazione abusiva, facendo
cenno, di seguito, ai rischi idrogeologici e sismici
interconnessi .
Per terminare esaustivamente questo percorso
analitico, vedremo quello che è stato ed è lo
strumento giuridico utilizzato per tentare di
combattere il fenomeno dell’abusivismo: il condono
edilizio; il quale, a ben vedere, non ha
rappresentato una reale soluzione del problema.
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CAPITOLO I:
LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO,LE ATTIVITA’ EDILIZIE E I TITOLI ABILITATIVI
1.1 PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA: NOZIONI GENERALI E CARATTERI DISTINTIVI
Preliminare, rispetto all’esame dei profili contenutistici, risulta la precisazione in ordine al concetto di pianificazione territoriale ed urbanistica. In particolare, si tratta di chiarire se le aggettivazioni “territoriale” ed “urbanistica” identifichino due distinte nozioni del sostantivo a cui si correlano, di modo che si possa distinguere una pianificazione territoriale da quella urbanistica, oppure esse si risolvano in un’endiadi, determinando, così, una piena coincidenza in termini giuridici tra le due pianificazioni.
La pianificazione territoriale, disciplina che si occupa di studiare e regolamentare i processi di gestione del territorio e di valutarne le conseguenti dinamiche evolutive, è l’attività attraverso la quale si definiscono gli assetti complessivi
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dell’ambiente. Essa rappresenta uno degli strumenti funzionali all’analisi e alla valutazione degli effetti che specifiche azioni progettuali possono avere sul territorio. Tale disciplina nasce per cercare di arginare fenomeni quali lo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali, l’incontenibile corsa tecnologica o anche la frenesia di un’economia in continua crescita che rappresentano i pilastri delle attuali politiche economiche e dello sviluppo delle moderne società. I principi che ispirano le moderne teorie della pianificazione devono seguire linee progettuali coerenti con i principi di sviluppo sostenibile e di tutela dell’ambiente, sia nel tentativo di porre un freno all’antropizzazione, la cui espansione frenetica è capace di trasformare in modo irreversibile i sistemi naturali,sia nel tentativo di migliorare la qualità di vita delle generazioni presenti e future1.
Per quanto concerne la nozione di urbanistica,invece,questa è stata dai più definita come la scienza che si preoccupa della sistematizzazione e dello sviluppo delle città, nell’intento di assicurare, con il sussidio di tutte le risorse tecniche, la migliore posizione di vie, edifici, impianti pubblici,nonché di abitazioni private, in modo che la popolazione vi possa avere una dimora sana, comoda e gradevole.
Emerge con evidenza la possibilità di distinguere un tipo di pianificazione, quella urbanistica, collegata alla omonima materia, ed un’altra, quella territoriale, anch’essa disciplinante l’ utilizzazione e trasformazione del territorio, esulando però da profili ed aspetti urbanistici.
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Ad ulteriore sostegno di quanto appena enunciato, contribuiscono le caratteristiche dei piani relativi alle due forme di pianificazione; più specificamente: sono qualificabili come “territoriali” quelli che producono effetti nei confronti delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela del territorio e che, in particolare, dettano direttive destinate a guidare le previsioni d’uso del suolo.
Per tali caratteristiche si differenziano, dunque, dai piani “urbanistici” che, al contrario, hanno come destinatari anche i privati, incidendo sulle situazioni dominicali.
Le considerazioni appena sviluppate risultavano doverose al fine di comprendere e delineare meglio i confini della nostra trattazione, la quale approfondirà entrambe le forme di pianificazione di cui sopra, analizzandole anche in relazione ad un problema attuale e diffuso: l’abusivismo edilizio.
1.2 PIANIFICAZIONE TERRITORIALE: FUNZIONE E CLASSIFICAZIONE
Le principali funzioni e gli obiettivi della pianificazione territoriale sono:
promuovere un ordinato sviluppo del territorio; assicurare che i processi di trasformazione siano
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compatibili con la sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e con l’identità culturale del territorio;
migliorare la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti umani;
ridurre la pressione degli insediamenti sui sistemi naturali e ambientali (interventi di riduzione e mitigazione degli impatti);
promuovere il miglioramento della qualità ambientale architettonica e sociale del territorio urbano;
prevedere il consumo di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative
Il processo di pianificazione si articola nei seguenti passaggi:
individuazione degli obiettivi generali di sviluppo economico e sociale, di tutela e riequilibrio del territorio; formazione di un quadro conoscitivo (QC);
determinazione delle azioni idonee alla realizzazione degli obiettivi individuati;
regolamentazione degli interventi e programmazione della loro attuazione;
monitoraggio e bilancio degli effetti sul territorio conseguenti all’attuazione dei piani;
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La pianificazione territoriale viene intesa nell’accezione comune come insieme di piani concernenti lo sviluppo e la modifica del territorio.
È proprio la pluralità di piani che ci consente di distinguere diverse forme di pianificazione, delle quali vanno di seguito ricordate le principali: in relazione alla finalità perseguita, distinguiamo una pianificazione “globale o generale”, quando ha lo scopo di sistemazione complessiva del suolo e concerne l’intero ambito spaziale considerato, e una “settoriale o speciale”, allorché persegue obiettivi specifici di assetto e pertanto prende in considerazione solo le zone da essi interessate.
Con riguardo all’ambito spaziale che li connota, i piani risultano raggruppabili secondo diversi livelli, quali ad esempio quello “regionale, sovralocale e comunale”.
Diffusa è anche la distinzione tra “pianificazione di direttive”, “pianificazione operativa” e “pianificazione di attuazione”, in particolare, la prima annovera i piani di vasta area, contenenti fondamentalmente direttive generali per l’assetto del territorio nei confronti delle autorità pubbliche, come ad esempio il piano regionale; la seconda, comprende i piani volti ad attuare le previsioni dei precedenti per livello comunale, con efficacia anche nei confronti dei privati, come ad esempio il piano regolatore generale; la terza, infine, è costituita dai piani destinati a fissare per zone infracomunali prescrizioni più precise, come ad esempio il piano particolareggiato.
Alla base di tale classificazione sussiste l’idea che la pianificazione attinente al territorio si snodi in una sequenza gradualistica di comandi sempre più concreti, nella quale i vari
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piani sono collegati da relazioni tali per cui quelli a scala più ridotta risultano vincolati a quelli a scala più ampia.
L’estensione del principio di sussidiarietà alla pianificazione può essere inteso come un tentativo di portare il livello di governo del territorio all’ente più vicino al cittadino, ricercando, però, la scala che risulti essere allo stesso tempo la più adeguata ed idonea ad affrontare e risolvere in maniera efficace i problemi generati dalle stesse azioni di piano.
Al fine di organizzare e coordinare l’intera attività urbanistica attraverso una serie di direttive principali comunali, fu emanata una legge nel 1942 n. 1150 con la quale viene stabilito il “Piano Territoriale di Coordinamento” rivolto alla individuazione e separazione delle aree destinate ad insediamenti edilizi,residenziali,industriali,agricoli ecc.
