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Sorveglianza e Diritti. Libertà e sicurezza nell'epoca della sorveglianza digitale.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

SORVEGLIANZA E DIRITTI

Libertà e sicurezza nell’epoca della

sorveglianza digitale

RELATORE

Prof. Ilario BELLONI

Candidato Costanza MENNA

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A Mamma sine qua non

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Sommario

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO I 9

Evoluzione storica della sorveglianza 9

1. Una strategia del potere 9

1.1 Le origini 9

1.2 Numeri e Giudizi 9

1.3 Sorveglianza nell’apparato burocratico 12 1.4 Sorveglianza nel sistema capitalistico 18 1.5 Sorveglianza nel settore bellico 22 2. Il concetto di sorveglianza: dal Panopticon al Synopticon 24 2.1 Lo stato delle istituzioni totali 24 2.2 L’utilitarismo illuminato di Bentham 25

2.3 Il Panoptismo foucaultiano 28

3. Panoptismo nella Letteratura 33

3.1 Distopìa 33

3.2 Il mondo nuovo 34

3.3 Il Grande Fratello 34

4. Postpanottismo: dalla società disciplinare alla società del controllo 39

4.1 Metastabilità e controllo 39

4.2 L’eredità di Foucault 42

5. La rivoluzione digitale 44

5.1 Tecnologia dell’informazione 44

5.2 Dal mondo di carta al mondo di bit 45

5.3 Computer bias 45

5.4 Il rapporto tra memoria individuale e memoria sociale 49

5.5 Selezione sociale 50

6. Capacità di sorveglianza 51

6.1 Premessa 51

6.2 Dataveglianza 52

6.3 Potenziali pericoli della dataveglianza 55

6.4 Il righello di Rule 58

7. Dittatura dell’algoritmo e controstrategie 59

7.1 Il teorema di Giddens 59

7.2 Tecniche di opting-out 61

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Post Snowden Era: anno zero 63

1. Il contatto 64

2. Dieci giorni a Hong Kong 66

2.1 Identità morale 66

2.2 La triade: giornalismo istituzionale 71 2.3 La triade: giurisdizione speciale 78 2.4 La triade: partnership aziendali 85

2.5 Cyber War 87

2.6 Informatore senza confini 89

3. Raccogliere tutto il raccoglibile 92 3.1 Spionaggio di segnali elettromagnetici 92

3.2 Partnership aziendali 95

3.3 Manus manum lavat 97

3.4 Partnership governative, l’intelligence sinergica 100

4. Il male della sorveglianza 103

4.1 La violabilità della sfera personale dei cittadini 103 4.2 La ragione della sorveglianza è la distinzione tra bene e male 106

4.3 Nel mirino: l’opinione 111

CAPITOLO III 115

Sorveglianza e Diritti 115

1. Quale diritto per la sorveglianza? 115

1.1 Ubi maior… 115

1.2 Una risposta giusnaturalista 117 1.3 La paura che legittima la paura 121 1.4 La risposta del primo costituzionalismo moderno 124 2. Sorveglianza legittima: il rapporto tra diritto e potere 129

2.1 Premessa 129

2.2 Ermeneutica del potere 131

2.3 La forza soggettiva dei briganti 135 3. Tornare allo Stato Costituzionale 138

3.1 Retorica securitaria 138

3.2 L’età del terrore 139

3.3 Stato di sicurezza 142

4. Irradiazione dell’ordinamento giuridico 145

4.1 Principi: interpretazione 145

4.2 Principi: applicazione e bilanciamento 149 5. Destrutturazione della retorica securitaria 151

5.1 Premessa 151

5.2 Come si bilancia? 151

5.3 Interessi umani, tra l’individuo e la collettività 154

6. Controllo di proporzionalità 156

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4 6.2 Sicurezza individuale 157 6.3 Sicurezza collettiva 159 Sicurezza sociale 161 Sicurezza nazionale 161 CONCLUSIONI 171 Bibliografia 174 RINGRAZIAMENTI 178

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Introduzione

Irena andò alla finestra per assaporare, nella calma ritrovata, la libertà della solitudine.

(M. Kundera, L’ignoranza)

Nell'alveo del diritto i principi di libertà e sicurezza rappresentano un binomio della cui compatibilità si discute e si dubita. Nell'era digitale, in particolare, le difficoltà, interpretative prima e decisionali poi, aumentano e si complicano a causa della massificazione delle dinamiche sociali che a mezzo internet divengono anche dinamiche digitali, assumono un corpo “altro” che acquisisce un valore anche economico; un corpo fatto di byte ma sempre più contiguo all’essere dell’uomo, capace cioè di esercitare un potere sullo stesso. Questa trasposizione su un piano digitale, globale e interconnesso, comporta una estensione dell’area di operatività dei fenomeni e delle conseguenze relativi alla sorveglianza.

La presente ricerca si pone quale obiettivo di indagine un’analisi delle sfide che la sorveglianza lancia al diritto: chiedersi cioè se possa configurarsi una sorveglianza che sebbene operativa nell'interesse della comunità, non sia lesiva dei diritti fondamentali del singolo. Gli interrogativi sono molti e passano necessariamente attraverso la riflessione circa la natura della sicurezza: è questa il fine ultimo o piuttosto uno strumento di controllo sociale? Una strategia manipolatoria che comprime gli spazi ergonomici di libertà del cittadino, travolgendo la sua autodeterminazione, necessita di considerazioni che riguardano il livello e la concreta capacità di sorveglianza nella società odierna. Verrà evidenziato quanto sia complesso e talvolta inaccessibile pesare la profondità d’azione di sistemi che sono nel loro nucleo essenziale, come nelle loro modalità operative, invisibili e sconosciuti ai più.

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Il presente lavoro di tesi si articola in tre sezioni principali. Il primo capitolo affronta un iniziale excursus storico-filosofico e sociologico, che si snoda attraverso le origini della sorveglianza fino all'odierna dimensione digitale. Verranno analizzate le modalità di esercizio della sorveglianza nei diversi settori di competenza: burocratico, capitalistico e bellico. Partendo dai più antichi studi sulle carceri inglesi, si analizza il luogo d’ispezione benthamiano e il panoptismo foucaultiano, apparentemente metafora architettonica dell’occhio che tutto vede senza esser visto a sua volta ma che dietro cela dei profondi meccanismi psicologici di auto-condizionamento del singolo all’interno della società disciplinare. La dinamica panottica si traspone nelle più moderne riflessioni di Deleuze e nella letteratura distopica orwelliana. Attenzione meritano inoltre le analisi sulle effettive dimensioni della sorveglianza, sulla sua propria capacità invasiva ma anche distorsiva della realtà, originata dal fatto che si atteggia a controllo dei dati, caratteristica che le fa guadagnare l’appellativo di Dataveglianza.Si indagano perciò le dimensioni e l’incidenza effettiva di simile vigilanza mediante le analisi di Innis circa gli effetti distorsivi propri di ogni mezzo di comunicazione, gli effetti stigmatizzanti nei confronti delle «persone di interesse» evidenziati da Gary T. Marx, infine il fluido innestarsi del sistema di vigilanza nelle trame della società, secondo quanto intuito da Bauman.

La seconda sezione è rappresentata dal caso Snowden, uno dei dossier più appassionanti della cronaca giuridica e dello spionaggio politico degli ultimi anni. Si tratta di una coraggiosa denuncia dello spionaggio globale e indiscriminato relativo a dati personali, divenuti così impunemente violabili. Quello che è considerato uno dei più grandi leak della storia contemporanea costringe con urgenza a riaprire i battenti alla ponderata riflessione sullo stato di sicurezza, sollecitando l'acquisizione di nuove consapevolezze nei confronti degli ambiti giuridici e degli strumenti occulti di cui il potere può dotarsi per porre in essere un nuovo e rinvigorito spionaggio di massa.

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Verrà evidenziato come la sorveglianza di massa sia, di fatto o volontariamente, favorita e avvantaggiata da una triade di fattori dall’origine eterogenea. Ci si riferisce all’atteggiamento supino e deferente purtroppo diffuso tra diverse istituzioni (giornalismo, giurisdizioni e imprese) che finisce per permettere, se non amplificare, gli effetti dannosi della sorveglianza digitale.

