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5. La rivoluzione digitale

5.3 Computer bias

I computer hanno perciò una capacità inedita di accumulare, cancellare o modificare dati in poche frazioni di secondo mediante operazioni apparentemente irrintracciabili. Tali tecnicismi sono una novità eccezionale quando posti in confronto con i mezzi di comunicazione tradizionali più risalenti e sarebbe

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proprio questo il bias50 dei computer se ci si immerge nell’analisi poc’anzi accennata di Innis.

Se scrivere serve a vincolare il tempo e la stampa a vincolare lo spazio, la potenziale forza di calcolo e la sua velocità distinguono le nuove telecomunicazioni come tecnologie spazialmente vincolanti, quasi imperialistiche. Le tecnologie sono “spazio- vincolanti” ossia possiedono maggiore forza potenziale grazie alla facilità e alla velocità della comunicazione51. Innis ha forse previsto in ambito sociale quello che poi nel settore informatico avrebbe preso il nome di esternalità di rete, fenomeno per il quale il valore di un bene (informatico) è tanto più grande quanto aumenta la sua diffusione. Superata una determinata soglia critica la diffusione di determinate tecniche telematiche, software, mezzi di comunicazione digitale, aumenta in modo progressivo e incrementale, creando una sorta di oligopolio di fatto o effetto di rete. Tanto che tale posizione teorica suggerisce quasi spontaneamente che chi conosce e gestisce tante informazioni, ossia tecnicamente chi ha accesso ai database, si trova a interfacciarsi necessariamente con il tema della distribuzione del potere.

Poiché il costo marginale di raccolta di informazioni è precipitato, è possibile la memorizzazione continua di informazioni, anche quelle prima considerate superflue, su vasta scala. La quantità di dati raccolta non è quantificabile, riguarda ogni aspetto della vita dei cittadini e comprende anche le interconnessioni tra tali dati, che generano nuovi dati, prodotto di calcoli algoritmici differenziali, trasformandoli in data doubles (“sosia costituiti da dati”)52. I dati possono infatti essere richiamati dalla memoria ma anche processati, collegati o sottoposti a un controllo incrociato tra computer.

Tralasciando per il momento la duttilità di tali doppioni di dati e i possibili problemi di distorsione delle informazioni connessi, è

50 Viene così definita la propria distorsione insita in ciascun strumento della

comunicazione umana (Innis, 1951)

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cfr. D. Lyon, L’occhio elettronico, cit., p. 78

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necessario mettere in luce che, tra le tipologie di dati originariamente inessenziali, grandissima parte è ormai costituita dalle preferenze dei consumatori. Registrate e memorizzate, talvolta previste e indovinate tramite complessi algoritmi, le propensioni dei consumatori possiedono a loro volta alto valore di mercato per chi voglia tentare di vincere la concorrenza ed è perciò disposto a pagarne un alto prezzo per garantirsi l’efficienza sul mercato.

Emerge perciò tutta la tecnologia e metodologia dei Big Data, l’analisi dei dati massivi: una mole smisurata di dati eterogenei, strutturati o non strutturati, sottoposti a studio per l’estrapolazione di “conclusioni”, ossia correlazioni e informazioni sulla condotta e sulle predilezioni degli individui che siano ricavabili da tali dati.

Inoltre, in questo caso come qualunque sia lo scopo dell’elaborazione dei dati, le macchine che processano dati massivi tendono per loro stessa natura digitale a comporre “dati personali”, che di personale hanno sono l’origine dell’informazione, destinati a fare le veci della persona. Ci si fida oggi, nelle operazioni burocratiche come nei rapporti umani sociali, di tale duplicato della persona – un sé ulteriore delineato da una data-immagine in un mondo digitale - ancor più che della persona stessa. Tuttavia questa persona altra, risultato algoritmico di una somma di calcoli che non sono decisioni umane ma dalle quali prendono solo spunto, è il risultato di un etichettamento tutto digitale ma i cui risultati sono destinati a riversarsi nelle reazioni sociali, perché incasellare condotte umane nell’alveo di operatività di tag potrebbe innescare valutazioni degne di richiamare alla memoria valutazioni proprie del labelling approach o semplicemente l’atteggiamento proprio della profezia che si autoadempie.

Tali qualifiche sono insiemi e sottoinsiemi delineati dagli algoritmi operativi che raccolgono le collettività nell’alveo di etichette atte a definire, ma anche delimitare, i loro gusti, le attività svolte, talvolta persino il carattere. Le categorie di persone che ne escono tratteggiate possono essere accomunate da aspetti

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riguardanti mere abitudini consumistiche o segnali d’allarme, variabili a seconda della politica criminale perseguita nel momento storico, atti a stilare una lista di persone di interesse, nei confronti delle quali rivolgere un’attenzione più approfondita rispetto a quella sorveglianza collettiva di routine, e solo perché rientrano in quello che Gary T. Marx ha definito un “sospetto categoriale53”. Il sospetto categoriale potrebbe essere paragonato all’ago di una bussola: esso si rivolge verso l’elemento categorizzato come sospetto, determinando la direzione in cui svolgere le indagini e i soggetti, rei plausibili, su cui avviare la ricerca dei colpevoli. Non è forse questo un metodo d’indagine per sua stessa natura inquisitorio?

Se si porta all’estremo la circostanza in analisi, si potrebbe ipotizzare un’inversione dell’onere della prova: una sovversione di fatto della presunzione di innocenza, perché alcuni elementi, una volta evidenziati, determinano una presunzione di sospettabile devianza che si sostanzia di nessi e relazioni ritagliate ad hoc da un algoritmo, talvolta per soddisfare i criteri di ricerca. Marx evidenzia dei casi di sospetto categoriale intrinsecamente legati a un pregiudizio diffuso, che notoriamente può variare al variare della δόξα (dòxa, opinione comune) del tempo. Perciò suoneranno campanelli d’allarme nei sistemi di sorveglianza di fronte ad ogni forma di comportamento classificato come una possibile forma di devianza: al ricorrere di un’etnia nei confronti della quale si sia precedentemente registrato un alto tasso di criminalità; quando si stia vagliando una zona della città cui comunemente appartengono numerosi delinquenti; in caso di spese straordinarie che si allontanano dal proprio consueto stile di consumo o dall’ordinario costo della vita (Marx, 1988).

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Gary T. Marx, Undercover: Police Surveillance in America, University of California Press, Berkeley, 1988, pp. 98-99

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5.4 Il rapporto tra memoria individuale e memoria