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Protezione del sistema democratico e diritto di associazione politica: uno sguardo ai sistemi italiano, tedesco e spagnolo

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA

Protezione del sistema democratico e diritto di

associazione politica: uno sguardo ai sistemi italiano,

tedesco e spagnolo

La Candidata

Il Relatore

Rosalinda Cimino Prof. Paolo Passaglia

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“Abbiamo vinto noi e sei diventato senatore; se aveste vinto voi io sarei morto o in galera”. Vittorio Foa.

“Resterà sempre uno dei migliori scherzi della democrazia: il fatto che essa stessa abbia fornito ai suoi mortali nemici gli strumenti con cui annientarla”. Joseph Goebbels.

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Indice

Introduzione……….5

CAPITOLO I: La protezione della democrazia in un’ottica comparata 1. Una domanda aperta……….8

2. La teorica della democrazia militante………..10

3. Il costo della protezione: un difficile bilanciamento tra esigenze di libertà e difesa del sistema democratico……….12

4. I modelli di protezione della rappresentanza………..14

5. La protezione della rappresentanza oltre lo scenario Weimariano: verso una definizione di partito antisistema………...20

6. I partiti antisistema nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo……….26

7. Le linee guida sullo scioglimento ed il divieto di costituzione dei partiti politici individuate dalla Commissione di Venezia….…30 CAPITOLO II: La protezione della rappresentanza in Italia 1. Le origini del dibattito italiano………..32

2. La disciplina costituzionale dei partiti politici………...35

3. La problematica attuazione dell’art. 49 Cost. it………49

4. La XII disposizione transitoria e finale……….58

5. L’attuazione legislativa della XII disposizione transitoria e finale……….61

6. Il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista nella giurisprudenza costituzionale………....69

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8. La legge Scelba e la legge Mancino al banco di prova: lo scioglimento di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale………..80

CAPITOLO III: La protezione della rappresentanza in Germania

1. I fallimenti della Repubblica di Weimar e l’eredità del nazismo nella Grundgesetz………..83 2. La protezione della rappresentanza politica nella fase di transizione alla democrazia...88 3. La formulazione dell’art. 21 GG………90 4. Questioni pregiudiziali all’applicazione dell’art. 21 GG…….. 92 4.1 Il concetto di partito politico………..95 4.2. La natura del partito politico………96 5. La protezione della democrazia interna dei partiti………..99 6. Il secondo comma dell’art. 21 GG e la protezione dell’ordinamento democratico e liberale………...106 7. Il sistema sanzionatorio di cui all’art. 21 GG……….107 8. Lo scioglimento della Sozialistische Reichspartei Deutschlands……….110

9. Lo scioglimento della Kommunistische Partei Deutschlands……….112

10. Il procedimento contro NPD: la nuova giurisprudenza del

Bundesverfassungsgericht………...118

11. La revisione costituzionale dell’art. 21 GG………...124

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CAPITOLO IV La protezione della rappresentanza in Spagna, in risposta al problema terroristico

1. La difesa del sistema democratico spagnolo dal fenomeno

terroristico………...126

2. Dal regime franchista alla transizione democratica: la libertà di associazione politica………130

3. La disciplina costituzionale sui partiti politici………….……134

4. La normativa pre-costituzionale sui partiti politici……….146

5. La novella legislativa sui partiti politici 6/2002: lo scioglimento di Batasuna………..152

6. La paventata illegittimità costituzionale della legge organica 6/2002……….160

7. Il giudizio della giurisprudenza sulla legge organica 6/2002………...165 Conclusioni………..170 Bibliografia………..175 Sitografia………...184 Giurisprudenza………...186 Riferimenti normativi………..…….. 187 Ringraziamenti………189

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di indagare i meccanismi di protezione

della rappresentanza politica dalle formazioni partitiche antisistema.

La questione si inserisce nel più ampio quadro di difesa del sistema democratico da elementi che ne compromettono l’integrità. Sebbene la questione sia di lunga data, la riflessione sul tema si sviluppa su basi normative nell’area euroatlantica a partire dal secondo dopo-guerra. Un ruolo determinante svolsero, qui, l'esperienza e il rifiuto dell'ideologia e dello stato totalitari. Perciò sotto l’influsso del costituzionalismo americano, si afferma nelle democrazie post totalitarie una corrente di pensiero nota come costituzionalismo contemporaneo o neo-costituzionalismo.

La premessa che precede pare imprescindibile poiché esiste una connessione necessaria tra le due questioni: l’esistenza di una costituzione rigida e garantita da un sindacato giurisdizionale di legittimità costituzionale costituisce un modo di limitare il principio maggioritario. A sua volta, l’idea di protezione della democrazia richiede un quid pluris rispetto alla mera rigidità dei testi costituzionali.

Secondo una classificazione accettata da buona parte della dottrina comparatistica1, la difesa del sistema democratico può realizzarsi

secondo soglie differenti. Perciò si distinguono: a. Una protezione della Costituzione che vada oltre la normale

rigidità costituzionale. In questo senso diversi ordinamenti

1 S. Ceccanti, D. Tega, La protezione della democrazia dai partiti antisistema: quando

un’esigenza può diventare un’ossessione, in Di Giovine (a cura di), Democrazie protette e protezione della democrazia, pp. 37-75.

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conoscono limiti alla revisione, sostanziali e procedurali. b. Una protezione dell’accesso al governo, rilevabile dalla previsione

in Costituzione di formule di giuramento del capo dello Stato, e del

governo di impegno alla difesa della Costituzione. c. Una protezione della rappresentanza, rilevabile dalla presenza di

meccanismi che intervengono già nella fase di creazione del consenso ovvero nella fase di assegnazione dei seggi elettorali. In quest’ultimo ambito, si distinguono i controlli interni relativi ai profili di democraticità interna ai partiti, da quelli assai più

problematici sulle finalità politiche perseguite dalle formazioni

partitiche.

Combinando le variabili sopraindicate, gli ordinamenti giuridici sono classificabili in2:

 Ordinamenti protetti integralmente: trattasi per lo più di forme di Stato non democratiche.

 Ordinamenti protetti: ove la protezione abbraccia tutte e tre le soglie sopra indicate (rappresentanza, Costituzione, accesso al governo).

 Ordinamenti limitatamente protetti: tali sono quelli in cui la protezione copre solo l’elemento tradizionale della rappresentanza, ovvero quello dell’accesso all’esecutivo o della Costituzione.

2 Ceccanti, Le democrazie protette: da eccezione a regola già prima dell’11 settembre in A. Loiodice (a cura di), Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee, Atti del Convegno annuale dell’AIC, Bari, 17-18 ottobre 2003, CEDAM, Padova, 2007, pp. 151 e ss.

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 Ordinamenti semi- protetti: in cui alla protezione della rappresentanza si accompagna la protezione della Costituzione o dell’accesso all’istituzione governativa.

 Ordinamenti non protetti: caratterizzati dall’assenza di disposizioni di protezione.

L’obiettivo del presente lavoro è allora quello di riflettere sull’opportunità e sulle criticità dei meccanismi di protezione della rappresentanza, adottati in vari ordinamenti, per verificare entro quali limiti l’obiettivo della protezione sia tollerabile nell’ambito di ordinamenti che pur si definiscono democratici. In quest’ottica, dopo una breve trattazione dei profili generali della questione, seguirà l’analisi dei meccanismi di protezione della rappresentanza, in uso negli ordinamenti spagnolo, italiano, tedesco. La scelta dei tre Paesi su cui incentrare l’analisi che segue è dettata in parte da ragioni di omogeneità storica, in parte dalla necessità di verificare come i secolari meccanismi di difesa del sistema democratico vengano piegati nell’attualità per rispondere a quelle che si considerano le

nuove minacce all’ordine democratico3.

