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"Podemos", la Sinistra radicale spagnola: un nuovo partito populista?

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 4

1. Ambiguità e paradossi 1.1 Populismo: un fenomeno ambivalente 6

1.2 Tipologie 12

1.2.1 Populismo agrario e populismo politico 18

1.3 Populismo politico: protestatario e identitario 22

2. Contesto sociale, politico e culturale dell’Europa contemporanea 2.1 Mutamento politico e sociale nell’Europa moderna 29

2.2 La crisi della rappresentanza politica: l’antipolitica 36

2.3 L’ideologia populista e il concetto di popolo 44

2.4 L’Europa contemporanea tra New Right e New Left 51

3. Trasformazione ed evoluzione della Sinistra radicale in Europa 3.1 I valori della Nuova Sinistra europea 59

3.1.1 Nuovi partiti e movimenti 63

3.2 Syriza: la Sinistra radicale greca 68

3.3 Il populismo di sinistra: da Syriza a Podemos 73

4. La nascita di Podemos. 4.1 La Sinistra spagnola del dopo franchismo 76

4.2 Il movimento degli “Indignados” 81

4.3 Podemos - dal movimento al partito 87

4.3.1 Principi organizzativi, politici ed etici 93

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5. La leadership di Pablo Iglesias Turrion.

5.1 Pensiero e formazione. 123

5.2 Idee e programma. 127

5.3 Il leader e la squadra di Podemos. 131

5.4 Il Segretario Pablo Iglesias: l’Assemblea di Vistalegre. 134

Conclusioni 148

Bibliografia 151

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Introduzione

Il presente lavoro ha come oggetto di studio il fenomeno del populismo di sinistra ed in particolare la sua espressione nel caso spagnolo rappresentato da “Podemos”. Lo studio è stato possibile grazie ai dati raccolti analizzando i documenti, traducendo i testi e seguendo via streaming gli interventi alla Camera De Los Diputados degli esponenti di “Podemos”.

Finora il tema del populismo è stato oggetto di studio da parte di diversi studiosi quali Meny, Surel, Canovan e molti altri che hanno fornito un loro contributo riportando esempi della sua incarnazione e della sua evoluzione dalla sua nascita (fine del XVIII secolo) all’ultimo ventennio (in un contesto in cui ha assunto notevole rilevanza soprattutto in Europa, con caratteristiche distinte a seconda delle diverse realtà in cui si è sviluppato).

Nel corso degli anni si è acceso un dibattito per determinare se il fenomeno populista sia una conseguenza o uno stimolo per la democrazia, oppure la sua antitesi: alcuni sostengono che il populismo sia un “rigeneratore” della democrazia, lo strumento che limita la distanza tra politica e cittadini; altri invece, hanno individuato nel populismo “una minaccia” per la democrazia. Il periodo attuale è caratterizzato dalla presenza di movimenti politici nuovi, talvolta anche meno strutturati, accompagnati dalla figura di un leader carismatico, un’ideologia, un “popolo” e un nemico da sconfiggere. Il tutto, in un contesto di profonda sfiducia nei confronti delle Istituzioni; un contesto che ha reso possibile non solo la nascita di istanze populiste, ma di conseguenza, anche il loro successo elettorale.

Nella prima parte della tesi ho posto l’attenzione sulle caratteristiche del populismo facendo riferimento, in particolare, al populismo di Sinistra

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individuandone i tratti distintivi nei nuovi partiti e nei nuovi valori della Sinistra radicale europea.

Nella seconda parte ho analizzato il comportamento della Sinistra spagnola, dalla fine della dittatura franchista alla nascita di Podemos.

Ho dedicato un capitolo alle cause, le motivazioni che hanno portato alla sua nascita; al suo programma, all’organizzazione interna e all’analisi della presenza elettorale di Podemos alle elezioni politiche europee e nazionali. Infine, nell’ultimo capitolo ho delineato la figura del leader di Podemos, nonché suo fondatore: Pablo Iglesias Turrion, Professore universitario alla Complutense di Madrid rieletto Segretario del partito alla seconda Assemblea nazionale di Vistalegre del 12 febbraio 2017.

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1. Ambiguità e paradossi

1.1 Populismo: un fenomeno ambivalente.

Nella società attuale il populismo si manifesta descrivendo un’ampia varietà di movimenti politici e risulta perciò difficile, se non impreciso, fornire una sua definizione e comprenderne il significato. Il suo carattere ambivalente è dovuto in primo luogo, “all’impossibilità di collocarsi in un punto preciso dell’arco ideologico che va da Destra a Sinistra” ed in secondo luogo,” all’impossibilità di identificarsi con una determinata classe sociale in tutti i casi in cui si manifesta”1

.

Costituisce di per sé, l’espressione di una visione del mondo penetrata profondamente nella società occidentale: una visione connessa alle circostanze storiche in cui si manifesta. Una visione del mondo che è sfociata in fenomeni totalitari, oppure è stata assorbita nell’ambito della democrazia costituzionale. Nonostante ciò, non la si può né assimilare ai tanti “-ismi” otto e novecenteschi (fascismi, comunismi, nazionalismi, fondamentalismi religiosi, ecc…), né comparare ad essi stabilendo quali delle loro caratteristiche comprenda e quali invece escluda in quanto è un concetto che individua il nucleo comune di tutti quei fenomeni diversi tra loro e come tale non esiste allo stato puro.

Ogni populismo, sia esso di natura nazionale o sociale, territoriale o ideologica, etnica o religiosa, sia membro della famiglia totalitaria fascista o di quella comunista, di per sé è unico e irripetibile, è un qualcosa di più vasto e profondo di un semplice fenomeno politico o sociale contemporaneo e trova la sua espressione più coerente nell’epoca della società di massa e della democrazia2.

1

L. Zanatta, “Il populismo”, Roma, Carocci, 2013, pp.39.

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Isaiah Berlin, nello scritto “To Define Populism”3, indica sei percorsi chiave per rintracciare il nucleo centrale del populismo: 1) il populismo evoca un’idea di comunità, perciò non è un’ideologia individualista, ma comunitarista; 2) è apolitico, in quanto i valori cui si ispira e su cui si fonda attengono alla sfera sociale: un ordine sociale equo, agli occhi dei suoi seguaci sembrerà la migliore democrazia anche nel caso di un ordine politico autoritario; 3) il populismo incarna un’aspirazione di rigenerazione fondata sulla volontà di ridare al popolo la centralità e la sovranità che ritiene gli siano state sottratte; 4) ambisce a trapiantare i valori di un mondo del passato, che idealizza come un mondo di armonia ed equità sociale, in quello attuale: in questo senso il populismo si propone come il canale attraverso il quale la visione del mondo che “viene da lontano e che si sarebbe conservata intatta nel popolo”, ritorna attuale per purificare il mondo moderno; 5) è convinto di rivolgersi alla maggioranza del popolo, o nei casi più estremi alla sua totalità; 6) il populismo tende ad emergere in società che si trovano in delicate e spesso convulse fasi di modernizzazione o

trasformazione. Lo studioso sostiene che non si debba parlare di “un unico

populismo”, ma di un nucleo centrale dal quale derivano tutti gli altri, come sue deviazioni o variazioni e ha un carattere transitorio. Paragona il populismo alla “scarpetta di Cenerentola:” da qualche parte per questa scarpetta esiste un piede, anche se ci sono tanti tipi di piedi che si adattano pur non calzandola perfettamente; da qui, il nome di “complesso di Cenerentola”, in quanto secondo Berlin “non deve esserci alcun impedimento per trovare ciò che stiamo cercando, o meglio, non dobbiamo essere intrappolati da questi piedi quasi adatti perchè il principe vaga sempre con la scarpetta e da qualche parte lo aspetta quel piede perfetto chiamato puro populismo”. Ad oggi la ricerca del “piede” perfetto non è finita,

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e in sua assenza, vengono proposte approssimazioni più o meno ben argomentate.

