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Incentivare la Produttivita: Un'Analisi Economica degli Schemi di Incentivazione nelle Organizzazioni

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Academic year: 2021

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INDICE

PREMESSA………..pag. 1

CAP 1: BASI TEORICHE DEL METODO

1.1 Le premesse dell’analisi economica del diritto……….pag. 4 1.2 Efficienza: diversi concetti………pag. 6 1.3 Ottimo paretiano………...pag. 8 1.4 Criterio di compensazione di Hicks e Kaldor………...pag. 8 1.5 Economia del benessere e fallimenti di mercato………..pag. 9 1.6 Asimmetrie informative………...pag. 12 1.7 Scambio di informazioni e disegno di meccanismi………....pag. 15

CAP 2: COME FUNZIONA L’IMPRESA ?

2.1 Teoria classica………..pag. 22 2.2 Market or firm ?...pag. 23 2.3 Teoria del rent seeking……….pag. 24 2.4 Teoria dei diritti di proprietà………pag. 27 2.5 Teoria del nesso di contratti……….pag. 32 2.6 Teoria del sistema di incentivi………..pag. 34 2.7 Teoria adattativa………...pag. 36 2.8 Il potere nella teoria dell’impresa………....pag. 38 2.9 Teorie dell’impresa e incentivi: una valutazione d’insieme……...pag. 39

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2 CAP. 3: TEORIE E MODELLI DI INCENTIVI.

3.1 Moral hazard e concetto di rischio………..pag. 41 3.2 Relazione principale agente……… pag. 43

3.3 Soluzioni possibili ai problemi di moral hazard………..pag. 46 3.4 Distribuzione del rischio e principi degli incentivi retributivi…....pag. 49

3.5 Effetto ratchet………...pag. 59 3.6 Alcuni esempi di modelli di sistemi di incentivazione……….pag. 60 3.7 Vantaggi e svantaggi dei principali sistemi di incentivazione……pag. 67 3.8 Etica correttezza moralità………...pag. 79 3.9 Il pensiero di Sen tra etica ed economia………..pag. 81

CAP. 4: LEGGI, ORDINAMENTI E INCENTIVI DI PRODUTTIVITÀ 4.1 Riferimenti normativi riguardo la retribuzione………...pag. 85 4.2 Come facilitare la retribuzione di produttività………....pag. 87 4.3 Mantenere bilanciati i poteri nel mercato del lavoro………..pag. 91 4.4 Una comparazione internazionale sui sistemi di incentivazione…pag. 94 4.5 Spunti di analisi: relazione tra le caratteristiche degli ordinamenti

statali e incentivi………...pag. 110 4.6 Progetti di revisione delle norme sul lavoro………..pag. 116 4.6 Critica ai progetti di riforma: problema di efficienza generale....pag. 121

Conclusioni……….pag. 123

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4 PREMESSA

Questo lavoro si propone di esporre, attraverso il metodo dell’analisi economica del diritto, i presupposti di teoria economica che sono da mettere alla base della costruzione di un sistema di incentivazione della produttività, sia dal punto di vista dell’approccio interno, ovvero dell’impresa stessa, che della generale impostazione che l’ordinamento legislativo deve avere per favorirne lo sviluppo.

Lo spunto di partenza nasce dall’esperienza personale, essendomi trovato io stesso, in qualità di lavoratore dipendente, a essere prima destinatario di incentivi e poi anche promotore di analisi e variazioni riguardo alla loro creazione. Non si tratterà, quindi, di entrare nello specifico della dottrina giuridica giuslavorista né nel tecnicismo formale e matematico dell’economia, ma di costruire un ponte tra le due discipline in grado di dare un indirizzo alla costruzione delle norme, che sia il più possibile basato sul ragionamento dell’efficienza generale dei provvedimenti in termini di economia del

benessere. In particolare l’aspetto teorico che verrà evidenziato è quello che

riguarda i meccanismi che determinano il funzionamento dell’impresa e il perché l’organizzazione integrata di un complesso di attività attraverso la gerarchia imprenditoriale può essere più efficiente rispetto al mercato.

La premessa fondamentale è la domanda di Ronald Coase nel 1937, “Market or firm ?”, sviluppata poi in una serie di interpretazioni molto variegata e sfaccettata che va dalla teoria del rent seeking del suo allievo Williamson alla teoria dei diritti di proprietà (Grossman, Hart, Moore), del nesso dei contratti (Jensen, Meckling), del sistema di incentivi (Milgrom, Holmstrom, Tirole), o ancora della teoria adattativa (Williamson) o del potere (Rajan,Zingales). Definito il campo dal punto di vista delle principali idee che il pensiero economico mette a disposizione per comprendere come funziona un’impresa, estenderemo il punto di vista per analizzare la situazione delle principali

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nazioni europee confrontate con gli USA, relativamente alla penetrazione dei sistemi di incentivazione (grazie ad uno studio del 2012 prodotto per il Centre for Economic Performance della London School of Economics and Political Science), cercando di darne un’interpretazione in termini di allocazione e ripartizione del rischio nella contrattazione della retribuzione. Da qui l’analisi si porterà a descrivere, in termini generali, quali sono , le principali idee e proposte riguardo alla riforma del lavoro, cercando di fornire una prospettiva generale basata sui concetti di teoria economica descritti in precedenza.

La conoscenza dell’impianto logico teorico che sta dietro il funzionamento di un buon sistema di incentivazione è uno strumento utile per chi , a vario titolo, si trova a dover contribuire alla creazione del sistema di regole che sta dietro tale meccanismo, sia all’interno dell’impresa che dal punto di vista legislativo. L’avere a disposizione entrambe le prospettive permette di prendere in considerazione diversi aspetti di una implementazione di questo tipo: quali tipi di incentivazione utilizzare, con quale intensità rispetto alla retribuzione, come utilizzare in modo incentivante promozioni e carriere, facilitano come promuovere i meccanismi positivi e quali da evitare (es. effetto ratchet). Si farà anche riferimento all’importanza dell’etica nel buon funzionamento degli incentivi, citando il lavoro di Amartya Sen1 per evidenziare il valore economico dell’etica e il superamento della stretta logica utilitaristica del welfarismo e del criterio di Pareto efficienza. L’aspetto che verrà fuori, passando dalla visione classica dell’impresa e del mercato a quella più moderna è un riproporsi di temi generali che riportano l’attenzione su quello che Sen chiama la divisione tra approccio etico politico all’economia e approccio ingegneristico. Anche all’interno dell’impresa, se modernamente diretta, non si può prescindere dal considerare aspetti come lo sviluppo della comunicazione interna, il lavoro di gruppo, il clima aziendale, che consentono ai meccanismi interni di funzionare più fluentemente e con minori costi . La trattazione darà una visione d’insieme dei principali progetti di riforma della legislazione del lavoro, proponendo, infine, una critica del modo di

