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Cambiamenti della Corporate Governance nelle piccole e medie imprese familiari. I casi: Lanificio Luigi Ricceri e Lanificio Europa s.n.c

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UNIVERSITA' DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Economia Aziendale

Strategia, Management e Controllo

Tesi di laurea magistrale

Cambiamenti della Corporate Governance nelle piccole e medie imprese

familiari

I casi: Lanificio Luigi Ricceri e Lanificio Europa S.n.c.

CANDIDATO: Ambra Savo

na

RELATORE:

Mariacristina Bonti

Anno Accademico 2015/2016

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A mia Zia

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RIASSUNTO ANALITICO

La conoscenza imprenditoriale della Family Business, ossia il sapere come gestire e far prosperare la propria azienda familiare è oggi uno dei principali temi trattati per comprendere l’importanza che queste realtà imprenditoriali hanno nel nostro Paese. Le imprese familiari in Italia si stima siano circa 784.000 - pari ad oltre l’85% del totale aziende - e pesino in termini di occupazione circa il 70%. Sotto il profilo dell’incidenza delle aziende familiari, il contesto italiano risulta essere in linea con quello delle principali economie europee quali Francia (80%), Germania (90%), Spagna (83%) e UK (80%), mentre l’elemento differenziante rispetto a questi paesi è rappresentato dal minor ricorso a manager esterni da parte delle famiglie imprenditoriali: il 66% delle aziende familiari italiane ha tutto il management composto da componenti della famiglia, mentre in Francia questa situazione si riscontra nel 26% delle aziende familiari ed in UK solo nel 10%.

Questo progetto di tesi nasce, ed è stato sviluppato, per evidenziare come i cambiamenti generazionali nelle piccole e medie imprese familiari possono influenzare gli assetti della corporate governance, in uno scenario che oggi vede crescere e svilupparsi sempre più piccole e medie imprese familiari. Per rendere la trattazione non soltanto esplicativa a livello teorico, ma anche pratico, sono stati esaminati e riportati due casi di aziende familiari pratesi del settore tessile, che hanno raccontato la loro storia e la loro esperienza in tema di ricambio generazionale.

Infine, confrontando le due imprese, vengono analizzati i cambiamenti che sono stati apportati alla governance aziendale e i motivi che hanno spinto gli imprenditori a procedere in quella direzione.

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(6)

RINGRAZIAMENTI

Vorrei ringraziare affettuosamente tutte le persone che hanno contribuito alla stesura di questa tesi partendo dalla mia famiglia per il sostegno incondizionato e tutti coloro che mi sono stati vicini in questi due anni.

Ringrazio, inoltre, la mia relatrice, la professoressa Mariacristina Bonti, il Dottor Francesco Ricceri amministratore del Lanificio Luigi Ricceri di Prato e il Signor Luigi Guarducci responsabile del Lanificio Europa S.n.c..

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INDICE

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO PRIMO ... 4

CORPORATE GOVERNANCE, SISTEMI, STRUMENTI E SOGGETTI PER GESTIRE I RAPPORTI TRA PROPRIETÀ ED IMPRESA FAMILIARE Premessa ... 4

1.1. Teorie e approcci teorici sulla corporate governance ... 6

1.2. Assetti istituzionali aziendali e sistemi di corporate governance ... 15

1.3. Impresa familiare ... 18

1.4. I modelli di governance delle imprese familiari ... 21

1.4.1. Corporate governance e imprese familiari ... 25

1.5. La regolamentazione della governance nelle imprese di famiglia italiane ... 30

1.6. Gli organi di governo delle imprese familiari: le strutture di Governance collettive ed individuali ... 31

1.6.1. Il Consiglio di Amministrazione: ruoli e funzioni ... 32

1.6.2. L’evoluzione strategico-decisionale del Consiglio di Amministrazione ... 36

1.6.3. Sovrapposizione di ruoli tra famiglia e consiglio. Possibili cambiamenti strutturali ... 37

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1.8. Il Consiglio di Famiglia: ruolo e funzioni ... 41

1.9. I Comitati di direzione: ruolo e funzioni ... 44

1.10. L’Amministratore Delegato, il Direttore Generale e il Presidente: ruoli e funzioni ... 47

1.11. Aspetti formali e informali degli organi di governo. Le difficoltà alla formalizzazione ... 49

CAPITOLO SECONDO ... 52

IL RICAMBIO GENERAZIONALE NELL’IMPRESA FAMILIARE, PIANIFICARE, VALUTARE E PREPARARE GLI EREDI ALLA SUCCESSIONE AZIENDALE Premessa ... 52

2.1. “Lo spirito imprenditoriale”, la Famiglia, le difficoltà ... 54

2.2. Il processo di ricambio generazionale ... 57

2.2.1. La pianificazione del processo del ricambio generazionale ... 59

2.2.2. Fasi operative della successione imprenditoriale ... 60

2.2.3. Le aree del piano strategico di transizione ... 64

2.2.4. I patti di famiglia ... 68

2.3. I fattori influenti sul ricambio generazionale ... 70

2.3.1. Il grado di sviluppo dell’attività aziendale ... 70

2.3.2. La dimensione aziendale ... 72

2.3.3. I fattori ambientali ... 74

2.3.4 I fattori organizzativi ... 74

2.4. L’inserimento degli eredi ... 76

2.5. Processi di transizione e “attori terzi” ... 79

2.6. La continuità delle imprese familiari ... 82

2.7. Processi di smembramento delle aziende durante i passaggi generazionali: la deriva generazionale e il “raffreddamento die soci” ... 84

CAPITOLO TERZO ... 87

CASI AZIENDALI: LANIFICIO EUROPA S.N.C. & LANIFICIO LUIGI RICCERI Premessa ... 87

(9)

3.1. Prato centro tessile-moda e modello produttivo distrettuale ... 88

3.1. Il Lanificio Europa: la storia, le principali tappe e i processi innovativi ... 89

3.1.1. Il nuovo tessuto e l’innovazione dei processi industriali ... 92

3.1.2. Le caratteristiche generali ... 95

3.1.3. I cambiamenti generazionali ... 96

3.1.4. Gli organi di governo e la loro composizione ... 97

3.2. L’intervista ... 99

3.2.1. L’organizzazione interna ... 100

3.2.2. Il passaggio generazionale ... 103

3.2.3. Il percorso formativo dell’imprenditore e dei figli ... 108

3.2.4. Conclusioni ... 109

3.3. Il Lanificio Luigi Ricceri: la storia, le principali tappe e i processi innovativi ... 110

3.3.1. Le caratteristiche generali ... 114

3.3.2. I cambiamenti generazionali ... 114

3.3.3. Gli organi di governo e la loro composizione ... 116

3.4. L’intervista ... 118

3.4.1. L’organizzazione interna ... 120

3.4.2. Il passaggio generazionale ... 122

3.4.3 Il percorso formativo dell’imprenditore ... 124

3.4.4. Conclusioni ... 127

IL CONFRONTO: LANIFICIO EUROPA S.N.C. & LANIFICIO LUIGI RICCERI ... 129

CONCLUSIONI ... 134

BIBLIOGRAFIA ... 137

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INDICE DELLE TABELLE E DELLE FIGURE

TABELLA 1- Differenze tra la teoria dei costi di transazione, teoria dei diritti

di proprietà, teoria dell’agenzia...11

TABELLA 2– I modelli di proprietà delle imprese...22

TABELLA 3- Una campionatura dei requisisti che la famiglia deve possedere per guadagnare autorevolezza all’interno dell’impresa...27

TABELLA 4- Dieci vantaggi di un Consiglio attivo...29

TABELLA 5- Le principali tappe storiche del Lanificio Europa...91

TABELLA 6-I prodotti...94

TABELLA7- Le aziende del gruppo Europa...95

TAELLA8- Informazioni generali sul gruppo Europa...96

TABELLA 9- Le principali tappe storiche del Lanificio Luigi Ricceri...114

(11)

FIGURA 1- Le aree del piano strategico di transizione...65

FIGURA 2- Il modello dei cinque cerchi...66

FIGURA 3- Il ciclo di vita dell’impresa familiare...71

FIGURA 4- Classificazione degli “attori terzi”...80

FIGURA 5- Rapporti di parentela ...112

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INTRODUZIONE

Partendo da un dato certo e concreto e cioè che le imprese familiari in Italia si stima siano circa 784.000 - pari ad oltre l’85% del totale aziende1 - e pesino in termini di occupazione circa il 70%. Sotto il profilo dell’incidenza delle aziende familiari, il contesto italiano risulta essere in linea con quello delle principali economie europee quali Francia (80%), Germania (90%), Spagna (83%) e UK (80%), mentre l’elemento differenziante rispetto a questi paesi è rappresentato dal minor ricorso a manager esterni da parte delle famiglie imprenditoriali: il 66% delle aziende familiari italiane ha tutto il management composto da componenti della famiglia, mentre in Francia questa situazione si riscontra nel 26% delle aziende familiari ed in UK solo nel 10%2.