Nel corso degli anni, gli elementi che definiscono il populismo sono stati raggruppati in diverse liste dalle quali possiamo individuare tra gli elementi costitutivi: l’idealizzazione o sacralità della gente, percepita come popolo speciale o eletto; una leadership forte e la fede nelle straordinarie qualità del leader; la promozione dell’immagine di una società organica con l’armonia economica, sociale e culturale; l’affinità con la religione e una prospettiva nostalgica sul passato; ma anche xenofobia, razzismo e anti – semitismo, l’uso intensivo delle teorie del complotto e l’invocazione di visioni apocalittiche, l’anti – elitismo e l’anti - establishment4

( grazie a queste ultime caratteristiche sarà possibile distinguere ciò che viene definito come populismo di Sinistra dal populismo di Destra). Solitamente, e da qui il suo essere ambiguo, il populismo contiene ingredienti contrastanti come la richiesta di pari diritti politici e di partecipazione universale della gente comune, mista ad una sorta di autoritarismo incarnato da una leadership carismatica ed indiscussa; contiene “ingredienti” socialisti (la richiesta di giustizia sociale), una vigorosa difesa delle piccole proprietà, forti elementi nazionalistici e nega l’importanza delle classi. Esprime anche la rivendicazione dei diritti della gente comune contro gli interessi delle classi privilegiate considerate di solito, nemiche del popolo e della Nazione.

Il popolo è il perno centrale del populismo, un popolo che si contrappone all’élite, al mondo della finanza, all’ establishment. Un’antitesi ripresa da alcuni studiosi nella loro definizione di populismo: basti pensare a Margaret

Canovan5 e Rovira Kaltwasser6 che descrivono il populismo nelle

4

S. Gherghina, S.Miscoiu and S. Soare (eds), “Contemporary Populism: A Controversial Concept and Its Diverse

Forms”, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2013, p. 4. 5 M. Canovan, “Populism”, Junction Books, London, 1981.

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democrazie moderne, come un appello al popolo contro la struttura consolidata del potere, contro le idee e i valori dominanti della società; una rivolta contro la struttura stabilita del potere in nome del popolo. Questa logica politica, considera la società divisa in due gruppi: la gente e l’élite, e sostiene che la politica debba essere l’espressione della volontà del popolo. Cas Mudde7 riprende questa divisione della società e fornisce una sua definizione più specifica identificando il populismo nell’ideologia di una società divisa in due gruppi omogenei e antagonisti: il popolo puro e l’élite corrotta e vede la politica come espressione della volontà generale del popolo. Elabora la teoria del “Populist Zeitgeist”8 in riferimento al fatto che nella politica contemporanea il populismo è entrato “nella quotidianità” come di routine e di conseguenza la maggior parte degli attori politici avrà alcuni elementi populisti, quindi dovranno essere adottati criteri operativi rigorosi per osservare e studiare il fenomeno. L’attore populista è colui che richiama costantemente l’ideologia del populismo negli appelli pubblici ed in particolare in quelli elettorali, e per giudicare se si tratti o meno di populismo, occorre siano presenti tre indicatori: il centrismo del popolo, la sovranità popolare e l’anti – elitismo.

Altri studiosi hanno utilizzato una concettualizzazione capace di potersi applicare ai vari fenomeni che si dicono populisti, come Pierre- Andrè Taguieff9 il quale sostiene che il populismo sia uno stile politico, e Marco Tarchi10 che lo definisce come una mentalità, una forma mentis, e come nel

6

C. Mudde and C. R. Kaltwasser (eds.), “Populism: corrective and threat to democracy, in Populism in Europe and the

Americas: Threat or Corrective for Democracy?”, edited by C. Mudde and C. R. Kaltwasser, Cambridge, Cambridge

University Press, 2012, pp.205-222.

7 C. Mudde, “The Populist Zeitgeist”, in “Government and Opposition”, n.4 (2004), pp.541-563 8

L. March, “Left-wing Populism in the UK: theory and practice. Politics and International Relations”. University of Edimburgh, pp.6-7.

9 P.-A. Taguieff, “L’illusione populista”, Milano, Bruno Mondadori, 2003. 10

M. Tarchi, “Populism and Political Science: How to get rid of the “Cinderella Complex”, in “Contemporary

Populism”: “A Controversial Concept and Its Diverse Forms”, edited by S. Gherghina, S. Miscoiu and S. Soare,

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caso di Taguieff, in grado di innestarsi in più contesti e in diversi attori appartenenti a famiglie politiche diverse e opposte.

Non solo è evidente il suo legame con la massa, ma anche il rapporto con il sistema democratico: i sistemi democratici rappresentativi sono fatti di un insieme di fattori complessi e ambigui che spiegano in parte le tensioni esistenti tra concezioni della democrazia ed espressioni del populismo. A differenza dei movimenti tradizionali di Destra o dei partiti fascisti, il populismo non si presenta come movimento anti - democratico11, al contrario, gran parte della sua retorica si concentra nella denuncia delle perversioni che affliggono le democrazie e sulla necessità di trovarvi rimedio. Il più delle volte i populisti si impegnano in una sorta di “gioco al rialzo” delle aspettative democratiche utilizzando le ambiguità e la polisemia che caratterizzano il termine democrazia; si propongono di “rigenerarla”, “ripulendola da tutte le sue scorie per tornare ai suoi veri principi e valori”. Questo atteggiamento nasce dalla contraddizione mai risolta, tra la democrazia ideale (che dovrebbe permettere l’accesso delle masse alla politica) e la democrazia concreta (che realizza solo imperfettamente questo ideale). Quindi, democrazia e populismo sono vicini, se consideriamo il loro referente: entrambi infatti fanno appello al popolo e lontani, per l’importanza che gli danno ed il significato che gli accordano. Non si può avere un populismo senza fare riferimento alla democrazia: il populismo è quasi sempre presente nella democrazia, sia attraverso movimenti popolari che contestano il quadro democratico esistente, sia nei discorsi e nei programmi dei partiti e dei leader politici. Un ruolo fondamentale appartiene ai meccanismi di integrazione delle masse, del popolo, nei suoi modi di funzionamento a livello di deliberazione, di decisione o di controllo dei governanti.

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Se da un lato il populismo è stato considerato come “patologia e corruzione” della democrazia, (dal momento che molti populisti sembrano essere seduttori più che educatori, facendo affidamento sul loro carisma personale, sulla propaganda e la manipolazione del pubblico per raccogliere seguaci e raggiungere così i loro obiettivi)12, da un’altra prospettiva, viene interpretato in senso positivo come un avvertimento, un segnale per l’élite politica, evidenziando i difetti di un sistema politico rappresentativo. (In tal senso, P. Taggart sostiene che il populismo sia un indicatore di salute nei sistemi politici rappresentativi in quanto richiama l’attenzione su eventuali malfunzionamenti occasionali che potrebbero presentarsi nel sistema politico13. Ciò facendo le élite potrebbero diventare consapevoli del loro bisogno di fare politica per il popolo14).

Il carattere ambiguo del fenomeno populista permane e quindi oltre ad identificarsi come ambivalente e talvolta singolare, costituisce un paradosso istituzionale: mentre sembra avere un atteggiamento negativo nei confronti delle istituzioni, in realtà sotto questo aspetto è molto ambiguo15. I populisti di solito rifiutano i sistemi di partito e tutte le strutture rappresentative, ma allo stesso tempo dicono di essere i migliori rappresentanti del popolo, di rappresentare il popolo meglio della Costituzione e utilizzano il sistema rappresentativo per esprimere sé stessi e per ottenere il sostegno. Y. Surel definisce questa contrapposizione, la “duplice ibridazione”: da un lato vogliono porre rimedio alle carenze del sistema e dall’altro, devono rimanere parte di questo sistema. Il carattere paradossale del populismo risiede nella sua relazione con la democrazia rappresentativa: da un lato è caratterizzato dall’antagonismo (evidente nella sua posizione contro i partiti e le istituzioni)

12

C. Dewikis, Populism, in “Living Reviews in Democracy”, n.1 (2009), p.4.

13

P. Taggart, 2000.” Populism. Buckingham PA”: Open University Press.

14 M. Canovan. 2002.” Taking politics to the People: Populism as the Ideology of Democracy: in Democracies and the Populist Challenge”, edited by Y. Mény and Y. Surel. New York: Palgrave.