3 In questo senso non si può prescindere da un’analisi del caso spagnolo, dove la questione è stata legislativamente affrontata, con un occhio di riguardo alle formazioni partitiche connesse alle associazioni terroriste.

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CAPITOLO I:

LA PROTEZIONE DELLA DEMOCRAZIA IN

UN’OTTICA COMPARATA

SOMMARIO: 1. Una domanda aperta – 2. La teorica della democrazia militante – 3. Il costo della protezione: un difficile bilanciamento tra esigenze di libertà e difesa del sistema democratico – 4. I modelli di protezione della rappresentanza – 5. La protezione della rappresentanza oltre lo scenario Weimariano: verso una definizione di partito antisistema – 6. I partiti antisistema nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo – 7. Le linee guida sullo scioglimento ed il divieto di costituzione dei partiti politici individuate dalla Commissione di Venezia.

1. Una domanda aperta

Berlino, 30 gennaio 1933. Il Presidente del Reich Hindenburg nomina alla cancelleria del Paese Adolf Hitler. Pochi mesi prima, le elezioni politiche del 1932 avevano consegnato al Partito Nazista ben 230 seggi nel Reichstag, facendone il primo partito di Germania. Il crollo della Repubblica di Weimar apriva così le porte ad uno dei regimi più sanguinari su scala mondiale e con esso alla catastrofe, per la storia della Germania e del mondo intero.

Se la Repubblica di Weimar fosse condannata ab initio è una domanda che spesso ritorna nella ricerca storica. Certamente essa era nata dalle macerie della Grande Guerra e con l’arduo compito di ripararne le conseguenze. Avrebbe affrontato così una lunga serie di contingenze politiche ed economiche, tutti fattori che con ogni probabilità avrebbero scosso ogni democrazia. Ciononostante, la vittoria dei nazionalsocialisti fu possibile solamente in quanto le

élites dell’industria, i latifondisti, l’esercito e l’alta borghesia

volevano la svolta autoritaria e vedevano nella soluzione nazionalsocialista una valida ricetta di benessere. Weimar cadde quindi, soprattutto, sotto i colpi inferti dai suoi nemici, senza grossi

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ostacoli né colpi di stato, ma nel pieno rispetto delle procedure democratiche. La storia del dramma nazista ha cosi evidenziato con chiarezza la fragilità della forma democratica, alcuni suoi elementi problematici che pur si ripropongono nell’attualità, i pericoli che può correre la libertà di una nazione. Per queste ragioni, uno degli interrogativi che spesso ritorna nella riflessione giusfilosofica odierna è se i regimi democratici siano chiamati alla tolleranza ovvero alla difesa dai loro nemici: da chi, agendo in uso o abuso delle libertà che la forma democratica garantisce, si pone lo scopo finale di rovesciarne le regole del gioco.

2. La teorica della democrazia militante

È per rispondere a quest’interrogativo che è stata allora coniata l’espressione “democrazia militante”: trattasi di una locuzione introdotta nel lessico giuspubblicistico e politologico da Karl Loewenstein, un costituzionalista tedesco di estrazione ebraica. Nel 1937 lo studioso pubblica due articoli nell’American Political

Science Review4, poi riconosciuti dalla dottrina successiva come fondamento teorico del concetto di democrazia militante. La sua teorica prende spunto all’evidenza dall’affermarsi dei regimi dittatoriali in Italia e Germania. Attraverso un’analisi comparativa della legislazione di diversi paesi europei, Loewenstein individua la principale causa dell’ascesa dei regimi fascisti in Europa nella capacità propria di tali formazioni partitiche di sfruttare le libertà proprie della forma democratica, per rovesciarne dall’interno il sistema. L’origine di tutti i mali va invece ricercata nell’adesione ad una concezione di democrazia liberale di stampo Kelseniano, per la

4 K. Loewenstein, Militant Democracy and Fundamental Rights, in The American

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quale a tutte le posizioni e voci politiche, fossero anche contrarie alla democrazia, vanno riconosciute eguali libertà di espressione e partecipazione. Perciò, non basta affidarsi ai valori della forma democratica per metterla a riparo da voci minatorie, ma occorre predisporre una serie di misure protettive di carattere permanente. La democrazia, in altri termini, dev’essere militante e le sue armi devono consistere nel ricorso ad una legislazione che limiti la libertà di manifestazione del pensiero, di associazione e riunione di movimenti antidemocratici, che preveda la proibizione di partiti politici incostituzionali, l’esclusione dall’accesso ai pubblici uffici e finanche la perdita della cittadinanza di quanti perseguono il fine di mutare le regole del gioco democratico. Lo studioso si mostra ben consapevole dei rischi che una legislazione siffatta presenta, ma ritiene che la sua introduzione sia necessaria, anche a costo di violare principi e diritti fondamentali. Viceversa, il limite della protezione consentita consta proprio nella conservazione del sistema democratico.

3. Il costo della protezione: un difficile bilanciamento tra

esigenze di libertà e difesa del sistema democratico

Due sono solitamente i limiti denunciati della teorica di Loewenstein. Il primo sintetizza a pieno un paradosso quasi insuperabile e con cui le democrazie odierne si confrontano: se la forma democratica è soprattutto un concetto di libertà ed eguaglianza che garantisce i diritti individuali, come giustificare la restrizione di quegli stessi diritti, in nome di una presunta o vera minaccia all’integrità della forma democratica? La seconda obiezione a cui si presta la teorica sopracitata riguarda invece la definizione stessa dei nemici della democrazia: contro chi e cosa vanno apprestate le misure protettive? E quale criterio seguire nella definizione dei

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“nemici della democrazia”? La decisione di chi costituisce una minaccia o un pericolo alla forma

democratica, secondo parte della dottrina5, sarebbe arbitraria, in quanto non sussumibile all’interno di alcun principio logicamente prioritario. E proprio questa arbitrarietà della decisione di esclusione vale ad evidenziare il rischio a cui espone una teorica siffatta: quello cioè di fornire al potere i mezzi necessari ad escludere qualunque avversario politico sgradito dalla competizione elettorale. In questo senso l’ordinamento democratico rinnegherebbe la sua stessa natura, in quanto un ordinamento è democratico perché correggibile6, in

quanto cioè accetti di rendere rivedibili le sue regole. In questo consta la natura relativistica della forma democratica7: per sua natura, la forma democratica rifiuta i dogmi assoluti e le verità indiscutibili e consente invece l’espressione di valori e opinioni plurimi.

D’altra parte, la premessa che precede vale ad introdurre uno dei temi classici più dibattuti nella riflessione giusfilosofica contemporanea: quello della contrapposizione tra una configurazione procedurale ed una sostanziale della democrazia. In sintesi, la democrazia è un mero metodo di assunzione delle decisioni, ontologicamente avalutativo rispetto al contenuto delle stesse o è, viceversa, un contenitore di valori e principi che segnano altresì il limite entro il quale può e deve realizzarsi liberamente il dialogo e la deliberazione democratica? Senza la pretesa di fornire alcuna risposta, è da segnalare come una parte della dottrina8 abbia evidenziato la difficoltà di cogliere una

5 C. Invernizzi Accetti e I. Zuckerman, What’s wrong with Militant Democracy?, in

Political Studies, n. 65/2017, pp. 182 –199.

