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CAPITOLO I: La protezione della democrazia in un’ottica

7. Il giudizio della giurisprudenza sulla legge organica

Molte delle questioni, menzionate nelle pagine precedenti, sono state direttamente rimesse alla valutazione del Tribunale costituzionale spagnolo. Il ricorso presentato dal Governo autonomo dei Paesi Baschi ha infatti investito i giudici costituzionali della questione di legittimità costituzionale: dell’art. 1, I comma; dell’art. 2, I comma; dell’art. 3, II comma; dell’art. 4, II e III comma; dell’art. 5, I comma; dell’art.6; dell’art. 9; dell’art.10; dell’art.11; dell’art. 12; della disposizione transitoria unica. A tali contestazioni, il Tribunale rispondeva con la sentenza interpretativa di rigetto n. 48/2003.

Tra le molteplici obiezioni sollevate dal ricorrente, ad essere contestate con il ricorso introduttivo erano principalmente due profili: in primis, la presunta adozione da parte della legge

impugnata di un modello di democrazia militante, in virtù del quale si impone ai partiti politici la conformità ad un determinato regime o sistema politico, al di là del rispetto dovuto al testo costituzionale271; in secondo ordine, la violazione, ad opera degli artt. 9, 10, 11 e 12, dei diritti fondamentali della libertà ideologica, partecipazione, espressione e informazione272.

Alla prima di queste contestazioni, il Tribunale costituzionale obiettava che, sebbene non vi fosse spazio nell’ordinamento spagnolo per un modello di democrazia militante, come correttamente sostenuto dal governo basco, non si poteva ritenere che la legge impugnata accogliesse tale modello di democrazia273. A sostegno di tale argomento, i giudici costituzionali, da un lato, richiamavano la distinzione, rinvenibile in tutto il corpo del testo di legge, tra fini politici e attività concretamente intraprese; dall’altro, evidenziavano come la legge in esame individuasse quali cause di scioglimento, non fini politici, ma “«conductas» (…) que vulneran

las exigencias del art. 6 CE, que la Ley viene a concretar…”.

Con riguardo alla seconda censura, i giudici costituzionali precisavano che perché si potesse riscontrare tale violazione, le previsioni di legge impugnate avrebbero dovuto sanzionare direttamente programmi e ideologie e non semplicemente attività di collaborazione e sostegno al terrorismo o alla violenza. A supporto di tale tesi, si notava, con riguardo all’interpretazione dei primi tre commi dell’art. 9, in cui sono tipizzate le cause di scioglimento che274: il preteso rispetto dei valori costituzionali, sancito al I comma, non poteva in nessun caso considerarsi incompatibile col

271 Tribunale costituzionale spagnolo, sentenza n. 48/2003, par. 7. 272 Ivi, par. 10.

273 Ivi, par 7. 274 Ibidem.

riconoscimento della piena libertà ideologica; le prescrizioni di cui al comma II, solo parzialmente coincidenti con quelle contenute nella legge penale, si riferivanosolo ed esclusivamente alle attività concretamente intraprese e mai ai fini perseguiti; per essere causa di scioglimento, le condotte di cui al III comma dell’art. 9 avrebbero dovuto concorrere con i requisiti generici di cui al II comma; relativamente alle fattispecie di cui al comma III, lett. a e d, segnalate dai ricorrenti come di dubbia legittimità costituzionale, non era dato riscontrare, secondo i giudici costituzionali, alcuna violazione della libertà di espressione, non rientrando nella copertura costituzionale di tale principio quelle manifestazioni del pensiero che, quantunque non sanzionate dalla legge penale, possono considerarsi, specialmente per gli effetti che sortiscono, intimidatorie e dunque non meritevoli di protezione secondo l’ordinamento giuridico. L’orientamento sostenuto in questa sentenza è stato successivamente confermato nelle sentenze n. 5 e 6, del 16 gennaio 2004, pronunciate dai giudici costituzionali, in sede di recurso de amparo, promosso contro la decisione del Tribunale supremo del 27 marzo 2003. Con quest’ultima decisione, respingendo tutte le istanze proposte, considerati come un unico soggetto identificato con l’ETA, sebbene operante sotto diverse denominazioni, si dichiaravano illegali le formazioni politiche Herri Batasuna, Batasuna ed Euskal

