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Le linee guida sullo scioglimento ed il divieto di costituzione de

CAPITOLO I: La protezione della democrazia in un’ottica

7. Le linee guida sullo scioglimento ed il divieto di costituzione de

Commissione di Venezia

Oltreché per il contributo della Corte Edu, l’apporto dato alla materia nell’ambito del Consiglio d’Europa si apprezza anche sul versante dell’operato della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (meglio nota come Commissione di Venezia), suo organo consultivo sulle questioni costituzionali. Tra i contributi prestati nell’area di intervento “Elezioni, referendum e partiti politici” rilevano particolarmente in questa sede le “Linee guida sulla

proibizione e dissoluzione di partiti politici” (1999)42.

Adottato all’esito di un’indagine statistica condotta sul quadro giurisprudenziale e normativo, vigente in materia, in quaranta paesi membri del Consiglio d’Europa43, il documento ha cosi definito sette

direttive che possano orientare la definizione delle politiche nazionali in materia.

41 G.M. Salerno, Le garanzie della democrazia, in Rivista AIC n.3/2018, p.38 42 Altri contributi prestati dalla Commissione di Venezia nel settore dei partiti politici sono: le “Linee guida sulla legislazione in materia di partiti politici,” come implementate dalle “Regole di buona condotta dei partiti politici”, e le “Linee direttrici sul finanziamento dei partiti politici”.

43 Per conoscere i risultati di tale studio, si rinvia direttamente a

In linea generale, si raccomanda: il riconoscimento del diritto di associarsi in partiti politici, comprensivo della libertà di opinione ed espressione politica, senza indebite interferenze da parte delle pubbliche autorità (la registrazione dei partiti non rientra in questo vincolo); che le limitazioni, eventualmente poste dagli ordinamenti nazionali, all’esercizio di tale diritto siano compatibili con le disposizioni CEDU e quelle di ogni altro trattato internazionale, anche in stato di pubblica emergenza.

Con specifico riguardo alla proibizione e allo scioglimento dei partiti politici, tali misure si giustificano solo al ricorrere di queste condizioni: che siano adottate nei confronti di partiti che inneggiano alla violenza o vi ricorrono come mezzo politico per minacciare l’ordine costituzionale democratico, cosi violando diritti e libertà costituzionalmente garantiti; che tali partiti rappresentino un pericolo concreto per l’ordinamento liberaldemocratico, o per i diritti dei cittadini; che non sia possibile ricorrere a misure meno invasive, ma sufficienti a prevenire tale pericolo.

Con riguardo alle garanzie che dovrebbero circondare l’adozione di tali misure, si raccomanda: che tali misure siano disposte all’esito di un giudizio costituzionale e nel rispetto del principio di proporzionalità; che le condotte addebitate siano imputabili al partito, e non a singoli iscritti; che la relativa procedura si svolga nel rispetto dei principi del giusto processo, di imparzialità e trasparenza, con competenza da attribuirsi alla Corte costituzionale o altro adeguato organo giudiziario.

CAPITOLO II:

LA PROTEZIONE DELLA

RAPPRESENTANZA IN ITALIA

SOMMARIO: 1. Le origini del dibattito italiano – 2. La disciplina costituzionale dei partiti politici – 3. La problematica attuazione dell’art. 49 – 4. La XII disposizione transitoria e finale – 5. L’attuazione legislativa della XII disposizione transitoria e finale – 6. Il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista nella giurisprudenza costituzionale – 7. La “conventio ad excludendum” del PCI e del MSI – 8. La legge Scelba e la legge Mancino al banco di prova: lo scioglimento di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale.

1. Le origini del dibattito italiano

La riflessione sull’autodifesa della democrazia dalle forze antisistema conobbe in Italia un significativo sviluppo dopo la caduta del fascismo. Fu in particolare il gruppo liberalsocialista, guidato allora da Guido Calogero, a definire i termini del dibattito sull’introduzione di un modello di “democrazia protetta” in Italia44.