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A.Sen. (2010) Etica ed Economia - pag 10 e 11 – Ed. Laterza – Bari, ( titolo originale – On

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proporre e discutere le riforme del lavoro nell’ordinamento italiano, secondo una diversa prospettiva riguardo alla tempistica di applicazione delle soluzioni proposte

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7 CAP 1:BASI TEORICHE DEL METODO

1.1 Le premesse dell’analisi economica del diritto.

L’analisi economica del diritto ha come oggetto la valutazione delle regole dal punto di vista dell'efficienza. Steven Shavell, nell’introduzione del suo libro “Analisi economica del Diritto”2

, parla di una duplice esigenza a cui questa prospettiva economica del diritto cerca di rispondere: descrittiva, cercando di indagare gli effetti delle norme giuridiche e le loro conseguenze; normativa quando cerca di definire la desiderabilità sociale delle norme giuridiche. Tipico è il caso degli incidenti automobilistici : è più conveniente avere delle norme che sanzionano la responsabilità per gli incidenti stradali o piuttosto è preferibile delegare tutto al risarcimento tramite assicurazione evitando spese giudiziarie e amministrative ? 3 Questo tipo di approccio economico al diritto si può ricondurre, in origine, agli scritti di Beccaria (1770) e Bentham (1789) , dopo di che, fino agli anni ’60 non ci furono particolari contributi da questo punto di vista.

Nel 1960 Ronald Coase scrive l’articolo The problem of social cost, che tratta del modo in cui i diritti di proprietà assegnati ad una parte o l’altra , possano essere contrattati per ridurre i danni provocati dalle immissioni industriali inquinanti. Guido Calabresi nel 1970 pubblica un trattato sulle regole della responsabilità e sul problema degli incidenti, Becker nel 1968 riprende i temi di Bentham in un articolo sui crimini. Nel 1972 Posner scrive un libro sulla materia e fonda il Journal of Legal Studies, dedicato alla pubblicazione periodica di lavori sull’analisi economica del diritto.

Applicando l’analisi economica allo studio del diritto dobbiamo adattare alcuni concetti tipici dell’economia alla materia trattata:

2

Steven Shavell, 2007– Analisi economica del diritto – G.Giappichelli editore,( titolo originale - Economic Analysis of Law – Thomson /West, West Academic) .

3

Successe in Nuova Zelanda alla metà degli anni ’70. Venne abrogato il diritto di convenire in giudizio il responsabile per tutti i danni alla persona, compresi gli incidenti stradali. Un sistema di assicurazioni private e sociali garantì il sistema degli indennizzi. La Nuova Zelanda abrogò molte spese legali e il tasso di incidenti non aumentò in modo significativo.

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Nel diritto i soggetti giuridici non si scambiano beni ma diritti.

Gli istituti giuridici vanno valutati monetizzando i loro effetti sulla sfera patrimoniale degli individui (o più correttamente degli agenti economici.

Il diritto va inteso come un sistema che determina i comportamenti individuali incentivando un comportamento o dissuadendo gli agenti dal porlo in essere.

Utilizzando il punto di vista dell’economia, si vede come l’attività del legislatore serve a variare i comportamenti e a introdurre dei differenziali nel sistema economico. Riuscendo a monetizzare queste variazioni, si possono definire le performance del sistema e si può capire se si è raggiunto un miglioramento o un peggioramento del livello generale di benessere.

Contrariamente rispetto all’idea del positivismo giuridico, secondo cui si studia il diritto per com’è e non per come dovrebbe essere, l’analisi economica si pone il problema se, una volta definita una norma, gli agenti economici (o i soggetti giuridici) possano essere effettivamente incentivati a rispettarla. Non basta definire una norma e una sanzione per orientare i comportamenti, la norma deve mirare a orientare i comportamenti individuali attraverso incentivi o disincentivi che spingono verso l’efficienza sociale. L’obiettivo diventa scrivere o modificare le norme per massimizzare il benessere sociale. Le tre affermazioni fondamentali dell'AED sono :

Gli esseri umani sono soggetti razionali e tendono a massimizzare il proprio benessere.

I comportamenti [ di mercato e non ] degli individui rispondono agli incentivi.

Le variazioni delle regole di funzionamento della società` modificano la struttura degli incentivi

Intendere come razionale l’azione individuale ha come conseguenza che le scelte sono dirette verso le azioni che massimizzano la propria “utilità”. In un sistema in cui gli agenti si comportano in questo modo, si tende verso una situazione di equilibrio, ovvero di uno stato indefinitamente persistente,

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almeno fino all’intervento di un disturbo esogeno: gli agenti economici razionali convergono verso l’equilibrio individuale (regola marginalista), portando anche il sistema , con la loro interazione reciproca, all’equilibrio (equilibrio economico generale o equilibrio di Nash).

Secondo la stessa regola marginalista il benessere è massimo quando i costi marginali eguagliano i benefici marginali. Una variazione che venisse introdotta nella situazione di equilibrio ad esempio una riduzione delle conseguenze negative (pena o sanzione ) rispetto ad un certo comportamento (azione illecita ), potrebbe comportare una differente spinta a tenere o meno il comportamento stesso. La razionalità spinge gli agenti a prevedere le conseguenze delle proprie azioni e a scegliere di conseguenza i comportamenti necessari a raggiungere i propri obiettivi.

1.2 Efficienza: diversi concetti

Prendendo come riferimento le scelte pubbliche relative al benessere degli individui (welfare), i beni possono essere considerati semplicemente strumenti attraverso i quali si può ottenere il benessere stesso. Data la scarsità delle risorse esiste però il problema di come distribuirle : il criterio dell’efficienza consente di risolvere il conflitto tra gli interessi in gioco senza sprecare risorse. Analizzando una norma tramite questo strumento si può decidere se utilizzare un punto di vista semplicemente descrittivo , previsionale o prescrittivo. Già Adam Smith nel 1776 scrivendo The Wealth of Nations, “…si pone due distinti problemi: quello di trovare una misura affidabile del valore delle merci e quello di determinare la causa del valore. Egli trova la sua soluzione nel modo in cui il mercato permette di raggiungere il prezzo naturale (o di equilibrio ) attraverso la combinazione di domanda e offerta”4

. Secondo Smith questo meccanismo automatico di raggiungimento dell’equilibrio economico è anche quello attraverso il quale la società

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Riccardo Faucci .2010, Breve storia dell’economia politica, G.Giappichelli Editore ,Torino, pag 93

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raggiunge il massimo livello possibile di benessere.“…chiunque impieghi il

suo capitale per sostenere l’attività produttiva interna si sforza necessariamente di dirigere tale attività in modo tale che il suo prodotto sia il massimo possibile[…]egli non intende, in genere , perseguire l’interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo.[…]egli mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società .Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l’interesse della societa in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo. Io non ho mai saputo che sia stato fatto molto bene da coloro che affermano di operare per la felicità pubblica” 5.

