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CAPITOLO I: La protezione della democrazia in un’ottica

2. La disciplina costituzionale dei partiti politici

La disciplina costituzionale dei partiti politici in Italia è rinvenibile in parte nell’art. 18 Cost.it., e in parte nell’art. 49 Cost.it. A queste due disposizioni deve essere poi collegata la XII disposizione transitoria e finale.

Partendo dall’art. 18, tale disposizione, centrale nell’ambito delle libertà associative, prevede che “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. La previsione fu il frutto di un delicato dibattito svoltosi nella Costituente. Dapprima, nel testo proposto alla prima sottocommissione dai relatori Basso (PSI) e La Pira (DC) dopo l’inciso “senza autorizzazione” figurava l’aggiunta della locuzione “preventiva”. All’esito della discussione, si decise tuttavia la soppressione della formula aggiuntiva, perché giudicata limitativa, a parere dell’onorevole Lucifero (PLI) e altri, in quanto idonea a far pensare che il legislatore potesse comunque imporre autorizzazioni successive alla costituzione delle associazioni48. Con riferimento al limite relativo alla non contraddittorietà con la legge penale, questo era stata suggerita da una proposta del Consiglio di stato, accompagnata da una breve relazione nella quale si leggeva tra l’altro che “ nella formula proposta non si parla di oggetto illecito, contrario alle leggi in genere o all’ordine pubblico o al buon

48 V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La costituzione della Repubblica italiana

costume, perché questo riferimento elastico dà un margine all’esercizio di un’ampia potestà di valutazione discrezionale da parte delle autorità statali quali che siano e affievolisce il diritto che si intende tutelare. All’incontro il contrasto con la norma penale è sempre preciso e definitivo…”49. La dizione più garantista “per fini

che non siano vietati ai singoli dalla legge penale” fu invece opera del Comitato di redazione, e venne approvata senza contestazioni dall’Assemblea plenaria50.

Alla limitazione di carattere penalistico, gli onorevoli La Pira (DC) e Moro (DC) proposero inoltre di aggiungere una limitazione di carattere costituzionale. In particolare, mentre il primo suggerì la prescrizione che i fini dell’associazione non fossero in contrasto con “le libertà garantite dalla Costituzione”; il secondo propose quale vincolo, di carattere politico, quello del “rispetto delle libertà democratiche” sancite dal testo costituzionale. Entrambi gli incisi furono tuttavia rigettati a larga maggioranza, sul presupposto che tali formule si prestassero a interpretazioni faziose o erronee e tali da dar luogo ad abusi51.

Perciò, cosi come nella formulazione dell’art. 49 Cost. it. si è preferito omettere qualunque limite ideologico alla libertà dei partiti, riconducendo il metodo democratico alle regole della democrazia procedurale, del pari la riserva di legge rinforzata e l’esclusione di interventi di prevenzione in materia associativa ai sensi dell’art. 18

49 Ibidem.

50 G. Brunelli, Struttura e limiti del diritto di associazione politica, Giuffrè, Milano 1991, p.171, ha, in proposito, osservato che: “ Posti dinanzi al controverso e difficile problema della legittimità costituzionale dei numerosi reati di associazione, e in particolar modo di associazione politica, presenti nella legislazione italiana, gli interpreti hanno messo in luce la necessità di stabilire, in primo luogo, se vi sia nell’ordinamento una norma penale che vieti ai singoli di perseguire il medesimo fine inibito all’associazione, e di verificare, in un secondo momento, la compatibilità con i principi costituzionali della suddetta norma”.

Cost.it. si inseriscono nel medesimo disegno di una libertà associativa svincolata da limiti di natura ideologica52. Inoltre, dall’esclusivo rinvio alla legge penale, quale unica fonte di qualificazione degli illeciti associativi, discendono, come evidenziato in dottrina53, quali importanti conseguenze: in primis, la declaratoria di incostituzionalità di tutte quelle disposizioni che prevedevano nei confronti di associazioni misure restrittive non fondate su alcun precetto penale; l’esclusione che l’ordine pubblico si configuri come autonomo limite alla libertà di associazioni; l’esclusione della legittimità di attribuzioni del potere esecutivo in materia di misure restrittive della libertà di associazioni, e segnatamente di scioglimento di queste, le quali non siano meramente accessorie rispetto all’accertamento giudiziale della violazione di un precetto penale.

