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LE NAVI ANTICHE DI PISA: UN MODELLO MUSEALE PER LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO

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Academic year: 2021

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U N I V E R S I T À D E G L I S T U D I D I P I S A

F O N D A Z I O N E C A M P U S

Corso di Laurea Magistrale in

Progettazione e Gestione dei Sistemi Turistici Mediterranei

TESI DI LAUREA Le Navi Antiche di Pisa:

un modello museale per la valorizzazione del territorio

Relatore

Chiar.mo Prof. ANDREA MUZZI

Candidato

CAMILLA RICCERI

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

I STORIA DEL MUSEO 1. GLI SCAVI E I RITROVAMENTI ... 6

2.GLI ARSENALI MEDICEI ... 14

3. IL MUSEO E LE SUE OPERE ... 17

II IL TURISMO CULTURALE 1. COS’È UN BENE CULTURALE? ... 28

2. IL TURISMO CULTURALE ... 35

3.IL MUSEO DELLE NAVI: UN ESEMPIO VIRTUOSO ... 39

4. I FLUSSI TURISTICI PISANI ... 44

III INTERVISTE 1. INTERVISTA A ANDREA CAMILLI ... 52

2. INTERVISTA A MARCELLA VANNOZZI ... 60

3. INTERVISTA A FRED HOCKER ... 70

IV IL QUESTIONARIO 1.SPIEGAZIONE DEL QUESTIONARIO ... 80

2. ANALISI DEI DATI DELLA SEZIONE 1: DOMANDE DI CARATTERE GENERALE ... 89

3. ANALISI DATI RACCOLTI PER LA SEZIONE 2: UTENTI CHE HANNO VISITATO IL MUSEO ... 93

4. ANALISI DEI DATI RACCOLTI PER LA SEZIONE 3: UTENTI CHE NON HANNO VISITATO IL MUSEO ... 107

5. PROPOSTE ... 111

CONCLUSIONE ... 114

BIBLIOGRAFIA ... 115

SITOGRAFIA E FILMOGRAFIA ... 117

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INTRODUZIONE

Piazza dei Miracoli e la sua Torre Pendente: nell’immaginario collettivo quasi il simbolo dell’Italia intera all’estero. Quando si pensa a Pisa sono questi i luoghi che per primi vengono in mente. Senza nulla togliere alle bellezze uniche di Piazza dei Miracoli, questo elaborato ha come obbiettivo quello di mettere in luce l’esistenza di altre realtà culturali sul territorio pisano, meno conosciute ma in via di sviluppo e altamente valide. Evidenziando l’importanza di creare un’offerta strutturata, che miri a valorizzare anche le realtà pisane minori, il presente elaborato analizza la nascita e lo sviluppo dell’esposizione delle Navi Antiche di Pisa: esempio virtuoso di applicazione di best practices nell’ambito museale e in quello del turismo culturale.

Il primo capitolo è interamente dedicato al fortuito ritrovamento dei reperti e alla nascita di quello che per praticità sarà spesso definito – lungo tutto l’elaborato – “Museo delle Navi di Pisa”, anche se ancora non ha giuridicamente acquisito questo status.

Nel secondo capitolo viene affrontata la tematica dei beni e del turismo culturale in Italia, evidenziandone le problematiche e presentando l’esposizione delle Navi Antiche come esempio virtuoso di superamento di queste ultime.

Il terzo capitolo è dedicato alle interviste di esperti del settore due dei quali – Andrea Camilli e Marcella Vannozzi – direttamente coinvolti nel progetto delle Navi Antiche e Fred Hocker, direttore di ricerca del Museo Vasa di Stoccolma.

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Il quarto e ultimo capitolo è dedicato alla presentazione di un questionario da me progettato sulle Navi Antiche e alla successiva analisi dei dati raccolti attraverso lo stesso. A conclusione di questa analisi ho proposto una serie di spunti di riflessione che spero possano essere utili e contribuire allo sviluppo dell’interesse per le Navi Antiche di Pisa.

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I STORIA DEL MUSEO

1. Gli scavi e i ritrovamenti

È l’ottobre 1998. Siamo nei pressi della stazione di Pisa San Rossore dove, a pochi metri da metri da Piazza dei Miracoli, si stanno svolgendo gli scavi per la costruzione di un nuovo edificio che avrebbe accolto il centro direzionale delle Ferrovie dello Stato. Saranno i lavoratori i primi a confrontarsi con quella che risulterà essere una delle scoperte archeologiche italiane più rilevanti degli ultimi decenni. Una serie di manufatti lignei, ben conservati grazie a specifiche condizioni ambientali del sito, si riveleranno poi essere solo la porta di un sotterraneo mondo antico ancora tutto da scoprire. La scelta di procedere con i lavori di scavo e l’esplorazione sistematica del contesto porterà presto alla luce un’ingente quantità di reperti e evidenzierà la necessità di procedere all’allestimento di un cantiere di carattere intensivo. Pochi mesi dopo il fortuito ritrovamento, nell’estate del 1999, vista l’entità dello stesso, il sito fu destinato alla ricerca1 e fu creato un cantiere di scavo, concluso nel 2016, che ha restituito

circa trenta imbarcazioni di epoca romana e migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli e elementi in materiale organico2.

L’analisi dei primi ritrovamenti fu svolta sotto l’attenta direzione dell’archeologo e professore fiorentino Stefano Bruni che, seguendo il cantiere come funzionario, ha scoperto le prime imbarcazioni ed è stato il primo responsabile del sito. Non appena intuita l’importanza del cantiere, e compresa la necessità di essere reattivi per non rischiare di danneggiare i ritrovamenti archeologici, i primi interventi ebbero come scopo principale quello dell’identificazione e del recupero dei reperti e, vista la situazione di emergenza nell’impellenza di agire, lo scavo fu inizialmente finanziato dalle stesse Ferrovie3. Come evidenziato da Andrea

1A. Camilli e E. Setari, Il Museo delle Navi Antiche di Pisa, in M. Burresi e A. Zampieri, Pisa allo

specchio i musei e le collezioni pisane, Pisa, Edizioni ETS, 2012, p. 39.

2https://www.turismo.pisa.it/cultura/dettaglio/museo-delle-navi-romane-arsenali-medicei/

(02/09/2020).

3A. Camilli, P. Pallecchi, E. Remotti, Stratigrafia fluviale, portuale e terrestre: la sequenza dello

scavo delle navi di Pisa-S. Rossore, in B. M. Giannattasio et al., Aequora jam, mare...mare, uomini e merci nel Mediterraneo antico: atti del convegno Internazionale Genova, 9-10 dicembre 2004, Genova, All’insegna del Giglio, 2005, p.74.

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Camilli, Pasquino Pallecchi e Esmeralda Remotti al Convegno Internazionale di Genova del dicembre 2004 « Il rinvenimento di molti più relitti del previsto ha motivato il necessario abbandono dell’intervento iniziale, la sistematizzazione del progetto di scavo e la progettazione sul lungo periodo del completamento dell’indagine sul contesto»4. Questo Unicum archeologico, come viene definito

dai succitati relatori, meritava infatti di essere studiato e gestito in maniera programmata e sistematica, abbandonando l’iniziale approccio di mero recupero dei reperti. A pochi mesi dal ritrovamento la Cooperativa Archeologia comincia a seguire lo scavo archeologico e il restauro delle navi e dei reperti. Nonostante lo sforzo economico, organizzativo e tecnologico richiesto per le operazioni - grazie anche al costante impegno del MIBACT, oltre che alla collaborazione di un grande gruppo di professionisti, decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere, e grazie ad un’intensa attività di coordinamento politico portata avanti in primis dal Comune di Pisa - comincia a prendere vita il progetto di creazione di un polo museale tripartito: un cantiere di scavo reso stabile ed aperto al pubblico, un centro di restauro visitabile ed un museo5. Il CNAP

(Cantiere delle Navi Antiche di Pisa) diventa infatti operativo anche nel Centro di Restauro del Legno Bagnato e nel Museo delle Navi di cui parleremo in seguito in maniera più approfondita.

