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La delega "Taglia-leggi". Un tentativo di semplificazione normativa tra luci e ombre.

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN

SCIENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

T

ESI DI

L

AUREA

La delega “Taglia-leggi”.

Un tentativo di semplificazione normativa tra luci e ombre.

RELATORE

CANDIDATO

Chiar.mo Prof. Saulle Panizza

Enrico Lauria

(2)

I

S

OMMARIO

I

NTRODUZIONE

... 1

C

APITOLO

I: Un quadro introduttivo ... 5

1.1. Il problema dell’inflazione normativa ... 5

1.2. Le ere della delegificazione e della semplificazione ... 10

1.2.2. La breve stagione dei testi unici misti ... 15

1.2.3. L’avanzare della codificazione di settore ... 17

1.3. Il dispositivo taglia-leggi (legge n. 246/2005) ... 19

1.4. Gli strumenti di qualità della legislaione (AIR, ATN e VIR) ... 22

C

APITOLO

II: Cenni al dibattito circa l’utilizzo della delega legislativa ... 26

2.1. Introduzione ... 26

2.2. La l. n. 400/1988 – applicazione dei “decreti legislativi” ... 29

2.3. Principi e criteri direttivi della delega legislativa ... 32

2.4. Gli oggetti definiti ... 33

2.5. Tempo limitato ... 34

2.6. I c.d. limiti ulteriori ... 38

2.7. Un quadro comparativo della delegazione legislativa ... 38

C

APITOLO

III: Il “taglia-leggi”: analisi e profili critici ... 44

3.1. Premessa ... 44

3.2. Analisi e obiettivi della delega ... 50

3.3. Le modifiche intervenute medio tempore ... 53

3.4. I dubbi di legittimità costituzionale del meccanismo “ghigliottina taglia-leggi” ... 55

(3)

II

3.4.2. La questione sul “principio di continuità” a seguito della riforma

costituzionale del 2001 ... 61

3.4.3. Il problema della delega “integrativa-correttiva” ... 64

3.4.3.1. La delega al “riassetto” del comma 15 ... 66

3.4.3.2. Il problema dei “principi e criteri direttivi” ... 67

3.5. Una soluzione costituzionalmente compatibile ... 70

C

APITOLO

IV: Processo di attuazione del “salva-leggi” ... 72

4.1. Analisi del d.lgs. n. 179 del 2009 ... 72

4.2. Metodo di attuazione ... 76

4.2.1. Il dibattito sulla legittimità costituzionale ... 79

4.2.2. La riforma dell’art. 4 legge n. 69/2009 ... 80

4.3. Profili di criticità del “salva-leggi” ... 83

4.3.1. La questione delle categorie “escluse” ... 87

4.4. I controversi decreti-legge 112 e 200 ... 92

4.4.1. Alla ricerca di una giustificazione ... 96

C

ONCLUSIONI

... 99

B

IBLIOGRAFIA

... 107

(4)

1

I

NTRODUZIONE

Il presente elaborato analizza una questione ormai – come si vedrà - comu-nemente ritenuta cruciale per il nostro Paese: la semplificazione normativa e, in parti-colare, il complesso tentativo di riduzione dello stock normativo avviato dalla legge n. 246 del 2005, conosciuto con il nome di “taglia-leggi”.

La scelta di questo tema è scaturita dalla curiosità di capire meglio e conte-stualizzare la conoscenza della tecnica legislativa, aspetto fondamentale per la reda-zione e adoreda-zione di “buone” norme nell’ottica della formareda-zione di un processo virtuoso di produzione normativa. Le politiche di semplificazione debbono infatti predisporre strumenti volti ad assicurare al sistema maggiore chiarezza, che a sua volta si ricollega al fondamentale principio di certezza del diritto; tuttavia, in una società composita all’interno di un sistema multilivello (a sua volta complicato da fenomeni quali la globa-lizzazione, il moltiplicarsi di soggetti regolatori, la stessa evoluzione tecnologica), per-seguire tali obiettivi diventa sempre più difficoltoso, già per le mere dimensioni dello

stock normativo vigente (o astrattamente tale).

È quindi allo scorcio della XIV legislatura che il Governo ha deciso di intra-prendere la strada della riduzione del corpo normativo attraverso una complessa ope-razione di eliminazione e riassetto della legislazione statale. Tale opeope-razione è stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina giuridica, chiamata a confrontarsi con una manovra che è apparsa più conformarsi alla prassi normativa che al rispetto del modello costituzionale. La sfida quindi è consistita nel verificare la possibilità di

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2

adattamento del “taglia-leggi” a questi modelli, che hanno comunque subito grosse trasformazioni durante gli anni.

Nel discostarsi così apertamente da tali modelli, il rischio è quello di intra-prendere percorsi senza meta: il legislatore può e spesso deve intervenire sulla norma-tiva con strumenti di semplificazione anche innovativi, ma con zelo, competenza e – soprattutto – rispetto dei limiti imposti dalla Carta costituzionale; caratteristiche senza le quali gli stessi strumenti potrebbero verosimilmente sfociare in interventi fallaci e fallimentari, comportando un perverso effetto di incremento dello stesso stock norma-tivo, di incertezza e caos.

Nell’elaborare il presente lavoro, che si sviluppa in quattro parti, ci si è avvalsi dello studio e della lettura di saggi, riviste di settore, pareri e relazioni della Commis-sione parlamentare per la semplificazione, nonché delle sentenze della Corte Costitu-zionale e di pronunce del Consiglio di Stato che hanno permesso di analizzare, dal pun-to di vista tecnico-giuridico, quelle che sono state le pecche del “taglia-leggi”, soprat-tutto in relazione alla delega legislativa contenuta nell’art. 14.

Nel primo capitolo viene descritto il quadro generale di partenza, precedente all’adozione della legge n. 246/2005: viene inizialmente affrontato il problema dell’inflazione normativa presente fortemente nel nostro Paese; dopodiché viene ef-fettuato un excursus descrivendo le varie fasi della delegificazione e della semplifica-zione, caratterizzate soprattutto dall’avanzare dei testi unici e successivamente dei codici di settore. Il capitolo si chiude introducendo il dispositivo “taglia-leggi”, anche accennando agli altri – più o meno coevi, almeno nella forma attuale - strumenti di qualità della legislazione (AIR,ATN e VIR).

(6)

3

Il secondo capitolo avrà ad oggetto l’utilizzo della delega legislativa, aspetto cruciale per analizzare le successive critiche sull’argomento in questione. Saranno evi-denziate le normative di riferimento per il corretto utilizzo di tale istituto, in relazione ai limiti previsti dall’art. 76 Cost. nonché ai c.d. “limiti ulteriori”. Nell’ultima parte verrà effettuato in maniera comparativa un bilancio sull’utilizzo di tale strumento e non solo, per evidenziare una delle cause preponderanti della complessità normativa presente.

I capitoli terzo e quarto rappresentano il fulcro del lavoro: nel primo si affron-terà analiticamente il “taglia-leggi”. Verranno quindi descritte le due fasi cruciali: la prima riguardante la complicata opera di censimento delle disposizioni di rango prima-rio vigenti (così prevista all’interno del comma 12 dell’art.14), il cui esito è stato pre-sentato nella nota “Relazione Pajno”. La seconda fase del procedimento attiene invece al meccanismo della “ghigliottina” (così denominato nel gergo giornalistico), con la finalità di ridurre la legislazione vigente anteriore al 1° gennaio 1970, da realizzarsi tramite lo strumento abrogativo generalizzato, combinato con i decreti delegati conte-nenti le disposizioni da mantenere in vita da parte del Governo. Verranno poi descritte le importanti modifiche effettuate in corso d’opera (indice già questo – si anticipa – di un’operazione non sufficientemente meditata in partenza) e affrontati i dubbi di legit-timità costituzionale sollevati in dottrina.