In deroga al principio generale individuato al I comma, il II comma introduce due ulteriori proibizioni relative: alle associazioni che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare e alle associazioni segrete54. Relativamente a queste ultime, il dibattito nella Costituente ruotò principalmente intorno al quesito se la segretezza fosse da intendere alla stregua di un limite indipendente o meno dalla valutazione

52 P. Ridola, Democrazia pluralistica e libertà associative, Giuffrè, Milano, 1987, p. 253.

53 Ivi, pp. 254-255.

54Brunelli, op.cit., rispetto ai due menzionati divieti ha osservato che: “sono prospettabili essenzialmente due interpretazioni. In base ad una prima teoria, dovuta a Pace, il comma 2 dell’art. 18 mira ad ammonire i governanti ed i cittadini sulla necessità che «nello Stato non si crei un altro stato», ciò che sarebbe confermato dalla stessa proibizione delle associazioni politiche organizzate militarmente, posto che «l’unica struttura associativa che possa perseguire fini politici con l’ausilio di mezzi coercitivi è appunto lo Stato- detentore, nell’ordinamento, del monopolio della forza». Secondo la tesi di Petta, invece, entrambi i divieti contenuti nella disposizione costituzionale sono direttamente connessi all’imperativo del «metodo democratico» di cui all’art. 49 Cost., questo sostanziandosi in «forme di lotta politica che sono incompatibili con l’azione occulta e sotterranea delle società segrete» “.

dell’elemento teleologico55. In particolare, trovarono asilo, in quella

sede, due principali orientamenti sul significato delle parole “associazioni segrete”: da parte di alcuni si suggeriva di specificare la segretezza nel mezzo per occultare uno scopo “poco onesto” o “poco confessabile” (Della Seta), oppure un fine politico che potesse “mirare a minacciare la costituzione dello stato” (Lucifero, Cevolotto); da parte di altri si suggeriva invece specificare il divieto con un richiamo al “vincolo di segretezza consacrato nello statuto”, “all’intenzione della società di essere segreta”, ai particolari del suo funzionamento (Moro). A prevalere tra i due orientamenti fu il secondo: fu precisato che il divieto dovesse avere carattere non strumentale ma assoluto, richiedendo un’indagine non su elementi esteriori, ma sulla natura del vincolo56.

Quanto all’art. 49 della Costituzione, la disposizione recita “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Sui rapporti tra quest’ultima disposizione costituzionale e la precedente, sono stati elaborati in dottrina due diversi orientamenti. Secondo il primo, sostenuto in misura minoritaria, a causa delle differenze strutturali sussistenti tra le due libertà di associazioni, l’art. 18 Cost. it. risulta inapplicabile ai partiti politici. Al contrario, in base al secondo orientamento, sostenuto dalla dottrina maggioritaria, la regolamentazione dettata dall’art. 49 Cost.it è integrativa, e non sostituiva, di quella di cui all’art. 18 Cost.it.57. In

sostanza, la disciplina predisposta dall’art. 18 Cost. it. copre tutta l’area dei fenomeni associativi, ma l’art. 49 Cost. it. individua quale

55 Ivi, p. 241. 56 Ivi, pp. 245-246.

57 M. D’Antonio, G. Negri, Il partito di fronte allo stato, di fronte a sé stesso, Giuffrè, Milano, 1983, pp. 18-19.

criterio discretivo dei partiti politici l’elemento finalistico di determinazione della politica nazionale. Inoltre, che questa ultima previsione non costituisca una mera specificazione dell’art. 18 Cost. it. sarebbe altresì confermato dalla collocazione del relativo disposto, sotto il titolo delle libertà politiche, e non civili, e immediatamente dopo l’art. 48 sul diritto di voto58. Ne consegue perciò che i partiti

accedono alla disciplina dettata da entrambe le disposizioni, soggiacendo sia alle limitazioni previste per la generalità delle associazioni ex art. 18 che a quella specifica di cui all’art. 49 (il rispetto “del metodo democratico”).