Come evidenziato da Andrea Camilli, attuale responsabile di progetto per la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno, in un’intervista per InToscana «Le grandi dimensioni vantate dal cantiere hanno consentito la scoperta di più di trenta imbarcazioni, il recupero e il restauro di 11 navi e soprattutto ha fornito un quadro vivido della storia, dell’economia e dei commerci pisani». 6

La presenza di falde acquifere, filtrate dalla sabbia tipica di questo banco fluviale, e la presenza di argille ha permesso infatti la conservazione, in mancanza di ossigeno, anche di materiali organici di piccole dimensione (come suppellettili di bordo, oggetti in vimini ed in cuoio, contenuti delle anfore ecc.)7. Quella che

4Ibid.

5A. Camilli, Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa: note sull’ambiente e sulla periodizzazione del

deposito, «Archaeologia maritima mediterranea, An international Journal on Underwater

Archaeology», 1, 2004, p.54.

6https://archeologiavocidalpassato.com/tag/andrea-camilli/ (03/09/2020).

7A. Camilli, P. Pallecchi, E. Remotti, Stratigrafia fluviale, portuale e terrestre: la sequenza dello

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Camilli descrive come una vera e propria rescue excavation8, per motivi di

carattere organizzativo e per la difficoltà di gestire lo scavo nella sua complessità, si è all’inizio incentrata principalmente sui singoli relitti. Affascinante la descrizione che Camilli, in occasione della rassegna stampa documentata da Anteprima Live nel giorno della presentazione del museo alla stampa, dà del ritrovamento delle navi durante gli scavi: «Queste alluvioni disastrose, ne abbiamo contate tra le 9 e le 12, coinvolgono tutto il territorio. Travolgono le navi e le fanno affondare, tutte in questo incrocio tra un fiume e un canale, accalcandole come in un immenso gioco di shangai. Ecco, lo scavo è stato questo. È stato un gioco di shangai in cui trovando una nave ne trovavi poi un’altra sotto»9

Figura 1 - Esperti al lavoro durante gli scavi

8A. Camilli, Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa: note sull’ambiente e sulla periodizzazione del

deposito (cit. nota 5), p.60.

9https://www.youtube.com/watch?v=cZOZfQgTAiY&t=2937s&ab_channel=CarloPalotti

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Figura 2 - Esperti al lavoro durante gli scavi

Come ricorda sempre Andrea Camilli in Archeologia Marittima Mediterranea10,

per comprendere i motivi per cui un deposito di tale entità si trova proprio in quello specifico punto della città bisogna risalire all’ambiente pisano in età romana. La parte abitata della città era originariamente situata nella piana alluvionale 10A. Camilli, Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa: note sull’ambiente e sulla periodizzazione del

deposito (cit. nota 5), p.54.

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dell’Arno, punto di incontro di diversi corsi d’acqua, due dei quali erano l’Arno (Arnus) ed il Serchio (Auser-Auserclus). Proprio alla confluenza di questi due corsi principali era sorto l’abitato pisano. L’intensa opera di disboscamento portata avanti in epoca romana al fine di creare ampi spazi aperti e bonificati da dedicare all’agricoltura, e per ricavare legname da esportare verso i mercati urbani, si trova alla base della serie di almeno otto alluvioni che interessarono l’area e che si susseguirono cadenzatamente dal II secolo a.C. al VII secolo d.C.

Nel corso degli scavi sono stati rinvenuti almeno cinque insiemi di depositi riferibili a questi eventi naturali traumatici che travolsero e fecero affondare numerose navi con i loro carichi11. Sono comunque diverse le ipotesi avanzate negli anni

per cercare di interpretare il deposito. Ne ricordiamo qui alcune, avanzate dallo stesso Camilli nel capitolo “Ipotesi per una interpretazione del deposito” della sopracitata opera. L’archeologo evidenza come, da un punto di vista geologico i reperti si trovano in un luogo che originariamente aveva dovuto essere una depressione colma d’acqua, presumibilmente un fiume. I depositi che inglobavano le imbarcazioni erano infatti generati da esondazioni del vicino Arno, di cui la stratigrafia archeologica testimonia un progressivo scorrere delle acque verso nord. Sarebbe stato proprio questo graduale spostamento del corso fluviale ad aver preservato i depositi. Scarseggiano però le evidenze che consentirebbero di interpretare il contesto come porto, e più plausibile risulta essere l’ipotesi di un corso d’acqua che, in virtù della sua prossimità con la città, ha interessato in età romana un intenso traffico.

Nonostante ciò, la prima testimonianza certa della frequentazione della zona interessata risale addirittura all’epoca etrusca. Camilli ed i suoi collaboratori hanno infatti identificato un susseguirsi di diverse fasi12:

Fase I: tra il VI e il V secolo a.C. È Quella che potremmo definire “fase della palizzata”. Questa è la più antica testimonianza di frequentazione dell’area e consiste in una serie di pali in legno che doveva probabilmente fungere da rinforzo e da fondazione alla riva. Accanto a questa un accumulo di pietre fa 11Ivi. p.61.

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presumere che, come specificato da Camilli sempre in Archeologia Marittima

Mediterranea, questi elementi possono presumibilmente essere considerati

come «Facenti parte di una sistemazione delle riva fluviale, consistente, più che in una serie di moli, in una rozza massicciata con contrafforte interno»13. Si

riscontrano anche i resti di una banchina e di fondamenti di capanne.

La fase II: primi decenni del II secolo a.C., epoca in cui si presume - a partire dall’analisi del gruppo di stratigrafie - che si sia verificata la prima alluvione. A questo periodo storico appartengono una struttura lignea, presumibilmente una passerella mobile, e la prima imbarcazione, identificata con il nome di “nave ellenistica”. Questa è stata rinvenuta completamente in pezzi e minuziosamente ricostruita dai restauratori. Il suo carico constava principalmente di 300 anfore greco-italiche che ci sono pervenute insieme a parte del corredo di bordo. Quest’ultimo è di notevole interesse perché, vista la presenza di numerosi elementi di origine ispanica, potrebbe far ipotizzare la provenienza del relitto dalle coste spagnole.

Fase III: prima metà del I secolo a.C. È quella che possiamo definire “dell’agricoltura”. Come affermato da Camilli in Ambienti, rinvenimenti e

sequenza, un breve riassunto aggiornato dello scavo delle navi14, in questo

periodo si assiste a un ulteriore spostamento della riva verso nord e ad un mutamento dell’area pisana. Il cambiamento riscontrabile nella vegetazione è presumibilmente connesso con le azioni di disboscamento e all’attività di centuriazione compiute dai romani con lo scopo di rendere l’area coltivabile. Sempre Camilli afferma che «Una possibile alluvione potrebbe essere testimoniata dai resti del carico di dolia di una nave (M), esterna all’area di scavo, rinvenuti in vari punti del fondale fluviale»15

13Ivi, p.63.

14https://www.academia.edu/13372316/Ambiente_rinvenimenti_e_sequenza_Un_breve_riassun

to_aggiornato_sullo_scavo_delle_navi_2012_ (4/09/20).

15https://www.academia.edu/13372316/Ambiente_rinvenimenti_e_sequenza_Un_breve_riassun

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Fase IV: tra l’anno 0 e il 15 d.c. Questa fase, definita da Camilli “dell’alluvione augusteo-tiberiana”16, vede un ulteriore avanzamento della linea di riva e il

conseguente incrocio tra il canale centuriale e il corso fluviale. Questa epoca fu testimone della seconda alluvione che coinvolse diverse imbarcazioni:

- La nave C (Alkedo, dal nome inciso su una panca della stessa) che è uno dei relitti meglio conservati dell’antichità classica

- La nave B - La nave E - La nave G

Fase V: tra il I e il II secolo d.C. Alla fase che Camilli definisce “giulio-claudia e flavia”17 risale «l’unica struttura certamente di attracco finora rinvenuta»18: una

struttura muraria rettilinea, probabilmente l’approdo privato di una villa padronale, la cui costruzione sarebbe effettivamente in linea con le usanze di questa epoca. Questa fase è anche caratterizzata «dall’attività di una fornace che produceva ceramica comune e da un’invetriata nelle immediate vicinanze, e in massicce opere di manutenzione dei canali»19. A questa fase è ascrivibile anche un

barcone fluviale, denominato nave P.