Nell’ultimo capitolo sarà analizzata l’attuazione della delega “salva-leggi”, da parte del decreto legislativo n. 179 del 2009, destinato appunto a individuare, tramite un’elencazione ricognitiva, le disposizioni da sottrarre alla “ghigliottina” generalizzata disposta dalla legge n. 246/2005. Anche in questo caso si procederà dapprima in un’analisi del processo di attuazione, per poi focalizzare l’attenzione sui profili di

(7)

critici-4

tà, la “riforma” dello strumento da parte dell’art. 4 della legge n. 69/2009 e i contro-versi decreti-legge n. 112 e 200 del 2008.

Come spesso accade quando si affrontano argomenti di questo genere, non è stato facile giungere a una conclusione dai risultati netti e ben definiti; sicuramente il “taglia-leggi” è stato uno strumento per testare il duro banco di lavoro della semplifi-cazione normativa. Il concreto avvio del progetto Normattiva, connesso – come si dirà – da un fil rouge con la legge 246/2005, in concomitanza con l’adozione di almeno al-cuni codici di settore, hanno rappresentato sicuramente dei passi avanti verso l’avvio di un nuovo percorso di riordino, chiarezza e accessibilità alla normativa, rispetto alla “giungla” formatasi nel tempo: un percorso del quale il nostro Paese ha bisogno per tornare ad essere competitivo.

(8)

5

C

APITOLO

I

Un quadro introduttivo

1.1. Il problema dell’inflazione normativa

Nella storia della Repubblica, e in particolar modo negli ultimi decenni, è cre-sciuta di anno in anno l’esigenza da parte del nostro legislatore di una rivisitazione del

corpus normativo, con l’obiettivo di semplificare e contenere l’incontrollabile crescita

delle norme in vigore.

Il tema della “buona” qualità della legislazione è sempre stato al centro del di-battito sia da un punto di vista politico che tecnico (non solo in Italia), con una spinta vigorosa da parte dell’Unione Europea verso gli Stati membri all’adozione di strumenti di miglioramento della regolazione (better regulation) e in particolar modo con la

Re-commendation of the Council on Improving the Quality of Government Regulation1 dell’OCSE/OECD del 9 marzo 1995, contente una checklist per lo svolgimento dell’analisi d’impatto ex ante, considerato il primo documento internazionale recante principi in materia.

Semplificazione e miglioramento della regolazione sono certamente qualità im-portanti per la crescita e la competitività del nostro Paese, nonché per una migliore cer-tezza ed effettività del diritto e – di conseguenza – della maggiore fruibilità da parte dei cittadini.

1 Cfr. in www.acts.oecd.org.

(9)

6

La collettività non richiede la semplice presenza di regole, ma esige che le stesse siano qualitativamente buone, capaci quindi di rispondere in maniera soddisfacente alle proprie richieste. È proprio sotto questo punto di vista che prende piede il concetto di semplificazione, soprattutto in un sistema normativo farraginoso e stratificato com’è quello italiano2. A livello formale, la qualità della regolazione implica che i testi normativi

siano chiari, intellegibili e accessibili; da un punto di vista sostanziale, essa presuppone che i testi normativi prevedano “buone regole”.

In una società complessa, come quella italiana, emerge la necessità di trovare un bilanciamento tra complessità, da un lato, e semplificazione, chiarezza e certezza, dall’altro. D’altronde è impossibile prescindere da un tasso minimo di complessità nor-mativa nell’organizzazione di società caratterizzate, appunto, da un alto grado di com-plessità, ma occorre che questa caratteristica venga in qualche modo disciplinata in ma-niera tale da non trasformarsi in qualcosa di patologico, quel fenomeno strutturale che va dilagandosi nei Paesi maggiormente industrializzati noto come “crisi della legge”. Di-fatti, dalla nascita del welfare state, le politiche di intervento da parte dello Stato sono andate sempre più espandendosi, in concomitanza con la molteplicità e la complessità delle richieste dei cittadini, ed è proprio questo che ha comportato un eccesso di rego-lamentazione e di tecnicismo3.

2 Cfr. F. PACINI, Gli strumenti di riordino normativo, fra tecnica e politica, in S. PANIZZA (a cura di), La qualità degli atti normativi e amministrativi, Pisa, Pisa University Press, 2016, pp. 9 ss.

3 E.ALBANESI, Teoria e tecnica legislativa nel sistema costituzionale, Napoli, Editoriale Scientifica,

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7

Lo Stato è oramai onnipresente sul campo economico-sociale e l’internaziolizzazione della regolazione come conseguenza del mercato globale ha portato alla na-scita del modello di governo cosiddetto “multilivello”, accompagnato dalla marcata pre-senza della autorità indipendenti, creando un quadro complesso e certamente non di facile gestione4.

Tale realtà normativa stratificata si è scontrata con altri fattori, che rientrano perlopiù nell’ambito politico, quali: l’esigenza di visibilità politica da parte del regolatore; il fenomeno delle pratiche negoziali tra organi istituzionali con i vari soggetti sociali; così come un adeguato sistema di monitoraggio della regolazione esistente, anche dal punto di vista economico e del costo che si riverbera su tutti i soggetti sociali e le strutture amministrative, nonché la mancanza di alternative alla normazione. Quest’ultimo aspetto cruciale, se come obiettivo ci si prefigge proprio quello dello snellimento nor-mativo. La problematica che bisogna affrontare perciò, non riguarda soltanto il mero aspetto quantitativo della norma, derivante dalla sua inflazione, ma anche quello quali-tativo, non confinato alla semplice tecnica redazionale e di costruzione linguistica5, ma

conseguenza diretta della perdita di centralità della legge parlamentare all’interno del sistema delle fonti.

Su questa direzione, in Italia, sono state intraprese misure con l’obiettivo di ri-solvere il problema della “qualità della legislazione” o, della “qualità della regolazione”,

4 Ibidem.

5 Sul punto cfr. C. Cost., 24-3-1988, n. 364, dove si evidenzia come «dovere fondamentale degli

organi legislativi» formulare norme concettualmente e semanticamente precise, chiare e intelligibili nei termini impiegati, nelle finalità con cui sono dirette, nelle indicazioni dei comportamenti richiesti perché il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato.

(11)

8

intentandosi in questo caso l’insieme di tutte le regole che disciplinano un settore, indi-pendentemente dalla loro natura di fonti del diritto.

L’importanza del “Rapporto sulle condizioni delle pubbliche

amministra-zioni” predisposto dal Dipartimento per la Funzione pubblica, sotto l’impulso e il

coordi-namento politico del Ministro della Funzione pubblica dell’epoca, prof. Sabino Cas-sese, nel Governo Ciampi (28 aprile 1993 - 10 maggio 1994), peraltro a ridosso di “Tan-gentopoli” e del crollo dei partiti della cosiddetta prima Repubblica, sta nel fatto che esso si collocò in parallelo con la promulgazione della legge n. 29/1993 “di riforma della

pubblica amministrazione”, operando un inventario generale dello stato delle Pubbliche

amministrazioni in Italia, e un’analisi sull’inflazione e lo stato di ipertrofia in cui versava la normativa italiana, rispetto anche alle altre democrazie occidentali, quali Francia, Germania e Inghilterra.

Come si legge sullo stesso rapporto, “La legislazione investe soprattutto le

pub-bliche amministrazioni”, ed esse stesse sono sia vittime che responsabili dell’eccesso di

legge. Analizzando la decima legislatura si evince infatti che le leggi di iniziativa legisla-tiva sono state 281, a fronte delle 793 derivanti da disegni di legge governativi e decreti legge6. Il fatto che l’iniziativa legislativa del governo tragga origine proprio dagli uffici

amministrativi, è cosa normale, ma il circuito perverso che si è venuto a creare ha por-tato a livelli esasperati la produzione normativa di origine amministrativa, che ha finito per intaccare le prestazioni dell’apparato amministrativo.

6 Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni, Presidenza del Consiglio dei

(12)

9

Per rendere ben chiara la situazione in cui versava il nostro ordinamento, basti osservare che al 1990 in Italia si stimavano tra le 100 mila e le 150 mila leggi in vigore, una marea rispetto ad altri paesi che già lamentavano problemi di inflazione normativa: in Francia erano presenti 7325 leggi; in Germania 5887, escluse le leggi dei Länder e la Gran Bretagna poco più di 3000.