Nel 1985 a tale piano è anche demandata l’individuazione delle aree e degli ambiti territoriali da qualificarsi di interesse regionale e per i quali permane la necessità dell’approvazione regionale degli strumenti attuativi urbanistici di quelli generali. Le direttive di piano, in altri termini, devono riferirsi ad una zonizzazione di massima, meno dettagliata di quella comunale, rivolta ad individuare le parti del territorio da riservarsi a particolari destinazioni e quelle che devono considerarsi soggette a determinati vincoli.
L’elaborazione e l’approvazione del piano spettano ora alle regioni, ma quando nel 1942 la legge fu emanata spettavano al Ministero dei lavori pubblici previo parere del consiglio superiore dei lavori pubblici.
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Nelle leggi regionali tali piani assumono svariate denominazioni, ad esempio: piano di indirizzo territoriale, schema di assetto territoriale ecc. e sono le stesse regioni ad indicare i confini del piano. 2
1.3 PIANIFICAZIONE E STRUMENTI URBANISTICI:
FUNZIONE ED EVOLUZIONE NORMATIVA
“Il diritto urbanistico, si può definire come quel complesso insieme di norme che disciplinano la capacità pianificatoria dell'Amministrazione a fronte dell'esplicazione del diritto del proprietario di realizzare opere”3
.
Il rapporto, fra pianificazione ed esplicazione del diritto di proprietà, ci consente di affermare che il diritto urbanistico si pone come tutela della individualità del cittadino e della sua libertà, nei limiti e nel rispetto dell’ordinamento giuridico. In Italia, nei primi anni del Novecento, emerge il termine urbanismo, o, come da molti chiamata, scienza urbanistica. L’urbanistica, pertanto, è la disciplina giuridica dell’insediamento dell’uomo sul Territorio e si caratterizza oltre che per il suo oggetto, come appena specificato, anche per le
2 “Introduzione al diritto delle costruzioni”, Alfredo Fioritto, Giappichelli,
2013
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sue finalità, quali conservare, modificare e riqualificare il territorio stesso.4
Indicativo, a questo proposito, può essere il richiamo alla legge fondamentale sull’espropriazione per causa di pubblica utilità, la L. n. 2359/1865: essa riguardava, da un lato, l’abitato esistente ed aveva lo scopo di migliorarne la disposizione dal punto di vista dell’igiene e del traffico; dall’altro lato prevedeva un piano di ampliamento, il quale riguardava invece la formazione di nuovi quartieri, secondo un programma di progressivo sviluppo, assolvendo anche funzioni di carattere estetico. Tuttavia la legge in questione non entrò in alcun modo nello specifico della regolamentazione, pur restando per oltre un secolo l’unica legge urbanistica a carattere generale.5
Tuttavia a seguito dell’accelerazione del tasso di crescita della popolazione e dell’espandersi ed intrecciarsi dei rapporti tra centro urbano e zone limitrofe, quale effetto della rivoluzione industriale e tecnologica, ecco che si avvertiva sempre di più l’esigenza di una normativa di dettaglio, che fosse allo stesso tempo, completa ed esaustiva. Nacque, così, la Legge n. 1150/1942, cosiddetta “Legge urbanistica”, promulgata nell’agosto 1942 da Vittorio Emanuele III.
L’Art. 1 della legge di cui sopra pone chiaramente l’obiettivo di disciplinare non solo l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati, ma anche lo sviluppo urbanistico in genere del territori, sicché si afferma una concezione normativa dell’urbanistica avente per oggetto il territorio e non più solo lo sviluppo dei centri urbani.
4 “Diritto urbanistico”, Di Lorenzo, 1973
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A differenza del provvedimento normativo del 1865, la legge urbanistica di cui sopra non faceva più distinzione tra i piani di ricostruzione ed i piani di ampliamento, assoggettando, invece, a pianificazione tutto il territorio comunale, da suddividersi in zone funzionali differenti, in relazione alle destinazioni d’uso. Emerge, dunque, con nettezza come l’interesse edilizio residenziale ceda ora il posto anche ad interessi economici, culturali e soprattutto sociali; il che costituisce un indubbio merito della legge urbanistica.
Per la prima volta, infatti, vengono previsti vari livelli di pianificazione tra loro collegati e coordinati, che vanno da un piano sovracomunale, al piano territoriale di coordinamento, a cui abbiamo già fatto accenno, che avrebbe dovuto fissare le direttive generali dell’assetto territoriale, a piani via via più dettagliati, come il piano regolatore generale ed il piano particolareggiato, destinati a specificare dette direttive, traducendole in precise prescrizioni e vincoli per i privati. Ad oggi, a distanza di oltre un sessantennio dall’entrata in vigore di questa legge, nonostante l’intervento di numerose disposizioni di modifica ed integrazione, nonostante continui proponimenti di elaborazione di una nuova legislazione di base, ancora non si assiste ad una radicale rivisitazione della materia in grado di disegnare unitariamente e compiutamente il sistema.
I vari tentativi di procedere ad una revisione della legislazione del 1942 approdarono alla cosiddetta “legge ponte” del 6 agosto 1967 n. 765, recante modifiche e integrazioni alla legge urbanistica del 1942 e che lo stesso legislatore presentò come
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normativa parziale e temporalmente limitata nella prospettiva di una imminente ed organica riforma urbanistica.
Gli aspetti innovativi ed essenziali della legge riguardavano, innanzitutto, lo snellimento delle procedure di approvazione dei piani urbanistici, con fissazione di termini perentori e previsione dei poteri sostitutivi nelle ipotesi di inadempienza degli organi comunali;
era, inoltre, prevista la fissazione di limiti tassativi di edificabilità in mancanza di un piano urbanistico generale; ancora, l’introduzione del piano di lottizzazione convenzionato come strumento alternativo, rispetto al particolareggiato, per l’esecuzione del piano regolatore generale; l’estensione dell’obbligo di richiedere la licenza edilizia a qualsiasi costruzione da realizzare in ogni parte del territorio comunale, dunque non più solo nel centro abitato, nonché alle opere di urbanizzazione; infine, l’aggravamento delle sanzioni penali previste
per l’inosservanza di norme urbanistiche.
La finalità sottostante alla legge di cui sopra era essenzialmente quella di consentire l’espansione dei centri edificati esistenti e la creazione di nuovi solo a condizione che esistessero le infrastrutture necessarie: stradali, tecnologiche ed igienico-sanitarie.
L’innovazione fondamentale della legge ponte riguarda i cosiddetti standard urbanistici, cioè le quantità minime di spazio che ogni piano deve inderogabilmente riservare all’uso pubblico, e le distanze minime da osservare nell’edificazione ai lati delle strade.
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Tuttavia, unitamente a questi aspetti positivi, non tardarono a manifestarsi risvolti negativi; in effetti, la legge del 1967 rilanciò artificiosamente l’attività edilizia privata e, poiché questa era esente da ogni controllo pubblico, favorì sostanzialmente la speculazione, le cui conseguenze furono a dir poco dannose e drammatiche.