Lo studio e la comparazione dei diversi sistemi economici, basandosi sugli effetti che le politiche pubbliche hanno sulla distribuzione del benessere nella collettività, è l’oggetto della cosiddetta economia del benessere. L’economista A. C. Pigou, agli inizi del sec. XX, rifacendosi alla tradizione utilitaristica inglese, che aveva avuto in J. Bentham il massimo esponente, definì il benessere della collettività come la somma delle utilità dei singoli individui: ritenendo che l’utilità, intesa come soddisfazione psichica, fosse misurabile e le utilità d’individui diversi fossero confrontabili e addizionabili. Pigou considerò prevalentemente il benessere economico, misurabile in termini monetari mediante un prezzo di mercato, cioè l’utilità derivante da beni economici che hanno prezzo positivo. Sono il surplus del produttore e il surplus del consumatore , a misurare il beneficio che i due soggetti traggono dal partecipare al mercato. Tali differenze positive derivano dalle combinazioni tra costi e opportunità di entrambi, per cui nella situazione di equilibrio, sia il venditore che il compratore non potrebbero ottenere un maggior beneficio dal vendere o comprare ad una diversa combinazione di prezzo e quantità.

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11 1.3 Ottimo paretiano.

Uno dei concetti base per l’economia del benessere è quello individuato da Vilfredo Pareto , agli inizi del ‘900. Egli, nel suo Manuale di economia

politica (1906) identifica la curva dell’indifferenza come “ lo strumento principe per purificare l’economia da contaminazioni edonistiche e renderla un’autentica scienza dell’equilibrio. Questa si definisce come il luogo geometrico dei punti in cui il consumatore trae la medesima soddisfazione da combinazioni variabili dei due beni”6. In questa situazione nessun agente può migliorare ulteriormente la propria posizione senza peggiorare quella di qualche altro, se questo è possibile il sistema è in una condizione di inefficienza.

Dunque il criterio paretiano attiene strettamente alla combinazione ottimale di distribuzione dei beni in termini di utilizzo delle risorse in condizioni di scarsità, ma non riguarda in alcun modo l’equità. Infatti la distribuzione delle risorse può essere molto squilibrata: qualcuno può possedere molto, altri quasi niente, l’importante è che attraverso lo scambio uno dei due agenti coinvolti, migliori la propria posizione rispetto alla partenza e l’altro non la peggiori. Il criterio dipende dalla situazione iniziale e non consente un paragone interpersonale delle utilità. I punti della frontiera delle utilità possibili sono tutti ottimi paretiani, anche quelli agli estremi che ovviamente hanno un forte squilibrio dal punto di vista dell’equità. Questo criterio ha come principale difetto la non confrontabilità fra i vari punti ottimali (situazioni di massima utilità) che impedisce di valutare possibili alternative introducibili attraverso nuove regole. Per poter effettuare dei confronti è necessario individuare un altro criterio di efficienza.

1.4 Criterio di compensazione di Hicks e Kaldor

Nicholas Kaldor e John Richard Hicks nel 1939, proposero un sistema per

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Riccardo Faucci,2010, Breve storia dell’economia politica, G.Giappichelli Editore, Torino pag 215

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ovviare alle difficoltà riscontrate nell'affrontare i problemi delle politiche di redistribuzione secondo la logica del criterio dell'ottimo paretiano. Secondo il loro criterio di efficienza, una modificazione nell'allocazione delle risorse è efficiente se il benessere ottenuto da alcune componenti supera le perdite di benessere subite da altri componenti. Perché vi sia efficienza è fondamentale che coloro che subiscono una perdita di benessere siano compensati da coloro verso i quali la modificazione dell'allocazione ha operato favorevolmente. Il criterio è alla base della moderna analisi costi benefici.

Poniamo il caso della variazione di una regola giuridica :

bi(X) è il beneficio per l’agente i della nuova regola dove i=1,2,…n cj(x)è il costo per agente j della nuova regola j=1,2,…m.

La nuova regola è efficiente se la somma dei benefici supera la somma dei costi : bi(x) > cj(x)

Il criterio presenta però dei difetti evidenti dato che: favorisce chi ha un’elevata disponibilità a pagare per avere una certa regola; non prende in considerazione l’effetto che l’aumento del reddito del compensato provoca sulla disponibilità a pagare portando a possibili paradossi. Allo stesso tempo e alle stesse condizioni è possibile che la regola A sia preferibile alla regola B e viceversa. E’ il cosiddetto paradosso di Scitovski.

1.5 Economia del benessere e fallimenti di mercato.

Riprendendo la prospettiva pigouviana proviamo a definire la situazione ottimale di benessere. Per ottenerla occorre un’allocazione delle risorse che massimizzi il surplus totale ovvero la somma del surplus del produttore (differenza tra quanto incassato e costi di produzione) e del surplus del consumatore (differenza tra quanto un consumatore sarebbe disposto a pagare un bene e quanto effettivamente paga).

Evidentemente una diminuzione dei prezzi di mercato determina un aumento di surplus per il consumatore e una diminuzione del surplus per il venditore. Il teorema della mano invisibile, o anche primo teorema dell’economia del

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benessere, dice che l’equilibrio di mercato determina il massimo surplus totale, cioè una allocazione socialmente ottimale.

La situazione in cui questo certamente vale è quella della concorrenza perfetta, che consente di ottenere una allocazione di first best. Infatti nel libero mercato chi valuta di più i beni offerti se li accaparra e chi produce a costi più bassi ottiene i profitti maggiori: se lo scambio, per qualche motivo, non avvenisse per le combinazioni massimizzanti rimarrebbero delle opportunità non sfruttate oppure si sarebbe distrutta una quota di benessere sociale altrimenti ottenibile nella situazione di first best.

Chi ha pensato nelle economie comuniste del xx secolo di realizzare lo stesso effetto massimizzante dell’economia di mercato attraverso la pianificazione dell’economia, si è scontrato con quello che Hayek negli anni ’30 dello stesso secolo aveva definito come il problema informativo: per quanto dettagliate siano le informazioni in possesso del pianificatore, egli non riuscirebbe comunque a prevedere l’esito di ogni singolo scambio e la preferenza di ogni singolo agente. L’unico sistema in grado di farlo è il mercato.