6 N. Bobbio, Il futuro della Democrazia, Corriere della Sera, Torino, 2011, p.75. 7 G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, Torino, 2016, p. 15-18. 8 A. Algostino, Democrazia protetta o aperta agli stranieri e alle culture? Primi

elementi per una riflessione, in A. Di Giovine (a cura di), op.cit., Giappichelli,

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concezione di democrazia meramente procedurale e quindi assolutamente neutra rispetto all’oggetto della decisione: invero, la stessa scelta della procedura democratica, in luogo di altra ipotizzabile, implica di per sé un giudizio di valore che rimanda ad un nucleo di principi e libertà coessenziali allo stesso metodo democratico9.

Se si danno per vere allora le premesse che precedono, non si può far a meno di notare che proprio le costituzioni democratiche, sorte dopo la parentesi storica del nazismo, affermano valori e principi essenziali, sottraendoli all’instabilità del gioco politico e trasformandoli in presupposti che ogni governo che si dica democratico deve rispettare.

4. I modelli di protezione della rappresentanza

Tra gli aspetti ad un tempo più caratteristici e problematici della protezione del principio democratico figura quello della rappresentanza, e segnatamente dei controlli sulle finalità ideologiche perseguiti dai partiti. Tale opzione è perseguibile con meccanismi caratterizzati da vari gradi di intrusività10: i limiti sanciti

9 A. Pintore, Procedure democratiche e democrazia deliberativa. A proposito di un

libro di José Luis Martí, in Diritto e questioni pubbliche, n.9/2009, p.338 ha osservato

che: “è verissimo che le procedure hanno i loro contenuti e i loro presupposti, alcuni dei quali consistono, per quel che riguarda le procedure democratiche, in diritti individuali. Ma non bisogna credere che tutti (quali poi sarebbero?) i diritti siano parte integrante dei contenuti o dei presupposti procedurali. A tal proposito ho ritenuto opportuno distinguere tra i diritti che sono costitutivi e i diritti che sono presupposti delle procedure democratiche, nonché entrambi dai diritti irrelati alle procedure medesime. Vi sono dunque diritti la cui esclusiva giustificazione riposa sul loro nesso concettuale con la democrazia (tali sono i diritti, appunto, politici); vi sono poi diritti che giustifichiamo anche perché strumentali all’operatività delle procedure democratiche (ad esempio la libertà di opinione, associazione e riunione o l’habeas corpus); vi sono infine diritti che giudichiamo meritevoli di protezione per ragioni largamente diverse dalla giustificazione della democrazia (proprietà, libertà religiosa, diritto alla salute ecc.)”.

10 S. Ceccanti, D. Tega, La protezione della democrazia dai partiti antisistema:

quando un’esigenza può diventare un’ossessione, in Di Giovine (a cura di), op.cit.,

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alla libertà di manifestazione del pensiero politico, la scelta del sistema elettorale adottato11, l’esclusione dal finanziamento pubblico dei partiti politici considerati antisistema12, la loro esclusione dalla sola competizione elettorale, infine la proibizione/ dissoluzione dei medesimi.

Non solo, tra gli elementi che concorrono a differenziare il grado di protezione della rappresentanza di ciascun ordinamento rilevano: il livello normativo delle relative disposizioni; il grado di dettaglio delle fattispecie impiegate; l’oggetto della protezione, la previsione di procedure ad hoc con indicazione delle relative autorità competenti, la direzionalità della protezione13.

In questa cornice, particolare attenzione merita la misura dello scioglimento dei partiti. Infatti, la sua previsione è atto che non soltanto compromette la libertà di associazione, ma che attenta direttamente al cuore della legittimazione democratica delle decisioni pubbliche. Come noto, i partiti politici sono il principale canale di partecipazione alla democrazia, la forma associativa che più di ogni altra consente di raccogliere e canalizzare le preferenze degli elettori, selezionando il personale politico agli incarichi pubblici elettivi. Ne segue quindi che la loro esclusione dalla vita

11 S. Bagni, Tecniche comparate di tutela dei diritti civili: un approccio critico alle classificazioni tradizionali, in Pace diritti umani, n.2/2004, pp. 69-70.

ha osservato che “Il sistema elettorale francese permette la più ampia estrinsecazione del principio democratico al primo turno, dove ogni partito può concorrere autonomamente. Al secondo turno invece, l’alta percentuale di sbarramento impone ai partiti minori la creazione di coalizioni mentre limita di fatto la possibilità di vittoria dei partiti più estremisti, non in grado di creare alleanze elettorali”.

12 In questa direzione e su indicazione del Bundesverfassungsgericht, il legislatore costituzionale tedesco ha approvato il 7 luglio 2017 una revisione costituzionale che aggiunge due nuovi commi – il III e il IV – all’art. 21 GG. In base a tale novella il Tribunale costituzionale federale può escludere dal finanziamento pubblico quei partiti che, anche se non dichiarati incostituzionali, per le finalità che si prefiggono, o per il comportamento dei loro aderenti si propongono di attentare all’ordinamento costituzionale democratico e liberale o di sovvertirlo, o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica federale di Germania.

13 L. Pegoraro, A. Rinella, Sistemi giuridici comparati, Giappichelli, Torino, 2017 p. 634.

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pubblica, se non vuole risolversi in un grave attentato al principio democratico, deve essere misura indispensabile alla difesa del sistema democratico e mai sproporzionata14. In quest’ottica, la dottrina comparatistica ha individuato alcuni paradigmi fondamentali, invalsi nella legislazione e giurisprudenza degli ordinamenti che ricorrono a questo strumento protettivo.

Peter Niesen15, esperto di teoria e storia del pensiero politico, individua tre criteri invalsi per la messa al bando dei partiti politici: 1. L’anti estremismo;

2. Il Repubblicanesimo negativo; 3. La società civile.

L’anti estremismo è un fondamento di giustificazione impiegato per mettere al bando partiti politici che veicolano un’ideologia totalitaria, sia essa di destra o di sinistra. In questo senso è modello politicamente neutro e al quale si attaglia perfettamente la prima fase evolutiva della giurisprudenza del Tribunale costituzionale Federale tedesco. All’evidenza, lo stesso tenore letterale dell’art. 21, II comma, della Legge fondamentale per la Repubblica federale tedesca16 non discrimina tra eresie di destra o di sinistra ed esprime invece un pari disfavore nei confronti di tutte le ideologie non democratiche, a prescindere dalla coloritura politica.

Per questo motivo, l’approccio in esame implica necessariamente una precisa definizione terminologica di ordine democratico.

14 In questo senso si è espressa la Commissione Europea per la democrazia attraverso il diritto nelle Guidelines on Prohibition and dissolution of political parties and

analogous measures, consultate

in https://www.venice.coe.int/WebForms/pages/?p=02_parties&lang=IT.

15 P. Niesen, Anti-extremism, Negative Republicanism, Civic Society: Three

Paradigms for Banning Political Parties, in German Law Journal, n.7/2002, p.81-

112.

16 “I partiti, che per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti mirino ad attentare al libero e democratico ordinamento costituzionale o a sovvertirlo o a mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica Federale di Germania sono incostituzionali. Sulla questione di incostituzionalità decide la Corte costituzionale federale.”

