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Sorveglianza e Diritt

2. Sorveglianza legittima: il rapporto tra diritto e potere

2.3 La forza soggettiva dei brigant

La critica più pericolosa che Bobbio muove alla teoria kelseniana colpisce proprio la ragion d'essere della norma fondamentale. La Grundnorm è quella norma di chiusura del sistema giuridico che è concettualmente preferita dalle teorie normativiste in quanto permette di delimitare il limite ultimo del sistema dell'ordinamento giuridico in una norma anziché in un sommo potere, come prediligerebbe la teoria politica tradizionale dei teorici della sovranità.

Il potere statale stesso ha carattere normativo, poiché ogni potere è ridotto a potere giuridico grazie alla norma fondamentale. La funzione della Grundnorm sarebbe proprio quella di trasformare il potere in diritto perché essa sia autorizza il sommo potere a produrre diritto, sia comanda ai destinatari delle norme di rispettare il diritto emanato194.

Secondo Bobbio, poiché non vi è nessuna ulteriore norma di grado superiore, il fondamento della Grundnorm consisterebbe nel mero fatto della sua efficacia. E di fatto, è ciò che lo stesso Kelsen, messo con le spalle al muro dalla nota contestazione della banda di briganti, è costretto ad ammettere.

Se vi sia differenza tra una società giuridica e una banda di briganti è il problema tradizionale con cui si scontra la teoria giuridica e anche Kelsen ci si confronta nella seconda edizione della Reine Rechtslehre. Come distinguere ciò che prescrive una norma giuridica dal comando di un brigante, senza fare riferimento ad alcun principio etico?

Kelsen fonda la sua distinzione su una differenza di senso del comando: il comando di un organo statale e il comando di un bandito hanno lo stesso senso soggettivo, quale sia la bocca da cui proviene l’ordine, questo è pronunciato nella certezza che sia un ordine. Diverso è invece il senso oggettivo, perché solo la norma giuridica è interpretata come oggettivamente valida e legittima.

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Il motivo del diverso percepire oggettivo l’uno o l’altro comando risiede nel fatto che al comando statale viene attribuito un senso oggettivo in quanto si fa affidamento sul presupposto che l’organo emanante un comando sia stato validamente investito del potere giuridico di pronunciare quell’ordine e che quindi tale comando sia legittimo. Allo stesso modo, la norma che ha autorizzato quel potere statale a disporre un comando si presuppone che sia stata emanata da un ente che aveva il potere giuridico di farlo. E così via, risalendo da un potere autorizzato a un potere autorizzato che gli è superiore si procede a ritroso fino a giungere ovviamente al potere ultimo che a sua volta è regolato dalla norma fondamentale. E se il comando del bandito derivasse, anche questo, da una banda di briganti parimenti organizzata?

È così che Kelsen si trova costretto a ricorrere all’argomento dell’effettività: l’efficacia continua di un sistema giuridico propria solo di uno potere statale sul suo territorio, mancherebbe ai briganti, seppure organizzati. E cos’è l’efficacia continua se non il potere dei poteri? Ciò implica che è da considerarsi potere giuridico anche il potere di esercitare atti coercitivi per garantire l’applicazione e l’esecuzione delle norme.

Un ordinamento giuridico è valido solo se è anche efficace, cioè se le norme che esso produce sono a grandi linee (im grossen und ganzen) osservate195.

Tale sommo potere dello stato si risolve per Kelsen nel potere organizzato dal diritto, che è il potere stesso del diritto, ossia l’efficacia del diritto positivo.

Il fondamento di validità della norma fondamentale, origine della validità di tutte le norme del sistema, consisterebbe dunque nella sua effettività, nella sua accettazione diffusa: il fatto che gli obblighi derivanti da essa siano comunemente osservati e che di conseguenza il potere da essa istituito è effettivamente ubbidito. Ma così ragionando si passa senza accorgersene alla scala dei poteri, perché si afferma che la validità della norma fondamentale è fondata sull'effettività del potere ultimo da essa stessa istituito.

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A tal punto la norma fondamentale potrebbe apparire perfino superflua, ed è proprio questa la principale critica mossa da Bobbio. In quanto strutturalmente le si attribuisce il compito di legittimare un potere che però, essendo il potere ultimo e non intermedio, è un potere di fatto dunque non necessita di una giustificazione, in quanto trova la sua stessa ragione, necessaria e sufficiente, nel mero fatto concreto di esistere, di essere efficace, di essere ubbidito. Ed anzi è proprio il potere ultimo, secondo quanto sostiene Bobbio, a costituire l'unico fondamento di legittimità della norma fondamentale.

In quest'ottica la norma fondamentale assume una posizione particolare, un espediente utile per chiudere il sistema ma bifronte, la si richiama per giustificare un potere al quale però essa stessa si appella per essere fondata.
Appare infine chiaro come soprattutto al vertice delle due possibili scale in analisi lex et potestas convertuntur196, perchè in quel punto convergono potere e norma a contatto con la propria effettività ed efficacia, pertanto il diritto e il potere si caratterizzano per una stretta correlazione al vertice che ne manifesta l'interdipendenza reciproca.

Bobbio prende le mosse da una critica alla necessità, fuori dai formalismi, della norma fondamentale ma giunge a una conclusione che in ultima istanza lo pone sulla stessa linea kelseniana: il potere verrebbe prima ma è da considerarsi legittimo solo se e in quanto autorizzato dal diritto. È un’autorizzazione giuridica ad attribuire al potere carattere normativo, e sapremo se un potere ha tale carattere solo se è possibile risalire alla norma superiore che lo autorizza e quindi legittima.

La soluzione che ad alcuni197 pare tautologica, tradisce in realtà una predisposizione ideologica per lo Stato di Diritto.

196 N. Bobbio, Sul principio di legittimità, op. cit., pagg. 72-77 197

Cfr. A. Carrino, Introduzione. Oltre Kelsen Norberto Bobbio e la dottrina pura

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3. Tornare allo Stato Costituzionale