Giovanni Agnelli era solito dire: “le imprese nascono con le famiglie. Tutte. Si tratta

poi di vedere quanto durano”3.

Le aziende familiari rappresentano in tutti i continenti una componente fondamentale dell’economia dell’area, non solo sotto il profilo dell’incidenza numerica ma soprattutto per il loro contributo al PIL ed all’occupazione.

Le aziende familiari italiane si distinguono anche per la longevità: tra le prime 100 aziende più antiche al mondo, 15 sono italiane e tra queste 5 – Fonderie Pontificie Marinelli (anno di fondazione 1000), Barone Ricasoli (1141), Barovier & Toso (1295), Torrini (1369) e Marchesi Antinori (1385) – sono tra le dieci aziende familiari più antiche tuttora in esercizio4.

Le piccole e medie imprese a conduzione familiare, quindi, ricoprono un ruolo importantissimo nel nostro panorama economico nazionale e una delle motivazioni principali è il carattere artigianale della nostra economia.

I primi grandi studi risalgono agli anni ’80 dello scorso secolo, perché per molto tempo queste realtà aziendali sono state considerate solo “di passaggio” per l’evoluzione

1 Totale società italiane obbligate a depositare il bilancio

2 Sito web AIDAF: http://www.aidaf.it/aidaf/le-aziende-familiari-in-italia/ visitato in data 17/4/2017. 2 Sito web AIDAF: http://www.aidaf.it/aidaf/le-aziende-familiari-in-italia/ visitato in data 17/4/2017. 3 W. Zocchi, “Il Family business, famiglia, azienda di famiglia e patrimonio dell’imprenditore”, Il Sole24Ore, 2004. Pag. 2.

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dell’impresa. Oggi sono ampiamente studiate e osservate in tutte le loro forme e organizzazioni e questo progetto di tesi nasce per approfondire i cambiamenti alla base della corporate governance ogni qual volta in azienda subentra una nuova generazione di imprenditori.

L’indagine sull’evoluzione dei modelli di governance nelle imprese familiari ha lo scopo di esaminare se e come si sono trasformati i modelli di conduzione delle aziende con il passare degli anni.

Per durare una azienda necessita di regole precise e di una buona conduzione a livello gestionale e finanziario; necessita quindi di un modello definito di corporate

governance.

Un aspetto particolarmente rilevante del rapporto fra famiglia e impresa è costituito dal problema del ricambio generazionale. La percentuale di imprese che riesce a sopravvivere alla prima generazione è stata individuata dagli studiosi come una quota costante, circa un terzo5. La causa di questa interruzione può essere ricercata proprio nella mancanza di un sistema chiaro di governance condiviso a tutti i livello aziendali. L’impresa familiare è un sistema particolare: un ingranaggio che rotea con un altro ingranaggio, la famiglia.6 I valori come l’individualismo, le esperienze storiche, la

creatività, il forte impegno di lavoro, rappresentano i cardini dell’affermazione e dello sviluppo per le imprese familiari (la cosiddetta familiness). Le logiche di questo tipo di impresa sono diverse da quelle di altre tipologie; oltre alla remunerazione familiare del capitale, lo sviluppo dei prodotti, esistono i rapporti e le aspirazioni dei componenti dell’impresa, in quanto gli obiettivi aziendali possono non coincidere completamente con gli scopi familiari7.

Il mio interesse verso questo tipo di impresa nasce dopo aver frequentato il corso di Organizzazione delle PMI nel quale è stata analizzata la tipologia di impresa familiare. Le caratteristiche aziendali e la conformazione organizzativa specifica di queste aziende hanno catturato sin da subito la mia attenzione, in particolare per quanto riguarda gli aspetti evolutivi che si vengono a generare con i passaggi generazionali all’interno dell’impresa.

5 A. Pescarolo, Collana lavoro- Studi e Ricerche/65, “l’impresa familiare funziona ancora? Realtà e limiti del caso toscano”, Edizioni Plus, 2007. Pag. 10-11.

6 W. Zocchi, “Il Family business, famiglia, azienda di famiglia e patrimonio dell’imprenditore”, Il Sole24Ore, 2004.

7 E. L. Gambel, “Il ricambio generazionale nell’impresa familiare italiana, un metodo per valutare e preparare gli eredi alla successione aziendale”, Franco Angeli, 2013. Pag. 27.

(14)

Questo progetto di tesi mi ha dato la possibilità di rapportami con vere realtà aziendali per comprendere meglio, e da un punto di vista pratico, le teorie in merito alla

corporate governance e alla successione imprenditoriale. Ho incontrato ed intervistato

personalmente due imprenditori del settore tessile pratese che hanno messo a disposizione il loro tempo e le loro conoscenze, rispondendo alle mie domande riguardo la loro struttura organizzativa e ai cambiamenti di governance che hanno interessato le rispettive aziende, ogni qual volta si affacciava una nuova generazione.

Andando per ordine, nel primo capitolo sono esposte le teorie e i modelli relativi alla

corporate governance e in maniera particolare quelli che si possono riscontrare nelle

piccole e medie imprese familiari.

Una volta trattato questo argomento, per evidenziare l’importanza, in azienda, di regole e linee guida per il controllo da seguire, per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti, nel secondo capitolo viene presentato il processo critico del ricambio generazionale. Le dinamiche relative alla successione sono di fondamentale importanza per capire l’evoluzione organizzativa che ne consegue.

Infine per supportare a livello pratico la tesi presentata, nel terzo capitolo ho riportato le due interviste, che ho tenuto a Prato presso il Lanificio Luigi Ricceri e il Lanificio

Europa S.n.c., rispettivamente al Dottor Francesco Ricceri e al Signor Luigi Guarducci,

a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti per le disponibilità accordate e per il vivo interesse col quale hanno risposto alle domande loro poste, animati dal genuino desiderio di dare una testimonianza, ma anche aiutare a comprendere le complesse dinamiche che animano le imprese familiari e il loro governo. Ritengo, infatti, che gli esempi operativi inseriti all’interno di questo lavoro, possano contribuire a una riflessione sul tema trattato.

Ponendo a confronto le due imprese familiari sono emersi aspetti interessanti che evidenziano l’evoluzione che hanno subito nel tempo con il l’ingresso di nuovi eredi ai vari livelli aziendali.

(15)

CAPITOLO PRIMO

CORPORATE GOVERNANCE, sistemi, strumenti e soggetti per gestire i rapporti tra proprietà ed impresa familiare

Premessa

Nel nostro Paese la governance è un tema di grande rilevanza e attualità ed a crescente interesse interdisciplinare; considerata una leva fondamentale della competitività delle aziende, la governance rappresenta anche un valido strumento per il conseguimento di performance aziendali positive.