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Viceversa, il repubblicanesimo negativo non individua un nemico “astratto” dal quale proteggersi, ma guarda ad un precedente storico concreto, rispetto al quale è esplicito un giudizio di condanna e nel quale si individua il limite della protezione consentita. Perciò è paradigma che consente di giustificare la proibizione e dissoluzione di quei partiti politici che per nome, programma politico, e altre variabili richiamano un precedente autoritario specifico ed espressamente proibito. In questo senso fa scuola il caso dell’ordinamento giuridico italiano, che, diversamente da quello tedesco, con la sola eccezione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, non può ascriversi tra gli ordinamenti giuridici protetti17

Il terzo e ultimo paradigma individuato da Niesen esprime invece un nuovo approccio al tema della protezione della rappresentanza, fondato su una distinta concezione di democrazia e dei pericoli emergenti per la stessa nell’attualità. Secondo questo diverso paradigma, le restrizioni alla libertà di associazione non costituiscono né un’eccezione alla regola, né una contraddizione in termini da risolvere, ma sono solo la naturale e diretta conseguenza dell’adesione alla forma democratica. In altri termini, la scelta della forma democratica, in luogo di altra, implicherebbe, più che il diritto, il dovere di assicurarne la conservazione, per le minoranze e per le future generazioni. In questo senso, l’ordine democratico non è da

17 Secondo Niesen, queste differenze trovano una loro ragion d’essere nel processo di transizione verso la forma democratica ospitato dai due paesi: mentre l’Italia deve significativamente (anche se non esclusivamente) la caduta del fascismo ad un movimento nazionale di resistenza che trova menzione finanche nel Preambolo della Costituzione Italiana, nessun riferimento esplicito di tal guisa è invece contenuto nel

Grundgesetz, sul quale invece fu preponderante l’influenza delle forze alleate

americane, in uno scenario che lasciava già presagire lo scoppio della Guerra Fredda. Inoltre, mentre il Partito Comunista Italiano trovò uno spazio importante nella Costituente, l’allora KPD tedesco non partecipò alla stesura del Grundgesetz, esprimendo invece il suo disfavore, sul presupposto che tale stesura avrebbe reso l’unificazione tedesca assai più complicata.

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proteggere contro estremismi o derive autoritarie del passato, ma deve esso stesso proteggere le minoranze più vulnerabili e le future generazioni. Il corretto funzionamento del sistema democratico passa cioè non solo attraverso la garanzia di un equo esercizio delle libertà politiche, ma attraverso il riconoscimento pieno del valore dell’uguaglianza, della reciprocità e promuovendo un dialogo aperto e pacifico. Questo approccio al tema in esame, come evidenziato da Niesen, sconta tuttavia nella prassi applicativa il rischio di essere adoperato non solo per colpire formazioni partitiche che attentano all’ordine democratico, in termini di mezzi o anche solo di intenzioni, ma anche semplicemente quelle non impegnate a sufficienza nella difesa dell’ordine democratico.

Un’altra classificazione da segnalare è quella proposta da Samuel Issacharoff18. Lo studioso statunitense individua tre approcci percorribili per proteggere la rappresentanza da formazioni partitiche antidemocratiche: l’adozione di un codice elettorale che regolamenti e limiti il contenuto della propaganda e della comunicazione politica; l’esclusione dalla sola competizione elettorale di formazioni partitiche, che possono tuttavia, al di fuori dei giochi elettorali, continuare a svolgere la loro attività e mantenere la loro organizzazione; la proibizione delle formazioni partitiche che non accettano i principi fondamentali dell’ordine sociale. Nell’ambito di quest’ultimo approccio, Issacharoff individua tre distinti criteri di giustificazione: la proibizione può riguardare:

1. formazioni partitiche supportate da movimenti insurrezionali o terroristi;

2. partiti politici schierati con forze minoritarie indipendentiste, distinte per etnia o religione, che attentano all’integrità territoriale di

18 S. Issacharoff, Fragile Democracies, in Harvard Law Review, n.6/2007, pp. 1421- 1451.

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un ordinamento giuridico;

3. partiti che si prefiggono l’obiettivo della modifica dei valori della democrazia liberare, ma nel rispetto delle procedure democratiche. Quanto al primo gruppo, esso ricomprende formazioni partitiche che, sebbene non trovino solitamente un ampio consenso elettorale, si servono dell’arena elettorale per attacchi insurrezionali allo stato o per supportare attività illegali. Questa categoria include quindi sia i partiti politici finanziati da organizzazioni criminali che, partiti operanti al servizio di una potenza straniera. In quest’ultima categoria, Issacharoff vi fa quindi rientrare l’emblematico caso del

Kommunistische Partei Deutschlands (KPD), sciolto dal

Bundersverfassungsgericht, in applicazione all’art. 21, II comma,

GG nel lontano 1956. La decisione di scioglimento viene infatti disposta dalla Corte tedesca, non su basi ideologiche, ma in quanto considerava il KPD un’organizzazione operante al servizio della potenza sovietica nemica19.

Nel secondo gruppo rientrano invece quelle formazioni partitiche che, analogamente alle prime, perseguono l’obiettivo di alterare la forma di stato, ma diversamente dalle prime sposano la causa di una minoranza religiosa o etnica del paese, ritenuta oppressa. Tipicamente la loro rivendicazione consta quindi nell’indipendenza di una parte del territorio, popolato da tale minoranza, dalla sovranità statale, in nome del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Secondo Issacharoff, tali formazioni partitiche sono spesso il bersaglio politico più colpito, in quanto molti ordinamenti si dotano di previsioni che rendono indiscutibile la questione dei confini

19 A tal proposito, Issacharoff non manca di segnalare come nonostante i continui riferimenti fatti dalla Corte alle iniziative intraprese dal KPD per screditare le istituzioni della Germania dell’Ovest ed i legami del paese con le forze alleate statunitensi, non emerge dalle motivazioni fornite alcuna prova fondata del sostegno dato dalla potenza sovietica al KPD.

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territoriali. Lo studioso fa perciò rientrare in questa categoria, tra gli altri, l’emblematico caso della Costituzione turca, il cui preambolo espressamente20 vieta ogni iniziativa intrapresa per compromettere l’indivisibilità dello Stato e del suo territorio. Quanto alle formazioni partitiche21, la stessa Costituzione prevede una procedura di scioglimento dei partiti politici, demandata alla Corte costituzionale e da azionare allorché lo statuto, il programma o le attività del partito siano confliggenti, tra gli altri principi, con l’indipendenza dello stato e la sua indivisibile integrità. Tali previsioni sono state invocate diverse volte per mettere al bando formazioni partitiche sgradite e su alcune di queste decisioni ha avuto modo di pronunciarsi finanche la Corte di Strasburgo. In quest’ottica sono perciò da segnalare: la decisione di scioglimento del Partito Comunista turco, disposta il 16 luglio del 1991, sul presupposto che l’utilizzo dell’aggettivo vietato comunista e il riconoscimento nel programma del partito della nazione curda oltre che turca, promuovessero l’esistenza di minoranze etniche e linguistiche, contro la previsione costituzionale22; la decisione di scioglimento del Partito socialista

turco, disposta il 10 luglio 1992 sul presupposto che il riferimento alla nazione curda insieme con quella turca e il riconoscimento dell’esistenza della nazionalità turca mirasse all’obiettivo di creare una federazione curdo-turca, in contrasto con l’unità e integrità

20 “…That no protection shall be accorded to an activity contrary to Turkish national interests, Turkish existence and the principle of its indivisibility with its State and territory, historical and moral values of Turkishness; the nationalism, principles, reforms and civilizationism of Atatürk and that sacred religious feelings shall absolutely not be involved in state affairs and politics as required by the principle of secularism;”

21 Vd art. 68 e 69 della Costituzione turca.

22 Sul punto ha avuto modo di pronunciarsi nella decisione Parti communiste unifiè

de Turquie c. Turquie (30-01-1998) la Corte di Stasburgo: ritenendo la misura dello

scioglimento nel caso di specie sproporzionata e non necessaria e quindi adottata in violazione dell’art. 11 CEDU.

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territoriale dello stato23.