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Y. Surel, 2002,” Populism in the French Party system, in Democracies and the Populist Challenges”, edited by Y. Meny and Y: Surel, New York: Palgrave.

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e dall’altro, è inevitabilmente connesso con la democrazia rappresentativa proprio perché funziona solo “in opposizione all’altro”.

Distinguendo tra la nozione di movimenti di protesta populista con sentimenti anti – establishment e la nozione di una democrazia populista tradizionale, Peter Mair16 afferma che la concezione anti – establishment non è sostenibile perché mantenere una retorica in tal senso, mentre domina le posizioni chiave all’interno dell’élite al governo, sembrerà eventualmente impossibile. (Questo ragionamento non ha impedito a politici come Tony Blair o Jaques Chirac di fare esattamente quello). Il paradosso istituzionale del populismo comporta proprio questo: i populisti possono fare affidamento sui mezzi e sulle strutture istituzionali, le stesse che criticano; eppure cercano di evitare questo dilemma facendo affidamento sulla democrazia diretta in quanto questo significa avere un contatto diretto con la popolazione “andando oltre” il sistema partitico.17

Un aspetto correlato sta nel fatto che nel momento in cui un partito populista (o movimento o leader) prende il potere, esso deve diventare necessariamente parte del sistema costituzionale per poter sopravvivere ed essere in grado di governare realmente (in questo processo, il partito populista può perdere fascino agli occhi dei suoi elettori, gli stessi che hanno sostenuto la causa della sua critica al sistema rappresentativo).

1.2 Tipologie.

La nascita del populismo si dice sia dovuta alla crisi dei partiti , il momento in cui i cittadini si sentono più liberi e non amano più identificarsi in alcun partito politico. E’ necessario considerare fattori di tipo economico,

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P. Mair, 2002,” Populist Democracy vs Party Democracy”. In “Democracies and the Populist Challenge”, edited by Y. Meny and Y. Surel. New York: Palgrave.

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materialistico e strutturale cominciando dalla globalizzazione dell’economia e dalla sua smaterializzazione per finire alla crescente precarizzazione del mercato del lavoro, al tramonto del welfare state. Questi fenomeni producono disgregazione sociale, esclusione, diseguaglianza, incertezza ed insicurezza18. La crisi di legittimità ha investito la classe politica, ha causato il tracollo e ha sconvolto il funzionamento del sistema politico – istituzionale dello Stato di diritto: fu così in passato, quando l’ondata populista tra le due guerre diede il propellente ai grandi totalitarismi e al crollo della democrazia liberale nel mondo occidentale, ed è oggi, quando i rivolgimenti causati dalla globalizzazione e dalla proliferazione di istituzioni sovranazionali modificano le basi stesse dei sistemi democratici e degli Stati – nazione nel mondo, erodendone le tradizionali fonti di legittimazione. Il populismo si nutre di un aspetto ambivalente della democrazia rappresentativa, sia di quella ristretta dell’età liberale a cavallo tra XIX e XX secolo, sia di quella di massa subentrata in seguito19.

L’invocazione populista di identità assolute e comunità olistiche può riaffiorare ovunque, anche laddove si suppone vi sia una forte “etica liberale” e abbiano invece perso influenza i legami organici: a tal proposito, è efficace l’esempio del mondo latino d’America e d’Europa dato che meglio di qualsiasi altro dimostra come il populismo possa prosperare allo stesso tempo in paesi che hanno gradi molto diversi di sviluppo economico e cultura civica.

Il populismo si presenta come un fenomeno intermittente, ma sempre pronto a ripresentarsi in epoche e regioni molto diverse tra loro: un caso spesso citato è quello degli Stati Uniti, dove il fenomeno populista è stato ed è tutt’ora un ingrediente diffuso e persistente della vita politica. E’ essenziale la sua funzione di riproduzione del sistema democratico: la sua esperienza

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F. Marchianò, “Populismo, neoliberismo e critica alla mediazione”, Pandora, Rivista di Teoria e politica, 2004.

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storica ha funzionato da “anticorpo” contro la sclerosi del sistema, una valvola di sicurezza nei momenti di crisi. Nella società statunitense il sistema costituzionale godeva di solidità e fiducia e al suo interno vi era radicata un’identità civica individualistica diffusa, ma meno sensibile di quella del mondo latino alle sollecitazioni più estreme dell’immaginario “caro” al populismo: la democrazia americana si identificava in quel percorso in cui l’unità nazionale si manifestava al momento del voto senza richiedere la fusione in un “unico popolo americano”.

Diverso è il populismo russo ottocentesco ispiratore delle correnti socialiste rivoluzionarie, che miravano a ricostruire la comunità del popolo eliminando le classi sociali, e delle correnti tradizionaliste di ispirazione religiosa, dedite alla restaurazione di una società molto coesa con il ritorno alle comunità rurali omogenee minacciate dal contatto con la modernità occidentale. Si caratterizzava per la matrice intellettuale elitaria. (I narodniki, populisti russi, invocavano il riscatto di una comunità tradizionale, una comunità contadina in cui conservare integri i tratti tipici della patria russa, impregnata di cristianesimo e minacciata dall’élite che “scimmiottava “ l’Occidente).

Per quanto riguarda il vecchio continente, nell’Europa orientale e balcanica il populismo si è manifestato in forma etno – nazionalista, come riscatto della

nazionalità che ha individuato il proprio fondamento nell’omogeneità

culturale, etnica o religiosa. Ma anche l’Europa occidentale non è stata salvaguardata dall’impatto del populismo nelle sue varie forme, accumunate dal richiamo a salvare una comunità in pericolo di dissoluzione: già sul finire del XX secolo, il populismo vi trovò terreno fertile quando i mutamenti causati dall’era industriale produssero crisi di disgregazione e le strutture parlamentari si rivelarono spesso incapaci di metabolizzarle. (Infatti il

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boulangismo20 in Francia appare in questo senso, l’antesignano di un nuovo

tipo di populismo basato sul rapporto diretto tra un leader carismatico e un movimento di massa animato dal risentimento contro le élite: aveva annunciato il lungo percorso che avrebbe portato il populismo di Sinistra a Destra, ovvero, dalle sue origini giacobine, alle sponde reazionarie).

I caratteri tipici dei populismi perdurarono anche durante la Guerra fredda quando nella maggior parte dei casi furono costretti a “mescolarsi” con le elezioni e i partiti, la libertà dei media e la separazione dei poteri; da qui erano emerse le prime differenze tra l’Europa latina e l’America latina.

Nel primo caso, molti fattori avevano consentito ai regimi dittatoriali esistenti in Spagna (Francisco Franco) e Portogallo (Antonio de Oliveira Salazar) e a quello democratico sorto in Italia dopo la guerra, di stabilizzarsi e neutralizzare l’impatto delle correnti che nonostante tutto continuavano a nascondersi: l’esperienza della guerra, la vicinanza del nemico sovietico, l’obbligo di istituzionalizzarsi per conservare il potere. Tutti questi fattori avevano reso il populismo un fattore destabilizzante per i regimi, un virus che la Spagna franchista vedeva risorgere nei nazionalismi periferici, e l’Italia democratica nelle ideologie sovversive che attraversavano la Penisola sia in veste rivoluzionaria brigatista, sia in veste di insurrezione fascista. In America latina, invece, il populismo si era infiltrato in ogni angolo della storia politica e sociale: qui la guerra non aveva avuto gli stessi effetti

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Movimento che prese piede nella scena politica francese tra il 1885 e il 1889 con l’obiettivo di abbattere il regime della Terza Repubblica con un colpo di stato militare guidato dal generale Boulanger. Boulanger era sostenuto dalla popolarità acquisita come valoroso combattente e dal favore di cui godeva presso i soldati, per le riforme del regolamento militare che aveva introdotto. Ebbe larghi consensi alla propria ascesa politica in numerosi settori dell'opinione pubblica e venne scelto come promotore del rinnovamento della classe dirigente francese. Lo sostenevano repubblicani, come Clemenceau, delusi dell'opportunismo degli uomini di governo, nazionalisti della Lega dei patrioti, i monarchici, che sognavano una restaurazione realista per Filippo VII, e persino bonapartisti nostalgici. Questo accordo fra forze molto diverse era l’ espressione di uno stato di insoddisfazione verso un sistema di governo incapace di scelte politiche precise, minato dall'instabilità e dal moltiplicarsi degli scandali, che creava una spinta nazionalista e militarista all'interno del Paese. Per Boulanger le elezioni del 1889 ebbero quasi la portata di un plebiscito, ma al momento dell'azione il generale non si rivelò all'altezza di un aspirante dittatore e, al primo tentativo di resistenza del governo, fuggì in Belgio. Il movimento si annullò in breve tempo.