I contributi presenti in letteratura sottolineano l’importanza della governance quale strumento utile della politica aziendale chiamata ad esprimere e coniugare l’armonico funzionamento del sistema azienda.

La parola governance, dal latino gubernator, indica il modo in cui le imprese sono gestite e, in particolare, esprime le modalità attraverso le quali sono regolati i rapporti tra i diversi soggetti che partecipano all’attività dell’impresa: azionisti, amministratori, dirigenti, finanziatori e ogni altro agente economico che con essa entra in contatto8. La corporate governance ha come scopo finale quello di assicurare chiarezza e limpidità dei rapporti tra i soggetti dell’impresa, evitando che questi spossano adottare comportamenti opportunistici. In questo senso, un buon sistema di corporate

governance può assicurare un miglioramento nella qualità della vita aziendale.

Le problematiche di corporate governance si sono gradualmente affermate in diversi contesti e in tipologie di impresa, come nell’ambito delle imprese familiari9. All’interno di esse si ha, seppure con diversi gradi di intensità, piuttosto che una separazione tra proprietà e governo, una loro sovrapposizione.

8 G. Sicoli, E. Cristiano “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” Franco Angeli, 2012. Pag 82 e ss..

9 I problemi legati alla corporate governance nascono in seno alle Public Company ad azionariato diffuso e tipici perciò del mondo anglosassone.

(16)

Nelle fasi inziali di avvio dell’impresa, infatti, tutte le caratteristiche proprie dell’imprenditorialità10 convergono in un unico soggetto: il fondatore dell’impresa. Questo può portare a confondere le regole e le esigenze della famiglia con quelle dell’impresa in quanto alla base ci sono forti legami affettivi oltre ai fattori psicologici, economici e professionali. Questo impatta in due maniere differenti sull’impresa e porta con se diverse implicazioni sul modello di governance. Da un lato, si alterano gli equilibri all’interno della compagine familiare; dall’altro, si verifica che il processo di sviluppo e crescita dimensionale dell’impresa familiare, può causare l’ingresso in azienda di manager non proprietari, i quali si possono affiancare, senza sostituirli, ai membri della famiglia.

Famiglia e impresa diventano due varabili critiche per la continuità dell’impresa, ed è necessario che vengano gestite separatamente attraverso la progettazione di strutture di governance adeguate e finalizzate alla realizzazione di una gestione efficace ed efficiente, garantendo una pacifica convivenza ed un giusto equilibrio tra i due istituti. La relazione, quindi, tra la corporate governance e la family governance deve essere gestita nel migliore dei modi affidandosi ad un leader che sia in grado di soddisfare le esigenze di entrambi gli istituti. In mancanza di un tale soggetto si può degenerare in lotte interfamiliari con ripercussioni negative sulla gestione dell’impresa. Soprattutto nel momento del delicato ricambio generazionale, la gestione dell’impresa è sottoposta a cambiamenti significativi, che in assenza di una buona guida, possono rivelarsi letali per la sopravvivenza dell’azienda stessa. La continuità dell’impresa è messa alla prova anche per effetto delle relazioni familiari che rappresentano un punto di forza ma al tempo stesso possono ritardare molte decisioni strategiche per la sua continuità11.

La maggior parte degli studi di corporate governance sono stati sviluppati solamente per le imprese di grandi dimensioni, non considerando la piccola dimensione come rilevante. Oggi si può affermare che i problemi legati alla governance sono estremamente importanti anche nelle piccole e medie imprese e ancor di più in quelle a carattere familiare.

Le strutture di corporate governance devono garantire sostenibilità e continuità all’impresa; specialmente al crescere della dimensione aziendale, dove la complessità

10 Dall’organizzazione, all’intuizione, alla creatività.

11 G. Corbetta, “Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo”, Milano, Egea, 1995.

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gestionale aumenta, gli strumenti di governance messi a disposizione degli organi di gestione devono servire a sviluppare nuove soluzioni adatte alle nuove circostanze12.

1.1. Teorie e approcci teorici sulla corporate governance

Un approccio tradizionale allo studio del governo di impresa è strettamente legato alla natura dell’entità oggetto di studio; di conseguenza, la valutazione dei meccanismi adatti a salvaguardare un’efficiente governance è connessa al modello teorico che definisce l’impresa stessa. Un’analisi degli approcci teorici sulla corporate governance deve partire dall’approfondimento dei suoi diversi filoni di studio. Se nei modelli teorici neoclassici il governo economico dell’impresa non aveva nessuna rilevanza13,

l’emergere di contesti altamente competitivi e complessi rivela in tutta la sua importanza il valore della corporate governance.

La comprensione di come il potere di comando viene allocato ed esercitato, e di come tali scelte allocative e di governo influenzino le performance aziendali, richiede la definizione di una teoria dell’impresa con cui interpretare il comportamento degli agenti economici e analizzare il grado di efficienza delle relazioni economiche aziendali. Coase, in un suo articolo del 193714, utilizza il concetto di governance per riferirsi ai

meccanismi di coordinamento interni all’impresa che riducono i costi di transazione originati dal mercato15. In Italia, Coda elabora una teoria in base alla quale definisce la corporate governance come “l’insieme di elementi di struttura e di funzionamento degli organi di governo (Consiglio di Amministrazione, Presidente del Cda, comitati) e di controllo (Collegio Sindacale e revisori esterni) nei rapporti intercorrenti tra loro e nelle relazioni con gli organi/esponenti della proprietà e con la struttura manageriale”16.

12 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” Franco Angeli, 2012.

13 L. Zingales, “Corporate Governance”, in The New Palgrave Dictionary of Economics and the Law, Mcmillan Reference, 1998.

14 Il filone di studio originato dal contributo di Coase attiva una prospettiva di analisi delle teorie d’impresa diversa dall’approccio neoclassico. La profondità delle osservazioni di Coase fu apprezzata solo successivamente, data la sua forte differenza di prospettiva con l’architettura teorica neoclassica. 15 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” Franco Angeli, 2012. Pag. 83-84.

16 V. Coda, “ Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni di contesto” in scritti di Economia aziendale in memoria di Raffaele D’Oriano, primo tomo, Cedam, Padova, 1997. Pag. 333.

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Montemerlo in tre gruppi17: 1) Teorie gerarchiche; 2) Teorie di partnership; 3) Teorie pluraliste.

Nelle teorie gerarchiche, rientrano le teorie manageriali, le teorie dell’agenzia e le

teorie dei costi di transazione, tutte e tre accomunate dalla visione per cui l’impresa di

famiglia è governata nell’interesse di una ben definita categoria di soggetti siano essi proprietari o management18.

Nelle teorie manageriali, l’obiettivo principale della proprietà è rappresentato dalla massimizzazione della propria ricchezza, mentre l’obiettivo del management è la crescita dimensionale dell’impresa, la massimizzazione del fatturato, il prestigio. Queste caratteristiche identificano poco con le peculiarità delle imprese familiari caratterizzate da una forte interrelazione tra proprietà e management19.

La teoria dell’agenzia, invece, si preoccupa di allineare gli obiettivi divergenti con riguardo sia alle relazioni tra proprietà e management, sia agli altri rapporti con gli stakeholder20. Questa teoria è basata sul paradigma economico neo-classico che

considera l’impresa come set di contratti. Questi contratti sono basati su delle promesse, che rappresentano solo una parte delle continue transazioni di scambio21. Si focalizza sul conflitto di interesse tra “principale” (la proprietà) e “agente” (il management). La relazione fra manager e proprietà si configura, quindi, come relazione di agenzia22 tra il manager (agent), che accetta di operare, dietro corrispettivo, per conto e nell’interesse di un altro soggetto, e il proprietario (principal), che delega l’autorità decisionale su determinati compiti e attività al manager.