Passando alla disamina delle prescrizioni dell’art. 49 Cost. it., sebbene nell’intento unanime dei Costituenti59 la norma fosse diretta

al superamento del sistema parlamentare tradizionale a favore di un regime che più democraticamente incoraggiasse la partecipazione dei cittadini, la formulazione del disposto risentì del difficile e travagliato dibattito. In particolare, trovarono asilo nella Costituente due tesi principali: la prima diretta a garantire la libertà di associazione in partiti con una regolamentazione minima, la seconda diretta al contrario al riconoscimento della personalità giuridica dei partiti e alla regolamentazione in dettaglio del loro funzionamento. Inizialmente, vennero perciò proposte due formule alternative60: quella elaborata da Merlin (PSI) e da Mancini (PSI) (“I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale

58 L. Basso, Considerazioni sull’art. 49 della Costituzione, in ISLE (a cura di),

Indagine sul partito politico: la regolazione legislativa, Milano, Giuffrè, 1966, p.

148. 59 Ivi, p. 134

60 F. Calzaretti (a cura di), La nascita della Costituzione. Le discussioni in

Assemblea costituente a commento degli articoli della Costituzione, in

organizzazione saranno dettate con legge particolare”) e quella dell’on. Basso (PSI) “Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese. Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi”). Il dibattito dei Costituenti, relativamente alle formule proposte, si appuntò dapprima sulla proposta fatta da Merlin (PSI) e Mancini (PSI): una formulazione questa che molti ritennero pericolosa, perché, subordinando il diritto di associazione partitica al rispetto dei principi di “libertà ed uguaglianza” e non solo al rispetto del metodo democratico nella formazione dei partiti, si proponeva di limitare sia l’organizzazione interna che la loro azione politica esterna. Da qui si comprendono le obiezioni rivolte a tale formula da due esponenti dell’allora PCI: Marchesi e Togliatti. Il primo intese sottolineare come la formula suddetta, in ragione del suo riferimento limitativo al “metodo democratico” e al rispetto “della dignità e della personalità umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza”, si prestasse ad essere impiegata per mettere fuori legge in specie il partito comunista, ritenuto “a torto favorevole all’adozione della violenza”, e che pertanto l’articolo dovesse considerarsi “lesivo della libertà dell’organizzazione dei partiti politici”61. Il secondo si

associò all’opinione di Marchesi (PCI) rilevando come l’articolo in esame dovesse a suo parere “essere limitato concretamente, riferendolo a movimenti politici già esistenti”. In quest’ottica, Togliatti (PCI) si disse favorevole a votare la formula proposta dall’on. Basso (PSI), purché integrata da un “divieto di

riorganizzazione del partito fascista”, fatto quest’ultimo “preciso e storicamente determinato”62.

Perciò, all’esito dei lavori svolti nella I sottocommissione, i commissari trovarono un accordo, pur con qualche modificazione, solo sulla prima parte della formula proposta da Lelio Basso (PSI) (“Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti politici allo scopo di concorrere democraticamente a determinare la politica del Paese”), come integrata da altra proposizione del medesimo articolo, di Togliatti (PCI): “È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista”. La parte relativa alla regolamentazione dei partiti e delle loro attribuzioni costituzionali fu viceversa omessa, e la discussione rinviata all’Assemblea plenaria63.

In quella sede il lavoro di Basso fu ripreso dagli on. Mortati (DC) e Ruggiero (PSDI). A quel punto la discussione si focalizzò sulla questione della democrazia interna ai partiti politici: tema rispetto al quale si registrarono le maggiori divergenze tra sinistre e democristiani. In particolare, sono in questa sede da evidenziare la proposta di emendamento di Mortati (DC) e di Ruggiero (PSDI) (“Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e

62 On. Togliatti, nella seduta del 19 Novembre 1946, in Ibidem.

63 Come osservato da A. Poggi, È ancora attuale il dibattito sul “metodo”

democratico interno ai partiti?, in Federalismi.it, n. 24/2014, pp. 5-6: “Quando in

