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CAPITOLO I: La protezione della democrazia in un’ottica

5. L’attuazione legislativa della XII disposizione transitoria e

L’attuazione della XII disposizione transitoria e finale avvenne “in senso lato” già prima dell’entrata in vigore della Carta costituzionale: fu la stessa Assemblea costituente a adottare la l. n. 1546/1947, recante norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico105. In

specie, tale provvedimento individuò la ricostituzione del disciolto partito fascista nell’organizzazione di qualunque forma di partito o movimento che, per l’organizzazione militare/paramilitare o per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta perseguisse le finalità proprie del disciolto partito fascista, ancorando il dispositivo di scioglimento all’emanazione della sentenza di condanna.

Tale legge, destinata a rimanere in vigore non oltre il 31 dicembre 1952, fu sostituita, all’approssimarsi della scadenza quinquennale, dalla l. n. 645/1952, formalmente intitolata “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo)” e meglio nota come Legge Scelba106. Quest’ultima, ancora vigente e redatta da un comitato interministeriale presieduto da Mario Scelba e incaricato dall’allora Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi, definisce i termini perché si abbia un’effettiva “riorganizzazione del disciolto partito fascista”. Infatti, ai sensi dell’art. 1 della citata legge, come modificata successivamente ad opera della l. n. 152/1975, “la riorganizzazione del disciolto partito fascista” si intende riconosciuta “quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la

105 https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:Legge:1947;1546. 106 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1952/06/23/052U0645/sg.

soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”107. Inoltre, chiunque promuova, organizzi, diriga ovvero partecipi a tali associazioni, gruppi o movimenti è punito, ai sensi dell’art. 2 della citata legge, con la reclusione rispettivamente da cinque a dodici anni e da due a cinque anni.

La medesima legge introduce all’art. 4 il reato di apologia del fascismo. Quest’ultimo si configura a carico di chiunque faccia “propaganda per la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità ideate nell’art. 1” ovvero a carico di chi pubblicamente

107 G. De Francesco, I reati di associazione politica: storia, costituzione e sistema

nell’analisi strutturale delle fattispecie, Giuffrè, Milano, 1985, pp. 107-111, ha

osservato che “in base alla disciplina di cui agli artt. 18 e 49 Cost. it. è consentita la repressione di un’associazione politica solo quando essa persegua il proprio scopo attraverso un metodo di per sé antidemocratico…Sembra evidente, allora, come l’espresso divieto di ricostituire associazioni fasciste non può altrimenti spiegarsi, se non ammettendo che in base alla Costituzione tali associazioni debbano considerarsi

comunque illecite…Sennonché, la fattispecie associativa contemplata all’art.1 l.n.645

rivela una duplice peculiarità strutturale, che non consente di riportarla, sic et

simpliciter, allo schema costituzionale di raffronto. In primo luogo, l’art. 1 si

preoccupa di individuare, non soltanto la finalità dell’associazione, ma anche le condotte tipiche che devono caratterizzare il metodo della stessa…Ma non basta. Dalla formulazione letterale dell’art. 1 l.n.645 si evince chiaramente che l’associazione fascista risulta punibile, soltanto quando le condotte poc’anzi ricordate siano state effettivamente poste in essere da parte dei componenti l’associazione. Si realizza in tal modo una differenza non trascurabile rispetto al modello di associazione politica illecita sinora incontrato, dal momento che le figure associative contemplate nel codice risultano incriminate anche quando non sia stato posto in essere alcun comportamento volto a dare concreta attuazione al programma eversivo. La scelta repressiva adottata dal codice appare, del resto, pienamente conforme al dettato costituzionale. L’art. 18 Cost., considerando illecita la associazione per il solo fatto di rivolgersi ad un “fine” vietato al singolo, non richiede affatto, per la sua punibilità, che siano stati successivamente compiuti atti di esecuzione del programma delittuoso…Un dubbio di legittimità potrebbe fondarsi, allora, sul rilievo che l’art. 1 l. n. 645 finisce col riservare all’associazione neofascista un trattamento più favorevole rispetto a quello applicabile alle altre ipotesi di associazione politica, dato che per queste la legge non richiede in alcun modo l’effettivo compimento di atti delittuosi”.

esalti “esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche” ed è punito con la reclusione da sei mesi a due anni o da due a cinque anni se commess o con il mezzo della stampa.