Herritarrok. Tra le varie eccezioni esaminate nel merito dal

Tribunale supremo, spiccavano in tale sede: la presunta violazione del canone di astrattezza delle leggi, configurando la legge in esame un “atto provvedimento”; la presunta violazione, nella previsione della sola sanzione dello scioglimento, a fronte di condotte diverse, del canone di proporzionalità. Tali eccezioni, già proposte dal governo basco davanti al Tribunale costituzionale, venivano

riesaminate in tale occasione dal Tribunale supremo e infine rigettate.

Relativamente alla prima eccezione sollevata, il Tribunale supremo, richiamando debitamente le statuizioni espresse nella sentenza 48/2003 del Tribunale costituzionale, contestava la sussistenza di tale vizio, ritenendo che la circostanza che l’art. 9 della legge in esame avesse dedicato, nella formulazione delle cause di scioglimento, particolare attenzione a quei partiti che svolgono una attività di supporto alle organizzazioni terroristiche o sovversive, non valeva a rendere tale legge carente del carattere dell’astrattezza. Infatti, l’intervento normativo mirava, da un lato, a colmare una lacuna riscontrabile in materia e, dall’altro, a rimediare all’emergenza terroristica, acuitasi negli ultimi anni.

Rispetto alla seconda eccezione sollevata in tale sede, il Tribunale supremo, richiamando la sentenza già esaminata 48/2003, nonché la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia, evidenziava come: in primis, nessuna delle condotte di cui all’art. 9 avrebbe potuto, isolatamente considerata, condurre alla sanzione dello scioglimento, richiedendosi a tale effetto una realizzazione in forma “grave e reiterata”; in secondo luogo, si prevede che l’attività di un partito che collabora o appoggia la violenza terrorista, mette in pericolo la sussistenza dell’ordine pluralista proclamato dalla Costituzione, sia tale che l’unica sanzione idonea a riparare a tali effetti sia lo scioglimento; infine, muovendo dal presupposto che un partito, per meritare tale status, deve essere, ai sensi dell’art. 6 CE, espressione del pluralismo politico, qualora vulneri con la sua attività tale ordine, e dunque la sussistenza dell’ordine democratico, è costituzionalmente ammissibile che incorra nella sanzione dello scioglimento.

Infine, con riferimento al caso di specie, il Tribunale supremo riteneva che l’appoggio tacito al terrorismo da parte delle tre formazioni politiche, congiuntamente ad un numero significativo di manifestazioni di sostegno (chiaro indice del legame con l’organizzazione terroristica ETA), costituissero, ai sensi delle prescrizioni normative richiamate, evidenze sufficienti a ritenere antidemocratica l’attività di tali partiti, e di conseguenza ad ordinarne lo scioglimento.

Nondimeno, esaurite le vie del ricorso interno, il 19 luglio 2004 Herri Batasuna e Batasuna ricorrevano alla Corte europea dei diritti dell’uomo, prospettando la violazione degli artt. 10 e 11 CEDU. In particolare, i ricorrenti lamentavano: la violazione della libertà di associazione; che la legge organica 6/2002 non rispettasse i requisiti di accessibilità e prevedibilità e che fosse stata applicata retroattivamente nel caso di specie; la carenza di un fine legittimo e l’adozione di una misura non necessaria in una società democratica e quindi contraria al principio di proporzionalità.

Valutato che la limitazione della libertà di associazione fosse nel caso di specie prevista dalla legge, diretta ad uno scopo legittimo e proporzionata e necessaria in una società democratica, la Corte, con la sentenza del 30 giugno 2009275, ha ritenuto che l’obiettivo dello

scioglimento fosse nel caso di specie legittimo, perché diretto a salvaguardare da un “pericolo ragionevolmente e sufficientemente prossimo” la sicurezza pubblica, la difesa dell’ordine e la protezione dei diritti e delle libertà.