Questi numeri impressionanti evidenziano come la nostra “macchina” legisla-tiva presenti una produzione normalegisla-tiva macroscopica, non tenendo conto poi delle leggi regionali, comunali e dei regolamenti di enti e Autorità, i quali contribuiscono enorme-mente a tale produzione. Si pensi poi ai Gruppi di pressione e di interesse, che continua-mente spingono la classe dirigente ad adottare azioni protettive nei loro confronti. Così come le direttive comunitarie recepite per via legislativa (anziché per via amministra-tiva), irrigidendo in norme primarie materie di importanza secondaria.

In misura determinante a tale fenomeno concorrono però, per il Rapporto, le amministrazioni pubbliche, soprattutto attraverso tre aspetti:

 Le burocrazie cercano nella legge una sorta di protezione, andando a regolamen-tare finanche procedure interne, che altrove sono lasciate alla determinazione dell’esecutivo.

 In secondo luogo, attraverso la richiesta al Parlamento di nuove leggi, le ammi-nistrazioni tentano di evitare resistenze di altre ammiammi-nistrazioni, andandosi a im-pelagare in processi normativi di eventuali difficili modifiche.

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10

In ultimo, «la produzione di leggi è alimentata dalla tensione tra leggi generali e

policentrismo amministrativo. Mentre le amministrazioni sono, oramai, multior-ganizzative, la cultura amministrativa predominante le considera uniformi ed im-pone a esse leggi generali e minuziose, che finiscono per essere un vestito troppo stretto e inadatto a molte amministrazioni»7.

Causa e conseguenza di ciò è il dilagante fenomeno della corruzione: più leggi sono presenti, più diventa complesso l’iter legislativo e – potenzialmente – maggiori scappatoie è possibile percorrere per aggirarle.

Citando lo storico romano Tacito, che per primo affrontò tale problema nei sui

Annales: «corruptissima re publica plurimae leges»8, si nota paradossalmente come

dopo secoli di storia la sua sia stata una constatazione perfetta dell’attuale stato delle cose in Italia.

1.2. Le ere della delegificazione e della s

emplificazione

La crescita di un Paese, sia da un punto di vista politico che economico-sociale, è sicuramente legata alla qualità della propria produzione normativa. Il livello di compe-titività non può prescindere dal tema della realizzazione di leggi che opportunamente regolino la produzione e l’utilizzo di beni e servizi, anche in funzione di sviluppo econo-mico e crescita del PIL. Semplificazione e qualità normativa sono quindi frutto di una

7 Ivi, pp. 23 e 24.

(14)

11

politica, ossia di indirizzi, trend, obiettivi che la funzione legislativa è chiamata ad incar-nare per il tramite di un’azione conformativa che il legislatore esercita su se medesimo, e che individuano quella che può essere definita come “politica legislativa sulla

legisla-zione”9.

Quando come obiettivo ci si pone quello della riforma del diritto vigente, e in questo caso di una sua semplificazione, non si può prescindere dal rispetto delle regole cui deve conformarsi la legislazione stessa. Occorre riflettere sul significato di “qualità della normazione” e in particolare della legislazione, in quanto riferibile all’insieme “di tutte le regole che disciplinano un settore, indipendentemente dalla loro valenza giuri-dica, cioè dalla loro configurabilità come fonti del diritto”10. Tutto ciò significa che ci

troviamo di fronte non soltanto quegli atti di portata legislativa, bensì di natura ammi-nistrativa.

È bene ricordare che il riassetto del comparto normativo attraverso il processo di semplificazione è partito dall’esigenza di ammodernamento e razionalizzazione della Pubblica amministrazione, dalla vischiosità che rischia di comprometterne efficienza, economicità e tempestività. In tale ottica la riforma del tessuto legislativo è parsa, in un primo momento, quasi marginalizzato, o per lo meno in secondo piano rispetto a quello amministrativo11.

In Italia, la semplificazione è stata almeno dagli anni Ottanta l’obiettivo princi-pale dei tentativi di riforma della Pubblica amministrazione, con ragioni e finalità di vario

9P.CARNEVALE,Le cabale della legge. Raccolta di saggi in tema di semplificazione normativa e manovra “taglia-leggi”, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, p. 19.

10 Ivi, p. 24. 11 Ivi, pp. 25 ss.

(15)

12

tipo, assumendo posizioni mutevoli. A partire dagli anni Novanta, varie leggi hanno in-trodotto misure per il raggiungimento di tale obiettivo, soprattutto per quanto riguarda il contenimento della spesa pubblica, che si è ritenuto esser causato anche dagli alti costi sostenuti nel sistema produttivo per l’applicazione delle leggi stesse, promuovendo quindi la riduzione di controlli e la semplificazione di procedimenti. È attraverso norme generali e di settore, così come leggi statali e leggi regionali, che tale azione è andata configurandosi come criterio costante di esercizio dei poteri di regolazione pubblica: la legge n. 59/199712 (nota anche come Legge Bassanini) ne è un esempio, la quale ha

im-posto al governo di presentare ogni anno un disegno di legge per la delegificazione e la semplificazione, con il fine di predisporre uno strumento legislativo permanente, volto ad affrontare il problema dell’eccessiva burocratizzazione della pubblica amministra-zione.

Tale legge va raccordata con un altro strumento, ovvero il Piano d’azione an-nuale di semplificazione (PAS), che esegue una ricognizione di tutte le iniziative legisla-tive e non legislalegisla-tive.

Prima ancora, la legge 7 agosto 1990, n. 241 può essere considerata il punto di partenza di tutto il processo di semplificazione, soprattutto in riferimento ai vari livelli di governo. Essa ha introdotto una disciplina organica del procedimento amministrativo che ha mutato completamente il rapporto di squilibrio esistente in precedenza tra am-ministrazione e cittadino, dove per quest’ultimo non erano presenti garanzie nei con-fronti dell’azione amministrativa. Con tale legge, il legislatore non ha voluto disciplinare

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13

uniformemente e in maniera esaustiva sotto ogni aspetto il procedimento amministra-tivo, piuttosto ha voluto fissare, per la prima volta, i principi fondamentali sul procedi-mento, andando a formare quello che poi è stato definito lo “statuto” dei cittadini nei confronti dell’amministrazione, ossia l’insieme delle regole inderogabili da qualsivoglia disciplina di settore dettata da qualsiasi livello di governo.

Anche dal punto di vista formale, è all’interno dell’art. 2 della legge finanziaria n. 537/199313, che ancora si promuove la delegificazione e la semplificazione di una serie

di procedimenti amministrativi, fino ad allora regolati da legge. Si tenga conto, infatti, che in quegli anni lo snellimento dei procedimenti amministrativi risultava realizzato per mezzo della delegificazione, sostituente la disciplina legislativa in vigore con altra disci-plina predisposta e modificabile con l’esercizio della potestà regolamentare. A tal fine lo strumento risulta dato dai regolamenti di cui all’art. 17, 2° comma, legge n. 400/1988, emanati con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato, in materie non riservate alla competenza assoluta della legge14.

L’idea alla base della delegificazione è proprio quella di eliminare dall’intriso panorama normativo tutte quelle leggi che rendono oltremodo difficile interpretazione e modificazione dei testi legislativi, complicandone quindi anche una corretta gestione e organizzazione. Per far ciò, bisognava rendere queste leggi derogabili e modificabili attraverso un intervento regolamentare dell’esecutivo, che optò per l’abrogazione con-dizionata. In tal modo il legislatore del 1988, nel rispetto del principio della preferenza

13 Art. 2, Capo I della legge n. 537 del 24 dicembre 1993.

14 A.CELOTTO,C.MEOLI, voce Semplificazione normativa (dir. pubbl.), in Dig. disc. pubbl., Torino,

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14

della legge, ha previsto una delegificazione, non generalizzata, ma disposta di volta in volta da un’apposita legge, la quale per un verso detta i principi generali della materia e, per altro verso, nell’autorizzare l’intervento regolamentare, dispone l’abrogazione delle norme legislative vigenti con effetto dall’entrata in vigore di quelle regolamen-tari15.