Ma anche il mercato , al di fuori della situazione ideale della concorrenza perfetta , può fallire nel raggiunger e la situazione di first best, in presenza di almeno uno dei seguenti fenomeni:

Potere di mercato: un singolo agente ha la capacità di influenzare l’andamento del mercato.

Esternalità: caso in cui le azioni di alcuni agenti economici aumentano o diminuiscono il benessere di altri soggetti non coinvolti Asimmetrie informative (le parti di un contratto o di uno scambio

hanno informazioni differenti).

Le tre cause, apparentemente slegate tra loro, possono in realtà essere tutte ricondotte ad un fenomeno comune, la c.d. incompletezza della struttura dei mercati ovvero, l’assenza nel mercato di uno o più mercati rilevanti, cioè di “luoghi istituzionali” dove siano possibili scambi che, se realizzati, consentirebbero di raggiungere comunque il massimo benessere sociale. Il mercato fallisce perché non ci sono abbastanza mercati .

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Ad ognuno di questi problemi la teoria economica propone delle soluzioni. Pigou propone di internalizzare le esternalità con un intervento del policy maker: nel caso delle esternalità negative tassando i beni, sussidiando i beni, nel caso intervengano invece esternalità positive. Il problema della mancanza di informazioni non viene comunque risolto . Il policy maker non può sapere qual è in tutti i casi la misura necessaria, in termini di costi opportunità, a compensare l’esternalità (problema informativo di Hayek).

Nel 1960 Ronald Coase, nell’articolo “ The problem of social cost”, che gli valse il premio Nobel per l’economia nel 1991, dimostra come si possa giungere ad un’efficienza superiore ad ogni altro meccanismo, attraverso il mercato, inteso a sua volta come combinazione di domanda e offerta, ma in assenza di costi di transazione. Più precisamente, l'enunciato di Coase afferma che, se i costi di negoziazione e transazione sono nulli, la contrattazione tra agenti economici porterà a soluzioni efficienti da un punto di vista sociale (dette Pareto-efficienti) anche in presenza di esternalità ed a prescindere da chi detenga inizialmente i diritti legali. Una formulazione equivalente, afferma che in assenza di costi di transazione, tutti i modi in cui un governo può allocare inizialmente delle proprietà sono ugualmente efficienti, perché le parti interessate contratteranno privatamente per correggere ogni esternalità. Come corollario, l'enunciato implica che in presenza di costi di transazione un governo può minimizzare le inefficienze allocando inizialmente le proprietà alla parte a cui assegna maggiore utilità. Si noti che parlando di proprietà si intende la proprietà privata, composta cioè di beni appropriabili: tale teorema non è perciò applicabile alla proprietà pubblica.

L’origine del principio era stato proposto da Coase già nel 1959. Intervenendo sulla disputa che riguardava le interferenze fra le stazioni radio, Coase espresse l’idea che finché i diritti di proprietà sulle frequenze sono ben definiti, non ha importanza se inizialmente alcune stazioni radio adiacenti interferiscono reciprocamente trasmettendo nella stessa banda di frequenza: la stazione delle due in grado di trarre maggiore vantaggio economico è incentivata a pagare l'altra stazione per non interferire. Se non ci sono costi in

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questa transazione, ad esempio tasse, entrambe le stazioni raggiungeranno un compromesso mutuamente vantaggioso a prescindere da chi detiene inizialmente il diritto di trasmettere.

L'argomentazione di Coase, chiarita nel citato articolo del 1960 è che, solo in assenza di costi di transazione, è possibile raggiungere l’ottimo sociale. Se ci sono costi, la negoziazione o è impossibile o comunque non raggiunge il first best. Come altro corollario del teorema si può aggiungere che il possesso iniziale del diritto di proprietà non compromette il raggiungimento dell’ottimo sociale se i costi di transazione sono nulli, ciò non toglie che la distribuzione finale del benessere sia differente.

1.6 Asimmetrie informative

Il problema delle asimmetrie informative ci porta più direttamente nel cuore dell’argomento della tesi. Si tratta del caso in cui uno degli agenti coinvolti nella transazione, ha più informazioni sulle caratteristiche del bene scambiato rispetto agli altri. Ne emergono due possibilità:

Asimmetria informativa pre - contrattuale (selezione avversa)

Asimmetria informativa post - contrattuale : impossibilità di monitoraggio del comportamento della controparte (azzardo morale o azione nascosta).

Il primo dei due casi è quello dei cosiddetti lemons (bidoni). In un articolo del 1970, The Market for Lemons: Quality Uncertainty and the Market

Mechanism, l’economista americano George Akerlof esemplificò questa

condizione con il mercato delle auto usate. Egli dimostra come in tale mercato, in caso di asimmetria informativa tra acquirente e venditore e mancanza di garanzie definite, il mercato stesso collassi (Akerlof ha ricevuto il premio Nobel per l’economia nel 2001 per le sue ricerche sull’asimmetria delle informazioni).

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essere conosciuta dall’acquirente, egli fissa la sua aspettativa su un prodotto di qualità media e valore medio (Vm). I possessori di auto di qualità maggiore di Vm non saranno disposti a offrirle sul mercato sapendo che otterranno una valutazione inferiore al valore reale. Quindi sul mercato saranno presenti soltanto auto di valore minore di Vm portando la media reale dei prodotti ad un livello medio basso inferiore a Vm (V°). I compratori sono consapevoli di questo e non saranno disposti a pagare più di V° per un’auto usata. A questo punto tutti i venditori che hanno un auto di valore maggiore di V° si rifiuteranno di venderle abbassando ulteriormente il valore medio del prodotto realmente sul mercato. Questo meccanismo porterà a lasciare sul mercato solo le auto di pessima qualità (lemons) che nessuno sarà disposto a comprare portando il mercato alla auto distruzione .

Gli antidoti a tale problema possono essere le garanzie, il buon nome del marchio, le catene (catene di hotel o ristoranti per esempio), le licenze e/o le abilitazioni (medici, avvocati, ingegneri, ecc.), ovvero tutte le azioni che la parte informata può intraprendere per rivelare credibilmente le proprie informazioni alla parte non informata (signalling).

Oppure la parte non informata può attivare dei meccanismi (screening) per indurre la parte informata a rivelare le informazioni: ad esempio, instaurando un rapporto di clientela continuativo e di fiducia, oppure costituendo una franchigia ( assicurazioni).