L’analisi del dossier si poggia sulla raccolta di G. Greenwald, giornalista che ha affidato alla testata del Guardian i fascicoli sottratti alla National Security Agency. Attraverso i suoi scritti, i documenti emersi, le interviste e le dichiarazioni dello stesso Snowden, ci si immerge nel profondo e nascosto oceano di attività spionistiche dei servizi segreti americani, studiandone le modalità incontrollate e gli strumenti informatici e scoprendo come vengono individuati tutti coloro che sono da etichettare quali sospetti.

Infine, nella terza parte, la descrizione della cosiddetta età del terrore impone una spietata analisi critica della retorica securitaria e della sua susseguente domanda di legittimazione. È necessario chiedersi quale diritto per la sorveglianza? Ossia quale diritto debba fronteggiare il fenomeno, sempre che tale fenomeno sia inquadrabile in termini giuridici o non abbia piuttosto a che fare (in via esclusiva?) con il potere politico. Vengono pertanto indagati i rapporti tra diritto e potere, per come essi si sono venuti determinando nella storia della cultura giuridica e del pensiero politico occidentale.

Sembra emergere da tutta la trattazione un allontanamento nella prassi dai principi dello stato costituzionale ovvero un loro offuscamento. Perciò emerge con estrema urgenza la necessità di tornare a ricordare quali siano le modalità definite dalla costituzione per affrontare il conflitto tra principi che necessariamente viene a galla quando si tratta di libertà e sorveglianza, per fronteggiare le situazioni di emergenza e individuare chiaramente i limiti precisi alle eventuali restrizioni delle garanzie fondamentali. È per questo che il bilanciamento e la ponderazione tra principi, valori, e diritti fondamentali in gioco non può diventare excusatio omnia di qualsiasi misura lesiva delle libertà costituzionali, ma resta una questione giuridica seria che

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deve essere affrontata con l’adeguata accuratezza che è propria del diritto. Si procede perciò all’enunciazione delle più puntuali modalità di formazione del giudizio di bilanciamento, capace di guidare i processi interpretativi e argomentativi, in quali, più che rappresentare un punto d'arrivo della riflessione, ne costituiscono verosimilmente una tappa.

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Capitolo I

Evoluzione storica della sorveglianza

1. Una strategia del potere

1.1 Le origini

Si rischia quasi di cedere alla considerazione di una sorveglianza quale predisposizione connaturata alla mente umana se pensiamo a quante e risalenti manifestazioni di questo istinto d’ispezione sono testimoniate nella storia dell’uomo. Indubbiamente una definizione esauriente del fenomeno richiede un’analisi approfondita che coinvolge diversi campi del sapere umano, il diritto, la sociologia, l’etica. Appare perciò doveroso anzitutto volgere uno sguardo attento al passato e considerare le principali forme di sorveglianza e controllo che siano state operate, vissute e analizzate durante il corso della storia. Lo sviluppo della sorveglianza ha origine ed evoluzione complesse, perciò sarà appropriato considerare nella presente analisi i diversi aspetti del fenomeno: il tipo di potere coinvolto nell’attività di sorveglianza, come l’esercizio di questo potere viene percepito dalla comunità sorvegliata, quali effetti erompono da tale controllo e, infine, in che modo la capacità di sorveglianza venga influenzata dal miglioramento della tecnologia, intesa nel senso ampio di tutte le forme dell'agire orientato allo scopo che si servono di un qualche strumento o di un sapere specialistico.

1.2 Numeri e Giudizi

Il Libro dei Numeri risale al VI-V secolo a.C., è il quarto libro dell’Antico Testamento. Chiamato dagli Ebrei facendo riferimento alla quinta parola del testo, emidbàr ossia "nel deserto”, assume invece denominazione di “Libro dei Numeri” dal richiamo alla traduzione letterale del suo incipit greco Αριθμοί, (aritmòi) "numeri", nel significato specifico di

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censimento.1 Il testo ha infatti inizio con la descrizione di un censimento del popolo di Israele. Secondo l’opinione maggiormente diffusa la sua redazione rivestì funzione di riorganizzazione dopo la fuga dall’egemonia egiziana, era intesa al perseguimento di diversi scopi: suddividere il popolo in tribù, distribuire le terre agli esuli, delineare una parvente organizzazione militare.2

Risale al 1086 d.C. una forma più matura di censimento, il Domesday Book (“libro del giudizio finale”), un registro manoscritto che contiene una descriptio scrupolosa di persone eredità e proprietà in Inghilterra, di fatto il più antico catasto inglese. Il registro è compilato da legati reali per ordine di Re Guglielmo il Conquistatore, con l’indicazione di: nome dei possedimenti, loro proprietario attuale e quello precedente, estensione e colture dei terreni, loro valore attuale e precedente3. Il registro ha lo scopo di tenere traccia della nuova distribuzione della proprietà e imposizione delle tasse a favore dell’amministrazione normanna, a seguito del suo insediamento forzoso in un sistema fino a quel momento molto frammentario. La conquista normanna necessitava infatti di consolidare il suo potere, a tal scopo il Domesday Book “cercava di ottenere la conoscenza completa in quanto mezzo per il controllo totale”2 (Lyon, L'occhio elettronico, 1997). Il censimento necessario alla sua stipulazione fu invero talmente accurato e rigoroso da assumere il rievocativo nome di Giorno del Giudizio: secondo l’Apocalisse i morti saranno giudicati secondo quanto è scritto nel libro. La stipulazione venne accompagnata da una inquisitio geldi minuziosa, volta a scoprire ogni yard di terra inglese e, affinché l’esazione potesse essere il più precisa possibile, persino le hide, appezzamenti di terra di un centinaio di acri che i proprietari occultavano volontariamente.

1 Si veda Enciclopedia Treccani alla voce Numeri

2 David Lyon, L’occhio Elettronico, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano,

1997, pp. 41-43; (The Electronic Eye: The Rise of Surveillance Society, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1994)

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Si veda Enciclopedia Treccani alla voce Domesday Book, a cura di Jacopo Mazzei, Enciclopedia Italiana (1932)

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Da queste primitive forme di sorveglianza emergono già alcuni denominatori comuni: l’attività di sorveglianza è connessa al potere, perché essa è d’ausilio all’organizzazione e al controllo delle popolazioni. Ordinare ciò che sfugge è la reazione centripeta di una forza che aspira all’accentramento. Per poter controllare è necessario conoscere e per conoscere serve semplificare la complessità del reale in una riduzione sintetica di caratteristiche umane, etichette che possano favorire una catalogazione della popolazione. Perciò la reazione istintuale dell’uomo antico che volesse consolidare il suo potere su una comunità è sempre stata quella di raccogliere informazioni sugli individui, creare fascicoli che ne registrassero le caratteristiche, tenere memoria dei loro comportamenti.

Risale così all’attenzione la considerazione di Harold Adams Innis circa una certa capacità distorsiva propria di ogni forma di comunicazione. Sebbene esprimendolo in termini diversi, nella sua opera “Le tendenze della comunicazione” intuisce attraverso l’analisi storica che anche il potere organizzativo subisce cambiamenti in relazione al supporto “materiale” utilizzato quale mezzo di comunicazione e quindi di registrazione delle informazioni. Ogni scrittura, quando viene incisa o impressa su un supporto che ne permetta la memorizzazione, assume i caratteri di incisività e il grado di persistenza nella memoria storica propri del mezzo di comunicazione che l’accoglie.