Fase VI: II secolo d.C., nella fase da Camilli definita “adrianea”20. In questo

periodo un’altra alluvione ha coinvolto alcune imbarcazioni minori: - Barchino H

- Barca fluviale F

- Nave esterna all’area di scavo, il cui carico è stato rinvenuto sotto la barca I

16A. Camilli, Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa: note sull’ambiente e sulla periodizzazione del

deposito (cit. nota 5), p.65.

17Ivi, p.68. 18Ibid.

19https://www.academia.edu/13372316/Ambiente_rinvenimenti_e_sequenza_Un_breve_riassun

to_aggiornato_sullo_scavo_delle_navi_2012_ p.16 (04/09/20).

20A. Camilli, Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa: note sull’ambiente e sulla periodizzazione del

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Fase VII: tra il 250 e il 280 d.C., in quella che era stata definita da Camilli nel 2004 una «Fase di accumulo intermedia». In Ambienti, rinvenimenti e sequenza,

un breve riassunto aggiornato dello scavo delle navi del 2012, viene dallo stesso

archeologo definito un periodo in cui si concentrano una «serie di drastici cambiamenti dell’assetto fluviale»21. È ipotizzabile infatti che questo periodo sia

stato caratterizzato da un’altra alluvione che ha coinvolto l’imbarcazione A.

Fase VIII: tra la fine del III e l’inizio del IV secolo a.C. definita da Camilli della «alluvione tardoanticha (o altomedievale)»22. Le tracce di questo periodo,

abbastanza tranquillo, riguardano interventi di manutenzione23.

Fase IX: tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. quando un’alluvione provoca il naufragio di una lintres fluviale, denominata I, una analoga ma di dimensioni minori, denominata Q e infine l’imbarcazione L.

Fase X: inizi del V secolo d.C., viene definita da Camilli «Un periodo di stasi fluviale che restituisce solo scarsi depositi limosi e pochi materiali»24.

Fase XI: V secolo d.C., epoca in cui la nave O resta coinvolta in un’altra alluvione.

Fase XII: VI secolo d.C., epoca in cui una grande alluvione coinvolge la nave rinominata D facendo rovesciare il suo carico di sabbia e ostruendo definitivamente il braccio settentrionale.

Fase XIII: VII secolo d.C., una fase di relativa tranquillità. I legni semilavorati e la presenza di alcuni relitti sono indice di una ripresa attività di trasporto del legno anche se «Un deposito di limi e argille, praticamente privo di materiale

21https://www.academia.edu/13372316/Ambiente_rinvenimenti_e_sequenza_Un_breve_riassun

to_aggiornato_sullo_scavo_delle_navi_2012_ p.16 (04/09/20)

22 A. Camilli, Il Cantiere delle Navi Antiche di Pisa: note sull’ambiente e sulla periodizzazione del

deposito (cit. nota 5), p.71.

23https://www.academia.edu/13372316/Ambiente_rinvenimenti_e_sequenza_Un_breve_riassun

to_aggiornato_sullo_scavo_delle_navi_2012_ p.17. (04/09/20)

24 Ibid.

Tabella riassuntiva delle fasi/eventi caratterizzanti il deposito delle Navi Antiche di Pisa (aggiornamento febbraio 2011)

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archeologico, testimonia il definitivo spostamento del braccio del fluviale più a Nord, fuori dell’area occupata dal Cantiere»25.

Figura 4 Schema riassuntivo delle varie fasi

2. Gli Arsenali medicei

Intorno al 1540, in pieno dominio mediceo, Cosimo I ebbe l’idea di costruire a Pisa un arsenale. Questo avrebbe dovuto accogliere le navi della potente flotta toscana, rinvigorire il rapporto storico dei pisani con il mare e stimolare la rinascita della città che, a seguito della definitiva occupazione fiorentina del 1509, era ormai in declino da anni. L’opera di costruzione degli Arsenali medicei, che sorgono sulle rive del fiume Arno, nell’attuale Lungarno Ranieri Simonelli,

25https://www.academia.edu/13372316/Ambiente_rinvenimenti_e_sequenza_Un_breve_riassun

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iniziarono sotto il governo di Cosimo I (1537-1574) e furono poi proseguiti dai figli Francesco I (1564-87) e Ferdinando I (1587-1609).26 Questi furono realizzati in

sostituzione degli arsenali più antichi ormai inutilizzati con il fine di «potenziare il ruolo commerciale ed economico»27 della città.

Le sale e le campate degli Arsenali nascono in origine come «capannoni adibiti alla costruzione e alla manutenzione delle galee dei cavalieri di Santo Stefano, il corpo cavalleresco a difesa della minaccia saracena»28 e già nel 1546 accolsero

la prima galera costruita dai maestri pisani.29

Questa politica di interventi di riorganizzazione territoriale portata avanti da Cosimo e dai figli sembrava in un primo momento aver effettivamente riportato la città toscana verso l’antica gloria. La forte concorrenza del vicino cantiere livornese e di Portoferraio, in aggiunta a un mutamento delle politiche marittime, portarono però presto, e nuovamente, al suo declino. A metà del XVIII, con il passaggio di potere dalla famiglia dei Medici a quella dei Lorena, questi ultimi decisero di mutare la funzione originaria dell’edificio, trasformandolo in una scuderia per accogliere i cavalli del reggimento dei Dragoni30. Fino a metà del

secolo scorso la struttura ha poi ospitato il centro di riproduzione ippica dell’Esercito italiano31. L’utilizzo dell’edificio come stalla ha comportato una serie

di modifiche architettoniche, come la creazione degli stazzi che dividono in cellette per i cavalli le campate e che, nell’allestimento del Museo delle Navi Antiche, sono state mantenute proprio con l’intento di documentare questa fase storica dell’edificio32.

26A. Camilli, P. Puma, E. Remotti, Dismounting,Conserving, Displaying Ships; the MNAP – Museo

delle Navi Antiche di Pisa and the activity of Centro di Restauro del Legno Bagnato di Pisa, in S.

Bertocci e S. Parrinello, atti del congresso Wooden architecture in Karelia II, Firenze, Edifir 2009, p.272.

27A. Camilli e E. Setari, Pisa allo specchio i musei e le collezioni pisane, (cit. nota 1), p.41. 28https://archeologiavocidalpassato.com/tag/andrea-camilli/ (04/09/2020).

29https://www.turismo.pisa.it/cultura/dettaglio/Arsenali-medicei-00002 (04/09/2020). 30 Ibid.

31https://archeologiavocidalpassato.com/tag/andrea-camilli/ (04/09/2020).

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Figura 5 – Gli Arsenali

Originariamente i capannoni erano aperti e decorati da mascheroni di marmo, stemmi e iscrizioni che ricordavano le vittorie navali dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano33. Nonostante i bombardamenti che distrussero tutta l’area della

Cittadella durante la seconda Guerra Mondiale, e che causarono il collasso di uno dei capannoni in mattoni34 la struttura si presenta ancora oggi nel suo aspetto

originario, pressoché invariato.