Altra norma da segnalare della medesima legge è quella di cui all’art. 5, vietante le c.d. “le manifestazioni fasciste”: a tal fine essa punisce con la reclusione sino a tre anni “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste”. Quanto al dispositivo di scioglimento, ai sensi dell’art. 3 della citata legge come modificata ad opera dell’art.9 della l. n. 152/1975, lo scioglimento del ricostituito partito fascista è affidato all’intervento del Ministro dell’interno, sentito il Consiglio dei ministri, e preceduto dall’accertamento in sede giurisdizionale del fatto storico di reato (108) (109). A questa procedura se ne accompagna altra spendibile esclusivamente in casi straordinari di necessità e di urgenza, in base alla quale: si consente l’intervento governativo diretto con decreto-legge, rimettendo quindi l’accertamento delle responsabilità penali ad

108 Brunelli, op.cit., p.225, ha osservato che “Il meccanismo inizialmente previsto nel progetto governativo, e che ripeteva nella sostanza l’art.10 l. n. 1546 del 1947 (sentenza del giudice che accerta la sussistenza del reato e contestualmente dispone lo scioglimento e la confisca dei beni) fu sottoposto a critiche sia per la cattiva prova di sé che aveva fornito fino a quel momento, sia per la considerazione che la magistratura dovesse ritenersi inadatta a svolgere una funzione di carattere politico- amministrativo come quella in discorso”.

109Ivi, p.229 ha evidenziato, tra i problemi emersi in dottrina, quello della natura vincolata o discrezionale del decreto di scioglimento adottato dall’esecutivo. A favore della prima tesi militerebbe la natura di “diritto soggettivo” della libertà di associazione “nella precisa connotazione che deriva dalla possibilità per l’interessato, di difendersi davanti al giudice ordinario, con ampio esame del merito del provvedimento impugnato, sempre che ciò si palesi necessario per esigenze di tutela”. Al contrario, la tesi della natura vincolata di tale provvedimento è sostenuta da Petta e altri, risultando confermata dalla necessità, ex art. 3, co 1, di una consultazione del Consiglio dei ministri e dalla circostanza che la decisione sia stata sottratta al magistrato. Non solo. L’incertezza interpretativa si accompagna qui all’incertezza della prassi: non sempre, infatti, alle condanne penali per promozione, organizzazione o direzione di partiti neofascisti hanno fatto seguito i decreti ministeriali di scioglimento.

un atto politico adottato ex post dalla maggioranza parlamentare110.

La legge Scelba è stata poi integrata dalla l. n. 205/1993, formalmente intitolata “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”, e meglio nota come legge Mancino, dal nome del ministro che ne fu proponente, Nicola Mancino111. Tale intervento si inserisce in un clima storico dominato da un significativo allarme per l’esplodere di manifestazioni neofasciste e neonaziste in tutta Europa. Emanata con d. l. n. 122/1993, la legge medesima all’art. 2 rende autonomamente punibili con la reclusione fino a tre anni le associazioni, organizzazioni e movimenti “aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Tale disposto inoltre applica, ai sensi dell’art. 7, il dispositivo di scioglimento nei confronti delle stesse e su iniziativa del Ministro dell’Interno, quando sia stato accertato con sentenza passata in giudicato che la loro attività abbia favorito la commistione dei reati di stampo razzista, previsti all’art. 5, comma I della legge in esame.

Infine, nel 2017 il deputato del Partito Democratico Emanuele Fiano ha presentato una proposta di legge diretta ad introdurre il reato di “Propaganda del regime nazista e nazifascista”, tra i delitti contro la personalità dello stato previsti dal Codice penale. Tra le novità previste dal disegno di legge citato figurava in particolare l’incriminazione, e reclusione da sei mesi a due anni,

110 Ivi, p. 233, ha sottolineato come la scelta di attribuire la facoltà di intervenire all’esecutivo, in modo indipendente dal giudizio della magistratura presenta notevoli problemi, ove si consideri la ratio garantista e democratica della riserva di legge. Infatti, a fronte del fatto che la Costituzione “ vuole sia l’organo rappresentativo… ad intervenire sui diritti individuali, appunto per garantirli dagli abusi del governo”, si è opportunamente sottolineata l’insufficienza dell’intervento parlamentare, in sede di conversione del decreto, a soddisfare le esigenze della riserva medesima.

di quella specifica forma di propaganda di immagini, contenuti o ideologie proprie del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco che si attua tramite “la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti” ovvero richiamandone pubblicamente “la simbologia o la gestualità”. Tale proposta inoltre prevedeva significativamente una circostanza aggravante ove tali fatti fossero stati commessi “attraverso strumenti telematici o informatici”. Come si legge nella relazione a tale proposta di legge, la finalità dichiarata era quella di introdurre “una nuova fattispecie che consentisse di colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti”. Tali difficoltà dipenderebbero, a detta dei proponenti, da un orientamento giurisprudenziale diffuso che ancora la sussistenza del fatto di reato alla circostanza che il comportamento censurato determini un pericolo concreto ed attuale di riorganizzazione del disciolto partito fascista112.