In questo clima di confusione non solo normativa, ma anche sociale, si inserì prepotentemente la famosa legge 28 gennaio 1977 n. 10, cosiddetta legge Bucalossi, dal nome del ministro repubblicano per i lavori pubblici che ne fu l’autore; provvedimento che, pur non avendo i crismi della tanto attesa legge di riforma urbanistica, possedeva un potenziale innovativo di grandissimo spessore fondato su un nuovo modello di pianificazione, gestione e controllo.
Tra le novità introdotte da suddetto provvedimento normativo, va ricordata la sostituzione della licenza edilizia, prevista dall’art. 31 della L. 1150/1942, con la concessione, la quale era dovuta se l’intervento edilizio per cui veniva richiesta fosse stato conforme alle prescrizioni dei piani urbanistici; questa era onerosa e oltretutto, una volta concessa, diveniva irrevocabile. Fu in seguito emesso il decreto legge 23 gennaio 1982 n.9 (c.d. Decreto Nicolazzi) convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 marzo1982 n. 94.
Questa normativa, per quanto attiene alla materia urbanistica, esonerò dall’obbligo di dotarsi di programmi pluriennali di attuazione i Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti e previde altre particolari ipotesi di interventi edilizi eseguibili a seguito di autorizzazione gratuita del Sindaco, estendendo ad esse l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso.
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L’assentimento tacito venne altresì disciplinato anche in relazione alle istanze di rilascio dei provvedimenti di concessione per nuove costruzioni residenziali e per il recupero di immobili preesistenti, con una procedura semplificata per i Comuni la cui popolazione era inferiore a trentamila abitanti; mentre nei Comuni di maggiori dimensioni, il procedimento fu ricollegato alla necessità, per il progettista, di attestare la conformità dell’intervento ad un “certificato di destinazione d’uso del suolo”, in cui le Amministrazioni comunali erano tenute ad indicare tutte le prescrizioni urbanistiche ed edilizie riguardanti l’area o gli immobili interessati.
Nel frattempo, la realtà delle aree metropolitane dopo aver giaciuto per lunghi decenni nelle analisi di attenti studiosi, lungi da un riconoscimento legislativo, si è trovata nel corso di un decennio, per ben due volte, al centro dell’attenzione del legislatore:
una prima volta nella L. 142/1990 per inserirla nella riforma generale dell’amministrazione locale; quindi nella L. 265/1999 e nel successivo D. Lgs. 267/2000 che ha costituito il nuovo Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
È in questo contesto che nasce la città metropolitana, quale nuovo organo di governo delle aree urbane, cui sono tra l’altro attribuite le competenze concernenti la pianificazione territoriale dell’area metropolitana.
Altra innovazione introdotta dal provvedimento normativo, detto sopra, è stata l’introduzione del piano territoriale di coordinamento di competenza della Provincia che ha attribuito
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a ciascuna provincia il compito di predisporre e adottare un piano territoriale di estensione provinciale.6
La regione dovrà determinare in concreto le norme procedurali per l’approvazione del piano.
1.4 RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE: ART 117
La versione originaria dell'art. 117 Cost., infatti, prevedeva una potestà legislativa delle regioni concorrente in materia urbanistica, da svolgersi cioè nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato,cosiddette “leggi cornice”, ed in maniera da non contrastare con l’interesse nazionale e con quello delle altre Regioni.
Diverso è il discorso per le Regioni a statuto speciale e le due Province autonome di Trento e Bolzano per cui era prevista una potestà legislativa a carattere primario i cui unici limiti erano l'interesse nazionale e le grandi riforme. 7
I compiti dello Stato risultano, in campo urbanistico, del tutto residuali; secondo l'art. 52 del D. Lgs. n. 112 del 1998, i compiti svolti dallo Stato sono quelli "relativi all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e
6 “Manuale di diritto urbanistico”,Filippo Salvia,Cedam 2008 7 “Manuale di diritto urbanistico”, Filippo Salvia,Cedam 2008
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all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del Paese".
Il quadro costituzionale attualmente vigente dei rapporti tra lo Stato e le Regioni è quello fissato dalla novella del Titolo V della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 e dalle conseguenti norme di adeguamento ed attuazione contenute nella legge 5 giugno 2003 n. 131. Il novellato art. 117 della Costituzione, occupandosi del riparto delle materie tra la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, individua tre ambiti diversi: il primo riguarda le materie espressamente attribuite alla competenza dello Stato; il secondo concerne le materie di legislazione concorrente affidate alle Regioni tranne che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla competenza dello Stato; infine, il terzo gruppo riguarda tutte quelle materie non inserite nei due precedenti gruppi, le quali sono attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni.
Come noto, il criterio di riparto introdotto dall’art. 117 risulta ribaltato rispetto a quello previgente che individuava in modo espresso le materie di competenza regionale, mentre tutte le altre rimanevano di competenza dello Stato.
Tra le materie di competenza esclusiva, insieme alla "politica estera", "immigrazione" e "rapporti con le confessioni religiose", troviamo anche la "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali".
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Tra le materie di competenza concorrente, insieme alla "tutela e sicurezza del lavoro", "l'istruzione" e la "formazione professionale", troviamo anche il "governo del territorio". Sembrerebbe che nel nuovo testo dell'art. 117 Cost. non trovi spazio né l'urbanistica né il paesaggio.
Non si tratta, in entrambi i casi, di una "svista" legislativa, di una disattenzione, bensì di una scelta voluta: l'espressione "governo del territorio" comprende, in un'ottica federalista, l'urbanistica e la paesaggistica.8
Sicché oggi si ritiene che l’espressione “governo del territorio” alluda ad un’unica materia concorrente, avente al suo interno diversi oggetti, quali l’urbanistica, l’edilizia, l’edilizia pubblica residenziale e l’espropriazione, limitatamente ai suoi profili strumentali al governo del territorio.
Più articolata la questione del paesaggio, inteso, da una parte della dottrina, quale fusione tra ambiente naturale e opera dell'uomo e che, in un primo momento, è stato considerato come "sub-materia dell'urbanistica" e successivamente, grazie anche all’ intervento delle Corte Costituzionale, è stata ritenuta materia autonoma rispetto all'urbanistica stessa ma riconducibile, comunque, al più ampio concetto di "ambiente". In definitiva l'urbanistica è stata convertita in "governo del territorio" con una potestà legislativa ripartita tra Stato e Regioni, mentre il paesaggio è ricompreso nella "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali" di esclusiva competenza statale.
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La pianificazione urbanistica, quale aspetto più rilevante del governo del territorio, si sviluppa attraverso una sequenza gradualistica di piani sempre più specifici, con due elementi di chiusura, costituiti dal permesso edilizio e da un insieme di sanzioni per reprimere ogni ipotesi di abuso edilizio.
Questi piani cui abbiamo fatto cenno, possono presentarsi sotto forma generale oppure particolareggiata ed attuativa. Più specificamente, tra i piani generali rientrano:
1. i piani territoriali di coordinamento (P.T.C.) regionali e provinciali;
2. il piano regolatore generale comunale (P.R.G.); 3. il piano intercomunale;
4. il programma di fabbricazione (P.D.F.). I piani attuativi, invece, sono rappresentati da : a) piani particolareggiati (P.T.);
b) piani per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) previsti dalla legge 18 aprile 1962, n. 167;
c) piani per gli insediamenti produttivi (P.I.P.); d) piani di recupero (P.R.);
e) piani di lottizzazione (P.L.) previsti dall’art. 28 della legge n. 1150/ 1942.