Conclusioni

Il presente elaborato aveva lo scopo di illustrare la comparazione tra l’ordinamento italiano, tedesco e spagnolo, intorno ai principali profili di protezione della rappresentanza dalle associazioni politiche antidemocratiche.

Negli ultimi anni l’argomento ha destato ampio interesse a causa dell’incedere, in tutta Europa, di movimenti politici e partiti che, nell’interpretare la protesta contro l’establishment, hanno proposto soluzioni e programmi al limite del sistema democratico: non escludendo il ricorso a metodi violenti o terroristici; rivendicando il loro collegamento a formazioni totalitarie; ripudiando le forme e i contenuti del principio democratico; manifestando ostilità verso l’ordine che ci ha garantiti negli ultimi decenni.

Rispetto a tali avvenimenti, mentre questo lavoro giungeva al termine, il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione n. 2819276 con cui, al fine di promuovere la diffusione di una cultura della memoria condivisa, ha esortato gli Stati membri a contrastare le organizzazioni che incitano all’odio e alla violenza negli spazi pubblici e online, nonché a vietare i gruppi neofascisti e neonazisti e qualsiasi altra associazione che esalti il nazismo e il fascismo o qualsiasi altra forma di totalitarismo.

Nonostante sia stata oggetto di crescente interesse solo negli ultimi anni, la cultura della protezione della democrazia trova la sua tradizione normativa nel secondo dopoguerra e, segnatamente, nella Costituzione di Bonn del 1949.

Come emerso nel corso della trattazione, l’esigenza di istituire un sistema a presidio del principio democratico ha pervaso l’intera

normativa costituzionale tedesca, riflettendosi anche sul profilo della rappresentanza. La previsione dell’istituto del Parteiverbot, con attribuzione della relativa competenza al Tribunale Costituzionale, ha garantito per molti anni l’esclusione dalla vita politica di quelle forze che avevano come proposito il sovvertimento “dell’ordinamento liberale e democratico”. Tale necessità, che trae origine dalla c.d. lezione di Weimar, è invece emersa in Spagna solo con la comparsa, nel contesto politico-istituzionale, di formazioni politiche connesse in modo inequivocabile all’organizzazione terroristica ETA. Nell’urgenza di fornire una risposta celere a tali avvenimenti, nel 2002 il legislatore spagnolo ha proceduto approvando, a larga maggioranza, un testo di legge organica sui partiti, allo scopo dichiarato di istituire un sistema di protezione della democrazia.

L’alternativa offerta da questi modelli non è stata invece raccolta dall’Italia. Come si è potuto constatare, il carattere fortemente disomogeneo della classe politica italiana, la presenza di un forte Partito comunista in Assemblea costituente, la memoria di una legislazione tesa a reprimere il dissenso politico, sono tutti fattori che hanno convinto della necessità di evitare ogni forma di controllo sulle finalità ideologiche, ovvero sull’organizzazione interna ai partiti. È stata cosi accolta dalla Carta costituzionale italiana una nozione di democrazia diretta ad assicurare il pieno pluralismo politico, nei limiti del rispetto del metodo democratico, inteso, da una maggioranza qualificata della ricerca giuridica, come condizione di pacifica competizione politica. In questo quadro, l’unico eccezionale ed inestensibile limite di carattere ideologico, previsto dalla Costituzione per ovvie motivazioni storiche, riguarda il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista. In questo senso, la

protezione predisposta dall’ordinamento costituzionale italiano si caratterizza per la sua unidirezionalità.