Da qui l’esigenza paventata di un intervento normativo in materia che colpisse in modo inequivoco “l’espressione di un gesto così inequivocabilmente legato, ad esempio, alla retorica del passato

112 Cosi ad esempio si richiama nella relazione citata la pronuncia del Tribunale di Livorno, emanata in data 6/03/2015, con cui vengono assolti quattro tifosi della squadra calcistica Hellas Verona Football club che il 3 dicembre 2011 durante una partita disputata contro L’Associazione Sportiva Livorno Calcio furono ripresi dalle telecamere mentre facevano il saluto romano all'ingresso dello stadio Picchi. Gli imputati, accusati del reato previsto dall’art. 2 del d. l. 122/1993, verranno assolti in quanto “il fatto non costituisce reato”. Invero perché il reato si configuri, a detta del giudice livornese, occorre che si sia di fronte ad “un pericolo concreto e attuale alla diffusione e alla pubblicazione di idee discriminatorie e violente che possano pubblicizzare un tentativo concreto di raccogliere adesioni a un progetto di ricostituzione del partito fascista”. E dunque "non è il gesto in sé ad essere punito ma la sua attitudine alla diffusione e alla pubblicizzazione di idee discriminatorie e violente". Tale orientamento ha trovato, in un caso analogo, l’avallo dei giudici di legittimità. Con n.8108/2018 la Cassazione penale, sez. I ha osservato che se il saluto romano ha mero intento commemorativo e non violento deve essere considerato come una libera manifestazione del pensiero e non un attentato concreto alla tenuta dell’ordinamento democratico.

regime fascista”. La proposta di legge in esame, approvata alla Camera nel settembre 2017, non è stata però discussa al Senato, a causa della fine della legislatura. Nondimeno, tale progetto è stato fortemente criticato da parte della dottrina: invero, non è mancato in questo senso chi113 ha considerato la legge “inadatta al fine che si prefigge”, in quanto per rendere più severa la giurisprudenza non è sufficiente, da un lato, l’adozione del termine propaganda, in luogo del più ambiguo apologia del fascismo, dall’altro, la collocazione tra

i delitti contro la personalità dello Stato previsti dal codice penale”. A completamento del quadro normativo tracciato, e sul versante

internazionale ed europeo, vanno citate la convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 Marzo 1966 e ratificata nell’ordinamento italiano ad opera della l. n. 654/1975, e la decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio dell’Unione europea sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, attuata nel nostro ordinamento con la legge n. 115/2016. La legge di ratifica n.654/1975, in specie, punisce con la reclusione da uno a quattro anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione o a commettere atti di violenza o di provocazione della violenza, nei confronti di persone perché appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale e vieta altresì ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i suoi scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi (art. 3). La legge n.

113 M. Manetti, Lacune vere e presunte nella repressione della propaganda

nazifascista. A proposito del d.d.l. Fiano, in Quaderni Costituzionali, n.4/2017, p.885,

ha osservato che “per rendere più severa la giurisprudenza non è sufficiente, da un lato, l’adozione del termine propaganda in luogo del più ambiguo apologia del fascismo, dall’altro, la collocazione tra i delitti contro la personalità dello stato contro previsti dal Codice penale”.

115/2016 inasprisce per queste stesse condotte il trattamento sanzionatorio allorché la propaganda, l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondino in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei cimini contro l’umanità e dei crimini di guerra. Inoltre, con il Dlgs. n. 221/2018, le disposizioni di cui al citato art. 3 della l. n. 654/1975, nonché quelle di cui all’art. 3 del dl. n. 122/1993 sono state collocate nelle nuove fattispecie di cui agli artt. 604 bis e 604 ter del Codice penale, nel titolo dedicato ai “Delitti contro la persona”.