Guardandolo esternamente l’edificio risulta compatto, ma cela in realtà una situazione planimetrica e spaziale molto diversificata al suo interno. Come è stato evidenziato nel Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della

Toscana 3/2007, l’interno si suddivide in tre settori costituiti da:

- Un ampio corridoio centrale che bipartisce lo spazio laterale in due grandi aree, occupate ciascuna da

- Tre navate, suddivise all’interno in una serie di stazzi (originariamente per cavalli) con corridoio centrale;

- Ampia area di tre navate, di circa 1800 mq, in cui si accede al termine del corridoio n.I.35

33https://archeologiavocidalpassato.com/tag/andrea-camilli/ (10/09/20).

34A. Camilli, P. Puma, E. Remotti, Dismounting,Conserving, Displaying Ships; the MNAP – Museo

delle Navi Antiche di Pisa and the activity of Centro di Restauro del Legno Bagnato di Pisa, (cit.

nota 26), p.272.

35A. Camilli, Pisa.Cantiere delle navi antiche e Centro di Restauro del Legno bagnato. Resoconto

delle attività 2007-2008, «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana»,

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L’importante opera di restauro dell’edificio, portata avanti negli ultimi vent’anni permette oggi di disporre di cinquemila metri quadrati di spazi espositivi, divisi in otto aree tematiche e ben quarantasette sezioni36.

3. Il museo e le sue opere

Il Museo delle Navi di Pisa apre per la prima volta al pubblico le sue porte la domenica 16 giugno del 2019, in occasione della festa di San Ranieri, patrono della città. Quella dell’inaugurazione è una data simbolica ed importante, che sottolinea lo stretto rapporto di connessione ed identificazione tra il museo e gli abitanti di Pisa.

Figura 6 - Le Navi Antiche, dettaglio dell’esposizione

Come sottolineato da Camilli in Pisa allo specchio, i musei e le collezioni pisane, siamo di fronte ad un museo archeologico a tutti gli effetti «in cui i materiali non

36

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sono monumenti artistici ma documenti di vita reale, quotidiana [...] tutti sono piccoli frammenti di storie di vita, di sforzo, di fatica, di lavoro [...]»37.

È insomma un museo che racconta la storia di una città e dei suoi abitanti, «non solo quindi un Museo delle Navi, ma un Museo di Pisa antica, dall’età etrusca alla tarda antichità»38.

È una raccolta di reperti che supera la sua mera funzione di testimonianza e che, rivivendo oggi grazie al museo, diventa essa stessa storia nuova ed attuale. Come sottolineato da Andrea Muzzi, direttore della soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Pisa, Lucca e Livorno, durante il suo intervento in occasione della presentazione del museo alla stampa il 14 giugno del 2019:

Noi abbiamo la possibilità di mostrare un museo che non è solo l’esposizione di reperti importanti e rari, ma anche che racconta tutto questo. È un museo rivolto ad un pubblico vasto che può interessarsi ed incuriosirsi attraverso sistemi moderni, attraverso delle ricostruzioni che possono far capire i problemi della navigazione in mare nell’antichità, e poi anche capire come mai sono finite sotto terra tutte queste navi in un luogo soltanto. E anche tutto questo è raccontato, credo, in modo piuttosto efficace39.

Il museo si presenta insomma come l’epilogo di oltre vent’anni di lavoro che finalmente restituiscono al pubblico il frutto di questa incredibile scoperta «e una storia che era necessario poter porre a tutta la città e a tutti quanti»40.

Dal punto di vista dell’allestimento, tutta l’esposizione si svolge intorno al corridoio centrale che conduce e introduce all’ampio spazio in cui le navi, regine dell’esposizione, sono state collocate. Il corridoio, lungo il quale sono esposte testimonianze di materiali provenienti dal mondo marino, si apre sia a destra che a sinistra a diverse sezioni museali. Questa esposizione così lineare svela l’intento didattico del museo in cui ogni sezione e cambio di navata corrisponde ad una sezione tematica. Ecco che la struttura, i reperti e il modo in cui questi sono esposti, si propongono come chiaro e facilmente fruibile strumento divulgativo.

37 A. Camilli e E. Setari, Pisa allo specchio i musei e le collezioni pisane, (cit. nota 1), p.42. 38 Ibid.

39https://www.youtube.com/watch?v=cZOZfQgTAiY&t=2939s&ab_channel=CarloPalotti

(10/09/2020).

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Figura 7 - Le Navi Antiche, il corridoio

La progettazione museografica è tale per cui le aree laterali, ovvero le navate con stazzi, delimitano due grandi aree tematiche: il “prima” e il “dopo” le navi41.

La prima navata a sinistra è pensata come uno spazio da dedicare a manifestazioni culturali quali convegni e mostre temporanee. A destra comincia invece la vera e propria visita e il “percorso del prima”. Si parte con la storia delle origini della città di Pisa, con la sua fase etrusca e il periodo arcaico. Si apre poi il periodo romano, che racconta il dramma delle alluvioni ed introduce la scoperta dei relitti. A questa seguono tematiche archeologiche come le tecniche di scavo ed il restauro. Si arriva poi al punto nevralgico del museo, ed il visitatore si affaccia alla navata degli Arsenali, dove le navi sono esposte.

Come sottolineato nell’articolo del sito Archeologia Voci dal passato: «La volontà di conservare la struttura degli Arsenali ha condizionato le scelte museali, soprattutto nelle sale I, II e VIII, dove il mantenimento delle celle dei cavalli ha 41A. Camilli, «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», (cit. nota

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imposto una narrazione in microcapitoli, quasi a piccoli passi. I grandi ambienti delle campate sono invece lo spazio ideale per dispiegare le grandi navi restaurate»42.

Interessante come ogni relitto sia documentato e presentato al visitatore con dovizia di dettagli, accompagnato anche da una ricostruzione in scala 1:1. Dall’ultima navata, con la presentazione delle navi, parte la seconda parte del percorso di visita. Questo è strettamente legato alla tematica dei commerci e vi sono principalmente esposte anfore romane da trasporto. A questa sezione si succedono aree tematiche riguardanti le tecniche di navigazione e la quotidianità della vita a bordo. I reperti e la loro modalità di esposizione al visitatore denotano, anche in questo caso, un forte intento didattico e aiutano ad immergersi nei vari aspetti della vita marittima, da quelli tecnici ai più ludici. A tale proposito risulta molto interessante l’affermazione di Andrea Camilli, durante il suo intervento sempre in occasione della presentazione del museo alla stampa:

Quando con Elisabetta Setari cominciammo a pensare questo museo più di 15 anni fa e a definirlo insieme ci siamo trovati il diavolo e l’acqua santa, l’estroso e la precisa. Abbiamo cercato di utilizzare un rigoroso approccio scientifico ma divertendoci, e non vedo perché, visitando un museo, anche il pubblico non si possa divertire. È un percorso articolato, che ha cercato di dare alla città anche quel museo archeologico che Pisa non aveva e, a parte il rinvenimento delle navi e la sua universalità da un punto di vista della storia navale, si cerca di inquadrarla e legarla strettamente al territorio di cui questo rinvenimento è frutto43.

Questa importanza data all’aspetto ludico del museo, figlia di un innovativo modo di presentare l’opera al pubblico, avvicina in maniera intuitiva il visitatore ai reperti, rendendoli fruibili ed interessanti anche ai non addetti ai lavori, eliminando quello che Camilli definisce “feticismo del reperto”44 e rimuovendo tutte quelle

barriere culturali che spesso separano il visitatore dall’oggetto.

Sempre in merito alla giornata di presentazione del museo alla stampa, significativo l’intervento del sindaco Michele Conti:

42https://archeologiavocidalpassato.com/tag/andrea-camilli/ (11/09/2020).

43https://www.youtube.com/watch?v=cZOZfQgTAiY&t=2939s&ab_channel=CarloPalotti

(10/09/2020).