Questa soluzione, se da un punto di vista può sembrare lodevole, visto il riconoscimento di un pieno pluralismo politico, linfa vitale del sistema democratico, dall’altro non ha tardato a manifestare tutti i suoi punti deboli. Come si è cercato di dimostrare nel corso di questo lavoro, l’assenza di forme canonizzate di controllo sui partiti antisistema ha spinto verso soluzioni alternative, ma non meno problematiche per il diritto costituzionale. Da un lato, si è cercato di inquadrare l’associazionismo politico anticostituzionale nelle maglie del modulo penalistico, dall’altro si è ripiegato su soluzioni fattuali, come la conventio ad excludendum, sfuggenti ad ogni tentativo di contestazione in sede giudiziaria. Infine, non hanno ricevuto debita attenzione proposte interpretative raffinate, consentite dal carattere indeterminato del precetto dell’art. 49 Cost, che avrebbero aperto la strada ad una regolazione legislativa seria del fenomeno partitico, anche solo nell’ottica di imporre il rispetto del metodo democratico nell’organizzazione interna.

Al contempo, l’analisi in chiave comparata dell’argomento ha evidenziato le criticità e i limiti di un intervento a difesa dell’ordinamento democratico. Considerando emblematico il caso spagnolo, ivi l’approvazione della legge organica n. 6/2002, istituendo un procedimento di scioglimento distinto da quella penalistico, con attribuzione della relativa competenza alla Sala

Especial del tribunale supremo, ha rappresentato qualcosa di più di

un’inevitabile e opportuna risposta alla minaccia terroristica. L’assunzione come presupposti di scioglimento di condotte meramente omissive e la formulazione di fattispecie cariche di ambiguità e spesso prive di un contenuto giuridico, rivelano un

disegno riformatore che, più che colpire l’effettiva connivenza delle formazioni politiche con le organizzazioni terroristiche, finisce per reprimere, in violazione dei precetti costituzionali, il mero dissenso politico.

Seguendo il filo delle criticità, anche l’analisi del modello tedesco ha evidenziato alcuni importanti limiti, emersi nella prassi giurisprudenziale. Prevalsa inizialmente un’interpretazione estensiva del dettato costituzionale dell’art. 21, II comma GG, il bilanciamento tra la tolleranza degli avversari politici e l’intangibilità dei valori fondamentali dell’ordinamento tedesco si è inizialmente risolto a favore della seconda. Come constatato nel corso di questo lavoro, le prime pronunce di incostituzionalità, e successivo scioglimento, si sono fondate, in larga misura, sulla valutazione di una prevedibile azione futura dei partiti giudicati incostituzionali. A ciò si è inoltre accompagnato un utilizzo, massiccio nell’impianto motivazionale, dell’argomento analogico e del ragionamento presuntivo, nonché una considerazione preponderante della visione ideologica sostenuta da tali formazioni. Così facendo, il Tribunale costituzionale si è posto come massimo custode della democrazia militante.

A questa stagione ha tuttavia fatto seguito un importante cambiamento di rotta che ha trovato la sua massima espressione nella pronuncia del 17 gennaio 2017, con cui la portata del principio della democrazia militante è stata fortemente ridimensionata. In quell’occasione, avallando un’interpretazione restrittiva del dettato costituzionale, è stata valutata, tra gli elementi costitutivi della fattispecie di scioglimento, la sussistenza di un pericolo concreto ed attuale: inteso come ragionevole probabilità di successo per il partito che persegua obiettivi anticostituzionali. La centralità di questo

argomento risponde all’esigenza, presente anche nella giurisprudenza di Strasburgo, di conformare il sistema sanzionatorio al principio di proporzionalità. In recepimento di queste direttive, il legislatore costituzionale tedesco ha introdotto un procedimento, parallelo a quello di scioglimento, diretto all’esclusione dal finanziamento pubblico dei partiti antidemocratici che non siano dichiarati incostituzionali. Questa soluzione risponde ad un trend ormai diffuso, seguito anche dal legislatore italiano, quando, con l. n. 13/2014, ha subordinato l’accesso al finanziamento pubblico indiretto al rispetto di alcune prescrizioni minime di democraticità, da imporsi nell’organizzazione interna ai partiti.

Questo nuovo approccio al tema ha il pregio di individuare una soluzione meno drastica e forse più accettabile in un sistema democratico, ma permangono dubbi sulla reale efficacia, alla prova dei fatti, di frenare eventuali derive antidemocratiche.

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