Il caso dell’azione nascosta è, invece, quello in cui all’interno di un rapporto contrattuale è prevista una attività di una delle due parti (Agente) non controllabile direttamente dall’altra (principale).In questo caso è possibile che la prima tenga un comportamento opportunistico agendo nel proprio esclusivo interesse: l’efficienza complessiva e di conseguenza il benessere sociale totale dell’operazione sono ridotti da questo atteggiamento.

Il principale può individuare incentivi e sanzioni per indirizzare l’azione dell’agente oppure rifiutare di stipulare il contratto. L’esempio tipico è quello del calciatore svogliato: un calciatore (agente) viene ingaggiato con un contratto pluriennale e multimilionario da un club (principale). Dopo aver

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firmato il contratto ed essersi garantito la retribuzione pattuita, c’è il rischio (azzardo morale) che l’impegno da lui profuso in allenamento e durante le competizioni non sia il massimo. Da parte sua il club potrebbe monitorare il comportamento del giocatore attraverso delle clausole nel contratto che prevedano multe e altri tipi di sanzioni in caso non svolga una vita da sportivo professionista. Questa è la parte più facile da accertare (basta che il club si tenga informato leggendo i giornali di gossip). Più difficile è capire se un eventuale calo di rendimento in campo sia dovuto invece a malesseri fisici reali, problemi psicologici, di adattamento tecnico alla nuova squadra o semplicemente dalla sua scarsa diligenza. L’atteggiamento del calciatore può essere di tipo opportunistico (rent seeking), nel senso che sfrutta la situazione ottenendo a suo vantaggio una rendita. Per cercare di ridurre il problema la società può prevedere che una parte rilevante del contratto sia in relazione con alcuni parametri misurabili della sua prestazione : gol fatti, partite vinte, vittoria in coppa o in campionato. Si dice in questa situazione che il principale “vende “ all’agente parte del valore di quello che andrà ad ottenere come risultato della sua attività cercando di riallineare gli incentivi delle due parti . L’esempio si può ben facilmente riprendere in situazioni assai meno privilegiate, dal punto di vista sociale, rispetto a quella della star del pallone. I sistemi di incentivazione nelle organizzazioni hanno come obiettivo principale far corrispondere l’interesse di lavoratore e datore di lavoro, ribaltando la tendenza naturale che deriva dall’accordo base che si sostanzia nel contratto di lavoro, per cui, se l’unica possibilità definita di reddito per il lavoratore è il salario, è ovvio che egli cercherà di massimizzarne il rapporto con il suo sforzo cercando di ridurre quest’ultimo, proprio come il calciatore con il contratto garantito. L’incentivo (il premio partita, o il premio di produzione allo stesso modo) ha la capacità di rimettere in moto nella stessa direzione gli investimenti dei due soggetti (monetario per il principale, di sforzo e attenzione per l’agente). Il problema fondamentale da risolvere è trovare il giusto equilibrio tra le due esigenze evitando eccessi o difetti di incentivazione e, conseguentemente, la dispersione di risorse. Come si fa a

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sapere quanto pagare e anche per che cosa pagare, al fine di ottenere il risultato sperato ?

Nel prossimo paragrafo vedremo cosa offre la teoria economica per risolvere questo tipo di quesiti.

1.7 Scambio di informazione e disegno di meccanismi.

Abbiamo appena visto come la conoscenza o meno di alcune informazioni possa influenzare le relazioni di mercato. Hayek, nel parlare di problema informativo relativamente alla principale differenza tra economie pianificate ed economie di mercato, aveva già identificato l’impossibilità per il pianificatore, di poter avere a disposizione la personal knowledge di ogni agente. L’unico meccanismo in grado di rivelarla è il sistema dei prezzi sul libero mercato, che è quindi, apparentemente, condizione non solo necessaria ma anche sufficiente per la realizzazione del first best nella massimizzazione del benessere reale.

Come abbiamo già osservato, però, anche i meccanismi di mercato falliscono quando ci sono delle zone d’ombra nel flusso di informazioni che non vengono illuminate: se in alcuni casi è sufficiente aumentare i mercati, o introdurre delle garanzie per risolvere il problema (Es: delegando a dei meccanici specializzati la verifica del valore delle auto) , in altri casi la soluzione potrebbe essere più difficile da individuare. Come si può definire l’utilità che ciascun utente riceve dall’avere la strada illuminata?

Non si può utilizzare il sistema dei prezzi dato che il bene è pubblico , quindi non rivale e non escludibile: la disponibilità a pagare non può essere l’indicatore, dato che in effetti il bene non è in concorrenza con nessun altro ed è a disposizione di tutti. Non si può nemmeno pensare di andare a chiedere a ciascuno quanto valuta il servizio e poi tassarlo di conseguenza, dato che ovviamente i risultati sarebbero comunque del tutto inattendibili. Nel 1960 Leonard Hurwicz elabora un primo approccio al problema dello scambio di

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informazioni, definendo un meccanismo in cui tutti i partecipanti allo scambio possono si possono scambiare messaggi. Un meccanismo è quindi “un centro di messaggistica” a cui è abbinata una regola in grado di determinare l’esito, per esempio una certa distribuzione nell’allocazione delle risorse, in funzione dei messaggi inviati. Nel 1972, in un altro saggio7, Hurwicz formula la nozione di compatibilità con gli incentivi: un meccanismo è compatibile con gli incentivi se per ogni partecipante è strategia dominante riferire agli altri le proprie informazioni in modo veritiero. Inoltre deve essere rispettato il c.d.

vincolo di partecipazione: per ciascun agente non deve essere possibile

ottenere di più, come allocazione delle risorse, rimanendo al di fuori del meccanismo, piuttosto che partecipando al meccanismo. Hurwicz dimostra in pratica che l’unico meccanismo di allocazione delle risorse che consente di ottenere il first best in termini di benessere generale è il mercato in condizioni di concorrenza perfetta, ovvero in presenza di informazione perfettamente simmetrica. La presenza di informazione privata impedisce il raggiungimento del first best, come nella maggior parte dei casi reali. La domanda che resta sul campo è quale tra i diversi meccanismi possibili è il migliore per raggiungere il più alto livello possibile di efficienza allocativa?

Roger Myerson imposta la risposta a questa domanda introducendo il concetto di Disegno dei Meccanismi. Un meccanismo è una specificazione di come le decisioni economiche sono determinate in funzione delle informazioni conosciute dagli individui nell’economia (MYERSON 1989). Dato che ogni organizzazione o istituzione è un insieme di regole che sono dirette a influenzare o a determinare le decisioni degli individui, essa può essere definita meccanismo.