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Considerando l’estensione spaziale, esiste un’altra suddivisione non meno importante tra:
a) piani sovracomunali, corrispondenti ai piani territoriali di coordinamento;
b) piani generali, identificabili nei piani regolatori generali comunali;
c) piani sub comunali, rappresentati dai piani cosiddetti “attuativi”.
1.5 IL FONDAMENTALE RUOLO DI V.I.A. - V.A.S. - A.I.A NELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
V.I.A, V.A.S. e A.I.A. nascono dalla necessità di ponderare l’incidenza di nuove opere con riferimento al valore e all’impatto ambientale.
La normativa contenuta nel dlgs 152/2006, recentemente modificato col dlgs 128/2010, contenente la disciplina comunitaria in materia di tutela dell’ambiente,individua la finalità della V.I.A.(valutazione di impatto ambientale) nella “protezione della salute umana,contribuzione alla alta qualità
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della vita grazie a un migliore ambiente,conservazione della specie e dell’ecosistema”9
.
L’oggetto della valutazione è appunto l’impatto dell’opera sull’ambiente, più in particolare in riferimento ai seguentti elementi:
uomo-fauna-flora suolo-acqua-aria-clima patrimonio culturale
interazione tra questi fattori
Si instaura una fase di ponderazione,comparazione e controllo attraverso la quale si effettua un bilanciamento tra l’interesse alla realizzazione dell’opera e l’interesse alla tutela e mantenimento ambientale.
Si apre poi una successiva fase decisiva con la quale verrà dato o meno il consenso per la realizzazione dell’opera sulla base dei seguenti criteri:
Alterazione qualitativa e quantitativa dell’ambiente Alterazione dell’ambiente in relazione ai fattori antropici, naturalistici, climatici, paesaggistici, architettonici, agricoli
Il provvedimento di V.I.A può essere rimesso all’autorità Statale ovvero il Ministero dell’ambiente e Ministero dei Beni Culturali,oppure all’autorità Regionale; la scelta varia in base
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alla dimensione del progetto dell’opera ed ai suoi possibili effetti.
L’iter della V.I.A. può schematizzarsi nel seguente modo: I. FASE DI INIZIATIVA: redazione del progetto
dell’opera realizzato da un soggetto proponente pubblico o privato da sottoporre alla valutazione a cui deve essere allegato uno studio di impatto ambientale.10
II. FASE DI PUBBLICITA’ E CONSULTAZIONI:gli atti di iniziativa devono essere depositati presso l’autorità competente,Regionale o Statale a seconda del tipo e dimensione del progetto,accompagnati da una sintesi per garantire la compresione dei contenuti del progetto e dei suoi effetti.
III. FASE DI PONDERAZIONE
IV. FASE DI DECISIONE: provvedimento motivato espresso nei 150 giorni seguenti.
Per quel che riguarda la V.A.S (Valutazione Ambientale Strategica)11, si tratta di un procedimento che accompagna la costruzione stessa dell’atto di pianificazione e programmazione territoriale. Non si tratta dunque di un
10 “Diritto dell’ambiente”,a cura di Giampaolo Rossi,Giappichelli,Torino 11
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controllo,di una valutazione esterna dell’atto di programmazione nei confronti dell’ambiente (come è la V.I.A.), bensì siamo di fronte ad uno strumento di supporto interno che agisce durante l’elaborazione del piano. La valutazione ambientale strategica si occupa principalmente di una analisi delle ricadute potenziali sull’ambiente dovute alle pianificazioni territoriali e di una analisi sulle differenti opzioni di realizzazione di un progetto,fra le quali l’amministrazione si trova a dover scegliere. La valutazione ambientale strategica è avviata dall’autorità che procede al processo di formazione del piano. L’iter valutativo si conclude con un provvedimento motivato e vincolante di adozione o non adozione del piano. Laddove un piano venga adottato senza previa valutazione ambientale strategica,quel piano è annullabile.
Ultimo, non per importanza, è lo strumento dell’A.I.A (Autorizzazione Integrata Ambientale) .
Si tratta dell’autorizzazione di cui necessitano alcune aziende per uniformarsi ai principi di “integrated pollution prevention and control” (IPPC) dettati dalla comunità europea a partire dal 1996.12.
L’A.I.A. considera in ogni caso come punti fermi il rispetto dei requisiti minimi stabiliti nelle norme ambientali di settore, le prescrizioni in materia di V.I.A, la compatibilità con le norme di qualità ambientale (piani di qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo).
12
Direttiva europea 96/61/CE, poi riscritta dalla Direttiva
europea 2008/01/CE e ora confluita nella Direttiva europea 2010/75/UE, detta Direttiva IED - industrial emissions directive
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Quindi questo è un tipo di autorizzazione specifico che si basa sulla valutazione di ogni possibile tipo di inquinamento; affinchè l’autorizzazione venga concessa devono essere rispettati criteri molto severi da parte delle imprese, quali:
Smaltire e riciclare i rifiuti,
Depurare e controllare periodicamente gli impianti per prevenire incidenti,
Introdurre fonti rinnovabili o utilizzare altre strategie per diminuire l’inquinamento,
Le procedure di V.I.A ed A.I.A potrebbero dar luogo a sovrapposizioni e interferenze, per risolvere la situazione il legislatore ha stabilito che nello studio di impatto ambientale (V.I.A.) devono essere incluse già anche le informazioni previste dalla disciplina sull’A.I.A.13
Per concludere quanto detto finora e prima di passare all’analisi di eventi e problemi legati alla materia urbanistica, soffermiamoci su una figura alquanto rilevante e determinante in questo ambito: l’urbanista-pianificatore il quale deve sapere anche di bilanci comunali, di opere pubbliche, di compensazioni tecnico-amministrative, di programmazione delle opere, tali conoscenze lo devono portare ad una accorta
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valutazione sulle richieste che gli sono sottoposte tenendo di conto della salvaguardia del territorio.
L’amministrazione deve analizzare e individuare le proposte meritevoli di approfondimento e laddove esse siano compatibili con le norme di legge, deve ripartire il diritto di edificare e gli oneri derivanti dalla dotazione di aree territoriali.
La differenza con il passato sta nel fatto che ora sono i privati che debbono avanzare proposte,mentre prima era il comune che arbitrariamente identificava zone di sviluppo sulle quali dover edificare.14
1.6 I TITOLI ABILITATIVI: PROFILO STORICO: DALLA “LICENZA” ALLA “CONCESSIONE” AL “PERMESSO EDILIZIO” , FINO ALLA DISCIPLINA DEI TITOLI ABILITATIVI OGGI.
La licenza edilizia ha avuto il suo primo riconoscimento legislativo già nel 1935, relativamente ai soli comuni sismici.