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dirimenti assunti in Europa, e le pulsioni populiste non furono delegittimate perché la Guerra fredda vi rimase come fenomeno più remoto e quindi meno condizionante, e perché l’equilibrio mondiale uscito dalla Guerra aveva potenziato l’influenza statunitense nell’emisfero, attribuendo all’ideologia anti – americana una forza evocativa.

Sia nell’Europa latina che nell’America latina, la guerra fredda non portò alla scomparsa del nucleo ideologico populista che permeava la cultura politica, ma delineò un nuovo scenario: da un lato in paesi come in Messico e a Cuba dopo la Rivoluzione, lo sfondo della Guerra fredda favorì il consolidamento di regimi politici sorti da una pulsione populista fondati su un immaginario organico; dall’ altro lato nei Paesi latinoamericani lo scontro bipolare portò alle estreme conseguenze l’escalation del conflitto tra i populismi ed i loro nemici. Ciò evidenziò come molti nemici del populismo, i militari in primis, presentassero diversi tratti ideali in comune con esso, confermando come nei Paesi latini, la visione populista del mondo fosse trasversale alle ideologie e ai regimi politici.

La lotta tra populismi e anti – populismi portò allo scontro tra visioni del mondo all’apparenza agli antipodi che avevano, però, in comune il miraggio di una comunità indivisa, quella della Nazione per gli uni e quella del Popolo per gli altri, e l’intolleranza verso ogni indizio di pluralismo al suo interno: sia dove si impose la via populista, sia dove trionfò quella anti – populista, gli ordini politici e sociali sorti da quei conflitti eliminarono i nemici interni e cancellarono ogni forma di pluralismo all’interno della comunità che ritenevano così di avere restaurato nella sua omogeneità.

Nell’Europa latina, dove volgevano al termine le dittature iberiche, la reazione populista non trovò altro canale per esprimersi che gli attacchi allo Stato in nome della “Nazione”, (come nel caso del nazionalismo basco

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contro il centralismo spagnolo), o del Popolo invocato dai terrorismi neo – fascisti o di ispirazione comunista in Italia.

In America latina fu l’ establishment militare a rimodulare il paradigma populista ed individuare nei suoi fautori i nemici dell’integrità e dell’identità nazionali. Le forze armate erano depositarie di una concezione sociale organica e avevano spesso dato vita a movimenti populisti i cui leader erano usciti dalle caserme, giudicandoli salutari alla restaurazione dell’armonia sociale integrando il popolo nella comunità omogenea della Nazione. In questo contesto i militari diventarono i regolatori dell’equilibrio nella comunità del popolo: integrandovi i ceti che di volta in volta si “affacciavano alla ribalta” (come fecero portando al potere i movimenti populisti di tipo fascista o peronista) e ponendo un freno agli effetti disgregatori di quell’integrazione, attuando reazioni incentrate sul rispetto della gerarchia degli organi del corpo sociale, (come fecero rovesciando quegli stessi regimi e altri affini a cui avevano dato vita). La storia del mondo latino è ricca di ufficiali “reazionari”, di militari popolari e di militari passati più volte da un ruolo all’altro nel corso della loro carriera: dai moti insurrezionali dei giovani

tenentes brasiliani degli Anni ’20 del Novecento, uscirono sia gli ufficiali

nazionalisti che animarono il populismo di Vargas, sia il leader del partito comunista brasiliano, sia il corpo ufficiali che nel 1964 insediò un longevo regime basato sull’anti – comunismo.

In questo panorama, il Sud America si è guadagnato la fama di continente populista per definizione: in quell’area il populismo è oggi ed è stato in passato molto di più di un fenomeno diffuso e persistente, ed al contrario che in altre parti del mondo non è stato costretto a venire a patti con il costituzionalismo liberale: spesso è assurto a regime consolidato, ad esempio con Getulio Vargas in Brasile, con Lazaro Càrdenas in Messico, con Juan Peron in Argentina e in numerosi altri casi negli Anni ’30 e ’40 del

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Novecento, ma anche con Fidel Castro a Cuba e con il generale Velasco Alvarado in Perù negli Anni ’60, fino a Hugo Chavez in Venezuela alla fine del XX secolo.

1.2.1 “Populismo agrario” e “populismo politico”.

Nel 1981 Margaret Canovan presenta un suo personale contributo per chiarire il vago concetto di “populismo”. Partendo dalle autodefinizioni di partiti o movimenti come populisti, elabora una classificazione generale dei vari tipi del fenomeno, studiati in una prospettiva comparata21. Alla base della sua classificazione individua due strategie per cercare di rendere più chiaro il concetto di “populismo” considerato come nozione confusa: una strategia A ed una strategia B22.

La studiosa parte dal presupposto fondamentale secondo il quale i tentativi per la costruzione di una teoria del populismo sono falliti in quanto troppo ampi e limitati per poter invece essere chiari e convincenti; di conseguenza, l’alternativa è un approccio fenomenologico che permette di costruire una tipologia descrittiva e nonostante sia presente un nucleo di significato solido, ciò lascia spazio a controversie dato che il termine “populismo” si riferisce ad una grande varietà di cose diverse, occorre ridurre queste diversità di ordine: la strategia A porta i diversi casi “sotto lo stesso tetto teorico” fornendo un resoconto delle caratteristiche essenziali del populismo e delle condizioni in cui si verifica con l’obiettivo di dimostrare l’unità nelle diversità; la strategia B si identifica in un approccio fenomenologico incentrato sulla descrizione piuttosto che sulla spiegazione.

Talvolta gli studiosi hanno adottato la prima strategia. Partendo da una determinata zona, area, non è difficile identificare un nucleo chiaro del

21

P. A. Taguieff, “L’illusione populista”, Milano, Bruno Mondadori, 2003.

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fenomeno populista; alcuni studiosi hanno sviluppato teorie sofisticate del populismo come da loro conosciuto nel loro campo di studio. Dopo aver guadagnato fiducia teorica in un campo preciso, lo studioso tende a credere che la sua conoscenza riguardo al populismo possa essere applicata al fenomeno stesso in generale a condizione che vengano aggiunte quelle variabili fondamentali per spiegare le differenze locali. “Ciò che rende il populismo un oggetto di studio coinvolgente è il fatto che un’analisi comparativa può rivelare delle somiglianze senza che esse vengano riconosciute come tali dai movimenti stessi”23

.

I tentativi per fornire una definizione precisa del fenomeno sono stati aperti a obiezioni: da una parte vengono considerati completi, ma vaghi, dall’altra chiari, ma stretti. Lo scienziato sociale che vuole ridurre il populismo, “rischia di intrappolarsi”: guardando l’enorme gamma di movimenti e idee definite populiste, tende a proporre una teoria sufficientemente ampia che comprende anche tutto il resto. (Esempio di ciò è l’articolo di J. B. Allock24 apparso nel 1971 in cui si osserva che la nozione di populismo aveva assunto un’ampia varietà di connotazioni ed era quindi difficile decidere se un movimento, un fenomeno, poteva perciò essere considerato populista). Angus Stewart nel suo saggio “Le radici sociali del populismo”25

sostiene che il populismo sia la risposta ai problemi della modernizzazione e si muove dalle tensioni tra le sezioni arretrate e avanzate della società.

