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Il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista nella

CAPITOLO I: La protezione della democrazia in un’ottica

6. Il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista nella

Sebbene l’impianto normativo tracciato nelle pagine che precedono non sia stato oggetto di frequentissime applicazioni, in più occasioni si è dubitato della legittimità costituzionale delle previsioni che ivi confluiscono. Verso la legge Scelba in particolar modo sono state sollevate in diverse occasioni questioni di legittimità costituzionale, motivate dal rilievo che la norma di cui all’art.4 della legge sopracitata negherebbe la libertà di manifestazione del pensiero, tutelata costituzionalmente all’art. 21 della Carta costituzionale. Sono perciò da segnalare in quest’ottica due sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale: la pronuncia n.1/1957 e la pronuncia n.74/1958. Infatti, sebbene tali questioni siano state in definitiva dichiarate infondate, le osservazioni fatte dalla Consulta in tali sedi affrontano questioni di carattere interpretativo concernenti l’intero impianto normativo e delle quali dunque si vuol dar conto in questa sede.

In particolare, partendo dalla sentenza n.1/1957

119, la Consulta ha

definito i contorni dell’apologia del fascismo, esaminandola in rapporto al divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista di cui alla XII disposizione transitoria e finale, comma I. In questo senso, la Corte ha osservato che l’apologia del fascismo non consiste in una istigazione diretta (qual è quella che si configura invece all’art. 2 della legge Scelba), ma in una “istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine

che abbiano concretamente dimostrato la loro pericolosità commettendo specifici fatti criminosi”.

idoneo ed efficiente”. Perciò, ai fini della configurazione del fatto incriminato, non è sufficiente una mera “difesa elogiativa” ed occorre invece ravvisare “un’esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista”. Per questi motivi, la Corte non potendo istituire il raffronto richiesto tra l’art. 4 della legge n. 654/1952 e l’art. 21 della Carta costituzionale, ha ritenuto di non ravvisare nell’art. 4 della legge citata alcuna violazione dell’articolo 21 della Carta costituzionale.

Analogamente, la sentenza n.74/1958120, affronta la questione, ma in relazione alle “manifestazioni fasciste” vietate ai sensi dell’art. 5 della legge Scelba. Infatti, tale disposto era stato ritenuto dai giudici

a quibus in contrasto sia con l’art. 21 della Costituzione tutelante la

libertà di manifestazione del pensiero, che con la XII disposizione transitoria, la quale, pur vietando la riorganizzazione del disciolto partito fascista, “nulla dispone nel caso vengano compiute manifestazioni usuali al disciolto partito”. Al contrario, gli spunti forniti dalla Corte nella pronuncia in esame contraddicono questa lettura minimalista del dettato costituzionale. Come hanno osservato in tale occasione i giudici della Consulta, la XII disposizione transitoria va infatti interpretata come una norma costituzionale espressione di un principio, la cui portata va individuata in relazione al quadro storico e alle contingenze politico-sociali che ne favorirono l’emanazione. Quindi, in considerazione di queste variabili e della “necessità di impedire, nell’interesse del regime democratico che si andava ricostituendo, che si riorganizzasse in qualsiasi forma il partito fascista, era evidente che la tutela di una siffatta esigenza non potesse limitarsi a considerare soltanto gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione del tutto avulsi da ogni loro antecedente

causale; ma dovesse necessariamente riferirsi ad ogni comportamento che, pur non rivestendo i caratteri di un vero e proprio atto di riorganizzazione, fosse tuttavia tale da contenere in sé sufficiente idoneità a produrre gli atti stessi”. Perciò la soluzione interpretativa data dalla Corte valorizza l’inciso “in qualsiasi forma”, al fine di non irrigidire il precetto entro limiti stringenti, ma nondimeno, mette in guardia contro un’interpretazione meramente letterale dell’art. 5 della legge Scelba: invero, una lettura di tale disposto che ritenga punibile qualche parola o gesto che rievochi il regime fascista non può essere ritenuta “conforme alle intenzioni del legislatore, il quale, dichiarando espressamente di voler impedire la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ha inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del pensiero tutelata dall’art. 21 della Costituzione, bensì quelle manifestazioni usuali del disciolto partito che, come si è detto prima, possono determinare il pericolo che si è voluto evitare”. Dunque, tale fattispecie, a detta della Corte, intende vietare solo quelle manifestazioni che, in ragione del momento e dell’ambiente in cui si si svolgono, siano potenzialmente idonee alla riorganizzazione del disciolto partito fascista. In questo senso, sembra corretto qualificare le fattispecie incriminatrici previste dalla legge in esame come reati di pericolo concreto: perché caratterizzati da un arretramento della soglia di punibilità al pericolo che si realizzi un’offesa al bene giuridico protetto, come accertato dal giudice del caso di specie (121).

121 A. Nocera, Manifestazioni fasciste e apologia del fascismo tra attualità e nuove

prospettive incriminatrici, in Diritto penale contemporaneo, Maggio 2018, ha messo

in evidenza altra tesi dottrinale secondo la quale “il contenuto delle manifestazioni simboliche che ricordano l’ideologia fascista o nazista assumono un rilievo assorbente sul piano della offensività, per effetto dell’attuazione della XII Disposizione, non essendo necessario individuare una idoneità in concreto e funzionalità di tali condotte alla riorganizzazione del disciolto partito fascista, ove si svolgono in ambito pubblico, che per sua natura (rievocando la violenza propria del regime) può consolidare il consenso intorno a tali idee e realizzare un effetto di turbamento della pacifica civile convivenza”.

Premessa l’applicazione, sulla scorta delle indicazioni della Consulta, della fattispecie di cui all’art. 5 ai soli casi di pericolo concreto per le istituzioni democratiche, gli elementi caratteristici del momento e dell’ambiente sono stati sviluppati, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo due diversi orientamenti: il primo, espresso nella sentenza n. 37577/2014, dà rilievo decisivo alla pubblicità della condotta, tale di per sé da rappresentare un tentativo concreto di raccogliere adesioni alla ricostituzione del partito; il secondo, espresso nelle sentenze n.11038/2016 e n.8108/2017, ridimensiona il requisito della pubblicità, espungendo dal novero delle condotte pubbliche punibili quelle svoltesi in occasioni di manifestazioni meramente commemorative dei defunti122.

7.

La conventio ad excludendum del PCI e del MSI