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Sarà più tardi, con la legge urbanistica del 1942 , che verrà data una valenza più generale all’istituto prevedendo all’art. 31 l’obbligo di licenza per le nuove costruzioni relative ai territori urbani, non anche a quelli extraurbani,ad esempio agricoli. Con la legge del 1967 l’ambito di applicazione della licenza viene esteso a tutto il territorio comunale comprese le zone agricole e non riguarda più solo le nuove costruzioni ma anche gli ampliamenti, le modifiche o le demolizioni, nonché l’esecuzione di opere di urbanizzazione.
Vengono assoggettate all’obbligo della licenza anche le opere dei privati su aree demaniali, prima ritenute escluse dal controllo delle autorità comunali poiché realizzate in seguito a concessione demaniale.
Nel 1977 ci fu la c.d. riforma dei suoli , con essa si passò dal sistema delle licenze al sistema delle concessioni, per la prima volta a carattere oneroso. Dopo la riforma dei suoli il regime dei titoli abilitativi è divenuto più complesso e articolato: accanto alla concessione edilizia (per le nuove costruzioni e per gli interventi edilizi più profondi), sono stati creati anche: autorizzazione edilizia non onerosa ( per interventi meno pesanti) e la denuncia di inizio attività (per interventi minori). Ultime modifiche sono state introdotte dal Testo Unico dell’Edilizia che ha sostituito il regime delle concessioni con quello dei permessi per costruire ed ha riorganizzato l’intera materia con le “leggi cornice”.15
Il testo unico sull’edilizia ha introdotto la divisione in tre diversi regimi costruttivi: quello dell’attività edilizia libera, quello della denuncia di inizio attività e quello del permesso edilizio, è
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venuto invece meno il sistema della semplice autorizzazione edilizia prevista nella precedente legislazione.
Per capire quale di queste discipline deve essere adottata, dobbiamo andare volta volta a vedere quali tipi di intervento sono richiesti: se si tratta di interventi di manutenzione
ordinaria ossia quelli necessari per la manutenzione e il
mantenimento degli impianti, oppure interventi di manutenzione straordinaria necessari per rinnovare o
sostituire parti anche strutturali degli edifici senza modificarne la destinazione d’uso, oppure interventi di restauro e
risanamento conservativo cioè l’insieme di interventi volti a
conservare e assicurare gli impianti, interventi di ristrutturazione edilizia volti a trasformare gli organismi edilizi
mediante interventi che possono modificare in tutto o in parte la destinazione dell’edificio, interventi di ristrutturazione
urbanistica allo scopo di intervenire,modificare il disegno dei
lotti, degli isolati e della rete stradale, intervento di nuova
costruzione come dice la stessa denominazione sono volti alla
realizzazione di nuovi edifici.
Per ognuno dei predetti interventi è stabilito il titolo abilitativo necessario, tuttavia si tratta di una legislazione elastica che legittima nelle diverse regioni dei regimi abilitativi differenziati.16
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1.7 EDILIZIA LIBERA: INTERVENTI CHE NON
RICHIEDONO TITOLO ABILITATIVO
Non sono soggetti a titolo abilitativo gli interventi di manutenzione ordinaria , gli interventi in abitazioni private volte alla eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la costruzione di rampe, di ascensori esterni e altri manufatti che alterino la sagoma dell’ufficio.
Dobbiamo però precisare che quando si parla di attività libere non si intende che siano al di fuori di ogni controllo: devono infatti essere rispettate le norme urbanistiche regionali e comunali, le norme riguardanti l’attività edilizia ed infine le norme del testo unico sui beni culturali e ambientali. 17
1.8 IL PERMESSO DI COSTRUIRE, IL PROCEDIMENTO, LA DECADENZA E L’ANNULLAMENTO
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Il permesso edilizio è richiesto per le attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio di più forte impatto,in particolare per gli interventi di nuova costruzione, per quelli di ristrutturazione c.d innovativi cioè che portino ad una struttura edilizia nuova del tutto o in parte, infine per quegli interventi edilizi su aree demaniali o su immobili di proprietà dello Stato effettuati da enti privati o pubblici.
Gli altri interventi,invece,sono assoggettati al regime della D.I.A.
Il permesso edilizio viene inquadrato tra i provvedimenti autorizzatori ma con una particolarità: gli effetti del permesso incidono in maniera permanente sulla disciplina dell’immobile e ne cristallizzano il regime giuridico ed è per questo motivo che poi nascono problemi nel caso di mutamento di destinazione d’uso dell’immobile.
Per quanto riguarda il procedimento, al fine di accelerare i tempi, è stata prevista la costituzione di un organismo denominato Sportello Unico per l’Edilizia presso i diversi comuni.
Esso ha il compito di ricezione delle domande di permesso edilizio, delle denunce di inizio attività e di ogni altro atto di assenso in materia edilizia.
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Le fasi del procedimento le troviamo all’art 20 (t.u. Edilizia) e sono :
a. Presentazione della domanda e del progetto dell’opera allo Sportello Unico, i soggetti legittimati a farlo sono i proprietari dell’immobile o altri soggetti aventi titolo, come ad esempio l’usufruttuario negli interventi di restauro oppure l’enfiteuta per la costruzione o ristrutturazione dei fabbricati rurali
b. Entro dieci giorni dalla presentazione della domanda deve essere indicato il nome del responsabile del procedimento
c. Fase istruttoria: si svolge nei seguenti sessanta giorni dalla presentazione della domanda, entro questo termine il responsabile del procedimento deve acquisire tutti i pareri e gli assensi richiesti e formulare, come conclusione dell’istruttoria, una proposta di provvedimento accompagnata da una dettagliata relazione con la qualificazione tecnica e giuridica dell’intervento richiesto. Il termine di sessanta giorni può essere interrotto se durante l’istruttoria viene richiesta una integrazione procedimentale, entro quindici giorni dalla proposizione della domanda. In tal caso il termine ricomincerà a decorrere dal momento in cui viene presentata la documentazione integrativa
d. Rilascio del permesso edilizio: effettuato dal dirigente entro un termine perentorio di quindici giorni dalla proposta del responsabile del procedimento. Sia nel caso di rigetto del permesso che nel caso di accoglimento è richiesta la motivazione
e. Pubblicità: deve essere data notizia al pubblico, mediante affissione nell’albo pretorio, dell’avvenuto
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rilascio del permesso. È importante ricordare che il permesso ha carattere reale ed è quindi trasferibile ai successori o aventi causa del proprietario.18
Nel permesso edilizio devono essere indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Quello di inizio non può superare l’anno e quello di ultimazione dei lavori non può superare tre anni dalla data dell’inizio. Quando, per cause non imputabili al soggetto, si ha un ritardo nei lavori, può essere richiesta ed accolta una proroga dei termini; essa è concessa dal dirigente. La mancata indicazione dell’inizio e del termine dei lavori determina la decadenza del permesso di costruire.
Veniamo infine ai casi di annullamento del permesso edilizio: oltre che per effetto di una sentenza del giudice amministrativo, il permesso edilizio è suscettibile di annullamento sia da parte della stessa autorità che lo ha emanato (il comune), sia da parte della regione.