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Diciamo che quella di domani sera è una data storica, quando andremo ad inaugurare questo spazio, questo museo delle Antiche Navi. Devo ringraziare in modo particolare il Ministero dei beni culturali e tutti coloro che si sono susseguiti in questo faticosissimo percorso, perché non era per niente scontato che dal quel ritrovamento casuale del lontano 1998, in mezzo a quel fango, lungo la linea ferroviaria, quando vengono ritrovate queste navi e vengono quindi interrotti i lavori della costruzione di un importante manufatto che serviva per movimentare la linea Genova-Pisa, nascesse tutto quello che vediamo oggi noi. E dietro ci stanno uomini, persone, storie, che in questi 20 anni hanno reso possibile tutto questo. Hanno reso possibile il recupero. Come dice anche Muzzi c’è stata tutta una scuola che per questo percorso si è specializzata: il Legno Bagnato. Credo che per Pisa sia un’occasione unica ed irripetibile perché per tanti anni tutte le forze politiche e chiunque si è succeduto nella guida dell’Ente Locale e del Comune ha sempre dibattuto, insieme alla soprintendenza, insieme all’Opera Primaziale e a tutti gli altri attori che in qualche modo sono coinvolti nel turismo o nell’aspetto turistico, della possibilità di portare i turisti oltre la Torre. Portiamoli sui lungarni, in centro, alla chiesa della Spina ecc. Oggi questo è possibile. Perché abbiamo un museo di queste dimensioni, così organizzato, così bello e che racconta la storia anche in maniera semplice. Io sono convinto che domani sera i pisani per primi, e successivamente i turisti, potranno capire la storia e tutto quello che gira intorno a questo aspetto fluviale e della navigazione, delle storie, della cultura e dei cibi, dei vestiti e degli arredi. Tutta una storia raccontata nei minimi dettagli e che sicuramente aiuterà la nostra città a diventare più importante e grande nel mondo e che potrà essere un volano economico e turistico importantissimo. Io credo che quello che avete fatto è unico ed irripetibile. Ha permesso anche il recupero di uno spazio bellissimo, di grandi dimensioni e vincolato, che diversamente sarebbe stato complicato recuperare ed impiegare. Quindi è una storia che, se noi la sappiamo raccontare per bene al mondo, può rappresentare per Pisa un punto di partenza ed un’attrazione importante di turismo. La vera sfida parte da domani, giorno di San Ranieri. Vi ringrazio. Perché credo che abbiate fatto una cosa unica ed irripetibile per la nostra città45.

Lo stesso entusiasmo è condiviso e trasmesso dalle parole di Andrea Camilli che si è dedicato con attenzione, professionalità e cura a questo progetto, che ha fortemente voluto e della cui realizzazione è stato attore protagonista:

È il museo archeologico che mancava a Pisa, un museo duttile, in continua trasformazione con il proseguire delle ricerche e utilizza un linguaggio accessibile e diversificato, adatto a tutti. Il grande lavoro di progettazione svolto ha richiesto una costante sinergia e una pluriennale collaborazione con gli autori dell’exhibition design. Siamo orgogliosi della chiusura di un percorso che in vent’anni ha coinvolto più di 300 persone dalle professionalità più disparate: 45https://www.youtube.com/watch?v=cZOZfQgTAiY&t=2939s&ab_channel=CarloPalotti

(23)

archeologi, architetti, storici dell’arte, restauratori e il personale tecnico delle sovrintendenze. C’è un’enorme soddisfazione nel constatare che una struttura statale ha realizzato una grande opera come questa: quasi 5000 metri quadri, innovativi anche sul piano museale. Si tratta del più grande museo di imbarcazioni antiche esistente. L’esposizione, inoltre, è costruita con un tipo di linguaggio che avvicina il pubblico all’archeologia. Abbiamo eliminato il ‘feticismo del reperto’, rimuovendo il più possibile le barriere visibili che separano l’utente dall’oggetto, rendendolo apparentemente a portata di mano del visitatore. Anche l’area dedicata alle alluvioni, dove una parete scaffalata rivela con le consuete cassette di deposito i materiali rinvenuti dopo un’alluvione catastrofica, introduce alla tematica della ricerca. Il linguaggio del museo non punta a stupire, ma utilizza un sistema di comunicazione plurilivello che non eccede nel multimediale e ricontestualizza la narrazione con accuratezza storica e scientifica46.

46https://archeologiavocidalpassato.com/tag/andrea-camilli/ (11/10/2020).

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Figura 9 - Le Navi Antiche, dettaglio dell’esposizione

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Figura 11 - Le Navi Antiche, interni

Per allestire il museo molti dei reperti sono stati riportati alla luce una terza volta attraverso quello che Gloriana Pace e Barbara Scarso definiscono nel loro articolo per la rivista Gradus “lo scavo in magazzino”47. L’Italia possiede un

enorme patrimonio archeologico e questo risulta talvolta difficile da gestire, sicuramente per una questione di costi, ma anche di grandezza in termini numerici dei reperti rinvenuti. Molti di questi incontrano infatti la triste sorte dell’oblio e, troppo spesso, vengono lasciati giacere nei magazzini perdendone per sempre le tracce. Lo scavo in magazzino viene infatti definito dalle due archeologhe come «un’operazione metodologica necessaria [...] con l’obbiettivo di rendere nuovamente fruibile agli studiosi i materiali in esso conservati e i nuovi dati che se ne possono trarre»48. Nell’attività di ricerca e selezione dei materiali

archeologici provenienti dagli scavi di Pisa da esporre nel museo, le due studiose hanno infatti intrapreso un’operazione di “scavo nella cantina” della

47G. Pace, B. Scarso, Scavo in magazzino: recupero di materiali e dati per il Museo delle Navi e

di Pisa,«Gradus», anno 10,2015, numero 1, p.15.

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Soprintendenza Archeologica di Firenze, dove molti di questi erano stati collocati. «Abbiamo fatto un’operazione di recupero di materiali nei vari depositi della soprintendenza che è durata diversi anni» interviene Camilli durante la rassegna stampa riportata in diretta da Anteprima Live49 «cercando di riportare a Pisa tutti

i materiali che erano in vari depositi»; sorridendo, il responsabile per la Soprintendenza Andrea Muzzi, si inserisce nel discorso e aggiunge: «e vi assicuro che è stato difficile, molto impegnativo.»

Il lavoro di recupero e selezione dei reperti da esporre è stato infatti un punto fondamentale della progettazione del museo, vista soprattutto l’ingente quantità di fortuiti ritrovamenti, come sottolineato da Anna Biagini durante la presentazione delle Navi Antiche alla stampa:

Nel campo archeologico, più che in ogni altro settore, la quantità fa qualità. Quindi in un contesto così vasto e così completo è stato possibile veramente creare un museo che ha una fortissima spinta didattica e didascalica. Cioè, le scuole ma non solo, ognuno di noi, si potrà togliere un sacco di curiosità proprio sulla vita di bordo, sui giochi, sugli abiti, sulle calzature, come ci si vestiva, mangiava, si lavorava, come si facevano i cesti.. tutto questo si può vedere e capire in una maniera immediata, direi immersiva50.

Tutti i collaboratori di questo grande progetto sono riusciti a creare quello che mi piace definire un “museo esperienza”. Un unicum archeologico in cui ogni piccolo elemento, che preso da solo difficilmente riuscirebbe a trasmettere la sua importanza, contribuisce a immergere il visitatore a trecentosessanta gradi in quella che è la complessa narrazione della città e del suo storico rapporto con il mare.

Tutto questo è stato reso possibile anche grazie ai finanziamenti ricevuti che, come sottolinea Muzzi, sempre nell’intervento per la presentazione del museo alla stampa:

[...] sono arrivati. Consistenti ma anche limitati per un museo di questo livello. Sono stati trattati e gestiti dai nostri uffici e dagli uffici del segretariato toscano, nonché dalla Direzione Generale, con grande complessità. Questo volevo

49https://www.youtube.com/watch?v=cZOZfQgTAiY&t=2939s&ab_channel=CarloPalotti

(10/09/2020).