La teoria del disegno dei meccanismi offre la struttura concettuale per affrontare le diverse tipologie di problemi organizzativi Per risolvere questi meccanismi occorre focalizzare l’attenzione su quali sono i vincoli sugli incentivi agli agenti (incentives constraints) e le risorse a disposizione. In una

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HURWICZ.L.[1960], “Optimality and informational efficiency in resource allocation process”in ARROW. K.J- KARLING S. –SUPPES P.,(eds), Mathematical Methods in the Social

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situazione di concorrenza perfetta e simmetria informativa sono i prezzi a incentivare l’allocazione efficiente delle risorse. Ma in presenza di asimmetria informativa abbiamo visto come il mercato non riesca a svolgere la sua funzione. C’è quindi l’esigenza di identificare quali siano gli incentivi adeguati affinché gli agenti condividano le informazioni e si impegnino nella loro attività. Entra in campo per questo scopo il c.d. principio di rivelazione. Il principio afferma che ogni equilibrio di comunicazione razionale tra gli agenti può essere simulato da un meccanismo di rivelazione diretta (DRM direct revelation mecanism), compatibile con gli incentivi ed a esso equivalente. All’interno di questo ambiente virtuale opera un mediatore affidabile che centralizza al massimo la comunicazione e che fa sì che obbedienza e onestà siano strategie di equilibrio razionali per tutti gli argomenti. Il mediatore , una volta raccolte tutte le informazioni, raccomanda a tutti gli agenti, in via confidenziale, qual è la migliore azione da compiere in funzione delle informazioni ricevute. L’onestà della trasmissione risolve il problema dell’informazione nascosta, l’obbedienza alle indicazioni quello dell’azione nascosta.

Allan Gibbard nel 1973 dimostra l’esistenza di un DRM in cui verità ed obbedienza sono strategie razionali di equilibrio per gli agenti. Il risultato generale di esistenza per entrambi i casi, di informazione nascosta e azione nascosta, è stato dimostrato con la teoria dei giochi separatamente tra il 1977 e il 1978 e infine Myerson, nel 1982, fornisce la dimostrazione per un meccanismo di informazione ed azione nascosta. Nella realtà capita che i DRM identificabili siano più di uno: basta pensare al caso delle votazioni elettorali, in cui la scelta del candidato non dipende soltanto dalla preferenza individuale, ma anche dalla scelta dell’elettore in base all’opinione diffusa che il candidato possa o meno vincere. Per non sprecare il voto si può optare per un altro candidato con maggiori possibilità di vittoria. In questa situazione gli equilibri in gioco sono multipli, con più esiti possibili e efficienti in modo diverso a seconda delle diverse opinioni elettorali. Maskin nel 1977 ha dato il via alla c.d. teoria dell’implementazione (MASKIN 1999) per fornire un

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ultimo contributo alla teoria del disegno dei meccanismi, volto a selezionare un equilibrio quando ve ne sono molteplici. Di seguito daremo invece tre esempi classici applicazione delle teoria :la problematica della fornitura di un servizio pubblico e i due casi di asimmetria informativa : la selezione avversa e l’azzardo morale.

Prima della MTD si riteneva che non fosse possibile individuare la disponibilità a pagare degli utenti di un servizio pubblico e quindi fosse impossibile determinarne l’erogazione efficiente. Clarke e Groves, agli inizi degli anni settanta, sono riusciti a dimostrare che, in assenza di effetti reddito sulle funzioni della domanda del bene pubblico, è possibile costruire un meccanismo tale per cui la strategia dominante diventa la rivelazione veritiera della disponibilità a pagare.

Il meccanismo prevede che ad ogni agente venga richiesto quanto è disponibile a pagare il servizio, tenendo presente che il servizio non verrà fornito se la somma delle disponibilità non supera il costo effettivo del servizio. Allo stesso tempo la tassa imposta per il pagamento sarà pari alla differenza tra il costo totale effettivo e la somma delle disponibilità a pagare dichiarata dagli altri. In questo modo non conviene più mentire su quanto si vorrebbe pagare perché in ogni caso il risultato dipende da tutte le altre dichiarazioni. Rivelare la reale disponibilità a pagare è, nel linguaggio della teoria dei giochi, strategia dominante.

Altro caso è quello dell’asimmetria informativa e più in particolare

l’informazione nascosta. La situazione è quella dello scambio tra due agenti,

di un bene, per esempio un’automobile. Proprietario ed acquirente non conoscono la valutazione che l’altro fa della macchina per cui c’è il rischio che, se ognuno di loro mantiene nascosta l’informazione, le due complementari necessità non si incrocino e l’accordo non si faccia: l’acquirente offre troppo poco e il venditore chiede troppo. Per risolvere la situazione si possono provare tre soluzioni:

il venditore formula un’offerta prendere o lasciare; l’acquirente fa la stessa cosa per primo;

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entrambi pronunciano un prezzo (asta doppia) e lo scambio avviene solo se il prezzo dell’acquirente è superiore a quello del venditore, ma con un importo intermedio tra i due.

Il meccanismo conferma il risultato di Hurwicz 1972: l’informazione privata impedisce la realizzazione del first best, anzi può essere che lo scambio non si realizzi anche se potrebbe risultare vantaggioso per entrambi, basta solo che uno dei due “spari” un prezzo troppo alto. Myerson e Satterthwaite dimostrano nel 1983 che in uno scambio bilaterale non esiste un meccanismo compatibile con gli incentivi che soddisfi il vincolo di partecipazione e consenta il raggiungimento del first best. I due identificano però il meccanismo che in questi casi consente comunque di massimizzare l’efficienza: è la doppia asta (double auction), dato che nessun altro meccanismo consente di arrivare ad una migliore allocazione dei beni in presenza di informazione privata .

Riprendiamo adesso il caso di asimmetria informativa chiamata azione

nascosta e in particolare l’esempio del calciatore (agente ), che vien messo

sotto contratto da un club (principale) con un contratto pluriennale e multimilionario. Vincolando la retribuzione ai risultati il principale “vende” all’agente parte del valore economico del risultato stesso che, se tutto va bene, potrà essere raggiunto anche grazie allo sforzo di quest’ultimo.