Si noti a riguardo che le due categorie suddette abbracciano l’esempio di formazioni partitiche che non possono definirsi in senso stretto “antidemocratiche”: nessuna di esse invero rigetta espressamente il sistema democratico, promuovendo una diversa forma di governo. In questi casi, secondo Issacharoff, la decisione di scioglimento del partito deve accompagnarsi perciò ad una valutazione prognostica di pericolosità dello stesso, che ne constati il collegamento diretto ad un’attività illegale ed un imminente danno. Quanto alla terza e ultima categoria, Issacharoff vi fa rientrare quelle formazioni partitiche che si pongono l’obiettivo di smantellare i principi della liberaldemocrazia, ma nel rispetto delle procedure democratiche. Rientrerebbe, ad esempio, in questo ambito il caso del partito turco Refah (partito del benessere): un partito d’identità religiosa islamica, che all’epoca dei fatti era il più rappresentato in parlamento e parte della coalizione di Governo turco. In questo caso la decisione di scioglimento venne fondata sull’asserita contrarietà del partito in parola al principio del secolarismo e, diversamente dai casi precedenti la decisione trovò in questo caso l’avallo della Corte di Strasburgo.

23 Analogamente al caso precedente, anche qui la Corte di Strasburgo, chiamata ad intervenire, ha ritenuto la misura di scioglimento non necessaria alla difesa dell’integrità statale e quindi contraria all’art. 11 CEDU.

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5. La protezione della rappresentanza oltre lo scenario

Weimariano: verso una definizione di partito

antisistema

Come anticipato, la questione della difesa dell’ordine democratico ha ricevuto significativa attenzione con l’affermarsi nello scenario europeo dei regimi totalitari del secolo scorso. Invero, la memoria del dramma nazista ha fatto emergere, insieme alla fragilità della forma democratica, la consapevolezza della necessità di proteggere la medesima. In questo contesto, l’attenzione al tema della protezione della rappresentanza, ed in particolare ai meccanismi di scioglimento dei partiti antidemocratici, è cresciuta con un riferimento naturale allo scenario weimariano e alle contingenze che avevano favorito l’ascesa del regime nazista. È così emerso un modello di giustificazione dello scioglimento dei partiti antidemocratici, noto come “Paradigma di Weimar”.

Tale modello enfatizza il ruolo delle libere elezioni come principale indicatore del grado di salute di un sistema democratico. Quest’enfasi riposta nelle libere elezioni quale carattere irrinunciabile del metodo democratico si spiega sul presupposto della reversibilità del sistema: in altri termini, quali che siano i fini perseguiti e le azioni intraprese concretamente da ciascun governo, il metodo democratico sempre implicherebbe la libera scelta degli elettori, ai quali, in definitiva, deve essere rimessa, nell’esercizio del diritto di voto, l’ultima parola. Viceversa, l’abolizione delle libere elezioni è considerata la forma paradigmatica dell’agire antidemocratico. Ne consegue che tale paradigma, al quale si attagliano, pur con quale forzatura, le classificazioni prima citate, consente di giustificare la dissoluzione dei soli partiti politici

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“antidemocratici” nel senso ristretto del termine, ossia ostili al multipartitismo e alle libere elezioni. Inoltre, l’impiego di questo criterio consente di giustificare la decisione di mettere al bando una formazione partitica antidemocratica, solo quando questa costituisce una reale minaccia all’ordine democratico, e quindi mutatis mutandi trova un ampio consenso elettorale. Viceversa, qualora questa condizione non si avveri, la misura dello scioglimento sarebbe, in quest’ottica, da evitare, perché sproporzionata rispetto al fine della difesa del sistema democratico.

Ciò premesso, di recente la questione della protezione della democrazia dai suoi veri o presunti nemici ha nuovamente incontrato l’interesse degli studiosi. A mutare questa volta è però il contesto in cui essa si inserisce: uno scenario in cui la principale minaccia alle democrazie odierne non pare più (fatta eccezione per quegli ordinamenti in cui processo di transizione verso la democrazia è ancora in corso) essere rappresentata da formazioni partitiche offerenti una seria alternativa al sistema democratico24. Al contrario, la più recente casistica giurisprudenziale in punto di dissoluzione dei partiti politici annovera il caso di formazioni, spesso di neonata costituzione, che si considerano problematiche da altro punto di vista. In alcuni casi, ad esempio, vengono in considerazioni partiti che istigano all’odio o alla discriminazione, su basi razziali, etniche e nazionali. Per queste ragioni, alcuni ordinamenti si dotano di previsioni utili a bandire tali formazioni25. Un caso di questo

24 E comunque ove presenti, il consenso che tali movimenti trovano è generalmente tanto basso da non essere allarmante.

25 È il caso ad esempio della Spagna: la cui legge organica 6/2002 prevede all’art.9, co 2, lett. a: “Un partido político será declarado ilegal cuando su actividad vulnere los principios democráticos, particularmente cuando con la misma persiga deteriorar o destruir el régimen de libertades o imposibilitar o eliminar el sistema democrático, mediante alguna de las siguientes conductas, realizadas de forma reiterada y grave: a) Vulnerar sistemáticamente las libertades y derechos fundamentales, promoviendo, justificando o exculpando los atentados contra la vida o la integridad de las personas,

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tipo ha coinvolto il partito tedesco Nationaldemokratische

Partei Deutschlands: accusato di destabilizzare l’ordine

democratico, per via del suo atteggiamento aggressivo e discriminatorio. I procedimenti giudiziari intentati a carico del NPD sia nel 2003 che nel 2017 sono tuttavia falliti.

In altri casi, invece, problematiche sembrano essere quelle formazioni partitiche che incoraggiano o supportano il ricorso alla violenza o al terrorismo. In questo senso, emblematico è il caso della Spagna, la cui legge organica 6/2002 contiene un esplicito riferimento ai partiti politici che istigano all’uso della violenza come metodo per il perseguimento degli obiettivi politici o che appoggiano politicamente l’azione di organizzazioni terroristiche26. Tali

previsioni hanno, tra l’altro fornito, una base legale per bandire nel 2003 il partito politico Batasuna, sul presupposto che fosse il braccio politico dell’organizzazione armata ETA. Talvolta la messa al bando è altresì praticata contro quei partiti che si considerano una minaccia all’identità o all’integrità territoriale dello stato e alla sua indipendenza. In questo senso, pare emblematico il caso già menzionato dell’ordinamento turco. La costituzione turca autorizza lo scioglimento definitivo di tutte le formazioni partitiche, i cui programmi, statuti o attività siano contrari ad un nucleo di principi

o la exclusión o persecución de personas por razón de su ideología, religión o creencias, nacionalidad, raza, sexo u orientación sexual”.

26 L’art.9, II comma, lett.b. e c. cosi dispone: “Un partido político será declarado ilegal cuando su actividad vulnere los principios democráticos, particularmente cuando con la misma persiga deteriorar o destruir el régimen de libertades o imposibilitar o eliminar el sistema democrático, mediante alguna de las siguientes conductas, realizadas de forma reiterada y grave: b) Fomentar, propiciar o legitimar la violencia como método para la consecución de objetivos políticos o para hacer desaparecer las condiciones precisas para el ejercicio de la democracia, del pluralismo y de las libertades políticas. c) Complementar y apoyar políticamente la acción de organizaciones terroristas para la consecución de sus fines de subvertir el orden constitucional o alterar gravemente la paz pública, tratando de someter a un clima de terror a los poderes públicos, a determinadas personas o grupos de la sociedad o a la población en general, o contribuir a multiplicar los efectos de la violencia terrorista y del miedo y la intimidación generada por la misma.”