Pertanto si assiste a una evoluzione comunicativa originata prima dalla pietra, capace di rendere un’incisione indelebile più affidabile della memoria umana, che passa al papiro il quale permise all’impero Romano il controllo amministrativo dei territori, e giunge fino alla “rivoluzione gutenberghiana” a seguito della quale il mezzo stampa favorì l’espansione della sfera politica e lo sviluppo del governo democratico. Nel suo studio Innis ripartisce i mezzi di comunicazione secondo la tendenza interna o inclinazione che li caratterizza: papiro, argilla e pietra mostrano particolare attitudine per il tempo; altri, come la carta e la pergamena, per lo spazio. Il tempo concepito come durata storica sopravvive nella stampa, per la quale ha valore la durata

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dell’informazione veicolata, più rilevante quanto più solerte; ma con i mezzi di comunicazione più moderni per Innis, ossia radio e televisione, si assiste alla progressiva erosione del rilievo del tempo come durata storica a vantaggio di un suo appiattirsi in un singolo istante (Innis, 1951).

1.3 Sorveglianza nell’apparato burocratico

Secondo le prime teorizzazioni di David Lyon sul fenomeno, la sorveglianza moderna si è instaurata in tre diversi contesti principali: lo stato-nazione, l’impresa capitalistica, l’organizzazione militare (Lyon, L'occhio elettronico, 1997). Il fenomeno della sorveglianza sembra emergere in concomitanza con la nascita dello stato moderno e le prime forme di democrazia. Conservare la memoria della condotta passata di ogni individuo appartenente ad una comunità, mediante fascicoli o dossier personali, assolve la funzione di sorveglianza, ma, prima ancora di assumere questo scopo, è generalmente caratteristica degli organismi burocratici di uno stato civile.

Notoriamente risalgono alla Francia del XV secolo le prime strutture burocratico amministrative, volte a sottrarre territori ai feudatari locali. Raccogliere e catalogare informazioni assicura maggiore efficienza tecnica e qualche capacità di previsione. La crescita dell’amministrazione statale e la sua evoluzione in burocrazia moderna è legata a eventi quali l’incremento demografico, l’urbanizzazione e lo sviluppo economico, la cui summa ha spinto il potere centrale a riconoscere e soddisfare l’esigenza di razionalizzazione e burocratizzazione, per poter agire continuamente come solo garante del benessere dei cittadini. L’organizzazione dello stato moderno e aspirante alle forme ideali di democrazia nasce come accentramento delle funzioni pubbliche in solide strutture statali che favoriscano l’incremento dell’autorità statale su sudditi e territorio. A questo stadio l’autorità centrale mantiene alta la visibilità della sorveglianza perché è invogliata a rendere manifesta la sua multiforme attività dallo scopo di rendere autorevole e forte agli occhi dei cittadini l’esercizio del potere cui questi devono

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rimanere sottomessi. Allora, come forse ancora oggi, “per lo stato moderno il problema del controllo delle dinamiche sociali è fondamentale per lo svolgimento delle sue funzioni e per l’attuazione dell’indirizzo politico che, di volta in volta, esso vuole perseguire4” (Maestri, 2015). Ebbene gli strumenti che lo stato ha a disposizione sono la legge per disciplinare i rapporti tra cittadini e con gli stessi, e la burocrazia intesa come struttura volta alla gestione dell’ordine sociale.

Come evidenziato da T. Greco, già Alexis de Tocqueville, durante i suoi studi sui meccanismi della democrazia americana negli anni Trenta dell’Ottocento, esprimeva qualche timore circa le tendenze di questa arida organizzazione burocratica, da questi considerata il nuovo aspetto del dispotismo5. Nasce una nuova immagine individualistica dell’uomo: un atomo singolo che, alla ricerca del benessere e delle utilità materiali, tende a “isolarsi dalla massa dei suoi simili, a mettersi da parte con la sua famiglia e i suoi amici, in modo che, dopo essersi creato una piccola società per proprio uso, abbandona volentieri la grande società a sé stessa6” (Tocqueville, 1992). L’uomo atomo si rinchiude in una personalissima sfera indipendente e debole dall’interno della quale ha bisogno di un soccorso che può accorrere soltanto dal potere centrale, «un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte»7 . La nuova forma d’oppressione tratteggiata da Tocqueville minaccia i popoli democratici in un modo mai conosciuto prima, un dispotismo mite che limiterebbe la libertà dei cittadini non con la violenza bensì con subdola premura, interessamento, protezione, tutela, sorveglianza. La raccolta meticolosa di informazioni riguardanti i cittadini, la loro classificazione e conservazione in

4 Enrico Maestri, Lex Informatica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015,

p. 69

5 Cfr. Tommaso Greco, Diritto e legame sociale, G. Giappichelli editore, Torino,

2012, pp. 41-43

6 Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli, Milano, 1992, cit.,

p.516; (De la démocratie en Amérique, 1°ed. originale edita da George Dearborn & Co., Adlard and Saunders, New York, 1835-1840)

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fascicoli, rendono possibile l’attuazione di un trattamento non discriminatorio dei cittadini, alla ricerca di un’uguaglianza quanto più sostanziale. I dati raccolti provengono infatti dai più diversi ambiti della vita privata dei cittadini, dai dati anagrafici riguardanti nascite, unioni matrimoniali, e decessi dei cittadini, alla registrazione delle proprietà, ma anche informazioni necessarie all’imposizione fiscale, alla leva militare e all’esercizio del diritto di voto.

L’analisi del rapporto tra burocrazia e democrazia è stata in seguito ripresa da Max Weber, che ne evidenzia l’interconnessione con l’economia industriale: poiché le organizzazioni moderne sono fortemente qualificate dalla loro razionalità, strategia di cui è portatrice necessaria l’impresa capitalista, essa permea ogni forma di amministrazione nella società (di cui quella capitalista è solo un tassello). Il sogno della massimizzazione dell’efficienza abbraccia ogni settore e viene tradotto materialmente nella stipula di documenti scritti, formazione di gerarchie, applicazione di regole impersonali e catalogazione di elaborati che tengono conto di ogni elemento utile al calcolo. Con questo sistema di certo l’efficienza risulta massimizzata ma lo stesso accade per la sorveglianza, un po’ mezzo un po’ conseguenza necessaria all’apparato, e per il controllo sociale che ne consegue. L’accettazione di tali esigenze di raccolta informazioni è intrinseca nella sua razionalità, perché rende possibili decisioni coerenti e affidabili, ed è la pronta risposta alla richiesta di uguaglianza dei cittadini, perché costituisce il primo passo per conoscerli e accoglierli nella tutela più idonea al singolo.

La burocratizzazione e il potere che la dispone sono dunque portatori di una tendenza al livellamento che si trova in un rapporto di complementarietà sul piano politico nella democrazia. Esisterebbe tra democrazia e burocratizzazione un legame “a doppia direzione”8: la burocratizzazione favorisce il livellamento dei ceti, che è condizione sociale necessaria

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all’assetto democratico, e la democrazia favorisce la burocratizzazione.

Negli studi compiuti (Weber, 1981) emerge in diverse forme un sotterraneo timore nei confronti dei calcoli impersonali operati dalle strutture burocratiche, con la pretesa di stipulare dossier che siano personali ma che invece etichettano lo spirito. La forza razionalizzatrice del capitalismo invero traduce questa pervasiva attenzione verso il singolo in una struttura burocratica il cui fine ultimo è un conformismo volto alla sottomissione e all’esclusione di qualsiasi forma di organizzazione sociale diversa da quella desiderata dall’apparato di potere (Maestri, 2015).