Il quadro tracciato sinora evidenzia molto chiaramente come l’attuazione della XII disposizione transitoria e finale sia avvenuta nel nostro ordinamento tramite un ricorso quantitativamente significativo allo strumentario penalistico. Questa scelta sarebbe dipesa, secondo parte della dottrina114, dalla mancata introduzione di

norme costituzionali generali dirette a presidiare l’ordine democratico. Invero, si suppone che tale lacuna avrebbe determinato un problema di politica delle libertà costituzionali e di ordine pubblico, al quale il legislatore italiano avrebbe inteso rimediare attraverso l’introduzione di norme di incriminazione penale.

L’opportunità di questa scelta è stata tuttavia ritenuta censurabile per diversi ordini di ragioni. Parte della dottrina115 ha ad esempio segnalato sul punto la necessità che gli istituti di protezione delle democrazie rimangano nettamente distinti dal ricorso alla sanzione penalistica: mentre quest’ultima infatti finisce quasi sempre per ripercuotersi sulla libertà di manifestazione del pensiero (tratto

114 D. Piccione, L’antifascismo e i limiti alla manifestazione del pensiero tra difesa

della Costituzione e diritto penale dell’emotività, in Giurisprudenza Costituzionale,

n. 4 /2017 pp.8-15.

distintivo delle democrazie pluraliste), i primi finiscono più auspicabilmente per gravare sull’associazionismo partitico o al più sull’elettorato passivo. Altra parte della dottrina116 ha in quest’ottica

suggerito de iure condendo che l’attuazione della XII disposizione si realizzi in punto di previsione e disciplina dei dispositivi di scioglimento in sede amministrativa e/o giurisdizionale delle formazioni partitiche bandite dall’ordinamento costituzionale. Infatti, ad oggi lo scioglimento di tali formazioni risulta postergato all’accertamento dei reati previsti dalla legislazione in esame117. Al

contrario, l’adozione di una prospettiva rovesciata sul punto meglio si accorderebbe con la finalità propria di tale garanzia costituzionale: quella di assicurare la disponibilità di procedure ad hoc per rimuovere o impedire la costituzione e la permanenza nell’ordinamento di una formazione politica fascista118.

116B. Pezzini, Attualità e attuazione della XII disposizione finale: la matrice

antifascista della Costituzione repubblicana, in M. D’amico, B. Randazzo (a cura di), Alle Frontiere del diritto costituzionale: scritti in onore di Valerio Onida, Giuffrè,

Milano, 2011 pp. 1388-1389.

117 Brunelli, op.cit., p.226-228, ha evidenziato un diverso orientamento dottrinale sul punto in base al quale “l’adozione del provvedimento di scioglimento non è collegata sempre e comunque alla dichiarazione di responsabilità penale, ma all’accertamento dell’esistenza di un particolare tipo di organizzazione oggetto del divieto fissato dalla XII disposizione transitoria, indipendentemente dalla effettiva applicazione di una sanzione penale”. Tale orientamento aderisce all’impostazione della sentenza n.452/1974, pronunciata dalla IV sezione del Consiglio di stato e, con cui si è affermato che il provvedimento di scioglimento delle associazioni politiche tendenti alla ricostituzione del partito fascista non postula necessariamente una sentenza penale di condanna, essendo sufficiente la presenza di una sentenza dalla quale risulti

comunque l’accertamento della fattispecie prevista dall’art. 3, l. n. 654/1952. Come

chiarito da Idem, questa prospettiva tuttavia non pare condivisibile: una lettura congiunta dei due commi dell’art. 3 lascia infatti presumere che lo strumento giuridico per intervenire in casi straordinari ed urgenti di necessità sia solo quello del decreto- legge.

118 G. De Francesco, op.cit., pp. 110-111 ha, in proposito, osservato che: “Il fatto che l’art. 18 Cost. imponga di considerare le associazioni con fini delittuosi, anche quando non abbiano ancora posto in essere atti di esecuzione del programma, non postula la necessità di sanzionare penalmente l’associazione illecita, dal momento che la Costituzione non si preoccupa in alcun modo di specificare lo strumento normativo destinato a garantire l’osservanza del divieto. In questa prospettiva, pur dovendosi ritenere ammissibile anche il ricorso alla sanzione penale, non può, dunque, meritare censura un’eventuale scelta del legislatore ordinario di circoscrivere l’intento punitivo ad un nucleo più ristretto di associazioni con fine illecito: ad esempio, proprio a quelle

6.

Il divieto di riorganizzazione del disciolto partito