17 D. Montemerlo, “Il governo delle imprese familiari. Modelli e strumenti per gestire i rapporti tra proprietà e impresa”, Milano, Egea, 2000. Pag. 39-52 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” Franco Angeli, 2012. Pag. 91. 18 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” , Milano, Franco Angeli, 2012. Pag. 91.

19 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” , Milano Franco Angeli, 2012. Pag. 91.

20 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale”, Milano, Franco Angeli, 2012. Pag. 91

21 A. Calabrò, D. Mussolino “How do boards of directors contribute to family SME export intensity? The role of formal and informal governance mechanisms”, articolo presente in Journal of managemente and governance, maggio 2011.

22 “ We define an agency relationship as a contract under which one or more persons, the principal(s), engage another person, the agent, to perform some service on their behalf that involves delegating some decision-making authority to the agent”. M. C. Jensen, W. H. Meckling, “Theory of the Firm: Managerial behaviour, Agency Costs and Ownership Structure” in Journal of Financial Economics, 1976. Pag. 6.

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Per la teoria dell’agenzia, le piccole e medie imprese sono considerate quelle imprese dove i problemi di agenzia vengono minimizzati, poiché il ruolo della proprietà e del management sono spesso ricoperti dalle stesse persone e in questo modo si riducono i costi legati ai possibili conflitti tra le parti23. La teoria dell’agenzia in una prospettiva negativa, evidenzia, invece, come i rapporti fra stakeholder (e in particolare gli azionisti) e management possano essere conflittuali24.

Di conseguenza, poiché è il manager, e non il proprietario-azionista, ad allocare le risorse all’interno dell’impresa, è importante avere un modello teorico basato sulla separazione fra proprietà (chi assume il rischio di impresa) e management (chi esercita l’attività di governo dell’impresa) che supporti il governo economico dell’impresa. Nella prospettiva della teoria dell’agenzia, l’impresa è, quindi, un insieme di contratti (nexus of contracts) tra i diversi soggetti che fanno convergere in essa i propri interessi25. Il rapporto che ognuno di essi detiene con l’impresa può essere letto alla stregua di un contratto in cui ciascuno fornisce all’impresa una prestazione e in cambio avanza delle pretese verso una legittima controprestazione. I problemi di agenzia sono determinati dalla presenza di conflitti d’interesse e opportunismo, quali fattori che caratterizzano la natura umana degli agenti economici già al momento della stipulazione del contratto fra principale e agente.

In ultimo, nelle teorie dei costi transazionali, l’impresa familiare occupa una posizione privilegiata poiché l’esercizio dell’azienda effettuato da un’unica persona, che rappresenta l’autorità o meglio il comando, riduce i costi di coordinamento26. La teoria dei costi di transazione27 si pone l’obiettivo di identificare la forma di relazione economica in grado di minimizzare i costi di transazione28.

23 D. Montemerlo, L. Gnan, W. Schulze, G. Corbetta, “Governance structures in italian family firms”, IX Workshop dei Docenti e dei Ricercatori di organizzazione Aziendale: L’Organizzazione fa la differenza?, 7-8 Febbraio, 2008. Università Ca’ Foscari- Venezia. E. F. Fama, M. C. Jensen, “Separation of Ownership and Control” in Journal of Law and Economics, Vol. 26, no. 2, Corporations and Private Property, The University of Chicago, 1983.

24 D. Montemerlo, “Il governo delle imprese familiari. Modelli e strumenti per gestire i rapporti tra proprietà e impresa”, Milano, Egea, 2000.

25 M. C. Jensen, W. H. Meckling, “Theory of the Firm: Managerial behaviour, Agency Costs and

Ownership Structure” in Journal of Financial Economics, 1976. Pag. 9-10.

26 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale”, Milano, Franco Angeli, 2012. Pag. 92.

27 I costi di transazione sono quei costi, quantificabili o meno, che nascono quando nasce l'ipotesi di uno scambio ed indicano sia lo sforzo dei contraenti per arrivare ad un accordo, sia - una volta che l'accordo sia stato raggiunto - i costi che insorgono per fare rispettare quanto stabilito.

Costi di transazione sono:

• il costo in tempo e denaro per definire un accordo;

• il costo in tempo e denaro della ricerca dei contraenti per un dato contratto; • i costi di ricerca di informazioni riguardanti il mercato ed i suoi agenti.

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L’impresa sarebbe un’organizzazione alternativa al mercato in grado di minimizzare i costi connessi alle relazioni economiche29.

Quindi, nell’impresa verranno svolte transazioni economiche fino al punto in cui il costo di organizzazione interna della transazione sarà pari al costo per svolgere questa transazione sul mercato.

Pertanto la teoria dei costi di transazione, oltre a essere una teoria di impresa, si presenta come teoria sul governo d’impresa.

Le teorie di partnership, anche dette cooperative, considerano due soggetti primari: i conferenti capitali di rischio e i prestatori di lavoro, i quali occupano una posizione paritaria per l’importanza dei contributi forniti30. Questi ultimi si disperdono in azienda fino a costituire un patrimonio ove i singoli apporti non sono più distinguibili. Questa teoria è sicuramente applicabile alle imprese familiari le quali prendono atto che per sopravvivere e svilupparsi necessitano dei contributi di entrambe le categorie di soggetti primari31. Perciò occorre attuare relazioni sinergiche di collaborazione che consentono un uso collettivo ed efficiente di competenze, conoscenze e mezzi monetari. Infine le teorie pluraliste, definite anche dell’integrazione, pongono particolare attenzione alla

Quando parliamo di costi di transazione bisogna far riferimento in questo caso anche ai costi legati al concetto di knowledge idiosincrasy (Buggere, PO. & Sud, LG. Small Business Economics (2002) 19, pag. 123). Questo concetto richiama le componenti implicite o tacite del sapere che, nel momento del passaggio di testimone al nuovo erede (interno alla famiglia o esterno ad essa), devono essere trasferite per non perdere l’essenza stessa dell’impresa. Ci sono dei costi legati al trasferimento di queste conoscenze che devono essere indagati per prendere decisioni in merito alla continuità aziendale o alla sua cessazione. Esistono differenti tipi di conoscenza, come quelle generali, tecniche ed esperenziale, caratterizzati da un differente impatto in termini di costi associati al loro trasferimento. Così, se le conoscenze generali sono più facilmente ed economicamente trasferibili, lo stesso non si può dire per quelle tecniche (a meno che il trasferimento non avvenga tra soggetti che appartengono alla stessa comunità di sapere) e ancor più per quelle esperienziali, che possono essere definite come “that intuitive

knowledge, based upon training and experience, which is incapable of traslation into writter form”,

Markets and Hierarchies, analysis and antitrust implications : a study in the economics of internal organization, New York, Free Press, 1975, pag. 35.

28 Williamson (1985) considera la necessità di selezionare la forma di governo (mercato, impresa o forme organizzative intermedie) capace di perseguire l’obiettivo di minimizzazione dei costi di transazione. 29 Entrambe queste istituzioni sono in grado di coordinare gli scambi economici ma con modalità alternative. Nel mercato il coordinamento delle transazioni e, quindi, l’allocazione delle risorse e delle opportunità di sviluppo, avvengono attraverso i segnali offerti dal meccanismo dei prezzi. L’impresa adotta un principio diverso di allocazione delle risorse, basato sul meccanismo della gerarchia organizzativa e sul ruolo dell’autorità di comando dell’imprenditore, conformemente a quanto osservato da Coase che attribuisce all’impresa il coordinamento di contratti incompleti ma “integrati” da una “relazione di autorità”. R. H. Coase, “ The Nature of the Firm”, Economica, New Series, Vol. 4, No. 16, 1937.

30 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale”, Milano, Franco Angeli, 2012. Pag. 92.

31 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale”, Milano, Franco Angeli, 2012. Pag. 92.

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continuità aziendale. Vi rientrano, tra le altre: la teoria della stewardship, la teoria degli

stakeholder e la teoria dei diritti di proprietà.