Più preciso, invece, il contributo fornito da Peter Wiles che descrive o meglio, individua le tendenze tipiche dei movimenti populisti: l’anti –

23 A. E. Van Niekerk, “Populism and Political Development in Latin America” (Rotterdam, Rotterdam University Press,

1974), p.22.

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J. B. Allock, “Populism: A Brief Biography”, Sociology, 5 (1971), p.387.

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intellettualismo, l’ostilità verso i finanzieri, la simpatia per le piccole imprese, l’organizzazione in cooperative26

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Mentre la strategia A parte dall’osservazione dei movimenti e delle idee in questione per poi comprenderle in una teoria, la strategia B si astiene da queste ambizioni e delinea come suo obiettivo quello di riordinare il campo caotico del populismo in una tipologia chiara: imposta le categorie per accogliere le diversità dei fenomeni populisti.

Per mettere ordine nella molteplicità dei populismi, la Canovan presenta una suggestiva tipologia di questi fenomeni fondata su una prima distinzione tra due grandi categorie: il “populismo agrario” e “il populismo politico”.

Il primo, il “populismo agrario” è di tre tipi:

1. il “radicalismo degli agricoltori”, movimento con una base sociale, tra gli agricoltori delle materie prime: è il radicalismo degli agricoltori degli stati del Sud e dell’Ovest degli Stati Uniti della fine degli Anni’60. Il suo obiettivo è quello di consegnare il Governo della Repubblica nelle mani delle persone semplici. I suoi leader da un lato denunciano i misfatti del capitalismo e dall’altro rifiutano i partiti tradizionali e i politici di professione. Esprime la protesta popolare orientandola su una via riformista.

2. I “movimenti contadini” dell’Europa dell’Est (Unione Nazionale Agraria Bulgaria) che favoriscono le piccole proprietà e le cooperative.

3. Il “socialismo agrario degli intellettuali” il cui prototipo è il populismo russo, fondato sull’idealizzazione del comunitarismo rurale. I populisti russi elaborarono infatti, a livello ideologico, in una prospettiva democratica, le reazioni di difesa delle società agrarie minacciate di disgregazione dal capitalismo. La rivincita storica dei populisti russi sarà rappresentata dai tentativi di modernizzazione progressiva sperimentati da nazioni orientate

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più verso un comunitarismo “socialisteggiante” che in direzione di una collettivizzazione militarizzata.

Il “populismo politico” fondato sull’idea democratica di sovranità del popolo, si distingue invece, in quattro tipologie:

1. la “dittatura populista”, un regime autoritario definito di tipo “nazional – popolare”. Il “nazional – populismo” appare come la forma politica assunta dal progetto autonomo delle borghesie nazionali che si appoggiano alle masse popolari urbane. Si caratterizza per la presenza di leader carismatici che devono il loro potere alla personale capacità di fare leva sulle masse. Un esempio sono i populismi molto diffusi nel Novecento in America latina (Vargas, Juan Peron).

2. La “democrazia populista”, incarnata in particolare dal modello svizzero, di tipo referendario, in cui la democrazia partecipativa è legata alla struttura federale dello Stato. L’obiettivo di questo modello è quello di rendere i governi direttamente rispondenti alle persone per mezzo dei metodi di iniziative popolari quali lo stesso referendum.

3. Il “populismo reazionario” che si reggeva sullo sfruttamento del divario tra opinione colta e progressista e il punto di vista della popolazione reazionaria, in particolare su questioni quali le ostilità etniche. Ne sono un esempio nel corso degli Anni ’60, George C. Wallace negli Stati Uniti e Enoch Powell in Gran Bretagna. Il primo si rese famoso per la sua opposizione alla campagna per l’eguaglianza dei diritti civili, nonché alla lotta contro la segregazione razziale nelle scuole. Il secondo, aveva una forte ostilità nei confronti degli immigrati e si inseriva in una tradizione conservatrice tendente al “romanticismo patriottico”, un nazionalismo specificatamente britannico che rifiutava qualsiasi alleanza economica con i paesi d’oltremanica.

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4. Il “populismo dei politici” ovvero, l’appello al ricompattamento del popolo al di là delle scissioni ideologico – politiche. Ne è un esempio il populismo francese di Jacques Chirac: caratterizzato dal ricorso ad una retorica occasionale, non priva di opportunismo. Riattivando la tematica della separazione tra il popolo e le élite politiche, e facendo poi ricorso all’appello all’intero popolo, Chirac non si è ridefinito come leader populista, ma ha dimostrato di essere capace di usare con efficacia certe componenti del repertorio.

Pur non presentando alcuna ideologia comune, le varie tipologie sopra elencate hanno una caratteristica in esse onnipresente: la retorica, una retorica populista, anti – elitaria ed esaltatrice del popolo.

1.3 Il populismo politico: protestatario e identitario.

Un valido approccio concettuale al populismo politico contemporaneo si fonda sulla distinzione tra due tendenze dello stile populista o tra due poli del discorso populista, a seconda che il popolo a cui si faccia appello o che si invochi sia considerato come demos o come ethos: da una parte il “polo protestatario – sociale”, dall’altra, il polo “identitario – nazionale” che si determina come una variante dell’etno – nazionalismo emergente, in reazione ad una qualche figura della globalizzazione finanziaria o della mondializzazione culturale e comunicazionale27. (Nella mobilitazione di Le Pen e Mégret degli Anni ’90, la dimensione identitaria incentrata sulla difesa dei francesi contro l’immigrazione prevale sulla dimensione protestataria, anti – elitaria e anti status quo in nome dei comuni cittadini).

Il polo protestatario si caratterizza per il predominio della tematica anti – fiscale, la contestazione dell’establishment, la posizione anti – partiti, la

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messa in discussione dello Stato sociale. Esempio di questo polo è dato dal funzionamento del populismo svizzero, dal neo – populismo dei Paesi scandinavi, dalla mobilitazione liberal – populista avviata nella metà degli Anni ’80 in Austria dal Partito liberale austriaco (FPO) guidato dal demagogo Jorg Haider, fino alla svolta anti – immigrati degli Anni ‘89 – ’90, in cui il polo identitario va a sovrapporsi a quello protestatario.

In entrambe le forme, protestatario ed identitario, è presente il rifiuto delle élite politiche tradizionali con il consecutivo desiderio di un cambiamento radicale. E’ un esempio il caso del Partito del progresso norvegese che sfruttando i temi dell’insicurezza e dell’eccessivo costo dell’aiuto allo sviluppo, ha posto al centro del suo discorso pubblico, la denuncia dell’immigrazione come minaccia, una minaccia intesa come crescente insicurezza e perdita dell’identità scandinava che fece, però, incrementare al Partito stesso, le preferenze).

In queste due forme, il populismo politico presuppone una dimensione polemica, inoltre entrambe possono collocarsi a Destra o a Sinistra, abbinarsi ad un orientamento liberale o ad una posizione conservatrice o ancora, mascherare una posizione anti – capitalista o un appello alla libertà economica. I movimenti populisti di Destra si caratterizzano per lo sfruttamento dei sentimenti anti – partitici denunciando il programma e l’azione degli altri partiti (in primis i partiti di governo): questi partiti populisti collocati a Destra o all’estrema Destra si presentano come dei partiti anti – partiti. Attuano una protesta anti – sistema o anti – politica che si unisce nei vari movimenti neo – populisti europei, al rifiuto dell’immigrazione, all’ossessione dell’insicurezza e alla protesta e alla protesta anti – fisco. I fenomeni sociopolitici caratterizzati come populisti, possono costituire una “terza via”, nata o per congiunzione negativa (né Destra, né Sinistra) o per

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congiunzione positiva degli estremi (“rivoluzione conservatrice”,

“controrivoluzione rivoluzionaria”, “tradizionalismo rivoluzionario”).