Infatti, tale movimento, più di ogni altro, si proponeva di superare la tradizione liberale prefascista. A quest’ultima si imputava di non aver saputo opporre una difesa sufficiente contro le tendenze illiberali che avevano aperto la strada al fascismo. Tale disputa diede perciò luogo, ad opera del gruppo liberalsocialista, alla teorizzazione di un “liberalismo istituzionalmente armato”. Il portato ultimo di questa teorica constava nell’elaborazione di un progetto di Corte costituzionale, con competenze estese alla regolamentazione dell’attività politica in tutte le sue forme organizzative e

44 F. Mazzei, Liberalismo e «democrazia protetta». Un dibattito alle origini

propagandistiche45. In particolare, a tale Corte sarebbe stato affidato, nell’ottica dei proponenti, un compito di controllo diretto al riconoscimento di ciascuna formazione partitica. Perciò avrebbero potuto essere legalmente ammessi nel nuovo stato solo quei partiti che avessero accettato i canoni fondamentali del liberalismo e della democrazia. Viceversa, nessun partito che in specie combattesse “il principio della libera formazione elettiva delle leggi e dei governi e manifestasse il suo intento di eliminazione violenta degli altri partiti” avrebbe potuto trovare legale riconoscimento. A tale corte sarebbe altresì spettato di sanzionare la non coincidenza tra programmi e propaganda politica.

Nondimeno, tale proposta di controllo sulle finalità ideologiche e sulla propaganda dei partiti non trovò d’accordo alcuni tra gli esponenti della cultura liberale post-fascista. Chi prese le distanze da tale teorica fu in particolare Luigi Einaudi. Il giurista torinese, al quesito politico del se si dovesse tollerare l’esistenza di partiti liberticidi, diede infatti opposta soluzione. In un articolo intitolato “Major et sanior pars, ossia della tolleranza e dell’adesione politica”, comparso nel quotidiano “Idea” nel gennaio 194546, questi evidenziò

l’impraticabilità di tale approccio, in quanto nessun partito, fosse anche fascista, nella fase precedente alla conquista del potere si sarebbe detto negatore della libertà. Più in generale, secondo Einaudi la lotta contro i partiti liberticidi avrebbe dovuto essere combattuta evidenziando “l’errore dei loro programmi con tutti i mezzi di propaganda possibili”, e non negando loro il diritto di partecipare pienamente alla vita politica. Perciò nulla, secondo Einaudi, avrebbe potuto lo stato democratico contro tali partiti, se non opporsi all’uso eventuale di mezzi illeciti.

45 G. Calogero, Difesa del liberalsocialismo, Atlantica, Roma, 1945, p. 64. 46 Mazzei, op.cit. pp. 74-91.

Agli antipodi viceversa si poneva la posizione di altro esponente liberale: Benedetto Croce. Questi, sul “Risorgimento Liberale” (1945), pubblicò un articolo intitolato “Libertà e forza”47, in cui

individuò la maggiore colpa delle democrazie liberali nella circostanza di essere rimaste noncuranti di fronte alle tendenze illiberali manifestatesi negli anni precedenti al fascismo. Invero, secondo il filosofo l’uso della forza non doveva essere aprioristicamente escluso, ma anzi incoraggiato “a servigio del bene supremo”.

Questa nota disputa sollecitò l’interesse di molti altri studiosi e finanche della stampa: allorché nel 1945 il settimanale “La città libera” lanciò un’inchiesta in materia. Le posizioni che vennero a delinearsi in tale dibattito formarono la base teorica della disputa successiva in Assemblea costituente, e nonostante il consenso raccolto da diverse voci autorevoli intorno alla soluzione crociana, alla fine la scelta intrapresa dai Costituenti fu di diversa natura. Invero, a differenza di molte democrazie sorte nel Secondo dopoguerra dalle macerie di regimi autoritari, il caso italiano non può inquadrarsi nell’ambito delle democrazie protette, in quanto ad esso mancano quegli strumenti tipici che valgono a qualificarlo come tale: diversamente dal caso tedesco o dal più recente caso spagnolo, non è prevista alcuna disciplina generale contro i partiti antisistema, ma si proibisce solo la riorganizzazione in qualsiasi forma del disciolto partito fascista; del pari, non è previsto alcuno stato di eccezione invocabile a tutela dell’ordinamento, come nel caso francese; infine non è presente alcuna disposizione che in dettaglio difenda l’ordinamento da eventuali sovvertimenti. Perciò, con la sola eccezione della XII disposizione transitoria e finale della

Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano non può classificarsi tra quelli protetti.