La teoria della stewardship presume che il management sia degno di fiducia e capace di agire nell’interesse di tutti i componenti la realtà d’impresa. Perciò, obiettivo del manager è la massimizzazione della performance dell’impresa, in quanto solo in questo modo egli potrà soddisfare il proprio bisogno di successo. I soggetti sono motivati, infatti, ad agire nell’interesse dell’impresa piuttosto che per il proprio riguardo. I senior

executives tendono a vedere l’impresa come una “estensione” di loro stessi32. In più, alla sfiducia che permea le relazioni all’interno della teoria dell’agenzia, la teoria della stewardship sostituisce l’orientamento al rispetto dell’autorità e al comportamento etico33. La teoria della stewardship, quindi, non si focalizza sulla prospettiva dell’individualismo come avviene per la teoria dell’agenzia34, ma piuttosto sul ruolo del top management che fa coincidere i propri interessi con quelli dell’organizzazione35. Questa teoria affonda le radici nella psicologia e nella sociologia ed è stata definita da Davis, Schoorman e Donaldson come “a steward protects and maximizes shareholder

wealth through firm performance, because by so doing, the steward’s utility functiones are maximized” 36.

Una visione maggiormente allargata caratterizza la teoria degli stakeholder la quale, attraverso il suo maggiore esponente Freeman, sancisce che spetta all’alta direzione comprendere gli interessi degli stakeholder attuali e potenziali e tener sotto controllo l’evoluzione delle loro relazioni37.

Possiamo, infine, affermare che la teoria dei diritti di proprietà meglio identifica le imprese familiari, soprattutto quelle di piccole dimensioni, poiché è formulata nell’ipotesi che controllo e proprietà dell’azienda coincidono. Questa teoria evidenzia come, affinché ci sia efficienza nella gestione dell’impresa e in generale nelle relazioni economiche messe in atto, il potere di comando deve essere allocato totalmente nella

32 T. Clark, “Theories of Corporate Governance: The philosophical foundations of corporate governance”, Londra e New York, Routledge, 2004.

33 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale”, Milano, Franco Angeli, 2012. Pag. 92.

34L. Donaldson, J. Davis, “Stewardship Theory or Agency Theory: CEO Governance and Shareholder Returns” Academy of Management Review, 2004, 20, pag. 65.

35 A. Sarbah, W, Xiao, (2015) “ Good corporate governance structrures: a must for family business”. Open Journal of Business and Management, 3, 40-57. http://dx.doi.org/10.4236/ojbm.2015.31005 36 Nell’opera del 1997 “The Distinctiveness of Agency Theory and Stewardship Theory”, Academy of Management Review, 22, pag. 611-613.

37 E. Cristiano, G. Sicoli, “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale”, Milano, Franco Angeli, 2012. Pag.92.

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figura dell’imprenditore proprietario; il proprietario viene infatti riconosciuto come il soggetto in grado di offrire il contributo di maggior valore in termini di investimento in capitale umano. Anche il concetto di controllo ricopre un ruolo fondamentale nella teoria dei diritti di proprietà. In questo caso il controllo viene inteso come potere di disporre del capitale dell’impresa, dei suoi regolamenti e contratti, questo potere in sostanza riguarda la possibilità di poter prendere decisioni fondamentali all’interno dell’impresa.

Questa teoria sembra però non cogliere uno degli aspetti che oggigiorno caratterizza l’impresa moderna: la separazione fra management e proprietà.

In sintesi, la teoria di corporate governance più utilizzata risulta essere la teoria dell’agenzia, elaborata da Jensen e Meckling nell’articolo “Theory of the firm:

managerial behaviour, agency costs and ownership structure” pubblicato in Journal of financial Economics nell’ottobre del 1976.

Questa teoria cerca di identificare i sistemi di controllo, incentivazione e condivisione del rischio in grado di massimizzare l’efficienza delle relazioni economiche. È la prima teoria esplicitamente formulata per interpretare le motivazioni degli individui nei rapporti fra agenti economici, concentrandosi sul sistema di allineamento degli incentivi fra i manager, che governano l’impresa, e gli azionisti, che investono le loro risorse finanziarie nell’impresa.

Nella tabella 1 si vogliono evidenziare le principali differenze tra la teoria dei costi di transazione, la teoria dei diritti di proprietà e la teoria dell’agenzia.

Tabella 1- Differenze tra la teoria dei costi di transazione, teoria dei diritti di proprietà, teoria dell’agenzia.

VARIABILI TEORIA DEI COSTI

DI TRANSAZIONE TEORIA DEI DIRITTI DI PROPRIETA’ TEORIA DELL’AGENZIA CONCETTO D’IMPRESA Istituzione alternativa al mercato (Coase 1937). Struttura di governo delle transazioni (Williamson 1985) Nexus of contracts presieduti dall’autorità (potere di comando) del proprietario Nexus of contracts UNITA’

D’ANALISI Le transazioni economiche (Williamson 1985) Le transazioni economiche interne dell’imprese (Hart 1995) Gli individui e, in particolare, come in base alle caratteristiche umane si configura il contratto fra agenti economici (Jensen e

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Meckling 1976, Fama 1983) ASSUNZIONI • razionalità limitata • opportunismo • razionalità limitata • opportunismo • razionalità limitata (in parte) • opportunismo • avversione al rischio • differente funzione di utilità (e motivazione) quale obiettivo degli agenti economici OGGETTO Analisi della forma di

relazione economica (mercato o impresa) più efficiente (capace di minimizzare i costi di transazione)

Analisi delle modalità di allocazione ed esercizio del potere di comando attribuito al proprietario

Analisi dei costi di agenzia dei rapporti fra gli agenti economici, mitigati attraverso l’adozione di sistemi di controllo, incentivo e condivisione del rischio OBIETTIVI Minimizzare i costi di

transazione Massimizzazione dell’efficienza delle relazioni economiche d’impresa ex-post Massimizzazione dell’efficienza delle relazioni economiche d’impresa ex-ante. Determinazione del contratto più efficiente

per un’ottimale

ripartizione sia del rischio che dei guadagni associati a un dato risultato

Fonte: La Rocca, M. (2008). Corporate governance, struttura finanziaria e valore. Milano: Egea. Pag. 23.

Quando si parla di teorie sulla corporate governance, bisogna anche far riferimento all’ottica Resource-based View (RBV). La RBV è una visione emersa negli anni 1980 e 1990, dopo le grandi opere pubblicate da Wernerfelt38, Prahalad e Hamel 39, Barney40 e altri. Questo approccio guarda al raggiungimento di un vantaggio competitivo attraverso l’utilizzo delle proprie resources. I sostenitori di questa tesi affermano che le organizzazioni dovrebbero guardare “dentro” l'azienda per trovare le fonti del proprio

38 B. Wernerfelt, “The Resource-Based View of the Firm”, in Strategic Management Journal, Vol.5. No. 2, 1984.

39 C. K. Prahalad e G. Hamel, “The Core Competence of The Corporation”, in Harvard Business Review, May-June, 1990.

40 J. Barney, “Firm resources and sustained competitive advantage”, in Journal of Management, Vol.17, No. 1, 1991.

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vantaggio competitivo, invece di guardare al contesto competitivo, come suggerito dall’approccio di Porter 41, centrato sull’analisi del contesto competitivo. Secondo l’approccio della resources based view la singola impresa viene considerata nella sua unicità, definita dalla peculiarità e dalla difficile trasferibilità delle sue competenze42. Nell’ambito di tale approccio, la prospettiva del capitale intellettuale43 focalizza l’attenzione sulle caratteristiche delle competenze e sugli aspetti di limitata appropriabilità del capitale umano. Le competenze individuali, infatti, sono uniche proprio come le persone che le possiedono; per questa loro peculiarità risulta difficile ai competitors, se non addirittura impossibile, imitarle e possono quindi essere la chiave su cui far leva per raggiungere un vantaggio competitivo sostenibile44. Uno studio dell’OECD45 (1993) ha avanzato l’idea che poiché, nelle piccole e medie imprese, il potere decisionale è concentrato nelle mani dell’owner/manager, il suo ruolo è uno delle determinanti più importanti della competitività per questo tipo di imprese e per la strategia aziendale46. La ricerca di Stoner47, inoltre, enfatizza il ruolo del fattore umano a supporto di questa teoria. La chiave distintiva di queste imprese risiede nell’experience, nel knowledge e nelle skills del fondatore e dei lavoratori.