Prima Sottocommissione emerse lo scontro tra democristiani (che volevano norme che sancissero la democraticità interna) e comunisti e socialisti (che negavano ogni possibile condizionamento dell’azione del partito) di fronte all’impossibilità pratica di trovare un accordo si approvava un ordine del giorno Dossetti secondo cui «La Prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e delle attribuzioni ad essi di compiti costituzionali». A ciò si aggiunse il tentativo (non riuscito) di rinviare ad un esame comune con la seconda Sottocommissione «la determinazione delle condizioni e delle modalità del riconoscimento». Dall’attenta lettura di quel dibattito si evince che in Assemblea costituente sia maturata consapevolmente l’esclusione di ogni riferimento sia all’organizzazione interna dei partiti, sia al rinvio della loro disciplina interna da parte della legge statale.”

nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale”64) e quella dell’on. Bellavista (PLI) di aggiungere alla formulazione già votata un ulteriore comma: “Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari”65.

Partendo dalla proposta fatta di comune accordo da Mortati (DC) e da Ruggiero (PSDI), la differenza sostanziale rispetto alla formulazione proposta dalla Commissione constava nella specificazione del requisito di democraticità nell’organizzazione interna dei partiti, e non solo nell’azione “esterna” finalizzata a determinare la politica nazionale. Lo stesso Mortati (DC), osservò, a sostegno del proprio emendamento: “È nei partiti che si preparano i cittadini alla vita politica e si dà modo ad essi di esprimere organicamente la loro volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel Parlamento. Mi pare quindi che non si possa prescindere anche per essi dall'esigere una organizzazione democratica”. Nell’ottica dei due presentatori dell’emendamento, la richiesta di un’organizzazione interna democratica non avrebbe coartato la libertà di formazione dei partiti, in quanto gli accertamenti a ciò diretti sarebbero consistiti solo nel deposito degli statuti, mentre il giudizio di conformità degli statuti al metodo democratico sarebbe stato affidato ad un organo neutro come la Corte costituzione o al più ad organismi paritetici formati dalle rappresentanze dei partiti esistenti.

Quanto alla proposta fatta dall’on. Bellavista (PLI), questa era attinente alle finalità perseguite dal partito. Lo stesso proponente

64 On. Mortati e Ruggiero nella seduta del 22 maggio 1947 in Calzaretti (a cura di),

op.cit.

ebbe modo di precisare, nella stessa seduta, che l’obiettivo dell’emendamento era quello di “premunir[si] contro il ritorno della dittatura ed essere espliciti non soltanto quanto alla strumentalità ma quanto alla finalità che un partito può proporsi”.

Tali proposte erano perciò accomunate dall’intento evidente di ottenere un controllo interno o esterno nella vita dei partiti: esigenza questa che incontrava tuttavia l’obiezione delle sinistre. In primis, all’on. Merlin (PSI) sembrava eccessivo e superfluo interferire nella vita interna dei partiti, in quanto, “…come negli individui il delitto è punito quando si estrinsechi in atti concreti all'esterno e non si vanno a ricercare le intenzioni o a fare dei processi all'interno della mente di ogni individuo, così non è lecito dubitare, sospettare della vita dei partiti all'interno. Saranno colpiti e puniti se essi all'esterno compiranno degli atti contro le nostre istituzioni”. Allo stesso modo, rispetto a tale proposta, commentava Laconi (PCI), ritenendo già sussistente un controllo di democraticità affidato in via di fatto agli aderenti al partito e prestandosi tale emendamento a facilissimi abusi contro le minoranze. Dello stesso parere, si mostrò l’on. Codignola (Pd'A): segnalando l’arbitrarietà del principio insito nell’emendamento elaborato da Mortati (DC) e da Ruggiero (PSDI). Infatti, la trattazione del problema in esame non avrebbe potuto prescindere, secondo il giurista, dalla trattazione di altre questioni concernenti i limiti alle attività dei partiti, i loro poteri, e in primis il riconoscimento della loro personalità giuridica.

Ancora più aspre si rivelarono le critiche dirette alla proposta fatta dall’on. Bellavista (PLI): obiettandosi, ad opera dell’on. Laconi (PCI), che tale formulazione si sarebbe concretizzata in un vero e proprio “processo alle intenzioni”66.