In questo primo contesto la “società della sorveglianza” può assumere ambiguamente i caratteri tanto del controllo sociale, quanto i caratteri della partecipazione sociale. Controllo sociale è inteso sia nel senso negativo dell’estrema razionalità burocratica di matrice weberiana che finisce per arginare le tendenze centrifughe dei cittadini, ma anche nel senso di sottomissione al “potere disciplinare” che secondo Foucault dimora nel dossier stesso9 e che per Giddens permette una osservazione costante e puntuale di ogni individuo. La partecipazione sociale al contrario ha un’attitudine positiva perché sublimata dall’intenzione di garantire a tutti i cittadini un trattamento uguale, almeno formalmente. Una discussione più approfondita circa la natura e l’evoluzione del potere disciplinare di determinati istituti essenziali per la sorveglianza è rimandata a un secondo momento. Il nuovo stato-nazione dispone di forme di controllo sociale rinnovate, che non fanno più leva sulla violenza per come l’uomo l’aveva sempre conosciuta, fisica e materiale, ben riconoscibile; per riorganizzare e contenere le diverse manifestazioni di disordine sociale ci si inizia ad affidare a pratiche gentili, subdole, che nascondono dietro un beneficio o un valore degno di approvazione, un intento più simile al dividere per dominare. La tendenza che innerva la sorveglianza è rivolta adesso alla

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separazione, “segregazione” foucaultiana, dell’individuo che devia dalle norme prescelte dall’organizzazione forte in quella data società. Nascono istituzioni grazie alle quali “la legge e l’ordine erano perseguiti sia architettonicamente sia strategicamente, attraverso la pianificazione razionale10” (Lyon, L'occhio elettronico, 1997). Non solo le prigioni, ma anche le case di correzione o i semplici ospedali, si fanno portatori di disciplina e ideali allo scopo di avviare processi di socializzazione orientati alla conformità, persino la struttura stessa della città nei progetti dei pianificatori urbanisti dall’Ottocento in poi sembra pretendere di riformare il cittadino, sembra portare con sé le linee guida di una regolamentazione della vita quotidiana. Si assiste alla prescrizione di un ordine imposto dalla segregazione contro il caos della devianza; laddove devianza è inteso nel significato originario di matrice strutturalfunzionalista: “comportamento anomalo sotto il profilo statistico, cioè (…) quelle condotte che si discostano dalle regole e dai costumi sociali condivisi dalla maggior parte delle persone”11 (Ponti & Betsos, 2008).

Nei tempi moderni l’esistenza quotidiana ha assunto i caratteri della vita cittadina, all’interno dei sicuri confini urbani, ciò che è visibile può sembrarci un luogo sicuro, ancor più se l’ordine che vi regna è quello definito dal sistema pubblico. Sin dal pensiero dell’antico uomo greco la città ordinata ha sempre rappresentato un mezzo per scongiurare il caos. Già Platone e Aristotele sostenevano che la disposizione spaziale della città dovesse essere immagine speculare di un auspicabile ordine cittadino, una rassicurante convinzione umana che ancora abita l’istinto delle collettività. Nel Rinascimento la progettazione architettonica della città ideale, con le sue soluzioni razionali, simmetriche e prospettiche, vuole tradurre la visione utopistica della nuova filosofia politica. La Parigi del XVII secolo diveniva la “città di luci” con le seimilacinquecento lanterne tra i vicoli e gli “ispettori

10 David Lyon, L’occhio Elettronico, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 53 11

Gianluigi Ponti, Isabella Merzagora Betsos, Compendio di Criminologia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, p.184

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dell’illuminazione” che il luogotenente di polizia La Reyine dispose per rassicurare i cittadini dopo il tramonto (Lyon, La società sorvegliata, 2002). Ancora nei tempi moderni si argomenta a favore di strutture cittadine che siano trasparenti, con sistemi di sorveglianza visibili per scoraggiare la devianza, in questo caso stricto sensu criminale, e promuovere la sicurezza pubblica. È questo l’abito formale rassicurante di cui si riveste la sorveglianza a cui si è sopra fatto cenno: il cittadino ha storicamente autolimitato la sua libertà, rinunciato a grande parte della sua riservatezza, sacrificandola sull’altare dell’incolumità, individuale e collettiva, della sicurezza sociale e dell’ordine. Sono questi benefici indubbiamente positivi predisposti come ragione scopo e quindi giustificazione di un’attenzione così profonda nei confronti del singolo. È d’uopo rimandare a un secondo momento l’attenta valutazione di un bilanciamento degli interessi in gioco. Dopo la seconda guerra mondiale T.H. Marshall, in Citizenship and Social Class, ha evidenziato soprattutto la natura ambivalente della sorveglianza moderna: essa sarebbe infatti contemporaneamente mezzo di controllo sociale e garanzia dei diritti di partecipazione sociale. I sistemi democratici che aspirano allo stato sociale hanno l’obiettivo di attenuare le diseguaglianze capitaliste fino a eliminarle, in attuazione di quel livellamento proprio del “legame a doppia direzione” tra democrazia e burocratizzazione. Perciò i sistemi di sorveglianza degli stati nazione burocratici più moderni non sono più strutture dalla mira esclusivamente oppressiva, ma diventano il risultato del desiderio di conseguire lo stato di cittadinanza (Lyon, L'occhio elettronico, 1997).

Sarebbero pertanto gli stessi processi di identificazione che riconoscono e garantiscono ai singoli cittadini i loro diritti fondamentali, sociali e politici, ad affrancarli dalla costrittiva sorveglianza fisica ma al contempo a sottoporli a frequenti, se non costanti, occasioni di controllo.

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1.4 Sorveglianza nel sistema capitalistico

Tuttavia, non è solo la burocratizzazione delle strutture governative a implementare la sorveglianza. Il secondo contesto in indagine è il sistema capitalistico inaugurato dalla rivoluzione industriale; esso ha comportato una rivoluzione anche nel modo di pensare umano, ora illuminato dalla ragione produttiva e votato all’efficienza della macchina economica. Siamo di fronte ad un modo tutto nuovo di pensare le attività umane.

Max Weber si interrogava sul punto12: l’agire dotato di senso, ossia quali siano le diverse forme dell’agire umano in relazione al concetto di agire sociale13. Il filosofo ne individua quattro tipologie principali, sebbene l’agire umano non sia mai orientato unicamente secondo una forma esclusiva, esse sono utili per comprendere i motivi dell’agire, la natura delle relazioni sociali, e nondimeno le relazioni di potere 14 . L’andamento storico individuato da Weber sembrerebbe dunque indirizzarsi verso una “razionalizzazione” della società, verso una prevalenza del cd agire razionale rispetto allo scopo. Come evidenziato da T. Greco, nel pensiero weberiano le forme della vita associata sono passate dal concetto di comunità, la comune appartenenza soggettivamente sentita perché fondata sull’agire affettivo o tradizionale, al concetto di associazione, l’agire sociale formato su identità o legami di interessi motivati razionalmente, rispetto al valore o rispetto allo scopo (Greco, Diritto e legame sociale, 2012). Ebbene il prototipo di comunità, ispirato al legame primario, quello della famiglia, va scemando cedendo il passo a forme pure di associazione: scambio mercantile, unione di scopo, unione di intenzioni basata su motivi razionali rispetto al valore. Il processo generale di razionalizzazione individuato da Weber è frutto di

12 Max Weber, 1°ed. originale Wirtschaft und Gesellschaft, Mohr, Tübingen,

1922; tr. It. Economia e società, a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Milano, 1981

13 L’agire sociale è “un agire che sia riferito […] all’atteggiamento di altri

individui, e orientato nel suo corso in base a questo”, M. Weber, Economia e

società, cit., vol. I, p. 4

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una specializzazione scientifica e tecnica in cui legge fondamentale è l’efficienza e il rendimento, in piena coerenza con la logica capitalistica. Tale forza razionalizzatrice investe ogni ambito della vita sociale comportando una evoluzione anche nella natura del potere centrale, non più il potere tradizionale che fa del monopolio dell’uso della forza la sua unica fonte coercitiva, ma un potere burocratico che esce rinvigorito dal modello ideale della gerarchia e dell’organizzazione (Maestri, 2015).

La natura burocratica di questa nuova strategia risiede non solo nella sua struttura ma persino nella gestione del sapere: la conoscenza tecnica diviene estremamente specialistica, una risorsa esclusiva appannaggio di pochi. Ponendo le competenze necessarie a far funzionare la macchina economica in mano ad una ristretta cerchia di funzionari si è favorita la formazione di un sistema tecnocratico che, celando i propri scopi dietro ineluttabili tecnicismi, ha reso la complessità del meccanismo industriale ed economico un ottimo alibi per non diffondere la conoscenza dei principi che lo regolano. (Maestri, 2015).