Il risultato, in definitiva, è che il meccanismo articolato in fonti di grado diverso (legge di autorizzazione-regolamento autorizzato) si risolva alla fine in una moltiplica-zione delle norme piuttosto che in una sua riorganizzamoltiplica-zione.

Si può concludere che il massiccio utilizzo dello strumento della delegificazione ha avuto buoni risultati di snellimento sul piano dei procedimenti amministrativi, ma per il resto non ha prodotto i risultati sperati. In molti casi, soprattutto in materie coperte da riserva legge, si sarebbe dovuto optare per un più cauto utilizzo di tale strumento, si è invece andato a creare un nuovo panorama normativo disordinato e disorganizzato, dove spesso materie delegificate sono state solo in parte rilegificate.

Basti constatare l’esperienza concreta che ha mostrato come lo strumento della legge annuale di semplificazione, predisposto dall’art. 20 della legge n. 59/1997, dalla sua entrata in vigore sia stato utilizzato solo in quattro occasioni.

15 Ivi, p. 812.

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15

1.2.2. La breve stagione dei testi unici misti

Il passaggio successivo a questa stagione è stato caratterizzato dall’adozione dei testi unici misti previsti dall’art. 7 della legge n. 50/199916, consistenti in una raccolta

completa e organica di disposizioni legislative e regolamentari, che comunque mante-nevano la propria natura; si trattava di uno strumento tipico della razionalizzazione-uni-ficazione della normativa per settore. Mediante l'emanazione di testi unici si intendeva ricomprendere “materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le

opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari” (comma 2).

Un quadro siffatto dimostrava però parecchie lacune dal punto di vista della chiarezza della normazione, ed è in tale direzione che è intervenuta la legge n. 340/2000 cercando di distinguere, anch’essa nella sua macchinosità, il ruolo della legge da quello del regolamento nella formulazione dei testi unici: nel primo caso si faceva riferimento a una raccolta delle disposizioni legislative non delegificate; nel secondo caso ci si tro-vava di fronte a un atto di delegificazione e di riunione in un unico testo delle disposizioni regolamentari. La stessa legge paventò una soluzione basata su tre livelli normativi:

 Testo C, comprensivo di norme regolamentari;  Testo B, comprensivo di norme legislative;  Testo A, comprensivo di entrambe.

16 Art. 7, della legge n. 50 del 8 marzo 1999, recante: "Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998".

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16

Anche con tale intervento però non si riuscì a eliminare la questione centrale relativa alla natura dell’atto contenente il testo unico misto, formalmente emanato come un d.P.R., contenente norme sia di natura primaria che secondaria, con conse-guente ambiguità per quanto avrebbe riguardato l’oggetto dei successivi interventi di modifica.

Si può certamente affermare che questa nuova presenza nel panorama norma-tivo italiano, contribuì a diffondere ancora più caos e incertezza sul piano delle regole della normazione, producendo all’interno dell’ordinamento un senso di disorienta-mento e insicurezza che gli stessi testi unici, in principio, erano chiamati a risolvere, creando un vero e proprio paradosso, al quale non poté sottrarsi neanche la giurispru-denza costituzionale17.

La breve e tormentata stagione dei testi unici è terminata con la legge n. 229/2003 ad abrogare l’art. 7 della legge n. 50/1999.

Nonostante tutto, il legislatore con tale atto non sembrava voler rinunciare alla volontà di adottare strumenti di razionalizzazione e accorpamento in testi organici. Pro-prio per tale motivo la legge n. 229/2003, creava un nuovo assetto normativo, basato non più sull’accorpamento di testi unici, bensì emanando i cosiddetti codici di settore, contenuti in decreti legislativi predisposti dal governo nel rispetto dei principi e criteri direttivi sia di carattere generale, che specifico, a seconda della materia di interesse.

(20)

17

1.2.3. L’avanzare della codificazione di settore

Con l’archiviazione della stagione dei testi unici misti, si apre un nuovo percorso con i codici di settore: rispetto ai primi, quest’ultimi presentano maggiori potenzialità, in quanto strumenti idonei al “riassetto normativo” e non al mero consolidamento, an-dando quindi a introdurre elementi di innovazione alla disciplina vigente.

Com’è noto, è nella Francia post-rivoluzionaria che nasce l’idea di codice, a par-tire dal 1804 con il Code Napoléon, e dalla conseguente entrata in vigore del codice di leggi civili comuni a tutta la Repubblica già annunciati nella Costituzione francese del 179118.

Il significato, nonché il valore di codice ha avuto un’evoluzione nel tempo, ori-ginariamente strumento volto al porre un ordine alle molteplici leggi, ha assunto poi un aspetto maggiormente organico.

In questa nuova fase, i codici presentano due caratteristiche essenziali:

 La riforma sostanziale della disciplina legislativa della materia, ispirandosi neces-sariamente anche a criteri di semplificazione (alleggerimento degli oneri buro-cratici) e di snellimento della normativa vigente;

 La creazione di una raccolta organica di tutte le norme di livello legislativo su una determinata materia19.

18 A. CELOTTO,C.MEOLI, voce Semplificazione normativa (dir. pubbl.), op. cit., p. 815. 19 Ivi, p. 816.

Sono in particolare frutto di questa stagione i seguenti codici di settore: 1) Codice in materia di dati personali (d.lg. n. 196/2003); 2) Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lg. n. 259/2003); 3) Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. n. 42/2004);

(21)

18

I codici di settore trovano fondamento nella legge n. 229 del 29 luglio 2003, recante Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e

codifica-zione (che ha apportato modifiche all’art. 20 della legge n. 59 del 1997), all’interno della Legge di semplificazione 2001 e nella successiva legge del 28 novembre 2005 n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.

Con i codici di settore, il legislatore persegue un riassetto sostanziale delle ma-terie attraverso decreti legislativi di riforma dei singoli settori, portando, quindi, l’attività legislativa al livello di fonte primaria, e conseguentemente abbandonando l’inclusione nei testi delle disposizioni di rango regolamentare.

Secondo il sistema attuale delle fonti del diritto, il codice è una legge delegata gerarchicamente equivalente a ogni altra legge ordinaria, con la differenza che il codice si distingue per:

 Criterio quantitativo: maggiore estensione;

 Criterio sostanziale: maggiore organicità e importanza di contenuto.

L’adozione dei codici di settore si colloca dunque nel quadro di una esasperata produzione normativa scaturita da fonti multilivello e di diversa provenienza, complicato

4) Codice della proprietà industriale (d.lg. n. 30/2005); 5) Codice dell’amministrazione digitale (d.lg. n. 82/2005); 6) Codice del consumo (d.lg. n. 206/2005);

7) Codice delle assicurazioni (d.lg. n. 209/2005); 8) Codice in materia ambientale (d.lg. n. 152/2006);

9) Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle di-rettive 2004/17/CE e 2004/18/CE (d.lg. n. 163/2006).

(22)

19

anche dalle recenti riforme costituzionali e dalla crescente incidenza del diritto comuni-tario. I codici di settore, avvalendosi di una delega più ampia anche sul piano innovativo, sebbene limitatamente a specifici ambiti di materie, sono deputati non soltanto a un’opera di consolidamento e coordinamento delle norme esistenti (secondo la fun-zione dei testi unici), ma anche alla realizzafun-zione di un riassetto normativo a livello di fonte primaria20.