Al contrario, le motivazioni alla base dell’emendamento Mortati-

Ruggiero erano perfettamente condivise dall’on. Moro (DC), il quale fece notare come “non si possa riscontrare alcun pericolo nel richiamo non solo al carattere democratico della prassi politica nella quale operano i partiti, ma anche al carattere democratico della loro struttura interna. Si tratta di organismi i quali devono operare con metodo democratico quale è universalmente riconosciuto, ed è evidente che, se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere l’indirizzo democratico nell'ambito della vita politica del Paese”67.

Nondimeno, all’esito della discussione assembleare, le ragioni di preoccupazione in ordine ad un controllo sulla vita interna dei partiti prevalsero e perciò l’emendamento proposto inizialmente da Mortati e Ruggiero e poi fatto proprio, una volta ritirato il proprio, dall’onorevole Bellavista (PLI), fu respinto con voto assembleare, in favore del testo elaborato dalla Commissione. Pare perciò corretto affermare che la formula, pur ambigua, del “metodo democratico”, nella sua interpretazione autentica, si limiti a comandare il rispetto delle regole che governano la competizione politica e il divieto di servirsi di mezzi violenti. A differenza di altri testi costituzionali, e segnatamente di quello tedesco, nel caso italiano si è voluto evitare un controllo statale diretto sull’attività di ciascun partito, anche sul presupposto che in quanto non si è voluto accedere al riconoscimento giuridico dei partiti politici, tale soluzione si sarebbe rivelata, oltreché difficile, pericolosa68.

In questo senso, il ritiro degli emendamenti sopracitati e la faticosa elaborazione, nella formula oggi vigente, della norma contenuta nell’art. 49 Cost. it., si accompagnava, secondo una parte della dottrina, al “patto politico, stretto tra i maggiori partiti, in base al

67 On. Moro, nella seduta del 22 Novembre 1947, in Ibidem. 68 Falzone, Palermo, Cosentino, op.cit. p.160.

quale (e salvo i divieti della violenza politica e della ricostituzione del partito fascista) il rispetto effettivo del metodo democratico sarebbe stato affidato agli stessi partiti politici ed avrebbe trovato la sua garanzia solo nell’esistenza di un largo pluralismo politico”69. In

sostanza, pur convenendo sulla necessità di imporre un contegno democratico, si preferì, con la sola eccezione della XII disposizione transitoria e finale, demandarne la garanzia effettiva agli stessi partiti.

Tuttavia, la soluzione di compromesso cosi raggiunta nella Costituente si mostrò, alla prova dei fatti, debole e contraddittoria: debole, perché destinata a cedere, come ogni accordo politico, al mutamento delle contingenze politiche; contraddittoria, perché l’apposizione di limiti all’attuazione del principio democratico tradiva una divergenza di fondo, fra i maggiori partiti, sul corretto significato da attribuire alla clausola del “metodo democratico”70. Non è un caso, come si vedrà nel prosieguo di questa trattazione, se già a partire dagli anni 50’, superata l’interpretazione autentica di tale clausola, si tentò: dapprima l’approvazione di una legge attuativa dell’art. 49 Cost. it., che bandisse i partiti mossi da finalità antidemocratiche; successivamente fallito tale obiettivo, si ripiegò, al fine di arginare le forze politiche estreme del paese, su una soluzione ancora più drastica, ossia la conventio ad excludendum71. Accanto alla prima lettura possibile della formula “metodo democratico”, si sono perciò affermate in dottrina due varianti interpretative, meno vincolate all’origine di tale disposizione e maggiormente estensive, del significato da attribuire a tale formula. Con la prima il “metodo democratico” è stato inteso alla stregua di

69 S. Merlini, I partiti politici e la costituzione (rileggendo Leopoldo Elia), in Idem (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Passigli, Firenze, 2009, pp. 8-9.

70 Ivi, p.9. 71 Ibidem.

un limite legato alle finalità perseguibili dal partito, di guisa che sarebbero inammissibili nel nostro ordinamento quelle associazioni che, pur con metodo democratico, perseguissero scopi antidemocratici. Questa soluzione interpretativa ha trovato un fondamento giuridico: talvolta nella XII disposizione transitoria e finale72 e nella necessità di estendere tale disposto anche ai partiti di