I populismi identitari possono essere definiti solo secondo una determinata sotto – categorizzazione della terza via, in relazione allo spazio bipolare normalizzato delle democrazie pluraliste all’ occidentale (in Italia, ad esempio, il populismo etno – regionalista della Lega Nord non può essere identificato sull’asse Destra/Sinistra e, se in esso si può cogliere una varietà di micro – nazionalismo separatista, si deve anche riconoscere che le sue opzioni sono europeiste, muovendosi nel senso del federalismo post – nazionale e interregionale). All’ opposto è la terza via di Le Pen e Mégret i quali ne forniscono una definizione oscillante tra la rivendicazione del monopolio della “vera Destra” e l’affermazione del “né Destra, né Sinistra”, mentre il nazionalismo sempre più affermato, va di pari passo con un’anti – europeismo radicale, coerente con l’assolutizzazione dell’identità francese immaginata come un tutto etno – razzial – nazional religioso indivisibile. Esaminiamo ora nello specifico le due forme di populismo sopra citate.

Il populismo protestatario vede l’appello al popolo (inteso come l’insieme dei comuni cittadini), orientato verso la critica o la denuncia delle élite al potere, che siano politiche, amministrative, economiche o culturali; un anti – elitarismo unito ad una salda fiducia nel popolo. Sulla base dell’opposizione tra le élite fattuali e il popolo, questa forma di populismo può essere descritta come un iper – democraticismo che idealizza l’immagine del cittadino attivo e resta diffidente nei confronti dei sistemi di rappresentanza in quanto lo priverebbero del suo potere o delle sue iniziative. La distinzione tra l’élite e il popolo può prendere la forma di una opposizione tra chi “sta in alto” (il “paese legale”) e chi “sta in basso” (il “paese reale”): da ciò dipende l’intensità della posizione protestataria.

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Si delinea così un progetto politico imperniato sulla riduzione dello scarto tra il popolo e chi lo governa in nome di una concezione della democrazia diretta che dovrebbe favorire il cittadino attivo.

Il populismo protestatario idealizza la democrazia diretta e sostiene alcuni strumenti istituzionali che ne permettono l’esercizio: lo strumento principale di una democrazia populista è il referendum e più in particolare il referendum di iniziativa popolare, che permette di aggirare le mediazioni politiche o amministrative, di scavalcare il sistema rappresentativo, dato che sono gli stessi elettori a prendere l’iniziativa della legge. Questa prima forma di populismo politico ha la caratteristica di essere incentrata sulla contestazione o sulla critica del sistema di rappresentanza politica e sociale; si incontra negli atteggiamenti, nei movimenti o nelle ideologie protestatarie che mettono in atto la funzione tribunizia: dai partiti comunisti di opposizione ai movimenti ecologisti, dai movimenti regionalisti o autonomisti ai partiti liberali che criticano il sistema dello Stato sociale.

Negli Anni ’80, il liberal – populismo ha trovato un’incarnazione nel Partito liberale austriaco (Fpo) che, guidato dal settembre 1986 da Jorg Haider, rivendica l’etichetta di “populista”: “il nostro populismo”, dichiara Haider in un’intervista apparsa il 6 agosto 1990 sul settimanale “Profil”28 , “significa

semplicemente questo: rappresentare ciò che è vantaggioso per i cittadini e non per gli impiegati dello Stato, rossi (i socialisti) e neri (i democratico – cristiani)”. Fin dalla fine degli Anni ’80, l’Fpo ha preso l’aspetto di un partito protestatario che tende all’identitario (la denuncia dell’ invasione straniera è diventata uno dei temi chiave del discorso haideriano). Alle elezioni legislative, l’Fpo, che nel 1986 raccoglieva il 9,7% dei suffragi, è passato dal 16,6% nel 1990 al 22,6% nel 1994, mentre alle elezioni europee del 1996 ottiene il 28,1% guadagnandosi un seggio; quando nel 1999 alle elezioni

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legislative raggiunge il 26,91%, diventa il secondo partito austriaco. L’elettorato dell’Fpo si era proletarizzato: alla metà degli Anni ’90, l’Fpo attira quasi la metà dell’elettorato operaio e diviene la formazione populista di Destra che ha ottenuto i migliori risultati nell’Europa occidentale. In questo contesto, l’appello al popolo implica la denuncia del sistema costituito della rappresentanza politica (dai vecchi partiti, secondo lo stesso Haider). La sua forma di legittimazione consiste nell’esigere una maggiore democrazia.

A questa domanda di democratizzazione si aggiungono altre caratteristiche del discorso populista che permettono di collocarlo a Destra:

- l’anti – intellettualismo, che implica l’esaltazione del sapere spontaneo o della saggezza ancestrale del popolo che sa meglio dei suoi dirigenti che cosa gli conviene. Questa posizione anti – elitaria prende di mira sia la classe politico – amministrativa, sia gli intellettuali di Sinistra;

- l’iper – personalizzazione del movimento attraverso la figura carismatica del leader: Haider in Austria, Le Pen in Francia, Bossi nel Nord Italia, senza dimenticare Berlusconi. Nella maggior parte dei casi, viene diffusa una leggenda oleografica ed edificante che mette in evidenza la vita esemplare e l’invidiabile virilità del leader, il suo successo sociale e perfino la sua onestà o sincerità. Ma anche la sua capacità esemplare di contatto o di comunicazione con il popolo, una qualità che permette di mostrarlo vicino a “chi sta in basso” e di distinguerlo da tutti gli altri uomini politici, trattati come esemplari di un’unica casta lontana dal popolo;

- la difesa dei valori del liberalismo economico, indistinguibile da quella della piccola impresa e della proprietà privata, la preferenza per certe categorie sociali: professioni liberali, piccoli e medi imprenditori, contadini, ecc… Le altre categorie sociali vengono condannate come parassiti (gli impiegati pubblici in primo luogo) o come pericolosi devianti (gli artisti, tendenzialmente drogati e/o omosessuali).

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Nella seconda forma di populismo, il “populismo identitario” (nazional – populismo), l’appello al popolo ha il suo significato fondamentale nella dimensione nazionale: è un appello al popolo intero considerato omogeneo, che si confonde con la nozione riunificata, dotata di un’identità permanente e di una sostanziale unità; da qui l’importanza delle metafore del “ceppo”, delle “radici”, del “radicamento”.

La principale differenza rispetto alla prima forma risiede nella natura di ciò che viene criticato, denunciato e rifiutato in via prioritaria: meno “chi sta in alto” che “chi sta di fronte”, meno le élite che gli stranieri; o più precisamente, le élite sono rifiutate nella misura in cui sono percepite come il “partito dello straniero” (l’anti – americanismo ne è una delle principali espressioni). Nel populismo identitario, l’anti – elitarismo è subordinato alla xenofobia anti – immigrati: il populismo integrato al nazionalismo fa sorgere una nuova figura del nemico: lo straniero invasore. La dimensione identitaria si traduce in un atteggiamento esclusionista che prende di mira l’immigrazione; la difesa dell’identità nazionale implica la denuncia dell’ immigrazione – invasione: l’identità nazionale si afferma nella misura in cui viene ritenuta minacciata di sparizione (il 2 maggio 2002 Jean Marie Le Pen, rivale di Chirac al secondo turno delle elezioni presidenziali, dichiara di voler proteggere i francesi dalle “ondate di immigrazione dal Terzo Mondo”29

). Diventa secondaria la domanda di democratizzazione, in primo piano infatti è posto l’appello all’autodifesa identitaria: di qui un’”eterofobia” di principio che può prendere la forma di una dottrina razzista (In Germania i Republikaner, guidati dal 1984 al 1994 da Schonhuber, possono essere visti come illustrazione di una particolare forma di nazional – populismo. Essi hanno scelto lo slogan: “La Germania innanzitutto!” per indicare l’orientamento generale del loro programma fondato sulle denunce

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incrociate dell’immigrazione e della criminalità, sull’appello a limitare il diritto di asilo e sull’ opposizione all’Europa di Maastricht. La figura di Schonhuber è quella di un giornalista radiotelevisivo noto al grande pubblico e divenuto demagogo dopo essere passato nel 1981 alla vita politica. Il suo personaggio pubblico è stato così descritto: “animatore di una trasmissione di grande ascolto intitolate “Tocca a me parlare”, Schonhuber incarna una Germania nazionale e provinciale, folclorica, piccolo borghese e sbruffona”. Da qui, l’incerta collocazione del suo movimento tra estrema Destra nazionalista e demagogia protestataria).