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individuati nella Costituzione e che valgono a definire l’identità dell’ordinamento turco27. Queste previsioni sono state impiegate sia

per lo scioglimento poi fallito di taluni partiti accusati di secessionismo, che nel recente caso riguardante la formazione partitica Refah, considerata ostile al principio del secolarismo. Ancora diverso è il caso, assai più frequente nello scenario politico odierno e dunque meritevole di considerazione, di quelle formazioni politiche che la dottrina politologica definisce, non già “antisistema”, piuttosto “populiste”: a differenza delle precedenti, in questo caso oggetto di contestazione non è la democrazia, ma l’establishment e le deformazioni di essa, nel costante richiamo agli ideali democratici, ed anzi pretendendo di volerne dare attuazione innovativa ma più scrupolosa28. L’esperienza di tali movimenti, assai significativa in termini di consensi, oltre a poter comportare rischi per la democrazia come configurata nelle regole del costituzionalismo codificato, si indirizza nel medesimo tempo alla sollecitazione a ricercare l’opinione del cittadino, anche e soprattutto quando si tratti di adeguare strumenti organizzativi e procedurali del costituzionalismo29.

Gli scenari individuati evidenziano perciò la necessità di fondare la riflessione sul tema su basi diverse. In quest’ottica, Gur Bligh30 ha

27 Così si desume dal combinato disposto degli artt. 68, IV comma e 69, V comma Cost. Turca. Art. 68, 4 comma: “The statutes and programs, as well as the activities of political parties shall not be contrary to the independence of the State, its indivisible integrity with its territory and nation, human rights, the principles of equality and rule of law, sovereignty of the nation, the principles of the democratic and secular republic; they shall not aim to promote or establish class or group dictatorship or dictatorship of any kind, nor shall they incite citizens to crime”. Art. 69, comma 5: “The permanent dissolution of a political party shall be decided when it is established that the statute and program of the political party violate the provisions of the fourth paragraph of Article 68”.

28 G. F. Ferrari, Partiti antipartito e partiti antisistema: nozione e tipologie alla prova

del diritto comparato, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n.3/2015, p. 926.

29 Ibidem.

30 G. Bligh, Defending Democracy: New Understanding of the Party-Banning

Phenomenon, in Vanderbilt Journal of Transnational Law, n. 46/2013, pp. 1321-

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sottolineato l’opportunità di adottare un paradigma alternativo a quello weimariano e che consenta di dar conto di quest’emergente fenomenologia. Questo nuovo paradigma, definito dallo studioso “paradigma di legittimità”, muove dalla constatata necessità di interrogarsi sui mutamenti intervenuti, da qualche decennio, nella

natura e nel ruolo delle formazioni partitiche.

A tal proposito, lo studioso americano fa notare che, sebbene i partiti politici nascano come corpi intermedi tra società civile e Stato, diventano sempre più simili a entità parastatali. Il finanziamento pubblico, presente in quasi tutta Europa, la regolazione pubblica dello spazio loro riservato nei mass media, la tendenza crescente alla loro regolamentazione, in specie da un punto di vista finanziario, valgono a testimoniare l’importanza crescente dei partiti e il loro ruolo predominante all’interno del sistema democratico. Questi sviluppi trovano un riflesso diretto nel riconoscimento del loro status a livello costituzionale e nella frequente attribuzione a loro di funzioni istituzionali di rilievo. Non solo. Essi determinano un cambiamento finanche nella percezione comune del fenomeno partitico, che passa dall’essere considerato una minaccia per l’interesse generale ad un bene comune da supportare e incoraggiare, in quanto essenziale al pluralismo politico e quindi al corretto funzionamento dell’impianto democratico. Queste trasformazioni hanno significative implicazioni sulla questione della loro legittimità: infatti, il coinvolgimento statale nella regolamentazione e nel finanziamento dei partiti politici e i significativi benefici derivanti a questi dalla partecipazione all’arena elettorale generano delle aspettative sulla missione che tali formazioni sono chiamate a compiere e contribuiscono a definire i confini di legittimità del dibattito politico. In altri termini, un partito politico finanziato con soldi pubblici e ospitato nelle televisioni pubbliche non può

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permettersi di vessare i più elementari principi democratici e di rispetto delle minoranze. Da qui un’alternativa fondamentale: se i partiti intendono giovarsi di uno status “privilegiato” dovranno conformarsi a certe regole, tra queste da evidenziarsi sono le restrizioni relative a certi programmi antiliberali. Viceversa, possono sempre decidere di costituirsi nella forma di mere associazioni qualora non intendano sottostare a determinate restrizioni.

La premessa che precede consente allora di comprendere le ragioni sottese alla citata casistica giurisprudenziale formatasi al riguardo. L’obiettivo, in quest’ottica, sarebbe cioè quello di negare ai partiti politici banditi un forum di espressione istituzionale e i benefici monetari loro disponibili, al fine ultimo di prevenire la diffusione di una cornice di idee antiliberali. In questo modo lo scioglimento si risolve nell’essere un modo che contribuisce alla stabilità della democrazia, tagliando fuori quelle visioni che si muovono oltre la frontiera dei principi democratici. Questo paradigma viene poi impiegato dallo stesso studioso per individuare a quali formazioni partitiche è opportuno applicare il meccanismo dello scioglimento. Rientrano, secondo questa teoria, in tale ambito anzitutto quelle formazioni politiche che istigano all’odio e alla discriminazione, ovvero che supportano in vari modi azioni violente e terroristiche. L’esclusione di queste dalla competizione elettorale si giustifica in ragione del fatto che tali formazioni generano un clima di intolleranza, violenza e intimidazione, ostile ad una visione pluralista e ad una competizione elettorale pacifica, condizioni queste che ogni sistema democratico intende incoraggiare. Analoghe considerazioni tuttavia non possono farsi in quest’ottica rispetto a quelle associazioni politiche che mettono in forse alcune caratteristiche identitarie di uno stato, ovvero i suoi stessi confini territoriali. Lo scioglimento in questo senso si risolverebbe nell’escludere dal

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dibattito democratico tout court alcune questioni sostanziali ritenute indiscutibili. Quest’ultima è perciò categoria assai più problematica.

6.

I partiti antisistema nella giurisprudenza della Corte

Europea dei diritti dell’uomo

La questione della tutela dell’associazionismo politico dai partiti antisistema non è stata affrontata solo dagli ordinamenti nazionali, ma anche dalla giurisprudenza della Corte dei diritti di Strasburgo. Pur a fronte di un articolato scarno in materia, la Corte EDU vanta infatti un vasto contributo giurisprudenziale, specie con riguardo al profilo della misura dello scioglimento. In particolare, tra i riferimenti normativi, individuati dalla CEDU, e ampiamente utilizzati nella giurisprudenza in materia rilevano gli articoli 11 e 17.

Il primo, rubricato “Libertà di riunione e associazione”, prevede il diritto di ogni persona alla libertà di riunione e di associazione, compresa la possibilità di costituire e aderire a sindacati. L’esercizio di tale diritto, come previsto al II comma, può essere però oggetto di restrizioni, purché siano previste con legge e necessarie, “in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Visto il riferimento generico alla libertà di associazione, una questione sorta in dottrina concerneva l’ambito di applicazione di tale disposizione: può l’art. 11 CEDU applicarsi ai partiti politici? Sul punto, è intervenuta la stessa Corte di Strasburgo, già nel rapporto del 3 settembre 1996, confermando l’applicabilità

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dell’art.11 ai partiti31. Inoltre, come chiarito dagli stessi giudici europei, in occasione della prima decisione in materia, l’art. 11 va letto alla luce di quanto affermato nel Preambolo della Convenzione, ove si legge, tra le finalità della Convenzione, il principio democratico, di cui i partiti sono considerati una “forma associativa essenziale”. Dunque, non soltanto rientrano nell’ambito di protezione dell’art. 11, ma, più in generale, in quello individuato nel complesso dalla Convenzione. E poiché la garanzia dei diritti, ivi previsti, dev’essere effettiva, e non teorica, ad essere oggetto di tutela non è soltanto la libertà di costituire partiti politici, ma anche la possibilità, per questi, di svolgere liberamente la propria attività, senza incorrere in scioglimenti illegittimi32.