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sottolinearlo perché è un lavoro dove spiccano varie figure come autori del tutto, ma è un lavoro anche del quotidiano degli uffici.51

I finanziamenti ammontano a quasi diciassette milioni di euro, che sono stati interamente disposti dal MIBACT e che sono stati ricevuti nell’arco di vent’anni. Importante sottolineare il fatto che questi contributi non sono serviti solo per la progettazione e la realizzazione del museo, ma comprendono anche l’impostazione e gestione del cantiere. In realtà il museo è costato circa 5 milioni e mezzo di euro. Sono cifre importanti per gli elargitori, ma risultano in realtà contenute se si pensa al risultato che con esse è stato raggiunto. Basti pensare che nei cinque milioni di finanziamenti utilizzati per il museo è compreso anche il restauro della struttura degli Arsenali. Nei diciassette milioni circa rientrano anche scavo, recupero navi, restauro, gestione dei magazzini e dei depositi, creazione e gestione del cantiere e creazione del Laboratorio del Legno Bagnato. Dunque finanziamenti che ci permettono oggi di apprezzare un museo, non solo unico nel suo genere, ma estremamente innovativo e di rilevanza internazionale52.

Da non dimenticare sono anche i fondi europei per lo sviluppo regionale che sono stati messi a disposizione per finanziare il progetto di realizzazione del museo53.

Come evidenziato da Camilli in Notiziario della Soprintendenza per i Beni

Archeologici della Toscana 3/2007 l’esposizione è strutturata di modo tale da

rispettare il complesso monumentale in cui è inserita, per fungere da «supporto di una visione quanto più semplice e chiara dei materiali archeologici e non elemento estetico condizionante»54. I reperti e la loro esposizione si fondono con

le mura degli Arsenali, abbelliti da quelle che lo stesso Camilli definisce “pareti attrezzate”. Queste sono vetrine e pannelli che accolgono testi ed immagini. Gli ampi spazi degli Arsenali con la loro struttura spazialmente complessa risultano congeniali alla descrizione di una realtà multiforme, composta da reperti di diversi materiali, forme e dimensioni. Il contenitore ed il suo contenuto, uniti dalla tematica di fondo della vita marina e delle navi, si valorizzano così

51 Ibid. 52 Ibid.

53

https://www.regione.toscana.it/-/fondi-europei-il-museo-delle-antiche-navi-di-pisa-apre-i-battenti (15/09/2020).

54A. Camilli, «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», (cit. nota

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vicendevolmente permettendo di creare soluzioni di grande impatto scenografico.

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II IL TURISMO CULTURALE

Una breve analisi

I due paragrafi che seguono (“Cos’è un bene culturale?” e “Il turismo culturale”) hanno l’obbiettivo di inquadrare la situazione attuale e la tipologia di turismo in cui si può classificare l’esposizione delle Navi Antiche di Pisa. Tale analisi vuole sottolineare l’esempio virtuoso del museo delle Navi Antiche che ha superato alcune delle problematiche ad oggi presenti nel settore dei beni culturali e del turismo ad essi connesso.

1. Cos’è un bene culturale?

Articolo 10, D.Lgs. 42/2004

1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.

2. Sono inoltre beni culturali:

a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;

b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;

c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. 3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13:

a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;

b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;

c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse, particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;

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e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.

4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a): a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio;

c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio;

d) le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio; e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio;

f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico;

g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;

h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;

i) le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico; l) le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell'economia rurale tradizionale.

5. Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma 1 che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili, nonché le cose indicate al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.55

Come si può notare già anche solo dall’articolazione dell’art. 10, la definizione di “bene culturale” è molto complessa; come complesso e discusso è stato il Codice italiano dei beni culturali all’interno del quale questa è inserita. Il Codice, emanato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è stato infatti modificato numerose volte negli anni, fino all’emanazione del D.L. del 21 settembre 2019 e all’entrata in vigore della Legge 18 novembre 2019, n. 13256.

Questa messa in discussione costante dei contenuti del Codice deriva dal fatto che, in tutta la struttura legislativa italiana, è quello che contiene più elementi che potremmo definire “discrezionali”. Questo perché, nel mondo dell’arte e dei beni culturali, i giudizi e le classificazioni sono complessivamente legati al gusto e alla

55http://www.aedon.mulino.it/archivio/2015/3/codice.htm (14/10/20).

56

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discrezione di chi è incaricato rispettivamente di esprimerli e di individuarle, rendendo così problematica la creazione di una normativa esaustiva ed oggettiva dal punto di vista legislativo.

Per comprendere meglio cosa si intende per bene culturale possiamo cercare di chiarirne il significato attraverso un linguaggio più semplice, meno burocratico, ma altamente efficace; in The Monuments Men – film drammatico del 2014 diretto ed interpretato da George Clooney, che ha come tematica principale la salvaguardia del patrimonio culturale durante la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di un soldato americano – come riportato da Maria Agostiano57 così

si esprime uno dei personaggi di fronte al dilemma di anteporre o meno la salvaguardia delle opere d’arte a quella delle vite umane:

Puoi sterminare un’intera generazione, bruciare le loro case e troveranno comunque una via di ritorno. Ma se distruggi la loro storia, la loro cultura, è come se non fossero mai esistiti.

Ecco che il patrimonio culturale di un popolo, inteso come insieme di beni tangibili ed intangibili, si eleva a identità del popolo stesso. Come di recente è stato ribadito sempre da Maria Agostiano58, questo infatti non è più considerando solo

da un punto di vista estetico e artistico, ma piuttosto per il suo valore storico e etnoantropologico.

La Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio

storico, artistico, archeologico e del paesaggio, meglio conosciuta come Commissione Franceschini venne istituita con Legge del 26 aprile 1964, n. 310

con lo scopo di portare avanti un’indagine sullo stato dei beni culturali in Italia59.

A seguito dell’indagine condotta furono elaborate ottantaquattro dichiarazioni ed è proprio nella prima di queste che ritroviamo la nozione di “bene culturale” grazie alla quale si diffuse, per la prima volta in Italia, l’idea che i beni culturali sono un insieme di testimonianze avente valore di civiltà. Questa definizione è in parte ancora oggi ripresa dallo stesso Codice dei beni culturali60:

57M. Agostiano, Accessibilità nei luoghi di interesse culturale: le Linee Guida del Ministero dei

Beni e delle Attività Culturali, in M. Benente, M. C. Azzolino, A. Lacirignola, Accessibilità e fruibilità nei luoghi di interesse culturale, Ariccia, Ermes, 2015, p.24.

58 Ibid.

59

http://www.bianchibandinelli.it/pubblicazioni/libri-dal-passato-per-guardare-al-futuro/1967-atti-della-commissione-franceschini/ (14/10/20).

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Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi come riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e libraio ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà61.

A partire dall’analisi di questa definizione si deduce che, come sottolineato sempre da Agostiano, «un oggetto ha un valore culturale non tanto per quello che intrinsecamente è, ma per ciò che può rappresentare»62, in quanto

testimonianza. È qui che il concetto di bene culturale si amplia, integrando nella sua definizione tutti quegli oggetti di uso comune che in qualche modo «costituiscono memoria del passato»63. Proprio perché «prima che attrazione

turistica un bene culturale è un simbolo in cui si riconosce una comunità, sia a livello nazionale che locale»64 e pertanto va conservato.

L’attenzione verso la tradizione e verso la tutela dei beni culturali è forte e longeva nel nostro paese. Basti pensare che a Roma, all’inizio del XVI secolo si creò un programma specifico di conservazione dei monumenti. Nel 1515 infatti, Papa

61Per la salvezza dei beni culturali in Italia, atti e documenti della Commisisone di indagine per la

tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico del paesaggio, Vol. I,

Roma, 1967, Colombo, p. 22.

62M. Agostiano, Accessibilità e fruibilità nei luoghi di interesse culturale, (cit. nota 57), p. 24. 63Ibid.

64Ibid.