Inizia a divenire più semplice comprendere perché Lyon si azzardi a definire il potere in quest’epoca storica più come una strategia, perché non è più qualcosa che si possiede, il potere tradizionale “punta alla tensione e alla lotta costanti, mentre i sottoposti resistono secondo proprie tattiche. Nelle società moderne le persone vengono osservate in modo sempre più intenso, e le loro attività vengono documentate e registrate allo scopo di creare popolazioni che si conformino alle norme sociali. La conoscenza di quel che accade è perciò intrinsecamente correlata al potere15” (Lyon, L'occhio elettronico, 1997).

I processi di inurbamento e la crescita incrementale del numero degli operai all’interno della fabbrica pone all’attenzione del capitalista nuove esigenze di sorveglianza sul lavoro che spaziano dal controllo visivo al controllo del tempo. Si assiste però alla crisi del sistema di sorveglianza statale tradizionale, il mondo della

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fabbrica ha sconvolto i vecchi schemi basati sulla coercizione fisica e gettato le basi per un nuovo sistema di sorveglianza da adottare all’interno delle mura della fabbrica.

L’origine di questa dinamica si può ravvedere nella pragmatica intenzione di controllare che il processo di produzione in atto non incontri ostacoli o rallentamenti a detrimento del profitto, e nella consapevolezza che il lavoratore detenga un potere contrattuale, sebbene debole quando individuale, legato alla libertà di disporre della propria forza lavorativa. I modi per vigilare sulla loro attività dunque avrebbero dovuto rivolgersi verso altri mezzi: il bisogno dei lavoratori di uno stipendio per sopravvivere, ossia la contropartita contrattuale di cui si fa forte il datore di lavoro, e la concreta sorveglianza delle singole funzioni dentro la fabbrica, ossia cronometraggio, collocazione, osservazione, controllo di qualità di ogni attività operaia16.

Si può riconoscere in questa forma l’attività di controllo per come definita da E. Maestri: “l’influenza esercitata da un soggetto su un altro soggetto, (che) ha lo scopo di modificare il comportamento del soggetto sul quale si esercita il controllo17”. L’uomo nuovo della fabbrica, come un ingranaggio individuale che assume scopo solo se incastonato tra gli altri ingranaggi, non percepisce chiaramente la rilevanza del suo personale lavoro. L’operaio schiacciato dalle regole di condotta imposte dai controllori soffre il ticchettio delle lancette, soffre l’alienazione della macchina perché il frutto del lavoro delle proprie braccia non gli appartiene più come accadeva per il lavoro nei campi. Siffatto processo assimila la fabbrica quasi a una prigione o una caserma, in cui il direttore gerarchicamente sovraordinato, che non può avere contezza di ogni attività svolta dagli operai, genera una legione di subordinati cui viene distribuito l’onere del controllo, come veri e propri agenti di custodia.

Una sorveglianza così, mediata più dalla psicologia che dalla forza, nella teoria poteva non essere sempre percepita come

16 Ivi pp. 55-56 17

Enrico Maestri, Lex Informatica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, p. 66

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disumanizzante, avrebbe anche dato la possibilità di difendere gli operai da accuse ingiuste e premiarli per il duro e proficuo lavoro. È invero l’atmosfera stessa di tale nuova vita operaia ad essere intrisa di razionalità: quando l’unica cosa che un uomo medio può offrire in cambio di denaro è la forza delle proprie braccia, l’efficienza e la capacità produttiva divengono la principale unità di misura del valore. Il tempo si trasforma in merce venduta “a peso”, perché costituisce simultaneamente indice di capacità produttiva agli occhi del capitalista e criterio di quantificazione della remunerazione per il lavoratore. Il rendimento per entrambe le parti contrattuali pertanto non è più definito da fattori naturali quali il clima, le stagioni o i limiti fisiologici umani: come posto in luce da Lyon, il tempo del lavoro all’interno dell’industria è scandito da una routine ad orologeria, in cui simbolicamente l’orologio è il cronometro del ritmo al quale le attività umane debbono essere sincronizzate nello spazio-tempo, in un’operazione semiautomatica dal forte sapore meccanico. Secondo Giddens nello specifico, l’orologio assumerebbe significato più generale, non solo relativo al metronomo dell’alienazione nel lavoro operaio, ma quello di fulcro della sincronizzazione e coordinamento di ogni attività umana nella società moderna. Nella visione pessimistica di Weber invece “la burocrazia, una volta che si sia realizzata, costituisce una delle formazioni sociali più difficilmente abbattibili”.

La burocratizzazione è il mezzo specifico per trasformare un "agire di comunità" in un "agire sociale" ordinato razionalmente (...) essa è un mezzo di potenza di primissimo ordine per chi dispone dell'apparato burocratico18”. La connotazione di siffatto controllo assume ulteriori sfumature diametralmente opposte nella concezione marxista o weberiana, a seconda che venga posto l’accento sui rapporti di classe o sulle divisioni burocratiche, e assume invece un carattere intermedio nella

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Max Weber, Economia e Società, Edizioni di Comunità, Milano, 1995, volume I, p.300

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concezione foucaultiana per cui il potere disciplinare opera contemporaneamente su entrambi i piani; ma si ritiene opportuno rimandarne l’osservazione a un momento successivo.

1.5 Sorveglianza nel settore bellico

Il terzo contesto in analisi, culla della sorveglianza moderna, è il settore bellico, forse quello più datato, in cui è nata e si è sviluppata la sorveglianza nel suo significato più consueto. Durante il comando di Maurizio di Nassau, principe di Orange, l’esercito olandese conosce una nuova tecnica di formazione militare; lo stratega suddivide le milizie in piccole unità tattiche più semplici da gestire e coordinare, promuovendo un addestramento sistematico che prevede un numero e ordine ben definito di movimenti da compiere simultaneamente, dando vita a un’azione militare corale e semiautomatica. Si riconosce allora nel primo esercito moderno la forma embrionale di burocrazia, di ricerca della massima efficienza e di riduzione dei costi unitari, risultati di oculato giudizio analitico e queste nuove attenzioni sono tutte il prodotto di un diligente calcolo razionale. Lo sfondo militare della sorveglianza moderna è solo un aspetto sebbene importante, un simbolico punto di riferimento, che ha aiutato a impostare le stesse dinamiche in altre organizzazioni sociali, quali scuole, fabbriche, prigioni19.

Durante la guerra l’intera società, con ogni sua struttura, si impegna finalisticamente nel processo militare: intrecciando spesso il fine bellico con i caratteri propri dello stato sociale genera una commistione di stato di guerra e stato sociale che va ben oltre l’assonanza fra warfare e welfare state. In Gran Bretagna dal 1916 la gestione di un servizio militare di leva ha reso necessario un controllo burocratico sulle nascite che tenesse conto degli uomini capaci in età di leva, ma anche un controllo sull’opinione pubblica, sulla produzione e distribuzione industriale. Perciò viene rafforzata la vigilanza epistolare e via

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telegramma, con particolare attenzione per le persone sospette e gruppi di obiettori di coscienza.

Il primitivo sistema viene poi rimesso in funzione dopo la guerra mondiale, nel settore burocratico potenziato dal nuovo strumento del documento d’identità nazionale e nel settore economico rinnovato con la gestione centralizzata delle vertenze industriali nel tentativo di limitare le oscillazioni economiche dannose20. Pertanto si potrebbe concludere temporaneamente tale prima riflessione sulle origini storiche della sorveglianza, dal punto di vista del potere che la esercita, convenendo con Lyon quando egli afferma che “la nascita della società della sorveglianza, allora, è collegata inestricabilmente con la crescita dello stato-nazione moderno21”.

Non si può ricondurre la nascita di tale complesso fenomeno a un'unica sorgente. È interessante in questo senso l’analisi di Anthony Giddens che in gran parte dei suoi primi studi22 si è dedicato al concetto delle dimensioni istituzionali della modernità. Delle quattro istituzioni considerate (capitalismo, industrialismo, potere militare, sorveglianza) il sociologo attesta l’indispensabilità della sorveglianza per tutti i tipi di organizzazione associati con la modernità. Si tratta di un minimo comun denominatore che assume diverso carattere a seconda che diventi strumento o scopo, asservito com’è sempre stato al detentore del potere maggiore in una data circostanza storica, allo stesso tempo sostanza e collante tra i diversi tasselli della compagine sociale. Pertanto inconfutabile appare la constatazione per cui la nascita della società della sorveglianza è indissolubilmente legata allo sviluppo dello stato-nazione moderno, in una paradossale intricata relazione con le democrazie moderne.