1.3. Il dispositivo taglia-leggi (legge n. 246/2005)

Le esperienze maturate attraverso l’adozione sia dei testi unici, che dei codici di set-tore, non sono valse a raggiungere i risultati sperati; è per tale motivo che attraverso la legge di semplificazione del 2005, il legislatore si è adoperato per creare uno strumento innovativo al fine di affrontare la caotica situazione normativa che gli si poneva d’innanzi. In particolare, na-sceva innanzitutto l’esigenza di conoscere meglio lo stock normativo accumulatosi negli anni, per poi avviare il processo di semplificazione

Concretamente nel procedimento del c.d. “taglia-leggi” si possono distinguere 5 fasi, racchiuse all’interno dei commi che vanno dal 12 al 24 dell’art. 14 della legge n. 246 del 2005:

20 Lo stesso Consiglio di Stato, nel parere 2/2004, reso nell’Adunanza generale del 25

otto-bre 2004 con riferimento al primo dei codici di settore testualmente attuativo della l. 229/2003 – ossia il Codice dei diritti di proprietà industriale, emanato ai sensi dell’art. 15 della l. 12 dic. 2002 n. 273 (e successive modifiche), che richiama espressamente, tra i criteri di delega, la norma-cardine della sempli-ficazione normativa, costituita dall’art. 20 della l. 15 marzo 1997 n. 59, come novellato dalla l. 229/2003– ha espressamente ritenuto che la semplificazione normativa (intesa come qualità della regolazione) debba avvenire nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) riorganizzazione delle fonti di rego-lazione; b) riduzione del numero delle regole dell’ordinamento; c) limitazione della contraddittorietà e dell’onerosità delle regole dell’ordinamento nei confronti dei destinatari; d) miglioramento della qualità della normazione; e) alleggerimento degli oneri burocratici a carico dei destinatari della normativa; f) ri-duzione dell’intervento pubblico se non necessario; g) deregolazione; h) semplificazione dei procedimenti amministrativi.

(23)

20

1) La prima fase consiste in un vero e proprio censimento delle norme statali vi-genti, al fine di aver ben chiaro il quadro normativo da poter poi sfoltire. Al 7 dicem-bre 2007 con la relazione Pajno, sono stati presentati tali risultati, dal quale è emersa la presenza di ben 21.691 atti vigenti.

2) La seconda fase vede l’applicazione del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (c.d. “decreto salva-leggi”), consistente nella ricognizione di quegli atti anteriori al 1° gennaio 1970, meritevoli di salvezza dall’effetto ghigliottina, in riferimento al già citato art. 14, comma 14 legge n. 246 del 2005. A seguito di tale lavoro, il Governo ha individuato nell’Allegato 1 di tale decreto circa 2.300 atti primari anteriori al 1970 meritevoli di essere salvati.

3) Nella terza fase, il decreto legislativo n. 212 del 13 dicembre 2010 ha portato all’abrogazione di circa 35.000 atti legislativi primari, nominativamente individuati in un elenco di cui all’Allegato 1 dello stesso decreto. In questo caso a partire dal 16 dicembre 2010, oggetto di abrogazione, in questo caso nominata, sono le disposi-zioni oggetto di abrogazione tacita o implicita e di tutte quelle disposidisposi-zioni che ab-biano esaurito la loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque obsolete, pubblicate anche successivamente al 1° gennaio 197021.

(24)

21

4) La quarta fase ha visto produrre gli effetti della c.d. ghigliottina, a opera dell’art. 14, comma 14-ter, della legge n. 246 del 2005, attraverso l’abrogazione ti tutte le disposizioni statali pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi.

5) In ultimo, l’art. 14, comma 18-bis, della legge n. 246 del 2005, delegava il Go-verno ad adottare (entro un anno dalla data in vigore dei decreti legislativi di rias-setto) decreti legislativi integrativi e correttivi degli stessi.

Va inoltre menzionato nell’ottica di tale riassetto normativo, il c.d. “taglia-rego-lamenti”, rientrante nell’art. 17, comma 4-ter, della legge n. 400 del 1988, introdotto dalla legge n. 69 del 2009, il quale recita:

«Con regolamenti da emanare ai sensi del comma 1 del presente articolo, si

provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete»

Nel complesso, la situazione che si è venuta a creare a seguito della “norma-ghigliottina” pare essere di nuova incertezza, dato che alla precisa designazione di norme anteriori al 1970 al fine di una loro cessazione di efficacia fanno da contrappeso tutte le eccezioni a tale regola, ossia all’individuazione di tutte le norme mantenute in

(25)

22

vigore. In tal modo l’abrogazione presuntiva finirebbe per dare incertezza, invertendo l’onere della prova; sarebbe infatti compito dell’interprete, ove vi abbia interesse, cer-care di dimostrare la sopravvivenza di quelle leggi anteriori al 1970 e riconducibili ai casi eccezionali22.

1.4. Gli strumenti di qualità della legislazione (A

IR

,

A

TN

e

V

IR

)

All’interno dell’art. 14, i primi undici commi dettano la procedura per l’entrata a regime dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e del nuovo istituto della

verifica di impatto della regolamentazione (VIR).

Attraverso l’abrogazione del comma 1 dell’art. 5, legge n. 50 del 8 marzo 1999, disposta dal comma 11 dell’art. 14, legge 246/2005, cessa la fase di sperimentazione dell’AIR. Si tratta evidentemente di strumenti per delineare regole di tecnica legislativa, attraverso cui perseguire l’obiettivo della “buona” qualità della legislazione.

Analisi di impatto della regolamentazione (A

IR

)

In particolare, secondo la direttiva del Presidente del Consiglio del 27 marzo 200023, l’AIR è lo strumento per stabilire se sia necessario un intervento di

regolamenta-zione e, nel caso, per scegliere quello più opportuno ed efficace. A tal fine essa prevede innanzitutto una fase di consultazione preventiva dei soggetti destinatari delle norme (elemento caratterizzante di tale strumento), per poi descrivere:

22 A. CELOTTO,C.MEOLI, voce Semplificazione normativa (dir. pubbl.), op. cit., p. 818. 23 In Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2000.

(26)

23

 Quali siano gli obiettivi del provvedimento di regolamentazione in questione e le opzioni alternative;

 La valutazione dei benefici e dei costi derivanti dalla misura regolatoria;

Il comma 1 dell’art. 14 in esame, fornisce una nuova definizione di AIR, dal quale

si evince che essa «consiste nella valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di

inter-vento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative», e secondo il comma 2 è di «supporto alle decisioni dell'organo politico di vertice dell'amministrazione in ordine all'opportunità dell'intervento normativo».

Analisi tecnico-normativa (A

TN

)

L’analisi tecnico-normativa (ATN) rappresenta un ulteriore strumento idoneo a

supportare la qualità della regolazione e ad assicurare la trasparenza nell'iter di propo-sta, modifica e approvazione dei provvedimenti normativi del Governo; essa è contenuta in una relazione che accompagna gli schemi di atti normativi adottati dal Governo ed i regolamenti, ministeriali o interministeriali.

Tale strumento verifica l'incidenza della normativa proposta sull'ordinamento giuridico vigente dandone conto della sua conformità alla Costituzione, alla disciplina comunitaria e agli obblighi internazionali, nonché dei profili attinenti al rispetto delle competenze delle regioni e delle autonomie locali e ai precedenti interventi di delegifi-cazione. L'analisi è condotta anche sulla base della giurisprudenza rilevante esistente, sia nazionale che comunitaria; inoltre, dà conto anche di eventuali progetti di modifica

(27)

24

della stessa materia già in corso di esame. In essa vi è altresì lo scopo di individuare l’effettiva necessità dell'intervento normativo, al fine di prevenire l'iter di eventuali atti normativi non necessari o suscettibili di un parere di incostituzionalità.

Bisogna specificare che per quanto riguarda l’ATN, manca un suo esplicito

rife-rimento nella nuova previsione normativa dell’art. 14.

A ogni modo, sia l’AIR che l’ATN dovrebbero accompagnare distintamente gli

schemi di atti normativi adottati dal Governo e i regolamenti, ministeriali o interministe-riali (anche se molte volte se ne constata l’assenza). In ogni caso esse sono trasmesse al Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri (DAGL)

dalle amministrazioni proponenti, insieme alla relazione illustrativa e quella tecnico-fi-nanziaria, per l’iscrizione alla riunione del Consiglio dei ministri.