In secondo luogo, l’art. 17 CEDU, rubricato “Divieto dell’abuso di diritto”, prevede che nessuna disposizione della Convenzione possa essere interpretata “nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione”.

Con riguardo alle pronunce della Corte di Strasburgo su tale argomento, è rinvenibile un orientamento biunivoco sulla questione. Il primo indirizzo emerge dalle prime pronunce sul punto e, segnatamente dalla decisione sopracitata, del 30 gennaio 1998. Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dello scioglimento del Partito comunista, deciso dalla Corte costituzionale turca il 16 luglio

31 F. Fede, S. T. Bappenheim, I partiti politici ‘antisistema’, in Annali della Facoltà

giuridica dell’Università di Camerino, n.2/2013, pp. 95-96.

32 United Communist Party of Turkey and Others v. Turkey, par. 25-34, consultato in

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199133, la Corte EDU, da un lato, riconosce l’esistenza di un margine di autonomia entro il quale le autorità nazionali possono adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della legge e dare effettività ai diritti costituzionali, dall’altro però individua il limite di tale apprezzamento nella compatibilità con le disposizioni CEDU34. In secondo luogo, nel verificare la sussistenza, nel caso di specie, delle condizioni, ex art. 11, affinché le restrizioni al diritto siano legittime, la Corte riscontra la violazione del disposto CEDU, sotto il profilo della necessità della misura adottata in una società democratica. Tale violazione è riscontrata a partire da una specifica ricostruzione, ad opera dei giudici CEDU, della nozione di democrazia, in base alla quale tale sistema si fonda sulla possibilità di risolvere i problemi attraverso il dialogo e senza ricorso alla violenza, pur quando tali problemi appaiono spinosi. Ergo, non può considerarsi “misura necessaria in una società democratica” la decisione di scioglimento di un gruppo politico che, nel rispetto delle regole democratiche, prende pubblica parola e azione sulla condizione di una parte della popolazione, nel tentativo di offrire una soluzione convincente per tutti gli interessati35. In questo modo, la Corte EDU avalla una nozione procedurale di democrazia, per cui solo quando è il metodo democratico ad essere in pericolo, la misura dello scioglimento costituisce una misura necessaria in una società democratica36. Inoltre, come emerge dalle argomentazioni fornite, l’impianto motivazionale si regge altresì sulla valutazione

33 A fondamento di tale decisione, la Corte costituzionale turca aveva ritenuto che l’utilizzo dell’aggettivo, vietato dalla legislazione nazionale, “comunista” e il riconoscimento nello statuto del partito della nazione curda, incoraggiassero a minare l’integrità territoriale della nazione turca.

34 Ivi, par. 27. 35 Ivi, par 57

36 C. Bologna, Libertà politiche e partiti antisistema, in Diritti fondamentali in

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dell’attualità e concretezza del pericolo, e dunque sulla proporzionalità della misura adottata37. Questo impianto argomentativo viene posto a sostegno di tutte le successive decisioni della Corte di Strasburgo in materia. Nondimeno, è nel 2003, in occasione della decisione storica sul partito turco, allora il maggiormente rappresentato, Refah Partisi, che la Corte modifica, in modo decisivo, tale orientamento38.

Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tale scioglimento, disposto dalla Corte costituzionale turca sul presupposto della contrarietà delle attività, intraprese da tale partito, al principio del secolarismo, la Corte EDU rileva per la prima volta la non violazione dell’art. 11 CEDU.

Le motivazioni poste a fondamento di tale decisione sono di tre ordini almeno: in primis, il modello di società, sostenuto dal Refah Partisi, proponendo l’introduzione della sharia, è tanto discriminatorio, quanto contrario al principio del primato del diritto e dunque ostile alla garanzia del principio democratico; in secondo luogo, il regime basato sulla sharia è radicalmente incompatibile con i principi e valori protetti nella CEDU; infine, la circostanza che i leaders del partito non si siano mai discostati espressamente dai numerosi riferimenti, fatti da diversi membri del partito, ai benefici della jihad costituisce una pericolosa ambiguità39. Così facendo, emerge dall’impianto motivazionale fornito una diversa nozione di democrazia, non già meramente procedurale, ma sostanziale, e dunque inclusiva di specifiche scelte valoriali40.

37 United Communist Party of Turkey and Others v. Turkey, par. 47-54. 38 Refah Partisi and others v. Turkey, consultato in

https://hudoc.echr.coe.int/eng#{"itemid":["001-60936"]}.

39 Ceccanti, Tega, op.cit. p. 68. 40 C. Bologna, op.cit., p. 14.

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Più in generale, secondo i giudici di Strasburgo, nel rispetto del metodo democratico, i partiti possono perseguire anche obiettivi di cambiamento radicali, purché non intrinsecamente incompatibili con i fondamentali principi democratici. In caso contrario, infatti invocare a propria protezione l’art.11 CEDU costituisce, secondo il ragionamento della Corte, un abuso di diritto, in quanto tale vietato dall’art. 17 della CEDU41.

7.

Le linee guida sullo scioglimento ed il divieto di

costituzione dei partiti politici individuate dalla

Commissione di Venezia

Oltreché per il contributo della Corte Edu, l’apporto dato alla materia nell’ambito del Consiglio d’Europa si apprezza anche sul versante dell’operato della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (meglio nota come Commissione di Venezia), suo organo consultivo sulle questioni costituzionali. Tra i contributi prestati nell’area di intervento “Elezioni, referendum e partiti politici” rilevano particolarmente in questa sede le “Linee guida sulla

proibizione e dissoluzione di partiti politici” (1999)42.

Adottato all’esito di un’indagine statistica condotta sul quadro giurisprudenziale e normativo, vigente in materia, in quaranta paesi membri del Consiglio d’Europa43, il documento ha cosi definito sette

direttive che possano orientare la definizione delle politiche nazionali in materia.

41 G.M. Salerno, Le garanzie della democrazia, in Rivista AIC n.3/2018, p.38 42 Altri contributi prestati dalla Commissione di Venezia nel settore dei partiti politici sono: le “Linee guida sulla legislazione in materia di partiti politici,” come implementate dalle “Regole di buona condotta dei partiti politici”, e le “Linee direttrici sul finanziamento dei partiti politici”.

43 Per conoscere i risultati di tale studio, si rinvia direttamente a

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In linea generale, si raccomanda: il riconoscimento del diritto di associarsi in partiti politici, comprensivo della libertà di opinione ed espressione politica, senza indebite interferenze da parte delle pubbliche autorità (la registrazione dei partiti non rientra in questo vincolo); che le limitazioni, eventualmente poste dagli ordinamenti nazionali, all’esercizio di tale diritto siano compatibili con le disposizioni CEDU e quelle di ogni altro trattato internazionale, anche in stato di pubblica emergenza.