20 Ibidem 21 Ivi p.54

22 Soprattutto in The Nation-State and Violence, University of California Press,

Berkeley and Los Angeles, 1985 e in The Consequences of Modernity, Polity Press, Cambridge 1990 – cito da David Lyon, L’occhio Elettronico, cit., p.62

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2. Il concetto di sorveglianza: dal Panopticon al

Synopticon

2.1 Lo stato delle istituzioni totali

Nel XVIII secolo il problema del sovraffollamento carcerario diviene particolarmente pressante e difficile da risolvere, perciò schiere di studiosi, sociologi giuristi o filantropi, iniziano ad interrogarsi sulle diverse possibili modalità di gestione della dinamica in questione.

Jhon Howard è un filantropo britannico che può essere considerato a ragione il primo riformatore del carcere inglese. Lo studioso venne forse segnato dall’esperienza che lo vide catturato dai corsari francesi e tenuto in prigione a Brest nel 1756, dove visse personalmente le sevizie cui erano sottoposti i detenuti e contro le quali protestò tutta la vita. Divenuto sceriffo di Bedfordshire nel 1773, risalta nei libri di storia per la particolare dedizione che dimostrava nell’ispezione personale della prigione della Contea, che appunto si asteneva di delegare ai subordinati. Impressionato da ciò che gli si parava davanti agli occhi decide di ispezionare tutte le carceri d’Inghilterra, esperienza questa che gli permette nel 1777 la stesura del libro The state of prisons in England and Wales. Le sue valutazioni rimangono impresse nella scienza e nella pratica dei sistemi penitenziari, perché mirano a evidenziare punti focali importanti del trattamento carcerario: la necessaria finalizzazione della pena all’emenda del carcerato, lavoro e preghiera come mezzi di emenda, l’esigenza di evitare la promiscuità dei detenuti al fine di una proficua emenda23. Ai nostri scopi però è interessante considerare la posizione che egli assume in relazione alla sua personale concezione di carcere come “istituzione totale”. In accordo con la psicologia materialista che annulla la distinzione fra mente e corpo, secondo Howard la condotta morale degli uomini può essere influenzata

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disciplinando il loro corpo. Riponendo fiducia assoluta nella ripetitività e nell’abitudine perpetrate dalla permanenza in carcere, le regole di disciplina sarebbero divenute doveri morali. «L'attrazione che esercitavano le 'istituzioni totali' stava nel fatto che consentivano di attuare un controllo completo sulle associazioni di idee dei criminali. La specie umana era vista come una macchina da manovrare e migliorare24» (Buracchi, 2004).

2.2 L’utilitarismo illuminato di Bentham

L’idea di un trattamento del corpo fisico, inteso come osservazione e non come violenza, che possa riflettersi sulla mente del carcerato caratterizza, per lui quasi inconsapevolmente, anche il pensiero del filosofo e riformatore politico inglese Jeremy Bentham. Per rispondere alla crisi carceraria egli concepisce nel 17911 un modello di istituto penitenziario economico e funzionale ma che possa, con una “semplice idea architettonica” rendere possibile in capo al reo “morale riformata; salute preservata; industria rinvigorita; istruzione diffusa” e contestualmente per lo stato “oneri pubblici alleggeriti; economia poggiata, per così dire, su una roccia; il nodo gordiano della legge inadeguata non tagliato, bensì sciolto25” (Bentham, 1983). Si è detto “inconsapevolmente” perché nella sua teorizzazione Bentham non aveva alcun fine moralizzatore; come egli stesso ribadisce più volte, il suo è un progetto che, per rispondere alla crisi carceraria, persegue finalità economiche e utilitaristiche da rintracciarsi in manodopera necessaria ridotta, sicurezza delle città e costi di gestione quasi totalmente annullati. Di fatto però il Panopticon non è una semplice struttura materiale: è un’idea architettonica che racchiude in sé un

24 T. Buracchi, Origini ed evoluzione del carcere moderno, 2004, cap.4 Il

Settecento Riformatore (testo online reperibile al link http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asylum/buracchi/)

25 J. Bentham, Panopticon, ovvero la casa d’ispezione, Venezia, Marsilio, 1983, p.

33; (Panopticon versus New South Wales: or, the Panopticon Penitentiary

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principio immateriale che segnerà tutta la storia della sorveglianza, il “controllo della mente sulla mente” (Maestri, 2015). Se l’intento utilitaristico è quello di azzerare i costi di gestione, chi può sorvegliare meglio i detenuti se non loro stessi? Sono necessari dei chiarimenti.

Partendo dalla struttura architettonica vera e propria, l’edificio ideato dal riformatore ha forma ad anello ed è presidiato da un solo guardiano, posizionato all’interno di una torre centrale, che prende il nome di “reparto d’ispezione”; il suo sguardo si irradia come dei raggi che partono dal centro e si dirigono verso il perimetro della circonferenza. L’ispettore può controllare tutti i detenuti all’interno delle loro celle, a lui nulla è nascosto. Le celle sono collocate lungo la circonferenza della struttura, le une accanto alle altre, con la porta nella parte interna del cerchio e una finestra sulla parete esterna per ricevere luce. I detenuti non possono vedere gli altri carcerati, sono nuclearizzati, vicini ma separati perché ciascuno singolarmente segregato nel suo spazio personale: emerge il principio della solitudine. Cosa assai più importante, non possono vedere nemmeno l’ispettore grazie a un ingegneristico gioco di luce, che invece ha una completa vista sulla loro vita all’interno delle celle, e anche sull’attività dei secondini suoi sottoposti; di qui la denominazione di Panopticon, che può vedere tutto.

La chiave di volta del sistema è proprio il principio dell’ispezione, uno sguardo asimmetrico per cui il sorvegliato non può vedere il sorvegliante, che invece tutto vede, e perciò non può sapere quando effettivamente l’occhio del controllo lo stia supervisionando: la sua unica alternativa è adeguare la propria condotta al comportamento auspicabile, perché anche se lo sguardo dell’ispettore non è costantemente rivolto al detenuto, perenne è invece l’impressione che quel controllo non subisca interruzioni. Siffatto è il controllo della mente sulla mente, una sorta di auto condizionamento: il sorvegliato è sorvegliante di se stesso perché sottomesso dal dubbio costante e dalla paura dello sguardo ispettivo nascosto. Il senso di necessaria sottomissione trasforma in accettazione sommessa della condotta imposta. Si

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assiste all’interiorizzazione del potere anziché la coercizione fisica proveniente dall’esterno.

Dal punto di vista politico il progetto di Bentham è una riforma penitenziaria e sociale che ben si staglia nel panorama illuministico del tempo. La visione differenziale su cui si basa l’intera astuzia architettonica può essere considerata una parodia laica dell’invisibile onniscienza divina. Il progetto attua una fisica sociale che è il tentativo di congiungere il sistema punitivo all’efficienza produttiva: fonde insieme la promessa di una gestione profondamente razionale dell’istituzione carceraria con l’attesa di ingente risparmio di risorse, economiche e umane, reso possibile grazie alla necessità di un numero di guardie penitenziare più che dimezzato (per sorvegliare l’intera struttura circolare infatti sarebbero necessari solo due agenti, ognuno con visuale di 180 gradi). Oltre all’economicità del modello, nella sua teorizzazione Bentham avanza l’applicabilità di siffatto sistema a ogni categoria sociale che necessiti controllo, delinea perciò un modello universale di sorveglianza adottabile «sia che si tratti di punire i criminali incalliti, sorvegliare i pazzi, riformare i viziosi, isolare i sospetti, impiegare gli oziosi, mantenere gli indigenti, guarire i malati, istruire…»26, e ciò è anche vero a prescindere dal grado di cultura del singolo individuo. L’elementare semplicità del meccanismo ha un impatto fortissimo anche sulle menti meno brillanti perché con tale forma di segregazione cellulare la riservatezza è soppressa. In questo scenario è di bisogno sottolineare l'attitudine pedagogica dell'Illuminismo: l’individuo è visto come una belva feroce da correggere, della quale vanno ordinati gli istinti, incanalate le energie centrifughe. A tal fine però è l’attenzione alla rieducazione dei giovani a suggerire una gestione diversa della devianza da parte della politica criminale: indubbiamente più duttili alla riformazione pedagogica grazie alla giovane età, vengono però considerati anche più ricercati nel mondo del lavoro, per lo sfruttamento nell’industria. È

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manifestazione di una logica produttiva all’interno di un’istituzione criminale.