Figura 12- Per la salvezza dei beni culturali in Italia, atti e documenti della Commisisone di indagine per la

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Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, nominò Raffaello alla fabbrica della nuova Basilica di San Pietro affidandogli l’incarico della conservazione dei marmi e delle lapidi recanti epigrafi65, un compito che possiamo considerare rapportabile a

quello delle odierne Soprintendenze. Nello stesso periodo storico si usava anche compilare delle liste di autori le cui opere non potevano essere trasportate oltre i confini del singolo stato. Era così possibile evitare la dispersione di capolavori italiani e la perdita di un patrimonio di altissimo livello non solo dal punto di vista artistico ma anche sociale: ci troviamo di fronte a quello che potremmo considerare un antenato del nostro vincolo. Questo atteggiamento conservativo dei governanti dei vari stati italiani è proprio da ricondurre alla già ricordata identificazione patrimonio-identità del singolo stato.

È in questa ottica di conservazione e tutela che si inseriscono i vari reperti esposti al museo della Navi Antiche di Pisa. Un semplice manufatto, un oggetto di uso quotidiano che di per sé non sembrerebbe avere un valore artistico o storico – soprattutto per i non addetti ai lavori – viene elevato ad opera d’arte. E attraverso l’unicum dell’allestimento museale, racconta la storia di un popolo e della sua città. Si riscopre così l’importanza di preservare l’antichità e soprattutto di stabilire un contatto con questa. Come sottolineato da Anna Pasqualini66 nel suo

contributo agli Annali Italiani del Turismo Internazionale:

La conoscenza dell’antichità classica è un volano per il turismo di tutte le età e di tutte le condizioni sociali, perché gli uomini, le donne e i bambini di ieri non sono troppo dissimili da quelli di oggi. Basta ristabilire il contatto; a questo contatto non concorre solo un buon pacchetto turistico ben confezionato, ma anche la fantasia, la passione e una sincera adesione ai valori del passato67.

In questa ottica risulta significativa anche la scelta di restaurare ed utilizzare gli Arsenali medicei come edificio ospitante il Museo delle Navi. Come sottolineato da Amedeo Bellini in La pura contemplazione non appartiene all’architettura: «un bene non è tale se non è fruibile. La pura contemplazione non appartiene

65

http://speciali.quotidiano.net/dp/intrattenimento/lettera-al-papa/#:~:text=Nel%201515%2C%20papa%20Leone%20X,tutto%20il%20territorio%20dell'Urbe

(15/10/20).

66Titolare dell’insegnamento di Antichità Romane presso la facoltà di Lettere e Filosofia

dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

67https://www.academia.edu/25237492/Antichit%C3%A0_classica_e_turismo_culturale

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all’architettura»68. È solamente la fruizione di un bene che permette di garantirne

la manutenzione e di conseguenza la conservazione. Adattando un edificio antico a esigenze moderne, come avvenuto per gli Arsenali, questo potrà vivere ogni giorno ed entrerà a fare parte della storia contemporanea. È la sua conservazione che permette di riportare in auge gli ideali ed i valori del passato che in esso permangono, attualizzandoli e rielaborandoli in un’ottica contemporanea.

Arsenali medicei:

Figura 13 - Gli Arsenali medicei in un disegno di Edmund Dummer del XVII secolo.

Figura 14 - Gli Arsenali medicei oggi

68 M. Agostiano, Accessibilità e fruibilità nei luoghi di interesse culturale, (cit. nota

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Arsenali medicei; gli interni prima e dopo il restauro:

Figura 15 – Arsenali medicei prima del restauro

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2. Il turismo culturale

L’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), agenzia delle Nazioni Unite, definisce così il “turismo culturale”:

Tutti quei movimenti di persone motivati da scopi culturali come le vacanze studio, la partecipazione a spettacoli dal vivo, festival, eventi culturali, le visite a siti archeologici e monumenti, i pellegrinaggi. Il turismo culturale riguarda anche il piacere di immergersi nello stile di vita locale e in tutto ciò che ne costituisce l’identità e il carattere69.

Una definizione articolata come quella sopracitata, dà immediatamente conto del carattere poliedrico del cosiddetto turismo culturale. È proprio questa sua caratteristica che, se da un lato ne rende più difficile la definizione, dall’altro ci fa capire quanti settori sono direttamente ed indirettamente coinvolti ed influenzati da questo fenomeno sociale che assume quindi una grande rilevanza, soprattutto nel nostro paese. Affermazioni come “l’Italia possiede uno dei patrimoni culturali ed artistici più ingenti al mondo” sono ormai diventate un leitmotiv: ricorrono nelle più disparate occasioni, nei discorsi di studiosi, accademici, politici, esperti e personaggi pubblici. Tali affermazioni mancano spesso però di sensibilità verso la particolarità di tale patrimonio diffuso e integrato. È proprio da questa convinzione, che peraltro trova fondatezza in ricerche e dati statistici, che nasce una delle grandi contraddizioni del nostro paese: nonostante la sua importanza, sia culturale ed artistica che in termini di quantità, i vari governi che si sono succeduti non hanno destinato risorse sufficienti e hanno anzi insistito con i cosiddetti tagli lineari, ovvero senza considerazione delle varie urgenze. D’altra parte dobbiamo tenere conto di altre considerazioni: Elisabetta Ruspini, docente di Sociologia all’Università Bicocca di Milano e presidente del corso “Genere, generazioni e turismo”, durante il suo intervento al BTM (Business Tourism Management) di Lecce del 2019, ha sottolineato come i cosiddetti “Millennials”, non si accontentino più di una fruizione passiva della cultura. Quella che potremmo definire “ la nuova generazione di turisti” non vuole più «andare al

69http://www.ontit.it/opencms/opencms/ont/it/focus/focus/Seminario_Il_valore_del_patrimonio_c

ulturale_idee_a_confronto#:~:text=Secondo%20la%20definizione%20dell'Organizzazione,visite %20a%20siti%20archeologici%20e (11/10/20).

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museo e fotografare passivamente le vetrinette espositive», ma vogliono immergersi in un’esperienza che poi condivideranno. Allora il nostro patrimonio culturale deve essere gestito di modo tale che si possa instaurare un dialogo con questo nuovo pubblico di visitatori. Deve esserci una relazione biunivoca tra chi fruisce la cultura – i così detti turisti culturali – e chi questa cultura la offre70. È in

questa ottica che l’Italia deve oggi non solo rendere più efficiente la tutela e la conservazione dei suoi beni culturali ma deve progredire, orientandosi verso un nuovo concetto di valorizzazione che gli permetta di avvicinarsi e soddisfare le nuove esigenze del settore turistico.

Alla base di una buona governance del settore del turismo culturale sta proprio l’implementazione parallela di tre aspetti tra loro complementari: il recupero, la conservazione e la valorizzazione, attuati dalla sinergia tra il settore dei beni culturali e gli operatori del turismo. Come sottolineato da Giuseppe Giaccardi, responsabile per Enit del progetto di ricerca internazionale RLD, sempre durante il BTM del 2019, sono principalmente tre i problemi del turismo culturale che vanno a minare la catena recupero-conservazione-valorizzazione soprattutto per una cattiva gestione dell’ultima:

1. Un problema di lessico e di semantica che va ad inficiare l’immaginario della narrazione: la cultura è da Giaccardi definita un soft power che si basa cioè sulla capacità di coinvolgere e convincere, affascinare le popolazioni nel mondo; è una leva di crescita soprattutto per i territori “minori” che dovrebbero essere valorizzati attraverso uno story telling ben congegnato la cui utilità è invece spesso sottovalutata dagli agenti del settore turistico in Italia.

2. Un problema che riguarda la chiusura dei sistemi digitali: i siti o i portali web delle Soprintendenze italiane, dei musei e di quasi tutti gli enti promotori di cultura sono, sottolinea sempre Giaccardi a Lecce, delle «straordinarie enciclopedie totalmente inaccessibili», mentre la prima regola del marketing digitale è che le strutture devono essere aperte.