L’annullamento si ha sia in presenza di un vizio di legittimità del permesso edilizio, quali, incompetenza violazione di legge,eccesso di potere, sia in presenza di un interesse pubblico concreto all’annullamento: non si intende un interesse pubblico generico, ma va individuato nello specifico il pregiudizio che quel certo permesso edilizio provoca all’interesse pubblico urbanistico, di conseguenza la motivazione dell’annullamento del
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provvedimento deve riportare nello specifico il danno urbanistico concretamente prodotto.
Per l’annullamento d’ufficio ad opera del comune,non sono previsti termini di sorta, anche se è comunque previsto un “termine ragionevole” tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei contro interessati.
Per quanto riguarda invece l’annullamento ad opera della regione: i presupposti per tale annullamento sono i soliti detti prima,quindi l’illegittimità e l’interesse pubblico, ma in questo caso sono previsti limiti temporali ben precisi e cioè un termine di decadenza di 18 mesi decorrenti dall’accertamento delle violazioni e un termine di prescrizione decennale dalla emanazione del permesso. Il procedimento si articola in fasi:
Accertamento della violazione d’ufficio o su denuncia
Contestazione delle violazione con invito a presentare controdeduzioni entro un determinato termine
Ordine, eventuale, di sospendere i lavori, il quale viene notificato al titolare del permesso, al proprietario, al progettista e al Comune ( da notare
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che in ordine alla sospensione dei lavori la giurisprudenza ha affermato che la stessa costituisce un provvedimento cautelare distinto ed autonomo rispetto all’eventuale provvedimento finale di annullamento. L’ordine di sospensione cessa di avere efficacia se entro sei mesi dalla sua notificazione non viene emesso il decreto di annullamento)
Emissione del decreto di annullamento da emettere entro 18 mesi dall’accertamento delle violazioni
1.8.1 IL PERMESSO “IN DEROGA”
Nei primi anni di applicazione della legge urbanistica del ’42 si era affermata la prassi delle c.d. “licenze in deroga”, prassi che partiva dall’idea (oggi recessiva) del carattere ampliamente discrezionale della licenza edilizia che avrebbe consentito ai Comuni di
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concedere deroghe al piano regolatore o al regolamento edilizio.
Gli abusi di tale prassi furono gravissimi ed il Legislatore fu costretto a dettare talune regole limitative per arginare il fenomeno in base alle quali si prevede che la deroga sia innanzitutto circoscritta ai piani in cui è prevista dal piano regolatore, in secondo luogo essa è soggetta ad una procedura aggravata che prevede la previa delibera del consiglio comunale, in terzo luogo è circoscritta agli edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico (cioè quelli appartenenti a enti pubblici e destinati a finalità di carattere pubblico come ad esempio scuole, ospedali,caserme, impianti turistici, teatri ecc).
1.8.2 PERMESSO EDILIZIO E TUTELA DEI BENI AMBIENTALI E CULTURALI
Con riferimento all’attività pianificatoria è ormai consolidato l’indirizzo favorevole alla possibilità di inserimento negli strumenti urbanistici di prescrizioni
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per la salvaguardia dell’ambiente, mentre relativamente al permesso edilizio prevale l’orientamento opposto, infatti l’autorità preposta al rilascio del permesso edilizio non potrebbe negarlo per motivi di tutela ambientale, paesistica o igienica, trattandosi di interessi che riguardano la cura di altre amministrazioni. Il permesso edilizio è rivolto allo sviluppo della residenza e della distribuzione degli edifici nei terreni idonei alla costruzione e non alla tutela degli interessi paesistico-ambientali. In realtà analizzando meglio le posizioni della giurisprudenza si capisce che il permesso edilizio non ha potere in relazione alla salvaguardia dell’ambiente laddove e solo laddove il piano regolatore non abbia dettato apposite disposizioni di tutela dell’ambiente da rispettare.
In sostanza quello che la giurisprudenza vuole affermare è che in presenza di un piano regolatore non contenente una disciplina ostativa al rilascio del permesso edilizio, il comune non può negare quest’ultimo, al massimo può imporre modalità esecutive per adeguare il progetto ad esigenze estetiche di decoro cittadino.
1.8.3 MUTAMENTO DELLA DESTINAZIONE
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Nel regime dei “mutamenti di destinazione d’uso” i casi di maggior rilievo sono quelli della riconversione di un edificio destinato inizialmente ad uso agricolo o commerciale in uso abitativo, oppure ancora più delicata è la riconversione di edifici industriali in edifici destinati ad altri scopi.
La giurisprudenza in una situazione di vuoto legislativo, ha deciso di attenersi ai seguenti criteri: il comune di fronte ad una richiesta di modifica di destinazione d’uso dovrà innanzitutto valutare la rilevanza e la compatibilità della trasformazione la quale può essere accolta solo se il mutamento è conforme con la normativa urbanistica in vigore. L’art. 10 comma 2 t.u. ha stabilito una norma di principio rivolta alle Regioni: esse stabiliscono con legge quali mutamenti dell’uso di immobili o di loro parti sono subordinati al permesso di costruire o a denuncia di attività.
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1.8.4 IL CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE, LE SANZIONI PER IL RITARDO O L’OMISSIONE DI PAGAMENTO
Importante da dire è che il permesso edilizio di cui finora abbiamo parlato è di regola oneroso: il suo rilascio è condizionato dal pagamento di un contributo commisurato al costo di costruzione e all’incidenza delle spese di urbanizzazione.
La parte della quota relativa all’incidenza delle spese di urbanizzazione deve essere versata presso il Comune al momento del rilascio del permesso, mentre l’altra parte della quota,quella relativa ai costi di costruzione, verrà pagata in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune e comunque non oltre sessanta giorni dal termine dei lavori.
Nel caso di omesso o ritardato pagamento della somma prevista, le Regioni devono stabilire le relative pene pecuniarie (che non possono essere né inferiori né superiori al doppio della somma richiesta per il rilascio del permesso edilizio).
In particolare è previsto un aumento del 20% qualora il versamento venga effettuato nei successivi 120 giorni, un aumento del 50% qualora il versamento venga effettuato nei successivi 180
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giorni ed infine un aumento del 100% se il pagamento non sia ancora stato effettuato nei successivi 240 giorni. Decorso anche quest’ultimo termine il Comune provvederà alla riscossione coattiva del credito tramite ingiunzione di pagamento.19
1.9 DALLA D.I.A. ALLA S.C.I.A.
La denuncia di inizio attività in edilizia è un atto amministrativo, la cui disciplina è contenuta nel Testo unico dell'edilizia della Repubblica italiana 20 che ne descrive il potere e i limiti agli artt. 22 e 23.
Dal 2010 è stata, per la maggior parte dei casi, sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.).
Tuttavia la D.I.A. ancora oggi esiste e può essere utilizzata, per le varianti in corso d'opera, invece di un permesso di costruire, qualora si apportino modifiche non sostanziali.
19 “Manuale di diritto urbanistico”,Filippo Salvia, Cedam 2008 20
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Questo tipo di denuncia di inizio attività (D.I.A.) è diventata uno strumento molto versatile, che è servito alla pubblica amministrazione italiana (in larga parte, gli uffici tecnici dei Comuni) per agevolare e snellire il procedimento relativo a pratiche edilizie, di minor peso urbanistico, sull'attività edilizia
che si svolgeva sul proprio territorio.