Verifica di impatto della regolamentazione (V

IR

)

LaVIR è disciplinata dal comma 4 (modificato dall’art. 3, comma 2, legge n. 35

del 2012) e dal Dpcm n. 212 del 19 novembre 200924; essa consiste «nella valutazione,

anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni».

24 “Regolamento recante disciplina attuativa della verifica dell'impatto della regolamentazione (VIR)”.

(28)

25

La VIR è effettuata sugli atti normativi del Governo in merito ai quali è stata

svolta l’AIR, nonché sui decreti legislativi e sulle leggi di conversione dei decreti-legge,

anche nel caso in cui mancasse l’AIR.

Tale valutazione evidenzia:

 Il grado di raggiungimento delle finalità poste a base dell’adozione dell’inter-vento;

 L’eventuale insorgenza di effetti non previsti;  Le principali criticità emerse.

(29)

26

C

APITOLO

II

Cenni al dibattito circa l’utilizzo della delega legislativa

2.1. Introduzione

Il dibattito sull’uso della delega legislativa va avanti ormai da anni, fin dalla nascita stessa dell’attuale Costituzione repubblicana; punto nodale è la possibilità per il Governo di adottare, entro certi limiti, decreti che abbiano valore di legge, conseguen-temente costituendo un’eccezione all’art. 70 Cost., per il quale «la funzione legislativa

è esercitata collettivamente dalle due Camere».

Rispetto ad alcune posizioni contrarie, all’interno dell’Assemblea Costituente, al riconoscimento costituzionale della delega legislativa sono comunque prevalse quel-le non pregiudizialmente ostili all’utilizzo di taquel-le strumento, sia nel tentativo di rendere meno gravoso e macchinoso il lavoro del Parlamento, sia perché convinti rimanga pur sempre quest’ultimo il soggetto principale detentore della potestà normativa e che solamente attraverso il potere sovrano la delegano al Governo1.

Una ricostruzione delinea il potere conferito al Governo per l’esercizio della delega come un potere diverso, nuovo rispetto a quello di cui sono normalmente tito-lari2, da esercitare quindi da parte del Governo nomine proprio, e configurandosi

con-seguentemente il procedimento come articolato su due fasi:

1 Cfr., AMBROSINI, in A.C., VII, 1294 e TOSATO, in A.C., VII, 1295.

2 Cfr., LIGNOLA, 1956, pp. 140 ss., per l’A. l’istituto della delegazione «si caratterizza sotto il profilo sistematico come un atto mediante il quale taluno (delegante): a) sostituisce altri (delegato) a sé stesso nell’esercizio di una propria sfera di competenza materiale; b) conferisce al delegato (in proprio e

(30)

27

1) Fase della “legge di delegazione” che si svolge dinnanzi alle Camere; 2) La fase della “legge delegata” da compiersi, invece, ad opera del Governo3.

Discorso diverso per quanto riguarda la revocabilità di tale istituto, per la qua-le la dottrina si è espressa in maniera pressoché unanime, affermando che la revoca possa avvenire attraverso delle leggi che disciplinino totalmente o parzialmente l’oggetto della delega, le quali intervengano prima che il Governo abbia adottato il de-creto legislativo, andando ad abrogare la precedente legge di delegazione4.

Bisogna tener conto, così come previsto nell’art. 76 Cost., che «si tratta di un

potere legislativo discrezionale e non libero nei fini per effetto della predeterminazione parlamentare dei principi e criteri direttivi. Temporalmente delimitato e definito quanto agli oggetti, senza poter coinvolgere altre situazioni sia pure connesse, e quindi specia-lizzato per definizione»5.

Ad ogni modo, la Costituzione pare porsi in maniera “diffidente” nei confronti dell’utilizzo della delega; oltre ad evidenziarsi all’interno degli stessi artt. 76 e 77 della Carta numerose negazioni negli enunciati6, si impone anche la procedura per il

confe-rimento della delega legislativa, consistente in esame e approvazione del disegno di legge, ai sensi dell’art. 72, 4° comma Cost. Le leggi di delega devono essere approvate

non a titolo di esercizio) un potere (nuovo) con il quale lo mette in grado di esercitare la sfera di compe-tenza materiale delegatagli».

3 G.ZAGREBELSKY,Manuale di diritto costituzionale, Vol. 1, Torino, Utet, 1987, p. 163. 4 L.PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 205.

5 F.MODUGNO, Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2005, cit., p. 50. 6 «L’esercizio della funzione legislativa “non” può essere delegato al Governo se “non” con de-terminazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti» (art. 76

Cost.);

«Il Governo “non” può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti cha abbiano valore

(31)

28

da ciascuna Camera in assemblea plenaria e non in commissione e si pone la riserva di d’Assemblea a garanzia appunto dell’approfondimento parlamentare nel conferire la delega.

L’art. 76 Cost. prevede altresì:

a) La determinazione dei “principi e criteri direttivi” entro i quali deve esercitarsi la delega legislativa;

b) Indicazione dei “limiti temporali” in cui la delega può essere esercitata; c) Identificare gli “oggetti” disciplinati dal Governo.

Oltra ad individuare nel solo Governo, come possibile soggetto destinatario della dele-ga.

Per tali ragioni in assenza di uno o più dei precedenti requisiti, la stessa legge di delega è suscettibile di rientrare tra gli atti costituzionalmente illegittimi, in quanto contrastante con il dettato costituzionale7.

È importante sottolineare come il Governo sia autorizzato ad adottare il de-creto legislativo, che ha forza di legge dello Stato, appunto nei limiti previsti dalla legge di delega; in tal senso si costituisce un forte legame tra i due atti, in quanto la validità del decreto legislativo dipende:

1) Dalla validità della legge delegante;

2) Dal rispetto dei limiti prescritti in quest’ultima.

7 Per tutti, si veda M.SICLARI, Le Norme Interposte nel giudizio di costituzionalità, Padova,

(32)

29

Il decreto legislativo rientra quindi negli atti aventi “forza di legge” e che per tale motivo può essere sottoposto al sindacato di legittimità costituzionale ai sensi dell’ex art. 134 Cost.

La legge di delega può quindi essere considerata come una “norma interpo-sta” tra la norma dell’art. 76 Cost. e il singolo decreto legislativo8, definizione questa

riscontrabile anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 3 del 1957 dove si af-ferma che «sia il precetto costituzionale dell’art. 76, sia la norma delegante

costitui-scono la fonte da cui trae legittimazione la legge delegata», pertanto l’eventuale

viola-zione di essa implica l’incostituzionalità del decreto governativo per indiretta violazio-ne dell’art. 76 Cost9.

2.2. La l. n. 400/1988 – applicazione dei “decreti legislativi”

L’art. 14 della legge n. 400 del 23 agosto 1988 regolamenta proprio l’applicazione delle disposizioni costituzionali inerenti ai decreti legislativi:

 Al comma 1 si stabilisce che il decreto delegato è adottato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica con la denominazione di “decreto le-gislativo” e con l’indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione, della deliberazione del Consiglio dei ministri e degli altri adempimenti del procedi-mento prescritti dalla legge di delegazione. Secondo il principio di conversione

8M.RUOTOLO,S.SPUNTARELLI, Commento all’art. 76, in R.BIFULCO,A.CELOTTO,M.OLIVETTI (a cura

di), Commento alla Costituzione, Torino, Utet, 2006, p. 1487.

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30

degli atti normativi, se il decreto non presentasse alcuna qualificazione, deve considerarsi come regolamento autorizzato ex art. 17 legge n. 400/1988; o se non ricorrano i requisiti per la conversione, allora l’atto dovrà essere dichiarato illegittimo10.

 Nel secondo comma si evince che il termine per l’emanazione del decreto legi-slativo è fissato dalla legge di delega e «il testo adottato dal Governo deve

esse-re trasmesso al Pesse-residente della Repubblica, per la emanazione, venti giorni prima della scadenza». È consentito allo stesso Presidente di poter richiedere al

Governo il riesame del decreto, purché tale azione non provochi un prolunga-mento dei termini del potere delegato oltre la scadenza prefissata dalla legge delega11.