Recentemente, è stato anche affermato che le caratteristiche del CEO48 influenzano

l’orientamento imprenditoriale dell’impresa49. Tutti questi studi vanno nella stessa

41 Porter, M. “Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance,” Free Press, New York, 1985.

42 J. Barney, “Firm resources and sustained competitive advantage”, in Journal of Management, Vol.17,

No. 1, 1991. Pag. 99-120.

43 L.Edvinsson, M.S. Malone “Intellectual Capital: Realizing Your Company's True Value by Finding Its Hidden Brainpower”, 1997. B. B. Dunford, S. A. Snell, & P. M. Wright, “Human resources and the resource based view of the firm”, Ithaca, New York, 2001.

44 A. Tognazzo, P. Gubitta, “Does Entrepreneurial Orientation Influence Firm Performance? A Study of Italian Family SMEs”, McGraw-Hill, 2012.

45 Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD).

46 A. Tognazzo, P. Gubitta, “Does Entrepreneurial Orientation Influence Firm Performance? A Study of Italian Family SMEs”, McGraw-Hill, 2012. Integrare con l’indicazione della pagina o del capitolo se si tratta di un libro

47C. R. Stoner, “Distinctive Competence and Competitive Advantage” in Journal of Small Business Management, Vol. 25, no. 2, 1987.

48 “In the majority of small and medium-sized firms, CEO power in expected to be the main determinant of board composition an board roles. Especially in family firms, a powerful CEO can affect the functioning og the board and may be heavily involved in the selection process of directors and managers and the CEO succession process”. Oltre al potere decisionale del CEO, ad influenzare l’orientamento imprednitoriale dell’impresa troviamo anche la sua educazione: “the characteristic of organisations are dependent upon the education of senior managers. Therefore, in family firms, the level of education of CEO is related to board composition. This relationship can be explained from a resource dependence perspective. The board in small and mediunm.sized family firms is a resource through its network, couselling and advising activities. A CEO with higher level of education is more likely to partly substitute for these board activities due to increased cognitive abilities”. W. Voordeckers, A. Van Gils, J. Van den Heuvel, “Board Composition in Small and Medium Sized Family Firms”, pag. 12.

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direzione: gli individui hanno una forte influenza nel contesto delle piccole e medie imprese50.

Il principale vantaggio di utilizzare questo tipo di approccio è che ci offre un modo per analizzare le caratteristiche imprenditoriali che hanno collegamenti più stretti con le prestazioni organizzative. 51 Tognazzo e Gubitta nel loro lavoro 52 collegano l’orientamento imprenditoriale alla persona dell’imprenditore, in quanto individuo unico nel suo genere, con una background culturale e di esperienze, e non alla configurazione del Board.

Anche la RBV è quindi una prospettiva teorica che bene si adatta ad interpretare la natura del vantaggio competitivo nelle piccole e medie imprese, in quanto focalizza la propria attenzione sul soggetto impresa e sulle risorse53, considerate come essenziali punti di forza per garantire il successo aziendale. Partendo dalle potenzialità di tali risorse, idiosincratiche e di difficile imitabilità, come già sottolineato precedentemente, il loro processo di accumulazione è considerato come il risultato di specifici percorsi di sviluppo, condizionati da un apprendimento contraddistinto da una forte dipendenza di percorso, soprattutto riguardo agli aspetti tecnologici, alla storia dell’impresa e alle scelte strategiche effettuate nel passato (path dependency)54.

La path dependency viene generalmente associata al concetto di ambiguità casuale, vale a dire l’effettiva impossibilità di comprendere i motivi per i quali l’impiego di particolari risorse conduce a determinati risultati nell’impresa. L’ambiguità casuale

49 Z. Simsek, C. Heavy, J. F. Veiga, “The impact of CEO Self- Evaluation on the Firm’s Entrepreneurial Orientation”, in Strategic Management Journal, Vol. 31, no. 1, 2010.

50 A. Tognazzo, P. Gubitta, “Does Entrepreneurial Orientation Influence Firm Performance? A Study of Italian Family SMEs”, McGraw-Hill, 2012.

51 A. Tognazzo, P. Gubitta, “Does Entrepreneurial Orientation Influence Firm Performance? A Study of Italian Family SMEs”, McGraw-Hill, 2012.

52 A. Tognazzo, P. Gubitta, “Does Entrepreneurial Orientation Influence Firm Performance? A Study of Italian Family SMEs” McGraw-Hill, 2012.

53 Le competenze dinamiche, diventano “a learned and stable pattern of collective activity through which the organization systematically generates and modifies its operating routines in pursuit of improved effectiveness” si veda Zollo M., Winter S. G., “Deliberate Learning and the Evolution of Dynamic Capabilities”, Organization Science Vol.13, n.3, pag. 339-351, 2002 . Inoltre le competenze dinamiche rappresentano “a firm’s behavioural orientation constantly to integrate, reconfigurate, renew and recreate its resources anda capabilities and, most importantly, upgrade and reconstruct its core capabilities in response to the changing environment to attain and sustain competitive advantage”, C. L. Wang, P. K. Ahemed, “Dynamic capabilities. A review and research agenda”, International Journal of Management Reviews, Vol. 9, n. 1, Pag. 31-50, 2007.

54 D.P. Rumelt, “Towards a Strategic Theory of the Firm. Alternative theories of the firm”, (2) pag. 286– 300, Elgar Reference Collection, 2002.

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alimenta l’inimitabilità impedendo ai competitors di riprodurre le risorse e la conoscenza accumulata nel tempo55.

Il valore della comunicazione d’impresa, nella prospettiva resourced based, è definibile come la capacità della comunicazione di attrarre e mettere a disposizione dell’impresa le risorse di conoscenza e di fiducia di cui necessita. Poiché queste risorse provengono da tutti i sistemi (interni ed esterni) con cui l’impresa è interconnessa, la comunicazione non può essere indirizzata verso una parte esclusiva dell’ambiente, ma deve rappresentare un sistema straordinario, interfunzionale e integrato56.

1.2. Assetti istituzionali aziendali e sistemi di corporate governance

L’impresa costituisce un sistema, ossia un insieme coordinato di componenti nell’ambito del quale si stabiliscono relazioni “unificanti” di interdipendenza57. Tali componenti sono essenzialmente riconducibili a tre: la componente personale, la componente reale e la componente organizzativa.

L’impresa è un sistema sociale, poiché rappresenta uno strumento creato e plasmato “dall’uomo al servizio dell’uomo, ossia della “società” in quanto organizzazione umana”; è un sistema aperto, perché attinge input dall’ambiente e ad esso trasmette

output sotto forma di beni, servizi e informazioni; è un sistema necessariamente

dinamico, dal momento che deve adattarsi ad un ambiente turbolento e variabile; è un sistema articolato in sub-sistemi “funzionalmente connessi”58.

Più approfonditamente si può osservare che l’impresa in quanto sistema aperto59:

a) attinge dall’ambiente in cui vive una molteplicità di input come materie, beni strumentali, capitali finanziari, lavoro umano e informazioni di vario tipo;

b) trasforma input secondo particolari regole tecniche ed economiche;

55 A. Siano, “Competenze e comunicazione del sistema d’impresa. Il vantaggio competitivo tra ambiguità e trasparenza”, Giuffrè, Milano, 2001.