Parlando in termini di MTD il meccanismo sarà stato costruito in modo efficiente ? E’ evidente che non è detto che il calciatore accetti un contratto del genere. Egli deve avere soddisfatta l’altra sua esigenza fondamentale che è quella definita dal vincolo di partecipazione, ovvero che per lui non sia possibile ottenere di più rimanendo al di fuori del meccanismo. Un campione affermato ha la possibilità di spendere sul mercato il valore di quanto la sua carriera gli consente di mettere sul piatto della contrattazione, per cui ben difficilmente accetterà di mettere a rischio una parte ragguardevole della sua retribuzione, lasciando che sia composta per la maggior parte da premi. Un infortunio, un episodio sfortunato durante una partita, magari nemmeno dipendente da lui potrebbero compromettere il risultato oggetto del premio

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(vittoria della Champions League o del campionato ) e quindi la sua retribuzione . L’agente (il giocatore ) spingerà quindi per un contratto con un alto valore di base e una lunga durata, il principale (il club) cercherà di garantirsi una prestazione all’altezza del suo curriculum offrendogli dei premi all’altezza dello stipendio, dopo che sarà stato costretto a trovare un accordo su quest’ultimo con il giocatore (magari con un meccanismo del tipo della doppia asta ) per evitare che, qualche club concorrente, riesca ad accaparrarselo al posto suo.

E’ evidente già da questa esemplificazione che si tratta di un meccanismo moltiplicante (più alta la paga base maggiori sono gli incentivi necessari per riallineare gli interessi in gioco). L’altro fattore fondamentale che va tenuto presente in questo quadro è la propensione al rischio. Infatti difficoltà principale che viene messa in evidenza in questo tipo di rappresentazione è la presenza di una parte di pay-off (guadagno ricompensa) finale che è dovuta al caso. Se l’agente è avverso al rischio, il contratto che sottoscrive dovrà perseguire due obiettivi tra loro contrastanti: da un lato incentivare lo sforzo efficiente, dall’altro contrastare l’aleatorietà del risultato. Quest’ultimo risponde direttamente al vincolo di partecipazione: l’agente non può permettere che si scarichi su di lui tutto o la maggior parte del rischio del contratto, anche perché se il rischio è troppo alto gli converrebbe accettare un lavoro con una retribuzione fissa (salario di riserva) che gli garantirebbe un salario atteso probabilmente più alto. E’ quindi la predisposizione al rischio che può far propendere per un contratto piuttosto che per un altro. Ma anche in questo caso è la conoscenza o meno di certe informazioni nascoste (personal knowledge) a definire la compatibilità con gli incentivi: usando il linguaggio della MTD si tratta di individuare l’equilibrio fra vincolo di compatibilità e vincolo di partecipazione, dato che, come dimostra la teoria, spingendo sulla realizzazione di uno dei due si rende più difficile la realizzazione dell’altro.

Nella situazione specifica del mercato calcistico l’altra parte che entra in gioco nel meccanismo è la facilità di verificare le informazioni nascoste

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attraverso le prestazioni in campo, che sono ovviamente accessibili a tutti .Questo contribuisce a creare un meccanismo efficiente. In effetti è difficile non riconoscere come spesso lo sport sia un esempio di efficienza nel selezionare e portare in evidenza talento, merito ed eccellenza delle prestazioni (al netto ovviamente di comportamenti nascosti scorretti come doping o risultati concordati con gli scommettitori). Vedremo nel prossimo capitolo come e perché queste teorie che sembrano rivolgersi soltanto a situazioni di mercato possano in realtà entrare nelle dinamiche interne delle aziende.

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25 CAP.2 COME FUNZIONANO LE IMPRESE ?

2.1 Teoria classica

La teoria neoclassica dell’impresa, proposta a partire dalla rivoluzione marginalista a cavallo tra XIX e XX secolo , identifica l’impresa stessa come luogo della produzione in cui i fattori produttivi (Input) vengono trasformati in beni (output). Tecnologia e imprenditore sono i due elementi che si combinano tra di loro per ottenere il massimo profitto inteso come differenza tra ricavi totali e costi totali .

L’imprenditore per ottenere questo obiettivo deve risolvere due problemi: il problema dell’ingegnere e il problema del manager. Il primo è come ottenere il massimo output dato un certo input e una certa tecnologia. Rendere massima l’efficienza produttiva, ottenendo la maggior quantità possibile di output a partire dalla minor quantità possibile di input, è la sintesi del concetto di funzione di produzione. L’imprenditore delega questa funzione all’ingegnere: per lui il sistema produttivo resta una scatola nera (black box) e si interessa unicamente al risultato finale. Al manager l’imprenditore lascia il problema di quanto produrre ovvero di impostare l’efficienza economica: secondo la regola marginalista della massimizzazione del profitto, l’impresa ottiene il massimo risultato producendo la quantità di output per cui il ricavo marginale eguaglia il costo marginale.

Questo modello di impresa è molto semplice e versatile; si può applicare ad ogni tipo di impresa indipendentemente dalle dimensioni. Utilizzandolo per spiegare i motivi di fenomeni come le fusioni aziendali, o l’innovazione tecnologica si rischia però di ridurre tutto a come trovare la giusta combinazione tra input , output , tecnologia, con l’unico fine di minimizzare i costi e massimizzare i guadagni.

Nel 1937 Ronald Coase rivoluziona questa prospettiva in un articolo dal titolo “The nature of the firm”

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26 2.2 Market or firm ?

Questa è sostanzialmente la domanda a cui Coase cerca di rispondere nel suo saggio: “The purpose of this paper is to bridge what appear to be a gap in

economic theory between the assumption (made for some purpose) that resources are allocated by means of the price mechanism and the assumption (made for other purposes) that this allocation is dependent on the entrepreneur co-ordinator”8. Egli procede dal considerare le imprese come delle organizzazioni all’interno delle quali i costi di transazione normalmente presenti dal mercato vengono assorbiti. Se il mercato è la soluzione più efficiente per allocare le risorse allora perché invece di costruire un’impresa l’imprenditore non conclude giorno per giorno le transazioni di cui ha bisogno (acquisto di materie prime, manodopera, vendita dei prodotti) in modo da ottenere da ciascuna di esse la massima efficienza economica?

La risposta è che ogni transazione ha un costo di scambio e che alcune caratteristiche dello scambio stesso possono influenzarne l’efficienza rispetto ad una situazione in cui un imprenditore ha centralizzato l’organizzazione delle attività equivalenti: concludere tutti i giorni un contratto di fornitura garantisce condizioni di prezzo e di servizio meno convenienti rispetto ad un contratto di lungo periodo o addirittura all’accorpamento del fornitore all’interno della struttura imprenditoriale. Il fornitore del bene o servizio che ha in mano un contratto di fornitura per la sola giornata non sa se la controparte vorrà ancora sottoscrivere un contratto il giorno successivo: “All

that is stated in the contract is the limit to what the person supplying the commodity or service is expected to do. The detail of what the supplier is expected to do is not stated in the contract but is decide later by the supplier”9.