 Al terzo comma si affronta la situazione in cui la delega abbia a riguardo una pluralità di oggetti distinti e affrontabili separatamente. In tal caso, il Governo attraverso “l’esercizio frazionato della delega”, potrà affrontare la stessa attra-verso più atti successivi per uno o più di tali oggetti.

 Discorso a parte meritano l’ultimo periodo del terzo comma12 e il quarto

com-ma in relazione alle c.d. “deleghe ultrabiennali”; in quest’ultimo caso, infatti, il Governo dovrà richiedere il parere delle Camere sugli schemi di decreti legisla-tivi.

10 Ibidem.

11 Si veda S.M.CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino, Giappichelli, 2001, p. 281. 12 «In relazione al termine finale stabilito dalla legge di delegazione, il Governo informa perio-dicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega».

(34)

31

Altro articolo da menzionare all’interno della legge n. 400/88, è il 16, in quan-to afferma che non è più necessario sotquan-toporre il decrequan-to delegaquan-to al controllo preven-tivo di legittimità della Corte dei conti. Nel secondo comma si specifica che, soltanto su richiesta del Presidente di una delle Camere, si possa richiedere al Presidente della Corte la trasmissione al Parlamento delle valutazioni della Corte stessa in merito alle sole conseguenze finanziarie derivanti dalla possibile «conversione in legge di un

decre-to-legge o dalla emanazione di un decreto legislativo adottato dal Governo su delega-zione delle Camere».

Ad ogni modo la legge n. 400/88 ha suscitato un grande dibattito in dottrina sul tema dei vincoli procedimentali che questa introduce soprattutto in riferimento ai singoli decreti legislativi. Si sono, difatti, costituite due scuole di pensiero su tale tema, la prima, che ne dà un’interpretazione per così dire affermativa; la seconda, al contra-rio, negativa.

Nel primo caso si dichiara a sostegno della propria tesi, che i vincoli predispo-sti dall’art. 14, copredispo-stituiscono uno strumento di attuazione pratica dei precetti copredispo-stitu- costitu-zionali e più in generale esse costituiscono norme sulla produzione13.

Nel secondo caso, ed è questa la dottrina maggioritaria, si dà importanza al “valore” o “tipo” di atto generativo delle norme sulla produzione, per tali ragioni si afferma che «la legge 400 del 1988 non è (la) legge di delega specificamente abilitativa

il singolo decreto ma è mera legge ordinaria»14.

13 Per i termini del dibattito ed i necessari riferimenti si rimanda a M.RUOTOLO,S.SPUNTARELLI, Commento all’art. 76, op. cit., p. 1489.

(35)

32

2.3. Principi e criteri direttivi della delega legislativa

Sempre secondo l’art. 76 Cost., requisiti essenziali per la legge delega sono i “principi e criteri direttivi” che il Governo deve obbligatoriamente perseguire ai fini della validità della propria azione legislativa e che nel caso oggetto di studio nei pros-simi capitoli sarà uno degli aspetti salienti da affrontare.

Occorre anzitutto indagare, affrontando questi due requisiti, se essi identifi-chino la medesima cosa, oppure sia necessario adottare una distinzione. Anche in que-sto caso la dottrina è divisa: una parte di essa afferma che principi e criteri sono cose differenti, poiché:

Il “principio” è «norma che regola la materia, effettivamente applicabile in

con-giunzione con norme di dettaglio ed anche da solo, ove manchi una previsione specifica del caso concreto»15, considerata dunque come “norma sostanziale” e

ad “efficacia diretta”;

Il “criterio” è, invece, «direttiva al legislatore delegato, di per sé inidonea ad

acquisire valore sostanziale ed utilizzabile, una volta espletato il potere, solo come elemento per ricostruire (eventualmente) la volontà storica del legislato-re»16. Si tratta dunque di una “norma temporanea e strumentale”, i cui effetti

persistono fino all’entrata in vigore del decreto delegato.

15 Ivi, p. 1490.

(36)

33

Altra parte della dottrina, al contrario, ritiene che i principi e i criteri direttivi, seppur con forme espressive differenti, indichino in realtà i medesimi limiti; tale inter-pretazione è rinvenibile sia da un’analisi dei lavori parlamentari, dal quale si evincono leggi di delegazioni con assenza di distinzione tra i due limiti; sia in qualche modo dalla giurisprudenza costituzionale, nel momento in cui la Corte si è trovata di fronte a situa-zioni di poca chiarezza nell’indicazione di principi e criteri, desumendoli, in tal caso, dalla normativa vigente e dalle finalità della delega stessa17.

Vi è inoltre il caso dei principi e criteri direttivi desunti per relationem, ossia nei casi in cui si debba recepire una direttiva comunitaria, o nei casi di rinvio ad atti di natura primaria o quando si faccia riferimento a contenuti di tipo tecnico.

2.4. Gli oggetti definiti

Ulteriore requisito a cui rimanda l’art. 76 della Costituzione è quello degli “og-getti definiti”; tale limite è stato interpretato dalla giurisprudenza costituzionale in stretta connessione con quello dei principi e criteri direttivi, di talché la stessa Corte Costituzionale ha affermato come la costituzionalità della delega legislativa comporti «un processo interpretativo relativo all’oggetto, ai principi ed ai criteri direttivi della

delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e delle ra-gioni e finalità poste a fondamento della legge di delegazione»18.

17 S.STAIANO, Decisione politica ed elasticità del modello nella delega legislativa, Napoli,

Liguo-ri, 1990, p. 171 ss.

(37)

34

Si registra come l’espressione “oggetti definiti” sia stata utilizzata al fine di da-re una delimitazione più marcata agli spazi di intervento del Governo, diffeda-renziandosi dal termine “materie”. Nella sostanza, però, il primo concetto è stato spesso associato al secondo, tant’è che la stessa Corte costituzionale in una sua sentenza si è espressa affermando che «il legislatore delegato, disciplinando una materia non ricompresa

nell’oggetto della delega, ma solo “connessa” ad esso, era privo di dettare le disposi-zioni censurate»19.

2.5. Tempo limitato

Ultimo requisito essenziale per la delega legislativa esplicitamente previsto dall’art. 76 Cost. è quello temporale, che è denotato come un «tempo limitato», entro il quale il decreto deve essere emanato. Vi è dunque il divieto di deleghe permanenti, ma non vi sono indicazioni all’interno della Costituzione riguardanti termini minimi e massimi; soltanto dalla prassi si può evincere che l’adozione della delega può variare da un minimo di due mesi ad un massimo di due anni, discorso diverso per le deleghe ultrabiennali regolate dall’art. 14 della legge n. 400/198820.

Com’è noto, una parte cospicua dell’attività legislativa si è svolta negli ultimi decenni anche attraverso deleghe integrative e correttive, producendo dunque in pri-ma battuta provvedimenti in un certo senso “precari”, in quanto al Governo è consen-tito poter intervenire più volte sul decreto “principale” attraverso modifiche e integra-zioni entro il termine della delega. Tutto ciò comporta appunto una sorta di

19 C. cost. 212/2003.

(38)

35

zazione” del decreto legislativo, alimentando quello stato di incertezza e cognizione del diritto, conseguenza dell’adozione di deleghe ampie e lunghe, all’interno delle quali manovre correttive sono poi sfociate in strumenti «per incisive e ripetute revisioni della

disciplina di volta in volta introdotta»21.

Si accenna poi a come sovente le leggi di conversione di decreti legge abbiano impropriamente avuto l’obiettivo di prorogare i termini previsti dell’originaria delega, suscitando così serie perplessità sull’utilizzo di tale strumento, come denunciato anche dal Comitato per la legislazione in riferimento all’art. 15, comma, lett. a) della legge 400/1988, che vieta al Governo di «conferire deleghe legislative ai sensi dell'articolo 76

della Costituzione». Si è parlato in proposito del fenomeno delle “catene di

proro-ghe”22.