Nonostante gli entusiastici sforzi, Bentham non riesce a persuadere il governo britannico ad investire nel suo progetto, ma lascia un segno indelebile nella storia del diritto penitenziario, nel concetto stesso di sorveglianza e nei rapporti col potere. L'alleanza tra esercizio del potere e tecniche di controllo o manipolazione tenta ripetutamente nel corso della storia e sotto diversi aspetti di assumere forma e dimensioni del Panopticon.

2.3 Il Panoptismo foucaultiano

È Michel Foucault ad aver posto il rapporto tra potere e sorveglianza come punto focale dei suoi studi, ed è con il suo trattato dedicato alle istituzioni carcerarie, “Sorvegliare e punire” del 1975, che il progetto del Panopticon viene sviluppato in un completo percorso teorico comprensivo dei rapporti tra potere, sorveglianza e punizione. L’intuizione benthamiana assume così nuova visibilità dottrinale, per lasciare un solco indelebile nelle analisi che si confrontano con la tematica in oggetto.

La riflessione di Foucault prende origine dallo studio evolutivo del potere da cui emerge una sua caratteristica peculiare: esiste una «microfisica del potere che gli apparati e le istituzioni mettono in gioco, ma il cui campo di validità si pone in qualche modo tra questi grandi meccanismi e gli stessi corpi, con la loro materialità e le loro forze»27.

Memorabile è la sua qualificazione del potere come strategia, non come una proprietà di cui ci si debba “appropriare”; il potere è l’effetto concreto di un insieme di forze e astuzie che muovono insieme in continua tensione, l’esercizio di posizioni strategiche da esercitare e non un privilegio da acquisire o conservare (Foucault, 1976).

L’autore asserisce che il potere esercita sempre una sorta di controllo sui corpi e studia l’evoluzione storica delle tecniche

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M. Foucault, Sorvegliare e Punire, Einaudi, Torino, 1976, p. 30; (Surveiller et

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punitive. Quando ben presto giunge a considerare l’opera benthamiana, Foucault evidenzia come il controllo sui corpi abbia assunto caratteri diametralmente diversi dal passato perché, come ormai noto, il potere moderno ha assunto “forme asettiche e razionali di controllo e punizione28” ben lontane dalla violenza e dall’oscurità dei secoli precedenti.

Alta è l’attenzione agli studi sulla luce del Panopticon di Bentham:

Insomma, il principio della segreta viene rovesciato; o piuttosto delle sue tre funzioni – rinchiudere, privare della luce, nascondere – non si mantiene che la prima e si sopprimono le altre due. La piena luce o lo sguardo di un sorvegliante captano

più di quanto facesse l’ombra, che, alla fine, proteggeva. La visibilità è una trappola.29

Nel valutare la disposizione delle celle il filosofo individua nella visibilità assiale e nell’invisibilità laterale una garanzia d’ordine: il detenuto << è visto, ma non vede; oggetto di una informazione, mai soggetto di una comunicazione >>30. Molteplici sono i pregi del sistema: la sua applicabilità generale, la sua tendenza ad autosostentarsi. La dissociazione della coppia vedere-essere visti è un dispositivo che automatizza e de-individualizza il potere, perciò si assiste a un congegno che è neutrale rispetto a chi lo esercita o su chi viene esercitato, perché il Panopticon, indipendentemente dal fine, «fabbrica effetti omogenei di potere. Un assoggettamento reale nasce meccanicamente da una relazione fittizia»31.

Perciò è applicabile in ogni contesto, poco importa da chi è composta la folla nuclearizzata all’interno delle celle: la collezione di individualità separate può essere costituita da condannati che non complotteranno evasioni o nuovi crimini, da ammalati che non diffonderanno il contagio, da pazzi che non potranno essere violenti, da bambini che non comprometteranno la loro educazione, da operai che non si distrarranno dal lavoro.

28 David Lyon, L’occhio Elettronico, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 96 29 M. Foucault, op. cit., p. 218

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Ibidem

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Allo stesso modo non importa chi esercita il potere, chiunque può essere il guardiano che fa funzionare la macchina che tutto vede perché nei suoi effetti è ugualmente, quasi meccanicamente, efficace. Lo stesso può dirsi dei desideri sottesi alla nuclearizzazione separante, qualunque può essere il motore che muove finalisticamente il meccanismo panottico.

Mirabile è la tendenza ad autosostentarsi del sistema: una volta innescato il Panopticon, il rapporto di potere che genera e i suoi effetti divengono autonomi e indipendenti,

indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione; che la perfezione del potere tenda a rendere inutile la continuità del suo esercizio (…) in breve, che i detenuti siano presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi portatori.32

Dalla teorizzazione benthamiana, Foucault fa un passo avanti. Se per Bentham questa struttura ideale è un progetto in potenza, per Foucault il panoptismo è già realtà sociale in atto: una pratica sociale diffusa per la quale ciascuno è sorvegliante e, al tempo stesso, sorvegliato.

Il modello è talmente diffuso e distribuito, “liquido” per dirlo con attributo ormai proprio delle teorizzazioni di Bauman33, che rapporti di potere siffatti pervadono ormai tutte le istituzioni della modernità, in tutti i contesti amministrativi, tanto più questi sono visibili e destinatari della collaborazione volontaria, quasi entusiastica, dei sorvegliati (Bauman & Lyon, Sesto potere, la sorveglianza nella modernità liquida, 2015).

32 Ivi, p. 219

33 Zygmunt Bauman, sociologo cui si deve la nota definizione della “modernità

liquida”, ha avuto modo di confrontarsi con David Lyon anche in tema di logiche di sorveglianza e visibilità, come testimonia il volume Liquid

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Risalgono alla memoria le parole del Signore del Panopticon di Bentham:

il mio destino (…) è legato al loro [quello dei detenuti] da tutti i legami che io sono stato capace di inventare.34

Si potrebbe anticipare un parallelismo tra i legami di cui si parlava allora e i legami creati dagli sguardi elettronici odierni, che tramite algoritmi complessi tracciano linee che uniscono e insiemi che etichettano. Ma è necessario procedere per gradi nella trattazione.

Il nucleo del panoptismo è la visibilità. Perdura l’idea che la vigilanza debba adagiarsi sulla visibilità per divenire totale, che sia necessario abbattere lo spazio privato delle persone per poterlo ridurre sino a sublimare una società trasparente. Niente è più trasparente dello spazio pubblico, anzi si può dire che la visibilità sia la proprietà maggiore dello spazio pubblico: ciò che è pubblico necessariamente erode i confini dello spazio privato, che è sua stessa ontologica antitesi.

Facile comprendere allora perché le istituzioni di controllo si siano sempre preposte l’obiettivo di aumentare gli spazi di visibilità a detrimento degli spazi privati e nascosti. Il passo è intuitivo. Se «ciò che è visibile al pubblico è controllabile dall’autorità»35, un che di sillogistico sembra sottinteso se non inevitabile: spogliare quanto più possibile del velo di riservatezza individuale è pertanto una strategia del potere, un amplificatore di potere.