56 R. Fiocca, “Evoluzione d’impresa e nuovi connotati della comunicazione”, in Studies in Communication Sciences, n.1, 1999.

57 “Il carattere sistematico dell’azienda dipende dalla stessa natura delle operazioni di gestione che risultano intimamente legate tra loro da un rapporto del tipo causa-effetto. Si delinea pertanto una struttura di orine superiore alla quale è possibile dare il nome di sistema. Tale struttura è dinamica, nel senso cioè che si rinnova continuamente per effetto del mutare dei vincoli interni e delle condizioni ambientali.” U. Bertini, “Il sistema d’azienda, schema di analisi”, Giappichelli, 1990. Pag. 18 ss.

58 N. Angiola, “Corporate governance e impresa familiare”, Giappichelli editore, 2001. Pag. 8. 59 N. Angiola, “Corporate governance e impresa familiare”, Giappichelli editore, 2001. Pag. 8-9.

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c) emette output sotto forma di beni e servizi con la trasmissione di informazioni che influenzano, in varia maniera, il comportamento e la dinamica degli altri sistemi che compongono l’ambiente;

d) contrasta processi entropici che produrrebbero disfunzioni e crisi e, più in generale, fenomeni di deterioramento, legati all’incapacità di recepire gli stimoli provenienti, di volta in volta, dalla domanda, dal progresso tecnologico, etc.; e) cerca di rimanere in equilibrio di fronte ai mutamenti dell’ambiente in cui è

inserita. Infatti l’impresa deve adottare scelte differenti ogni qualvolta apparirà uno scenario differente;

f) possiede specifici meccanismi di autoregolazione (feedback) che le consentono di perseguire costantemente gli obiettivi verso i quali è orientata;

g) tende a divenire sempre più complessa, per la necessità di differenziare la propria presenza nell’ambiente, modificando di pari passo il proprio assetto istituzionale.

Con la locuzione corporate governance, in questo contesto, si intende fare riferimento a tutte le norme60 che caratterizzano un particolare assetto istituzionale aziendale,

ovverosia uno specifico “modello d’impresa”61.

Il governo d’impresa, nella sua natura di sistema di relazioni, esprime l’insieme dei principi e delle regole su cui si basa il coordinamento e il controllo di poteri e ruoli all’interno dell’impresa.

Le modalità con cui questi ultimi si estrinsecano in assetti di partecipazione al capitale investito nell’impresa, consentono di definire i rapporti tra i soggetti, gli equilibri di interessi e di poteri, che nelle loro interconnessioni influenzano in modo determinante le condizioni di funzionamento del complesso aziendale in termini di efficacia, efficienza e

competitività.

Dall’equilibrio di questi differenti elementi si può risalire ai sistemi di corporate

governance, in un contesto che ricerca la legittimazione all’esercizio del potere

economico.

60 Norme di tipo legislativo, giurisprudenziale, statutario, negoziale e anche consuetudinario

61 “Le diversità tra i vari modelli dipendono dalla varietà degli ambienti in cui ciascuna impresa vive e si sviluppa. Per ambiente di intende il complesso delle condizioni socioculturali, politiche, economiche, giuridiche, etiche, religiose, ecc., che connotano il contesto nazionale di riferimento dell’impresa stessa.” N. Angiola, “Corporate governance e impresa familiare”, Giappichelli Editore, 2001. Pag. 16.

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Non a caso il Cadbury Report62 definisce un sistema di 63“corporate governance come

“the system by which companies are directed and controlled”, ovvero l’insieme delle

istituzioni e delle regole (giuridiche e tecniche), la cui combinazione e interazione tende ad equilibrare in modo trasparente e corretto gli interessi di coloro che danno vita alla coalizione d’impresa.

Come precedentemente accennato, la separazione tra proprietà e controllo d’impresa nel panorama delle imprese moderne, rappresenta sempre più una regola e non un’eccezione; in questa ottica, i diversi sistemi di corporate governance evidenziano quali siano le caratteristiche soggettive e oggettive, i diversi interessi strategici e operativi, che, con differente incidenza, confluiscono e convivono nell’impresa.

Rientrano nelle problematiche di ogni sistema di corporate governance i meccanismi di distribuzione dei poteri di indirizzo strategico e le regole di espressione formale e/o informale dei rapporti aziendali. Queste ultime esistono tra i diversi soggetti portatori di interessi nel governo d’impresa e sono originate dalla disomogeneità degli obiettivi dagli stessi perseguiti nel divenire d’impresa64.

Nelle situazioni in cui più soggetti sono coinvolti nel processo decisionale d’impresa, è necessario stabilire un sistema di regole e priorità idoneo ad assicurare una gestione democratica dei diversi interessi confluenti. Queste situazioni, inoltre, richiedono un buon sistema di governo societario al fine di stabilire un equilibrio tra interessi e poteri dei vari soggetti, prendendo atto che, comunque, anche nell’ambito della proprietà, sono inevitabili le divergenze in termini di differenti interessi o, più semplicemente, riguardo alla proprietà di realizzazione.

62 È il Report of the Committee on Financial Aspects of Corporate Governance, più noto come Cadbury

Report da Adrian Cadbury, presidente del comitato. Presentato il 1°.12.1992, è il primo e il più

importante rapporto in materia di corporate governance. Il comitato omonimo era stato costituito nel 1991 dal Financial Reporting Council, dal London Stock Exchange e dalle categorie professionali. Obiettivo del comitato era di passare in rassegna gli aspetti della corporate governance specialmente connessi al sistema di informazioni economico-finanziarie comunicate al pubblico e alla responsabilità del board in un’economia di mercato. È presupposto che il management deve essere libero di gestire l’impresa e che questa libertà deve essere esercitata congiuntamente al vincolo di un’effettiva responsabilità. Le raccomandazioni del rapporto si concentrano sulle funzioni di controllo e di reporting del board e sul ruolo degli auditors e sulla proposta di adozione, da parte delle società, di un Code of Best

Practice. Il concetto è stato ripreso dal Comitato per la corporate governance delle società quotate

italiano, costituito nel 1999 da Borsa italiana s.p.a. e dal suo Codice di autodisciplina (Codice Preda). Bankpedia.org. Associazione Nazionale Enciclopedia della Banca e della Borsa.

63 A. Cadbury , “Report of the Committee on The Financial Aspects of Corporate Governance”, 1 dicembre 1992. Pag. 14 (Introduzione)

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1.3. Impresa familiare

Allorquando un nucleo familiare oppure due o più nuclei legati da stretti legami di parentela o affinità mettono a disposizione dell’impresa capitali finanziari “a pieno rischio” o a “rischio limitato”, garanzie personali o reali e skill manageriali siamo in presenza di una impresa familiare. L’impresa in parola si caratterizza per una stretta interrelazione - quando non si ravvisa una vera e propria sovrapposizione – tra la dimensione familiare e quella imprenditoriale65.

Le imprese familiari presentano forme e aspetti diversi e differiscono in quanto alla loro missione e alle strategie e quanto ai mercati nei quali operano.

Individuare una linea di demarcazione al di qua della quale un’impresa può definirsi “familiare” e oltre la quale tale affermazione non può considerarsi fondata, è una questione ardua e delicata.

Il rapporto che intercorre tra le modalità con cui a) il controllo è esercitato, b) la famiglia esplica funzioni imprenditoriali e operative, c) i valori e le regole condizionano l’impresa, si può considerare in modo plurimo. Se ci si sofferma sulle prime due modalità si possono individuare fertili aree di interrelazione66.

Un’impresa che presenta una forte “invadenza” dei membri appartenenti alla famiglia nelle funzioni manageriali e operative viene definita “monolitica”67. A tale “invadenza” si associa un grado di concentrazione della proprietà pressoché assoluto.