Le deleghe integrative e correttive, poi, presentano una peculiarità dal punto di vista strutturale, in quanto rispetto alla classica ricostruzione “duale” della quale si è detto, ne presentano una ulteriore, per così dire di “riesercizio” governativo della de-lega. In tali deleghe è dunque presente fin dal principio il “germe” di una terza fase, in quanto una volta fissato il termine per l’esercizio da parte del Governo della c.d. dele-ga principale, la legge deledele-ga ne fissa un secondo entro il quale il Governo potrà adot-tare disposizioni integrative o correttive. Attraverso questo strumento, il legislatore delegante permette al Governo un utilizzo rinnovato della delega, in contrasto dunque

21 F.SORRENTINO, La crisi dei diritti e delle legalità costituzionali, in Aa.Vv., Tornare alla Costitu-zione: referendum e legalità, Torino, 2000, p. 33 ss.

22 Vedasi i casi riguardanti disposizioni di delega contenute nella legge n. 131/2003 e nella

legge n. 229/2003.

Anche in occasione del d.l. n. 4 del 25 gennaio 2002 si è avuto un caso di conversione di un decreto-legge, dove il Capo di Stato ha rinviato la legge alle Camere segnalando la «evidente illogicità

(39)

36

con quello che è ritenuto, almeno da parte della dottrina, un requisito cardine di essa, ossia quello della “istantaneità”23.

Si è affermato in proposito che «l’effettività dei decreti legislativi di prima

at-tuazione è esposta al rischio di venire sacrificata dall’aspettativa di una modifica legi-slativa a breve termine e le norme in essi contenute sarebbero degradate al rango di “leggi in prova”, o di “disposizioni transitorie”. La clausola delle correzioni ed integra-zioni sarebbe fonte sicura di ineffettività delle norme dei decreti principali, se per effet-tività intendiamo, kelsenianamente, l’osservanza media della norma o la conformità del comportamento umano alle norme»24.

Ancora maggiori fattori di peculiarità presentano, sempre da un punto di vista strutturale, le deleghe c.d. “polifasiche”, le quali dovrebbero contenere un atto di rin-vio ad uno o più atti esistenti, in maniera tale da creare un collegamento comprensibi-le, dove l’ultimo atto apporti dei cambiamenti parziali alla disciplina corrente: se ne dirà nel prosieguo del lavoro, dedicato proprio ad una delega che appare dotata delle caratteristiche dell’essere “polifasica”.

Nella prassi i confine delle correzioni o modifiche sono stati assai spesso var-cati, comportando un vero e proprio potere di legislazione reiterata, all’interno del quale molto spesso il Governo si arrogato la facoltà di riscrivere, anche totalmente i decreti principali. In questo modo si vengono a creare leggi delegazione che riaprono i

23 M.PATRONO, Utilizzo «rinnovato» della delega legislativa, in Diritto e società, 1980, p. 661

ss., dove si evidenzia come la dottrina ritiene che la delega legislativa abbia carattere istantaneo in quanto «l’attribuzione che da essa promana opererebbe (almeno di regola) non oltre l’istante, anzi, nel

solo istante in cui il Governo la utilizza; sicché il potere in tal modo conferito, esauritosi in un unico atto di esercizio e non più esperibile nel tempo (eventualmente) residuo, avrebbe anch’esso per simmetria il requisito della istantaneità».

24 M.CARTABIA, I decreti legislativi «integrativi e correttivi»: il paradosso dell’effettività? in Ras-segna parlamentare, 1997, cit., p. 63. Cfr. H.KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, trad. it. (a cura di) S.COTTA e G.PECORA, Milano, 1994, p. 39 ss.

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termini della delega già conferita al Governo, attraverso cui il Parlamento gli consente l’adozione di decreti legislativi con principi e criteri direttivi che si collocano a integra-zione, sostituzione o modifica, rispetto a quelli contenuti nella delega principale25. In

tale maniera si dona al Governo la facoltà di poter intervenire, anche dopo un lungo lasso di tempo, su tematiche di interesse già soggette a riforme mediante deleghe legi-slative.

Su questo punto è già possibile anticipare brevemente tematiche oggetto di studio nei capitoli successivi, evidenziando quanto disposto nell’art. 18 della legge n. 246 del 28 novembre 2005, di “Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”, che modifica la legge del 29 luglio 2003 n. 229, enunciando che «Entro un anno dalla

data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui agli articoli [..], il Governo può adottare, nel rispetto degli oggetti e dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge e secondo i principi e i criteri direttivi e la procedura di cui all'articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, uno o più decreti legi-slativi recanti disposizioni integrative e correttive»; sostanzialmente si dà facoltà al

Governo di poter adottare decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che sembrerebbero aprire i termini per l’esercizio di una nuova delega, caratterizzata da nuovi principi e criteri direttivi, che condivide con la prima solo l’identità d’oggetto.

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2.6. I c.d. limiti ulteriori

Sin qui si è parlato solo dei limiti previsti dall’art. 76 Cost.; sono tuttavia da considerare anche ulteriori limiti che la legge di delegazione può introdurre, e ai quali il Governo deve attenersi. Essi risultano vincolanti ai fini della formulazione dei decreti legislativi, con la conseguenza che il disattenderli può portare fino all’invalidità del de-creto legislativo, in quanto si violerebbero “di riflesso” i limiti previsti dalla legge di delega.

Un esempio di adozione di tali limiti riguarda l’adozione di atti in cui sia utile sentire il parere di altri soggetti. In particolare, è ormai consuetudine richiedere il “doppio parere” a Commissioni parlamentari permanenti o costituite ad hoc per l’adozione del decreto legislativo, nei seguenti termini:

a) Acquisizione del parere delle Camere e di eventuali altri soggetti.

Dopodiché il Governo una volta espresse le proprie valutazioni e le eventuali modificazioni:

b) Ritrasmette alle Camere (e se il caso lo prevede, alla Conferenza Stato-Regioni), per l’acquisizione del parere definitivo26.

2.7. Un quadro comparativo della delegazione legislativa

Il progressivo ricorso alla delega parlamentare è un fenomeno non pretta-mente di matrice italiana, infatti è possibile riscontrarne un significativo utilizzo in tutti

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i maggiori Paesi dell’Europa occidentale, come Spagna, Francia, Germania e Regno Uni-to.

Cedere il testimone della formazione normativa all’esecutivo è ormai una ten-denza consolidata sin dalla fine dell’Ottocento, sintomo di un passaggio dallo Stato “liberale” a uno Stato che si fa “amministratore”27, all’interno del quale è al contempo

accresciuto il ruolo del Governo nei processi legislativi. Finanche gli Stati Uniti, Paese con una forte concezione della separazione dei poteri e dove affermato era il principio di non delegation, a partire dagli anni Trenta del Novecento, ha cominciato ad aprirsi alla prassi normativa non obbligatoriamente approvata dal Consiglio federale.

Ci si trova perciò dinnanzi alla c.d. “crisi della legge”, risultato dell’adozione di strumenti di contingenza, che si sostituiscono alla normale e sistematica prassi legisla-tiva: i vari Parlamenti, molto spesso, si trovano a non essere più in grado di fronteggia-re alle innumefronteggia-revoli richieste normative dovute al moltiplicarsi dei compiti da essi as-sunti, conseguenza anche del passaggio verso sistemi maggioritari, all’interno dei quali l’esecutivo risulta il fulcro dell’azione politica.

A conferma di quanto appena detto basta evidenziare, attraverso dati quanti-tativi risultanti dall’analisi della legislazione approvata nel 2004 dai quattro maggiori Paesi europei relativi al rapporto fra iniziativa legislativa governativa e parlamentare all’interno del numero complessivo delle leggi approvate.

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La seguente tabella ci è d’aiuto nel riassumere tali dati:

Fonte: Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2004 – 2005 sullo stato della

Riferimenti

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