Il Panopticon funziona come una sorta di laboratorio del potere. Grazie ai suoi meccanismi di osservazione guadagna in efficacia e in capacità di penetrazione nel comportamento degli uomini; un accrescimento di sapere viene a istituirsi su tutte le avanzate del potere, e scopre oggetti da conoscere su tutte le superfici dove questo si esercita.36

(Foucault, 1976)

34 Bentham, Panopticon, in Works, ed. Bowring, tomo IV, pag. 177 35

Enrico Maestri, Lex Informatica, op. cit., pag. 79

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Osando per inciso un profondo salto temporale, è inevitabile pensare alle postmoderne constatazioni di Ziccardi, il quale ben poco metaforicamente afferma che al giorno d’oggi possiamo ritrovare l’unico luogo veramente privato in un parco pubblico, idea di uno spazio lontano dagli occhi elettronici che ormai abitano, per loro stesso invito, le case dei privati cittadini (Ziccardi, 2015).

Si potrebbe perciò ironicamente esclamare che qualcuno (sulla distribuzione del potere e delle responsabilità ci si soffermerà in seguito) sia infine riuscito nell’intento foucaultiano, una visibilità così totale che rischia di invertire le caratteristiche delle categorie “privato” e “pubblico”. Proprio per l’effetto catalizzatore che tale strategia del potere esercita nei confronti dei singoli cittadini, essi prendono parte allo schema panottico e lo rendono un modo di funzionamento del potere con la «vocazione a disincarnarsi e farsi pratica sociale condivisa»37.

Il Panopticon è dunque un sistema talmente duttile e universale che si può adattare a qualsiasi istituzione, si può insinuare in qualsiasi rapporto sociale come cifra di autoregolamentazione delle masse. Si plasma perciò un potere disincarnato, il cui esercizio è perfezionato, più rapido ed efficace, perché non è più legato a strutture o persone fisiche, ma agisce autonomamente dall’interno di ognuno.

È questa la forza disciplinare delineata da Foucault: la capacità di imporre delicatamente alla società regole e pratiche finalizzate al mantenimento del controllo.

L’applicazione di tale sistema all’intera società ne implica la trasformazione in una società della sorveglianza. Il nuovo ordine sociale rivela pertanto l’ambiguità della sorveglianza: finalizzata alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza sociale, ma allo stesso tempo mezzo disciplinare di controllo dell’individuo; un dominio che appare contestualmente centralizzato negli scopi ma diffuso e condiviso nell’esercizio, disincarnato nella definizione delle discipline da rispettare sebbene impositivo di binari

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invisibili che coordinano i movimenti dell’intera società. L’atteggiamento del cittadino nei confronti della sorveglianza è anch’esso ambivalente perché questa soddisfa la sua richiesta di protezione e garanzia dei diritti, esaudisce esigenze e capricci consumistici, ma al contempo rende sospettosi quando la burocrazia si fa breccia all’interno dello spazio considerato privato.

3. Panoptismo nella Letteratura

3.1 Distopìa

Prima di intaccare la realtà esperibile, prima ancora di gremire le pubblicazioni dei sociologi e le riflessioni sulle riviste dei giuristi, l’incubo distopico di un futuro prossimo in cui ogni aspetto dell’esistenza viene condizionato, osservato e poi riflesso in immagini altre dal sé, ha costituito materia letteraria per la narrazione di società o comunità immaginarie, altamente indesiderabili e spaventose.

Il termine distopìa è stato coniato per antitesi quale contrario di utopia: un assetto sociale, politico e religioso, puramente ideale perciò concretamente irraggiungibile, ma che è proposto come modello a cui aspirare. Anche la letteratura distopica non trova riscontro nella realtà esperibile, descrive circostanze da incubo che non esistono ma in cui potremmo cadere, in quanto, almeno in linea teorica, a partire da queste premesse sembrano già concepibili. Lo scopo della distopia, speculare alla funzione di modello ideale dell’utopia, sarebbe quello di rammentare al fruitore quali potrebbero essere i risvolti apocalittici di pericoli reali già concretamente percepiti, ma portati tra le pagine della narrazione sino al parossismo fantastico ed eccessivo di epoche future e lontane.

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3.2 Il mondo nuovo

Il primo dipinto di una società sconvolta dal controllo lo delinea Aldous Huxley ne “Il mondo nuovo” (Brave New World nel titolo originale), pubblicato nel lontano 1932 e raffigurante la società globale dell’anno Ford 632. Lo scorrere del tempo infatti è conteggiato dal 1908, anno in cui entra in commercio il primo modello d’automobile Ford T; in altre parole, dalla nascita del modello fordista di catena di montaggio. Tale mondo sembra raffigurare il miraggio utopistico di una società perfetta: priva di guerre e priva di malattie, priva persino di una morte fisiologica. È una società che non conosce dolore ma nemmeno i veri affetti perché la famiglia è disgregata, è un concetto che non esiste più; viene incoraggiata la poligamia, si temono i legami esclusivi, perché “ognuno appartiene a tutti gli altri” (Huxley, 1933). Poiché tutto deve essere collettivo, la popolazione è invitata ad uniformarsi dal motto di "Comunità, Identità, Stabilità”, e viene rigidamente controllata da un governo unico, diviso in Sezioni, ciascuna amministrata da un Coordinatore. Ogni uomo, fin da quando è ancora un embrione, viene “condizionato”, prima dall’eugenetica e poi dagli Uffici di Propaganda e dal cd Collegio di Ingegneria Emotiva. La collettività è rigidamente suddivisa in caste chiuse, a seconda delle capacità intellettive e fisiche. Non esiste più alcun Dio e ogni tratto umano è bandito o riqualificato, distillato dentro l’uomo solo dopo essere stato filtrato e depurato. Ogni tendenza centrifuga è esorcizzata dall’assunzione di Soma, una droga euforizzante che calma le emozioni e allontana tristezza e preoccupazioni. La popolazione sembra accettare passivamente questo stato e gli eccezionali atti di resistenza sono puniti con l’esilio.

3.3 Il Grande Fratello

Se Huxley è stato il primo a immaginare un futuro distopico siffatto, il successo più grande lo ha riscosso George Orwell con il suo celebre romanzo “1984”. La data di cui si compone il titolo

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altro non è che l’inverso dei caratteri finali dell’anno in cui il romanzo, poi pubblicato nell’anno successivo, veniva scritto. Si legge di un’ulteriore distopia ambientata a Londra, capitale dell’Oceania, una delle tre potenze totalitarie in cui è stato suddiviso il globo dopo la guerra nucleare. Il romanzo distopico si presenta, poco dopo la conclusione della reale seconda guerra mondiale, come un’aperta critica al regime stalinista. Soprattutto occorre mettere in luce la capacità quasi profetica di Orwell nell’avere tratteggiato una società sovracontrollata dal Grande Fratello, l’occhio che tutto segue attraverso i “teleschermi” posizionati in ogni punto della città, privato o pubblico. Attraverso queste video-camere il controllo diviene totale, perché il potere contestualmente diffonde la sua propaganda con trasmissioni in uscita e sorveglia la collettività ricevendo in entrata immagini dei cittadini anche all’interno dei confini privati, «il teleschermo riceveva e trasmetteva simultaneamente (…) naturalmente non vi era nessun modo per sapere esattamente in quale determinato momento vi si stava guardando»38. Il potere è diviso tra diversi enti, i Ministeri, con competenze specializzate. Nella sua analisi l’autore di certo assume consapevolezza della centralizzazione dell’informazione in aumento; esiste addirittura un Ministero della Verità, il Miniver, che si occupa della propaganda di partito, creando o distruggendo informazioni, modificando libri o giornali del passato con lo scopo di sostenere le posizioni del governo attuale; e la Psicopolizia, o polizia del pensiero, che vigila sulla popolazione assicurandosi che nessuno commetta psicoreati, ossia qualsiasi forma di insubordinazione al partito, persino la non obbedienza inconscia. Perfino la lingua è stata modificata nella Neolingua, un linguaggio depurato per limitare la libertà di manifestazione del pensiero che non sia in accordo con l’ideologia di Partito (Orwell, 1950).

Nell’immaginario collettivo “orwelliano” è ormai divenuto attributo di una realtà futura, tremenda ma possibile, oppressiva

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George Orwell, 1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1950; 1° ed. originale Nineteen Eighty-Four, Secker & Warburg, 1949

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