Con una D.I.A., infatti, si poteva ristrutturare il proprio appartamento, effettuare opere di manutenzione ordinaria o straordinaria sul proprio immobile e persino costruire nuovi edifici, qualora fosse presente un piano particolareggiato, ovvero in caso di demolizione e ricostruzione fedele.
La D.I.A. tuttavia non è da confondersi con un'autorizzazione. Di fatto, essa è un'autodichiarazione del committente dei lavori accompagnata da una relazione asseverata da un tecnico (oltre i vari documenti da allegare), pertanto, risulta essere più responsabilizzante per il privato e per il tecnico, piuttosto che per la pubblica amministrazione che, nel caso di D.I.A., svolge un mero controllo dei requisiti.21
Il fondamento giuridico dell'istituto è probabilmente da rintracciarsi nella legge 28 febbraio 1985 n. 47 che stabiliva:
« Non sono soggette a concessione ne' ad autorizzazione le opere interne
alle costruzioni che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, non comportino modifiche della sagoma ne' aumento delle superfici utili e del numero delle unita' immobiliari, non modifichino la destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile [...]. »
21 “Compendio di diritto amministrativo”, Elio Casetta, Giuffrè Editore,
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Per quanto riguarda l’iter burocratico: la denuncia di inizio attività si presenta allo sportello unico per l'edilizia del Comune a firma di un tecnico abilitato alla progettazione (ingegnere, architetto, geometra o perito) e deve contenere un progetto grafico rappresentante lo stato di fatto e la situazione futura, una relazione tecnica in cui si descrivono nel dettaglio le opere da compiersi e i riferimenti normativi, nazionali e locali, che interessano il provvedimento e la certificazione del fatto che il "progettista si assume la responsabilità" che le opere siano in conformità degli strumenti urbanistici vigenti al tempo dei lavori.
In questo modo, la P.A. scarica la responsabilità della correttezza delle operazioni sul tecnico abilitato, che, in tal senso, prende le difese dell'Amministrazione stessa e delle sue leggi. Pertanto la parcella professionale richiesta dal tecnico è adeguata alle responsabilità che si assume.
Una volta presentata, la D.I.A. si ritiene approvata, come detto, dopo 30 giorni dalla data di presentazione (fa fede la data di protocollo dell'ufficio tecnico), e si possono effettuare le opere edilizie. Se si scoprono, in seguito, difformità delle opere rispetto alla normativa in vigore al tempo dei lavori il comune può (entro 10 anni dalla data di presentazione della D.I.A.) ordinare che sia ripristinato lo stato dei luoghi antecedente all'esecuzione dei lavori, il tutto a carico del proprietario che ha eseguito le opere abusivamente, anche se ha presentato regolare D.I.A.. Naturalmente, in questo caso viene chiamato in causa il tecnico firmatario del provvedimento.
Da sottolineare è il fatto che la D.I.A. segue il meccanismo del silenzio-assenso: comunicata alla pubblica amministrazione la propria intenzione ad avviare l'attività, il soggetto, generalmente decorsi 30 giorni può darvi inizio, dandone notizia. Entro i 30 giorni (dalla data di protocollo) l'ufficio tecnico comunale può chiedere integrazioni o inibire l'inizio dei lavori per
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mancanza di documentazione o difformità rispetto alle norme vigenti e/o agli strumenti urbanistici.
Il potere inibitorio previsto dal co. 6 dell’art. 23 del D.P.R. 380/2001, può essere esercitato entro il termine perentorio di trenta giorni, trascorso il quale possono soltanto essere emanati provvedimenti d’autotutela e sanzionatori. Il dispositivo di sentenza precisa che alla scadenza del termine di trenta giorni matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella D. I. A., fermo restando il potere dell’Amministrazione comunale di provvedere anche successivamente alla scadenza del termine stesso, ma non più con provvedimento inibitorio (ordine o diffida a non eseguire i lavori) bensì con provvedimento sanzionatorio (se i lavori sono già stati eseguiti, in tutto o in parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario, secondo i casi, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.
In ogni caso, l’inizio dei lavori deve avvenire non prima di 30 giorni dalla presentazione della denuncia, e comunque non oltre un anno, e dovranno concludersi entro tre anni.22
La S.C.I.A., invece, ha ulteriormente semplificato la disciplina finora vigente, dando la possibilità di aprire un’ impresa in maniera più semplice e celere.
Per tutte le attività economiche soggette a verifica dei requisiti, bisogna oggi presentare la SCIA, che sostituisce la DIA e ogni atto di autorizzazione,licenza, concessione, permesso o nulla osta, comprese le domande per l'iscrizione in albi e ruoli. L'attività economica può iniziare dalla stessa data di presentazione della SCIA all'amministrazione competente,
22 “La denuncia di inizio attività. Profili teorici”, Giovanni Acquarone, Milano,
Giuffré, 2000; “La denuncia di inizio attività edilizia. Profili sistematici,
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senza attendere i 30 giorni previsti in precedenza. Le amministrazioni avranno poi 60 giorni per esercitare i controlli ed eventualmente chiedere all'impresa, in mancanza dei requisiti necessari, la rimozione degli effetti dannosi.
Può presentare la SCIA presso il Registro delle imprese della Camera di Commercio di appartenenza, chi intende iniziare un'attività di installazione impianti, autoriparazione, pulizia, facchinaggio, agente di commercio, mediatore immobiliare, mediatore merceologico, mediatore marittimo, spedizioniere, commercio all'ingrosso.23
CAPITOLO II:
ABUSIVISMO EDILIZIO, ANALISI ED APPROFONDIMENTI
2.1 CONCETTO DI ABUSIVISMO EDILIZIO
Affrontare ed approfondire l’argomento in questione non è cosa semplice. Non lo è non tanto per la complessità e vastità dell’argomento, quanto per la difficoltà di analizzare in toto il
23 “
La segnalazione certificata di inizio attività. Nuove prospettive del rapporto pubblico-privato”, Francesco Martines, Giuffrè Editore, 2011;”
SCIA e DIA. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata di inizio
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fenomeno nella sua oggettività, senza cadere nella vana tentazione di esprimere il proprio dissenso, la propria perplessità ed i propri dubbi dinanzi ad una situazione così drammatica e, pare, senza limiti.
L’abusivismo edilizio è un fenomeno illegale consistente nella costruzione di edifici e manufatti edilizi in violazione delle regole all’uopo imposte dalla legge.
Due sono i presupposti che generano il suddetto fenomeno: per un verso, la costruzione di un immobile o l’esecuzione di interventi edilizi in mancanza o in difformità dagli atti abilitativi richiesti dalla legge (permesso di costruire, denuncia di inizio attività o s.c.i.a.); per altro verso, l’edificazione di opere in violazione dei vincoli paesistici, ambientali, storici, archeologici, stradali e ferroviari.