Affievolendosi la presenza del controllo proprietario e il presidio delle funzioni manageriali ed operative, avremo situazioni in cui68:

1. anche altri soggetti entrano a far parte della compagine proprietaria;

2. talune funzioni operative vengono assegnate a terzi esterni alla famiglia, mentre i parenti conservano i ruoli manageriali;

3. taluni ruoli esecutivi – e anche manageriali – sono affidati a terzi

4. i membri della famiglia non fanno parte degli organi di amministrazione, limitandosi a partecipare alle assemblee dei soci.

65 C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 19 ss. N. Angiola, “Corporate governance e impresa familiare”, Giappichelli Editore, 2001. Pag. 33.

66 C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 19 ss.

67 N. Angiola, “Corporate governance e impresa familiare”, Giappichelli Editore, 2001.

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Posto, infatti, che le imprese differiscono tra di loro in relazione al grado di controllo della famiglia: a) sul capitale proprio dell’impresa e, b) sulle funzioni imprenditoriali-manageriali69, possiamo individuare tipologie diverse di impresa familiare70:

• impresa familiare in senso stretto: in questo caso il peso della famiglia sulle funzioni di governo risulta essere elevato (la famiglia esprime funzioni proprietarie, imprenditoriali e manageriali), come risulta essere elevato nelle mani della famiglia, anche, il grado di concentrazione della proprietà. In questa categoria rientrano le imprese monofamiliari71 e quelle plurifamiliari di seconda

generazione ma originate dallo stesso ceppo. Si possono inserire in questo gruppo anche quelle pluriceppo di prima generazione visti i forti legami di affinità che spesso uniscono i fondatori di una impresa;

• impresa familiare allargata: in questa categoria ritroviamo quelle imprese che vedono compresenti più famiglie dello stesso ceppo dopo la seconda generazione o di ceppo differente dopo la prima generazione. In questo caso il peso della famiglia sulle funzioni di governo è medio/basso mentre il grado di concentrazione della proprietà nelle mani della famiglia risulta essere in una fascia intermedia;

• impresa manageriale o a controllo manageriale: quando il peso della famiglia sulle funzioni di governo risulta praticamente nullo, cioè, nessuna famiglia è in grado di esercitare funzioni proprietarie, ed anche il grado di concentrazione della proprietà oltrepassa la zona di confine oltre la quale una impresa non può più definirsi familiare, avremo le cosiddette public company. In questo tipo di imprese molteplici famiglie, ognuna con quote limitate di capitale, non esercitano né il controllo sul capitale dell’impresa, né quello sulle funzioni direzionali.

69C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito

Lombardo, 1993. Pag. 46.

70 C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito

Lombardo, 1993. Pag. 46-50.

71 L’impresa monofamiliare può essere:

• chiusa con piena e totale sovrapposizione fra famiglia e impresa;

• aperta dove l’impresa è controllata pur sempre da una famiglia ma ha tra i propri azionisti (e solo fra essi) anche soggetti terzi

• managerializzata nella quale una famiglia ha il controllo dell’impresa e vi esercita la funzione imprenditoriale, ma gestisce con l’ausilio di manager esterni.

C. Demattè, G. Corbetta, “I processi di transizione delle imprese familiari”, Milano, Mediocredito Lombardo, 1993. Pag. 46-47.

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La famiglia e l’impresa si presentano come due istituti differenti principalmente per il fatto che assolvono funzioni diverse. La famiglia nella sua funzione sociale, deve assicurare protezione e sopravvivenza ai suoi membri. Di conseguenza cercherà di salvaguardare e soddisfare i vari bisogni di sviluppo dei membri della famiglia. Dall’altra parte, troviamo l’impresa mossa da norme e principi che mirano a facilitare il processo produttivo72.

L’impresa familiare con assetto “monolitico” concretizza una radicale “simbiosi” tra visioni family oriented e propensioni business oriented, cioè tra regole e valori propri della dimensione familiare e regole e valori tipici della realtà imprenditoriale.

L’interrelazione in parola si presenta di fronte a73:

1. “Problemi di selezione”. Ogni familiare si sente autorizzato a rivendicare un ruolo nell’impresa; la logica della famiglia indirizza, in modo scarsamente trasparente e spesso arbitrario, le scelte concernenti i soggetti che direttamente o indirettamente devono contribuire alle decisioni aziendali;

2. “Problemi di ricompensa, di equità e di valutazione”. Il pater familias decide le ricompense che i diversi membri della famiglia percepiscono per l’attività prestata e il contributo offerto;

3. “Problemi nella formazione e nello sviluppo”. I parenti premono perché i membri della famiglia siano indirizzati ad esperienze formative e di specializzazione che meglio rispondano alle loro aspettative;

4. “Problemi decisionali”. Le esperienze e le convinzioni di taluni membri della famiglia costituiscono la base per la definizione degli “strumenti istituzionali”, ossia delle strutture e dei meccanismi di governance che legano e mantengono in stabile equilibrio i soggetti, i contributi e le ricompense all’interno dell’impresa.

Non c’è dubbio poi che negli anni in cui si formano, le imprese familiari spesso traggono vantaggio dalla sovrapposizione fra i principi familiari e principi d’impresa. In questa fase le dinamiche sociali dell’impresa sono ancora molto organicistiche nel senso che, fra l’altro, tutti i dipendenti fanno capo direttamente al fondatore/imprenditore. La natura informale delle relazioni familiari viene frequentemente riproposta nell’impresa,

72 I. Lansberg, “La gestione delle risorse umane nelle imprese familiari: il problema della sovrapposizione istituzionale”, in Organizational Dynamics, 1, 1983. Pag. 6 ss.

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rafforzando il coinvolgimento e favorendo un senso di identificazione con i sogni dell’imprenditore74.

1.4. I modelli di governance delle imprese familiari

Poiché le imprese familiari possono svilupparsi in tantissime tipologie diverse, è impossibile definire un modello di governance unico e valido in senso assoluto che vada bene in ogni contesto. Il sistema di governo, inoltre, anche nell’ambito dello stesso contesto aziendale non deve considerarsi come eterno, ma a seconda delle esigenze organizzative e di governo è soggetto a ricorrenti mutamenti. Il periodo storico, la situazione politico- ambientale e le contingenze che si creano possono far prevalere assetti istituzionali assai diversi tra loro75.

Se facciamo riferimento ad uno schema che guarda al mercato di capitali come il luogo che meglio rappresenta il meccanismo per regolare il conflitto di interessi tra azionisti e manager, ci riconduciamo a quello che in letteratura viene definito come l’outsider

system, o anche market oriented. Questo schema è tipico dell’esperienza anglosassone;

le imprese che ritroviamo in questo modello hanno le caratteristiche tipiche delle Public Company, caratterizzate da un capitale estremamente frazionato e da un processo decisionale che tiene conto principalmente degli interessi degli stakeholders76.

Nel modello outsider system gli azionisti possono uscire dalla compagine azionaria in ogni momento attraverso la vendita dei titoli in loro possesso.

Lo schema di corporate governance del suddetto modello, si focalizza principalmente sulla dicotomia: azionisti contrapposti al management e sul ruolo del mercato come regolatore del conflitto di interessi tendenzialmente divergenti.

All’estremo opposto di questo sistema, la letteratura individua un altro modello: l’insider system tipico dell’esperienza tedesco-giapponese. Questo modello lo ritroviamo in quelle realtà che ricercano costantemente dei compromessi tra i vari

74 I. Lansberg, “La gestione delle risorse umane nelle imprese familiari: il problema della sovrapposizione istituzionale”, ”, in Organizational Dynamics, 1, 1983. Pag. 4-5.

75 Cristiano E., Sicoli G., “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” Franco Angeli, 2012.

76 Cristiano E., Sicoli G., “Evoluzione e dinamiche di sviluppo delle imprese familiari, un approccio economico aziendale” Franco Angeli, 2012.

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