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2. Contesto sociale, politico e culturale dell’Europa contemporanea. 2.1 Mutamento politico e sociale nell’Europa moderna.

Negli Anni ’60, i Paesi europei influenzati dalla Rivoluzione industriale, erano stati interessati da linee di divisione sociopolitiche che a loro volta avevano contribuito alla struttura delle opposizioni e delle forze politiche30: prendono vita diverse disgregazioni incentrate sui conflitti di classe, sulle divisioni religiose, sull’opposizione urbano – rurale e sulla tensione tra culture ed etnicità. Nella maggior parte dei regimi democratici occidentali, nonostante la presenza di divisioni dovute a ragioni storiche e culturali specifiche di ciascun paese, prevalevano le divisioni Destra – Sinistra.

A causa delle dinamiche apparse alla fine degli Anni ’70 e agli inizi degli Anni ’80, compaiono nuove tendenze che si identificano in due aspetti fondamentali: l’accresciuta volatilità dell’elettorato associata ad una crescente disaffezione alla partecipazione elettorale, e l’affermazione di valori nuovi che sfuggono alla struttura delle divisioni tradizionali.

Per quanto riguarda il primo aspetto, in riferimento al populismo la volatilità è molto importante. Nel caso del Front National francese ad esempio, molte ricerche hanno dimostrato che i passaggi di voti a favore del partito di estrema Destra seguivano logiche atipiche: così le nozioni di “sinistro – lepenismo” o di “operaismo – lepenismo” si basano entrambe sulla constatazione che una parte non trascurabile di voti in favore dell’ FN proviene da quegli elettori che appartenevano in passato all’elettorato della Sinistra tradizionale e soprattutto al partito comunista. Questi passaggi di voti hanno indebolito nel corso degli anni, la partecipazione elettorale: nella maggior parte delle elezioni politiche nazionali in Europa, si osserva una crescita dell’astensionismo e di un particolare voto di protesta con un

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aumento delle schede bianche o nulle; i governi in Europa dispongono di una base elettorale che si è ridotta in maniera considerevole rispetto ai loro predecessori. Accanto a queste analisi incentrate sui comportamenti elettorali in senso stretto, un certo numero di ricerche hanno formulato l’ipotesi della presenza, a partire dagli Anni ’70, di un cambiamento importante negli orientamenti normativi dominanti; un fenomeno collegato a trasformazioni significative delle strutture sociali e ai modi di mobilitazione e di partecipazione politica.

Da questo punto di vista, importante è il contributo di Ronald Inglehart 31 sull’avvento degli orientamenti ideologici definiti postmaterialisti, in quanto contribuiscono alla valorizzazione di tematiche come l’ecologia, l’individualismo, il rispetto delle minoranze culturali, sociali, sessuali, ecc… Con il progressivo diffondersi nella sfera politica, (grazie ai nuovi temi della lotta politica quali l’inquinamento, l’organizzazione dell’orario di lavoro, ecc…), queste nuove norme globali legittime, avrebbero avuto l’effetto di relativizzare gli assi tradizionali di conflitto e di opposizione in favore di altre linee di divisione.

Questa dinamica rimane legata ad alcune importanti trasformazioni economiche e sociologiche dalle quali emerge una profonda mutazione della classe operaia causata dal progresso tecnico che ha portato con sé una maggiore automatizzazione e flessibilità dei sistemi di produzione, lo sviluppo dei servizi, l’aumento dei flussi di capitali, di merci e di persone32

. Queste diverse analisi hanno permesso di sviluppare l’idea di nuovi partiti politici o di nuove forme di mobilitazione e di partecipazione direttamente legati alle trasformazioni globali delle società occidentali contemporanee. Fino a poco tempo fa l’espressione “new politics” sembrava riassumere i

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R. Inglehart, “The Silent Revolution: Changing Values and Political Styles among Western Publics”, Princeton, Princeton University, 1977.

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cambiamenti avvenuti nel campo della politica per effetto della trasformazione dei valori sociali legittimi. Il trasferimento di questi valori sociali nel campo della politica, ha prodotto alcune analisi legate allo sviluppo del populismo contemporaneo. Lo stesso Ignazi avanza l’idea che la rinascita del populismo e delle tematiche di estrema Destra potesse essere legata alla nascita o al risveglio di orientamenti normativi a carattere reazionario e autoritario in contrapposizione ai valori libertari identificati da Inglehart. Altri, invece vedono in questi valori sociali legittimi un terreno favorevole allo sviluppo di nuove organizzazioni, di nuovi programmi o tematiche che negano allo spazio politico ogni vera legittimità. I valori occidentali si identificano maggiormente nella qualità della vita: si pone più attenzione ai bisogni e alle minacce immediate.

La principale tendenza evolutiva è il risultato dei cambiamenti strutturali avvenuti nelle società industriali avanzate dove fondamentale è il ruolo delle strutture economiche, politiche e sociali. In particolare lo stesso Inglehart si concentra sul delineare le cause dei cambiamenti della società nel suo complesso, interessandosi sull’impatto che hanno avuto sul sistema politico: le persone sono condizionate non solo sulla base di ciò che vogliono, ma anche sull’avere o meno un partito dominante di riferimento o più partiti in competizione, un sistema presidenziale o parlamentare, una stampa libera o sotto controllo.

Il ritmo del cambiamento politico è legato a tre variabili: i valori, le capacità e la struttura. Il mondo industrializzato è attualmente in cambiamento: un cambiamento rapido dovuto allo sviluppo economico, all’espansione dell’educazione soprattutto secondaria e universitaria (la crescita dell’educazione ha evidenziato la formazione di individui più liberali e meno autoritari, più dogmatici e meno etnocentrici, più interessati alle questioni politiche), alla crescente dimensione e diversità dei mass-media. Allo

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sviluppo delle infrastrutture, dell’ innovazione tecnologica, ai cambiamenti nelle strutture occupazionali (si delinea una società nuova in cui la creazione e l’utilizzo della conoscenza fornisce l’asse lungo il quale sta emergendo un nuovo sistema di stratificazione. L’occupazione industriale è rivolta al settore terziario, verso quella che viene definita “l’industria della conoscenza”); cresce l’occupazione femminile in continua crescita.

Da un punto di vista politico, si delineava una situazione in cui stava avvenendo il declino del “voto di classe” con l’aumento del sostegno ai partiti di Sinistra. Il sistema politico e quello economico producevano risultati che rispondevano relativamente bene alle richieste tradizionali, ma non rispondevano adeguatamente a quei bisogni e a quelle domande che erano importanti per certi segmenti della popolazione. Questo cambio di valori si combina con la crescita del senso di inadeguatezza delle istituzioni dal quale viene incoraggiato l’uso di nuovi input politici come le attività di protesta, la formazione di nuovi movimenti e organizzazioni politiche.

Già negli Anni ’60, i Paesi europei influenzati dalla Rivoluzione industriale erano stati interessati da linee di divisione sociopolitiche che a loro volta avevano contribuito alla struttura delle opposizioni e delle forze politiche: presero vita diverse disgregazioni incentrate sui conflitti di classe, sulle divisioni religiose, sull’opposizione urbano/rurale e sulle tensioni tra culture ed etnicità. Nella maggior parte dei regimi democratici occidentali, nonostante la presenza di divisioni dovute a ragioni storiche e culturali specifiche di ciascun Paese, prevalevano le divisioni Destra/Sinistra.