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3. Un problema strategico: questo deriva dal fatto che in Italia viene quasi sempre utilizzata quella che Giaccardi definisce la “cultura del prodotto” piuttosto che la “cultura del cliente”. Non si accoglie e sviluppa il business

process engineering ovvero spesso non siamo in grado di fare “ingegneria

del prodotto” poiché i contenuti dell’offerta non sono orientati a rendere il prodotto “bene culturale” apprezzabile ed accessibile sulla base delle esigenze e delle motivazioni che il turista culturale può avere71.

«Ecco perché è così difficile trasformare la cultura in un percorso turistico» conclude Giaccardi.

Si tratta di un lavoro complesso in cui il pubblico ed il privato, appartenenti sia al settore del turismo che a quello più prettamente culturale, devono collaborare sia nella fase strategica che in quella operativa. Non era casuale il fatto che il ministro Franceschini avesse posto cultura e turismo sotto l’egida di un unico ministero, a sottolineare l’interconnessione dei due settori e la necessità di attuare politiche comuni. Nel suo intervento - sempre al BTM - Antonella Agnoli, già assessore alla cultura di Lecce nel 2019, sottolinea come il turismo ci sia sempre stato e sempre ci sarà poiché viaggiare e conoscere sia la propria città che paesi lontani è diventata negli anni sempre più un’esigenza e un diritto. Ed è proprio grazie a una governance improntata alla valorizzazione della cultura che si può, a suo avviso, evitare o limitare quella che lei definisce «spontaneità predatoria» del turismo. È importante che i locali siano i primi a conoscere, apprezzare e ad immergersi nel valore culturale del proprio territorio. Come affermato da Maria Piccarreta, Soprintendente di Lecce, Brindisi e Taranto, sottolineando proprio la relazione fra conservazione e valorizzazione:

La tutela deve esserci a prescindere, perché dobbiamo garantire la trasmissione alle generazioni future del nostro patrimonio culturale. Però non deve esistere separazione tra restauro-valorizzazione e gestione. Il restauro, per esempio di un castello, porta necessariamente alla sua valorizzazione che a sua volta non può essere scissa dalla sua gestione. Ma cosa significa valorizzare? Valorizzare significa, secondo me, educare facendo partecipare, condividendo il valore del monumento. Il monumento non è una scatola da riempire di contenuti per

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attrarre, ma parla di una storia. E valorizzarlo significa farlo parlare attraverso delle azioni e delle attività – qui il legame forte con il settore turistico – che siano sempre finalizzate a far esprimere la storia, a far raccontare e parlare quelle mura. Questa è la valorizzazione e per questo è imprescindibile dal restaurare. Restaurare senza dare vita non è un restauro. Dare vita comporta una gestione e questa deve essere studiata, tarata, finalizzata a quel monumento72.

È quindi un percorso che va fatto in senso inverso: dobbiamo partire da quella che Piccarreta definisce la “vocazione del monumento” sulla quale vanno poi costruite strategie di valorizzazione e gestione. Se questo atteggiamento nei confronti dei beni culturali viene promosso ed adottato porterà necessariamente allo sviluppo e all’implementazione non solo del turismo ma di un turismo sostenibile, proprio perché tutto sarà studiato in funzione del bene stesso. Il turismo culturale è definito, sempre da Picarreta, “un’industria”; e in quanto tale è giusto che le performances portate avanti in questo settore siano valutate su numeri e dati concreti. Allo stesso tempo si tratta di “un’industria” che usa i beni culturali, che non sono un bene economico qualsiasi. L’articolo nono della nostra Costituzione cita:

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33,34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.73

Teniamo dunque presente che la cultura, e la trasmissione di questa alle generazioni future attraverso la promozione, è uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento. È un diritto ma anche un dovere del cittadino ed è in questa ottica che il termine “valorizzazione” significa permettere che i cittadini sentano quel bene parte della loro vita e della loro storia. Valorizzarlo significa renderne accessibile la conoscenza e evitare che il bene diventi un “feticcio”, un semplice souvenir, visitato per convenzione. Bisogna quindi dare al turista culturale i mezzi per poter fruire del bene in maniera consapevole e non superficiale. È questo quello cui anche il nostro Museo delle Navi tende: dal momento degli scavi e del

72 Ibid.

73https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=9#:~:text=La%20Repubbli

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recupero dei reperti alla conservazione degli stessi in una struttura che, restaurata per questo progetto, ne diventa parte integrante.

Come indicato da Maurizio Quagliolo, durante il suo intervento al BTM di Lecce, piuttosto che lavorare nell’ottica del “turismo culturale” dovremmo concentrarci sul “turismo nei luoghi di cultura” progettando musei che non siano semplici contenitori di cultura ma musei del e per il territorio.

3. Il Museo delle Navi: un esempio virtuoso

Il Museo delle Navi di Pisa risulta essere un esempio virtuoso di applicazione delle migliori best practices nell’ambito del turismo culturale museale.

Il museo si presenta innanzitutto come un “museo del territorio”. Questo è considerato da Elena Musci - Docente del Laboratorio di Educazione ai patrimoni immateriali e materiali del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi della Basilicata - insieme all’ecomuseo e al centro di interpretazione74, uno

dei modelli museali che si pongono in relazione diretta con il territorio in cui sono situati. Nel suo saggio Il paesaggio storico-culturale nei musei tra allestimenti e

interfaccia didattica. Una ricerca in Italia e in Spagna75 Musci definisce come:

L’incontro naturale fra il museo civico e il centro di interpretazione. Arricchito da una collezione a vocazione locale, esso, nella maggior parte dei casi, fa propri gli orientamenti della Nuova Museologia e della Heritage Interpretation, offrendo ai reperti nuove forme di contestualizzazione. In questo modo la visita si configura come un viaggio attraverso temi e concetti che parlano all’oggi e permette di andare al di là della conoscenza delle caratteristiche tecniche degli oggetti conservati nelle teche o dei loro siti di ritrovamento76.

Nel nostro caso infatti il Museo delle Navi si propone come luogo educativo di avvicinamento di locali e turisti al territorio. È stato pensato e strutturato per essere uno spazio di apprendimento informale ponendosi come strumento di

74Per la definizione di “ecomuseo” e di “centro di interpretazione”:

E. Musci, Il paesaggio storico-culturale nei musei tra allestimenti e interfaccia didattica. Una

ricerca in Italia e in Spagna, in Il Capitale culturale, Studies on the value of Cultural heritage, Vol.

11, Macerata, Eum, 2015, p. 286 e p. 289.

75 Ivi, p. 275 e seguenti. 76 Ivi, p.278.

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lettura e di interpretazione «in senso storico, geografico e, nell’ottica dell’amministrazione e di gestione del territorio»77.

Grazie ad una progettazione di qualità del suo allestimento e grazie alle attività proposte, Le Navi Antiche stimolano costantemente un clima di apprendimento e di riflessione per tutte le fasce di età. Purtroppo, nel terribile periodo storico che stiamo attraversando a causa dell’emergenza COVID 19 - che vede tra i settori più colpiti dalla crisi proprio l’arte, la cultura e lo spettacolo – la realizzazione di molti dei progetti che erano stati pensati per questo 2020 si trovano al momento bloccati. Tra le iniziative ricordiamo le visite guidate al museo tutte le domeniche, le dimostrazioni di laboratorio, le sale del museo che accolgono conferenze e concerti e tutta una serie di attività dedicate ai più piccoli quali laboratori didattici e campi estivi.

Figura 17 - Esempio di post Facebook dell'account ufficiale del museo

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Figura 18 - Esempio di post Facebook dell'account ufficiale del museo

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Figura 22 - Esempio di post Facebook dell'account ufficiale del museo

Figura 20 - Esempio di post Facebook dell'account ufficiale del museo Figura 21- Esempio di post Facebook

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