Con specifico riguardo alla proibizione e allo scioglimento dei partiti politici, tali misure si giustificano solo al ricorrere di queste condizioni: che siano adottate nei confronti di partiti che inneggiano alla violenza o vi ricorrono come mezzo politico per minacciare l’ordine costituzionale democratico, cosi violando diritti e libertà costituzionalmente garantiti; che tali partiti rappresentino un pericolo concreto per l’ordinamento liberaldemocratico, o per i diritti dei cittadini; che non sia possibile ricorrere a misure meno invasive, ma sufficienti a prevenire tale pericolo.

Con riguardo alle garanzie che dovrebbero circondare l’adozione di tali misure, si raccomanda: che tali misure siano disposte all’esito di un giudizio costituzionale e nel rispetto del principio di proporzionalità; che le condotte addebitate siano imputabili al partito, e non a singoli iscritti; che la relativa procedura si svolga nel rispetto dei principi del giusto processo, di imparzialità e trasparenza, con competenza da attribuirsi alla Corte costituzionale o altro adeguato organo giudiziario.

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CAPITOLO II:

LA PROTEZIONE DELLA

RAPPRESENTANZA IN ITALIA

SOMMARIO: 1. Le origini del dibattito italiano – 2. La disciplina costituzionale dei partiti politici – 3. La problematica attuazione dell’art. 49 – 4. La XII disposizione transitoria e finale – 5. L’attuazione legislativa della XII disposizione transitoria e finale – 6. Il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista nella giurisprudenza costituzionale – 7. La “conventio ad excludendum” del PCI e del MSI – 8. La legge Scelba e la legge Mancino al banco di prova: lo scioglimento di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale.

1. Le origini del dibattito italiano

La riflessione sull’autodifesa della democrazia dalle forze antisistema conobbe in Italia un significativo sviluppo dopo la caduta del fascismo. Fu in particolare il gruppo liberalsocialista, guidato allora da Guido Calogero, a definire i termini del dibattito sull’introduzione di un modello di “democrazia protetta” in Italia44.

Infatti, tale movimento, più di ogni altro, si proponeva di superare la tradizione liberale prefascista. A quest’ultima si imputava di non aver saputo opporre una difesa sufficiente contro le tendenze illiberali che avevano aperto la strada al fascismo. Tale disputa diede perciò luogo, ad opera del gruppo liberalsocialista, alla teorizzazione di un “liberalismo istituzionalmente armato”. Il portato ultimo di questa teorica constava nell’elaborazione di un progetto di Corte costituzionale, con competenze estese alla regolamentazione dell’attività politica in tutte le sue forme organizzative e

44 F. Mazzei, Liberalismo e «democrazia protetta». Un dibattito alle origini

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propagandistiche45. In particolare, a tale Corte sarebbe stato affidato, nell’ottica dei proponenti, un compito di controllo diretto al riconoscimento di ciascuna formazione partitica. Perciò avrebbero potuto essere legalmente ammessi nel nuovo stato solo quei partiti che avessero accettato i canoni fondamentali del liberalismo e della democrazia. Viceversa, nessun partito che in specie combattesse “il principio della libera formazione elettiva delle leggi e dei governi e manifestasse il suo intento di eliminazione violenta degli altri partiti” avrebbe potuto trovare legale riconoscimento. A tale corte sarebbe altresì spettato di sanzionare la non coincidenza tra programmi e propaganda politica.

Nondimeno, tale proposta di controllo sulle finalità ideologiche e sulla propaganda dei partiti non trovò d’accordo alcuni tra gli esponenti della cultura liberale post-fascista. Chi prese le distanze da tale teorica fu in particolare Luigi Einaudi. Il giurista torinese, al quesito politico del se si dovesse tollerare l’esistenza di partiti liberticidi, diede infatti opposta soluzione. In un articolo intitolato “Major et sanior pars, ossia della tolleranza e dell’adesione politica”, comparso nel quotidiano “Idea” nel gennaio 194546, questi evidenziò

l’impraticabilità di tale approccio, in quanto nessun partito, fosse anche fascista, nella fase precedente alla conquista del potere si sarebbe detto negatore della libertà. Più in generale, secondo Einaudi la lotta contro i partiti liberticidi avrebbe dovuto essere combattuta evidenziando “l’errore dei loro programmi con tutti i mezzi di propaganda possibili”, e non negando loro il diritto di partecipare pienamente alla vita politica. Perciò nulla, secondo Einaudi, avrebbe potuto lo stato democratico contro tali partiti, se non opporsi all’uso eventuale di mezzi illeciti.

45 G. Calogero, Difesa del liberalsocialismo, Atlantica, Roma, 1945, p. 64. 46 Mazzei, op.cit. pp. 74-91.

(36)

Agli antipodi viceversa si poneva la posizione di altro esponente liberale: Benedetto Croce. Questi, sul “Risorgimento Liberale” (1945), pubblicò un articolo intitolato “Libertà e forza”47, in cui

individuò la maggiore colpa delle democrazie liberali nella circostanza di essere rimaste noncuranti di fronte alle tendenze illiberali manifestatesi negli anni precedenti al fascismo. Invero, secondo il filosofo l’uso della forza non doveva essere aprioristicamente escluso, ma anzi incoraggiato “a servigio del bene supremo”.

Questa nota disputa sollecitò l’interesse di molti altri studiosi e finanche della stampa: allorché nel 1945 il settimanale “La città libera” lanciò un’inchiesta in materia. Le posizioni che vennero a delinearsi in tale dibattito formarono la base teorica della disputa successiva in Assemblea costituente, e nonostante il consenso raccolto da diverse voci autorevoli intorno alla soluzione crociana, alla fine la scelta intrapresa dai Costituenti fu di diversa natura. Invero, a differenza di molte democrazie sorte nel Secondo dopoguerra dalle macerie di regimi autoritari, il caso italiano non può inquadrarsi nell’ambito delle democrazie protette, in quanto ad esso mancano quegli strumenti tipici che valgono a qualificarlo come tale: diversamente dal caso tedesco o dal più recente caso spagnolo, non è prevista alcuna disciplina generale contro i partiti antisistema, ma si proibisce solo la riorganizzazione in qualsiasi forma del disciolto partito fascista; del pari, non è previsto alcuno stato di eccezione invocabile a tutela dell’ordinamento, come nel caso francese; infine non è presente alcuna disposizione che in dettaglio difenda l’ordinamento da eventuali sovvertimenti. Perciò, con la sola eccezione della XII disposizione transitoria e finale della

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Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano non può classificarsi tra quelli protetti.

2. La disciplina costituzionale dei partiti politici

La disciplina costituzionale dei partiti politici in Italia è rinvenibile in parte nell’art. 18 Cost.it., e in parte nell’art. 49 Cost.it. A queste due disposizioni deve essere poi collegata la XII disposizione transitoria e finale.

Partendo dall’art. 18, tale disposizione, centrale nell’ambito delle libertà associative, prevede che “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. La previsione fu il frutto di un delicato dibattito svoltosi nella Costituente. Dapprima, nel testo proposto alla prima sottocommissione dai relatori Basso (PSI) e La Pira (DC) dopo l’inciso “senza autorizzazione” figurava l’aggiunta della locuzione “preventiva”. All’esito della discussione, si decise tuttavia la soppressione della formula aggiuntiva, perché giudicata limitativa, a parere dell’onorevole Lucifero (PLI) e altri, in quanto idonea a far pensare che il legislatore potesse comunque imporre autorizzazioni successive alla costituzione delle associazioni48. Con riferimento al limite relativo alla non contraddittorietà con la legge penale, questo era stata suggerita da una proposta del Consiglio di stato, accompagnata da una breve relazione nella quale si leggeva tra l’altro che “ nella formula proposta non si parla di oggetto illecito, contrario alle leggi in genere o all’ordine pubblico o al buon

48 V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La costituzione della Repubblica italiana

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