Il legislatore prevede tre diversi tipi di sanzioni rivolte alla repressione degli abusi edilizi:
1. sanzioni amministrative, perché le opere abusive devono essere distrutte;
2. sanzioni civili, perché gli immobili abusivi sono incommerciabili;
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3. sanzioni penali, perché l’abusivismo costituisce reato, al cui accertamento consegue l’applicazione delle ulteriori misure sanzionatorie (in primis, la c.d. confisca urbanistica).
Abusivismo, dunque, è una parola che racchiude in sé molti significati e con campo semantico assai vasto e diversificato, a seconda che si intenda denotare il solo aspetto della violazione di chi costruisce contro legge o anche il risultato tangibile e reale di queste costruzioni che incidono prepotentemente sulla realtà del territorio senza essere state colpite da sanzioni. 24
Giuridicamente parlando, l’abusivismo si concreta nella più palese ed effettiva violazione di legge, come d’altronde è indicato anche nell’art. 18 L. n. 47/1985 con riferimento alla lottizzazione abusiva.
È opportuno, tuttavia, porre in evidenza anche l’altro aspetto dell’abusivismo, ossia quella parte della violazione che, pur dovendo, non viene sanzionata.
È facile notare, infatti, come i risultati del comportamento illecito ed illegittimo, ossia edifici ed opere abusive, restino integri, continuino ad esistere indisturbati, continuino a restare di proprietà di chi le ha costruite o di chi le abbia avute dal costruttore, senza che l’uno o l’altro abbiano subìto nessuna sanzione, neppure pecuniaria.
24“ La metropoli spontanea”. Il caso Roma 1925-1981: sviluppo residenziale
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Ecco quindi che, alla violazione di legge compiuta da chi ha costruito l’opera, si va ad aggiungere quella di chi, dovendo sanzionare, non ha sanzionato.
Inteso in questo senso, l’abusivismo sta ad indicare il risultato fisico dell’azione abusiva di chi costruisce e dell’omissione di chi doveva evitare a tutti i costi l’alterazione.
Anche questo secondo significato viene enunciato dalla legge n.47/1985 in cui si parla di recupero di “insediamenti abusivi”, e cioè di quegli insediamenti che sono il frutto dell’azione combinata all’omissione. In questi casi, dunque, la violazione di legge si manifesta su due fronti, quello della prima violazione, il costruire, e quello della violazione successiva, il non sanzionare.
2.2 PREMESSA: L’EVOLUZIONE LEGISLATIVA DEGLI ULTIMI ANNI E IL PROBLEMA DELLA NORMA DA APPLICARE:
Il sistema repressivo contro gli abusi edilizi ed urbanistici trova oggi organica sistemazione nel Titolo IV del t.u. che poggia le sue fondamenta su quattro tipi di sanzioni (amministrative, penali, civili, accessorie), nonché su un insieme di obblighi gravanti su vari soggetti che servono a rafforzare l’efficacia del sistema stesso: ufficiali, agenti di polizia giudiziaria, segretari comunali, ufficio tecnico erariale, direttore dei lavori, notai, imprese.
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Negli ultimi anni, la materia, a seguito del dilagare dell’abusivismo edilizio, è stata oggetto di numerosi interventi legislativi che hanno portato ad una maggiore articolazione del sistema repressivo.
In origine la Legge del ’42 all’art.32 prevedeva due sole sanzioni per quei casi di costruzione senza licenza o in difformità della medesima: la demolizione e la rimessa in pristino.
La successiva legge n.765/1967 ha arricchito il sistema con l’introduzione, in alternativa alla demolizione, di una sanzione pecuniaria pari al valore delle opere abusive.
Più tardi la legge n. 10/1977 ha introdotto la confisca per le ipotesi di inottemperanza all’ordine di demolizione.
Infine la legge n.47/1985, tenendo conto della potestà legislativa delle regioni, ha dettato una normativa di principio che tendeva a graduare le diverse sanzioni già menzionate in relazione alla maggiore o minore gravità dell’infrazione.25
2.3 LE STAGIONI DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO e LA LEGGE 47/1985
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“Molte città del mondo moderno si espandono abusivamente fuori dalle regole dettate dalle istituzioni. Le dimensioni che l’abusivismo sta assumendo nel nostro Paese sono dimensioni a dir poco spropositate e continuano ad estendere velocemente il proprio perimetro. Esso si configura come un vero e proprio macigno sulla strada dello sviluppo urbano, arrivando a consumare e logorare il territorio, bruciandone le risorse ambientali, condizionandone la qualità dei servizi e tarpando le ali alla pianificazione , impedendo uno sviluppo urbano ordinato e razionale.”26
Alla luce di quanto appena esposto, risulta opportuno fornire qualche indicazione in merito alle cause che hanno scatenato e favorito la nascita e lo sviluppo delle costruzioni abusive. Nella prima metà del novecento si portarono a compimento diverse importanti trasformazioni nella previsione legale delle materie riferite agli immobili e nella gestione del territorio, ma fu dopo la seconda guerra mondiale che si ebbero le prime
ondate di diffusa edificazione in spregio
delle normative urbanistiche ed edili.
E’ nelle periferie della città che nasce la prima generazione dell’ abuso: con l’ esodo delle classi più povere afflitte da anni di guerra, la popolazione arriva ai margini delle grandi città per trovare casa, un riparo, un luogo in cui ricominciare a vivere degnamente.
Dopo questa prima ondata ne arrivò una seconda negli anni ’70, in concomitanza con la prima grande crisi energetica del dopoguerra. Questa seconda generazione di abusivismo nasce però da ragioni diverse e da diversi attori. L’abuso
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edilizio di quegli anni riguarda principalmente la nuova borghesia e le seconde case; al mare o in montagna la seconda casa assicura un investimento sicuro dove far confluire il denaro guadagnato con la piccola impresa familiare o semplicemente quello in nero da riciclare. Questa nuova tipologia di abuso ha frammentato le nostre coste, sventrato colline e montagne, deturpando il paesaggio in maniera irreparabile. Sono di quegli anni termini come ecomostri o ecomafie. Basta osservare la costa sud della Sicilia, da Ragusa ad Agrigento per vedere cosa l’ abuso edilizio abbia prodotto.
In nessuno dei due casi è perdonabile questo tipo di atteggiamento ma mentre il primo è nato per il bisogno della prima casa, il secondo è figlio del benessere sopraggiunto e dell’ interesse privato prima di tutto.27
Il disordine e l'individuale improvvisazione con cui erano state realizzate le nuove costruzioni, infatti, aveva marchiato il territorio con segni indelebili, molte peraltro erano state edificate su terreni di proprietà del demanio, "impossessandosi" di territori di grande valore naturalistico ed influendo pertanto in modo irrimediabile sul preesistente ecosistema.
Attualmente con la sopraggiunta crisi globale si riaffaccia alla porta una terza generazione di abusi che per certi versi assomiglia molto alla prima; con la perdita del lavoro molte famiglie tornano ad occupare illegalmente alloggi popolari o a costruire senza permessi piccole abitazioni su terreni di proprietà. Questo fenomeno si è acuito con l’ attuale
27 “Far west nei centri storici,sotto l’impalcatura l’inganno” 2012 ; ” […]reati