Le recenti evoluzioni economiche e tecnologiche (la cosiddetta rivoluzione postindustriale) e la scomparsa degli Stati-nazione, costituiscono processi di dissoluzione delle dinamiche generate dalle Rivoluzioni industriali e nazionali del secolo scorso. Di conseguenza, le opposizioni di classe, i conflitti religiosi o l’opposizione urbana/rurale tendono ad essere svalutati

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rispetto ad altre linee di divisione, come le differenziazioni settoriali, le appartenenze etniche o sessuali, l’opposizione tra attori che ragionano in modo transnazionale e chi rimane fedele alle reti locali. (L’identificazione dei modi di trasferimento delle trasformazioni socioeconomiche in campo politico, risulta essere difficile).

Il momento favorevole alla comparsa di fenomeni populisti muta a seconda dei contesti storici. La crisi di legittimità che investe la classe politica, non risparmia neppure il sistema politico – istituzionale tipico dello Stato di diritto: ne causa il vero e proprio tracollo e ne sconvolge il funzionamento. E’ stato così in passato, quando l’ondata populista tra le due guerre incentivò i grandi totalitarismi e causò il crollo della democrazia liberale nel mondo occidentale, ed è così oggi, quando i cambiamenti prodotti dalla globalizzazione e dalla proliferazione delle istituzioni sovranazionali modificano le basi dei sistemi democratici e degli Stati – nazione ovunque nel mondo, erodendone le fonti di legittimazione. I protagonisti di queste trasformazioni sono i media ed i moderni social network che facilitano la comunicazione diretta tra un leader e l’immensa platea di potenziali seguaci: sono strumenti utili ad accrescere la partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica, ma si prestano anche ad agevolare la personalizzazione a scapito della mediazione politica e favoriscono la massiccia diffusione di simboli, personaggi, valori e linguaggi in grado di propagare l’illusione di appartenere ad una comunità globale omogenea. I populismi non hanno difficoltà a fare dei social network l’uso che un tempo facevano dei balconi, della stampa, della radio o della televisione, ovvero, lo strumento principe attraverso il quale “plasmare il proprio popolo”.

Fondamentale è l’effetto disgregatore dei mutamenti sociali ed economici, delle trasformazioni rapide e profonde causate da fattori esterni alla comunità che ne è coinvolta. Esse hanno favorito la diffusione dei populismi

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dal momento in cui demoliscono o disarticolano le strutture sociali ed economiche esistenti , lasciando ai margini attori sociali e produttivi che prima si trovavano ben integrati nel sistema.

Questi mutamenti sono avvenuti con rapidità negli ultimi decenni in Europa, man mano che le economie europee subivano un rallentamento strutturale tale da mettere in crisi il pilastro del patto sociale, il welfare state, e che lo sviluppo dell’economia “immateriale” apriva un baratro tra settori emergenti legati al mercato globale e settori tradizionali impossibilitati ad accedervi. Anche se con modalità in parte diverse, hanno riguardato ogni parte del mondo e anche altre epoche del passato, a cominciare da quella successiva alla globalizzazione avvenuta a cavallo tra XIX e XX secolo, sfociata in ondate populiste tra le due guerre sia in Europa sia nelle Americhe.

In campo sociale ne sono derivati grandi sommovimenti, causa di reazioni favorevoli al messaggio populista soprattutto dove i presupposti storici ed istituzionali gli erano favorevoli. La disoccupazione è divenuta endemica, seminando un forte senso di incertezza; la globalizzazione dei mercati ha reso vorticosi i trasferimenti da un luogo all’altro di prodotti, capitali, consumi e stili di vita, ma soprattutto di esseri umani, con flussi migratori più accelerati, di quelli già frenetici dell’età delle grandi migrazioni ottocentesche: ciò ha prodotto sia reazioni xenofobe sia nuove domande di integrazione che trovano così attrattivo l’ideale caro ai populisti.

Di fronte all’insicurezza indotta dalla percezione che un ordine sta scomparendo, il populismo offre la promessa di ricostruire la coesione perduta, di ristabilire la sicurezza personale e collettiva, di garantire la salvaguardia di un’identità in pericolo33

. I rivolgimenti culturali prodotti dalla globalizzazione, costituiscono un’opportunità per il populismo: la differenziazione dei costumi sociali, del panorama etnico e religioso e dei

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valori morali in uno spazio umano prima coeso, rappresenta una condizione ideale perché attecchisca la pianta populista . Non vi è fenomeno populista, elevato a regime, che non si sia affermato grazie ad una delle tante crisi di disgregazione che sono solite alimentarli: ciò vale per i populismi antichi come per quelli moderni, per quelli latini d’Europa come per quelli latini d’America e per gli altri sorti altrove nel mondo.

Gli effetti disgreganti e le forze centrifughe scatenate ovunque dalla fine della Guerra fredda e dalle grandi trasformazioni legate alla globalizzazione, hanno creato a loro volta, le premesse di numerosi “momenti” populisti. Per quanto riguarda il periodo contemporaneo, la nascita di nuovi movimenti qualificati come “populisti” è legata non solo alla rottura di equilibri politico – istituzionali, ma anche alla rottura di strutture socio – economiche tradizionali ereditate dall’ Ottocento e dalla Rivoluzione industriale. Compaiono dinamiche volte a modificare l’ambiente della politica. La globalizzazione e l’accresciuta smaterializzazione dell’attività economica sono considerate le caratteristiche di una transazione verso una società

postindustriale: evoluzioni che minacciano le forme tradizionali

dell’organizzazione politica, dello Stato – nazione e dello Stato assistenziale, le cui strutture e modalità di funzionamento sembrano oggi inadeguate a risolvere alcune esigenze collettive poste da queste nuove modalità di funzionamento del mercato. Scompaiono inoltre quelle linee di divisione fondamentali per i sistemi di partiti e per i comportamenti elettorali. Il ruolo svolto dall’indebolimento di alcune strutture economiche, sociali e politiche è fondamentale nella creazione di uno “spazio” per i movimenti e per le idee populiste.

Di particolare importanza quindi, sono due processi correlati: la globalizzazione delle economie, che ha provocato una crisi del ruolo dello stato e del quadro nazionale e ha destabilizzato le forme tradizionali della

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politica creando uno spazio favorevole alla costituzione di un’alternativa populista e la crisi del potere decisionale delle élite tradizionali che con la riduzione dei vincoli elettorali e la rivelazione della corruzione nei regimi politici occidentali ha alimentato l’idea di una crisi di legittimità politica utilizzata come risorsa retorica e come vettore di legittimazione per i partiti populisti.

Riguardo la crisi finanziaria del 2008, E. Laclau si era espresso sostenendo come in un certo momento in Europa poteva raggiungersi un punto di fusione erodendo l’infrastruttura istituzionale delle società europee e rendendo così necessaria una costruzione radicale senza una chiara forza politica che assumesse questo compito. C’è antagonismo tra i diversi progetti politici ed in questo contesto l’asse tra populismo e anti – populismo emerge come una rottura ideologica dominante in Grecia e nel sud Europa. Le politiche neoliberiste applicate in queste zone erano divenute sempre più impopolari e avevano dato vita a mobilitazioni popolari denunciate come irresponsabilmente populiste.

Quando il fallimento delle forme di governo neo – liberali, post – democratiche porta ad una serie di impasse strutturali e lussazioni sociali espresse politicamente in modi che esercitano efficacemente la pressione sul sistema politico, può avvenire lo spostamento delle “regole del gioco” verso una direzione egualitaria e redistributiva che solitamente si manifesta in veste populista.

2.2 La crisi della rappresentanza politica: l’antipolitica.

Nello spazio di pochi decenni, nelle moderne democrazie occidentali, il fenomeno antipolitico è divenuto tanto pervasivo e rilevante da far ipotizzare il declino del tradizionale modo di fare politica. L’antipolitica è uno stile usato

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