La prospettiva che viene data da Coase mette in primo piano la dimensione

8

Ronald Cose (1937) –“The nature of the firm”- Economica ,Volume 4, Issue 16, pag 389 9

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che, in termini di efficienza, deve avere l’impresa per sostituirsi al mercato. La convenienza di organizzare ed allargare un impresa piuttosto che lasciare che l’imprenditore si rivolga al mercato per ottenere la stessa cosa, definisce quando è preferibile l’una o l’altra soluzione: se i costi di organizzazione sono inferiori ai costi di transazione allora è preferibile l’impresa, se sono superiori è meglio rivolgersi al mercato.

Le moderne teorie dell’impresa hanno spostato la loro attenzione da quello che è il funzionamento dell’impresa verso l’esterno a quali sono i meccanismi che incentivano o disincentivano l’attività dei vari agenti interni. Andremo di seguito ad esporre alcune dei principali approcci alla teoria dell’impresa, seguendo le linee guida e le comparazioni impostate da Robert Gibbons in un saggio del 200510.

2.3 Teoria del rent seeking

Oliver Williamson prende l’avvio dagli studi di Coase sui costi di transazione facendo della transazione stessa l’unità minima da tenere in considerazione :“Ronald Coase, in his classic 1937 paper on “The Nature of the Firm,” was

the first to bring the concept of transaction costs to bear on the study of firm and market organization. The youthful Coase (then 27 years old) uncovered a serious lapse in the accepted textbook theory of firm and market organization. Upon viewing firm and market as “alternative methods of coordinating production” (1937, 388), Coase observed that the decision to use one mode rather than the other should not be taken as given (as was the prevailing practice) but should be derived. Accordingly, Coase (1937, 389) advised economists that they needed:… to bridge what appears to be a gap in [standard] economic theory between the assumption (made for some purposes) that resources are allocated by means of the price mechanism and

10

Robert Gibbons (2005) -,”Four formal(izable) theories of the firm?” Journal of Economic Behavior & Organization,Vol. 58, pag 200–245

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28 the assumption (made for other purposes) that that allocation is dependent on the entrepreneur-coordinator. We have to explain the basis on which, in practice, this choice between alternatives is affected. The missing concept was “transaction cost.”11

. Williamson si concentra sulla transazione e prende spunto dalla definizione di R.Commons identificandone tre aspetti fondamentali:

la mutualità (le parti sono interessate al buon esito della transazione perché tutte ne traggono beneficio).

La conflittualità (le parti si contengono i benefici maggiori della transazione).

Ordine (determinazione di regole scritte o non scritte).

Nello specifico di ogni categoria cerca di dare delle definizioni ai vari tipi di transazione : frequenza, incertezza,e specifità (asset specificity o idiosyctratic transaction). La combinazione di queste caratteristiche consente di arrivare a capire il perché si scelga talvolta di organizzare una serie di transazioni attraverso una organizzazione gerarchica verticale (impresa o istituzione), oppure lasciarla al massimo grado di libertà e impersonalità (mercato).

Una piccola impresa che decide di avere esclusivamente come fornitore una grossa impresa o lo studente che si specializza in una materia che ha un solo sbocco professionale sono in una situazione di lock-in (bloccato), mentre la controparte è una posizione di forza contrattuale (hold up).

L’altro punto fondamentale nella sua analisi è la valutazione della possibilità di comportamenti opportunistici (rent seeking) da parte dei contraenti nella situazione di hold up. Questo si può evitare stipulando un contratto completo, cioè che preveda tutte le possibili circostanze che si possono verificare durante la durata minima del contratto ovvero che individui, per ciascuna di esse, l’azione ottimale che ciascuna delle due parti deve tenere e infine dia certezza dell’esecuzione senza possibilità di rinegoziazione. Evidentemente non è possibile sottoscrivere contratti del genere.

11Williamson E.Oliver ( 2010): – Transaction Costs the natural progression - American Economic Review Vol. 100 pag 675 .

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L’incompletezza dei contratti espone al rischio di rinegoziazione e alla possibilità che parte del benessere sociale che potrebbe derivare dallo scambio venga disperso in costi di transazione o addirittura porti a non far realizzare lo scambio stesso. L’integrazione delle due parti all’interno di una stessa impresa elimina questo rischio. Nell’azienda è la gerarchia che decide il tipo di investimento da fare eliminando i costi di transazione creati dai comportamenti opportunistici.

Come già aveva osservato Coase nel 1937 l’opzione market resta valida e possibile oltre che evidentemente supportata dalla realtà delle cose; le dimensioni di un azienda non sono esenti da costi, altrimenti esisterebbero solo poche grandissime aziende e nessun mercato.

Come evidenzia anche Gibbons (2005) è la dimensione delle quasi rendite appropriabili (AQR Appropriable Quasi Rents) a determinare, in questo modello, se un’acquisizione può essere profittevole o no.

L’esempio classico è il Caso General Motors – Fisher Body, descritto e analizzato da Klein (1998;2000; 2004), in cui la GM acquista il partner commerciale Fisher Body con cui si trovava in una situazione di lock in in quanto fornitore unico e detentore di know how indispensabile alla realizzazione del prodotto finale. In questo modo l’integrazione può fermare il mercanteggiare sulle quasi rendite appropriabili ovvero l’eccedenza della remunerazione di un asset rispetto al proprio valore limite (quasi rendita) che diviene appropriabile (per chi è in posizione di hold up) quando si configura una situazione lock in – hold up.

Gibbons evidenzia come la teoria del rent seeking non sia stata completamente formalizzata, nel senso che Williamson non specifica l’origine delle AQR: derivano semplicemente dall’acquisizione diritti alienabili (beni , capitali) oppure dei diritti inalienabili (risorse umane)? Nel primo caso l’integrazione rimuove la causa dell’inefficienza del mercato, ma se invece l’integrazione riguarda principalmente il secondo tipo di beni non è detto che le inefficienze del mercanteggiare opportunistico possano essere rimosse. Quindi l’integrazione contrasta l’opportunismo se questo riguarda i diritti

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alienabili, ma per i beni inalienabili la storia e i meccanismi potrebbero essere differenti: possono entrare in ballo valutazioni come l’etica, la psicologia o addirittura i sentimenti (onore, attaccamento all’azienda ) .

Come ultima osservazione G. fa presente come molte relazioni di hold up tra imprese non si concludano con una integrazione: in alcuni casi perché, come abbiamo detto, l’hold up riguarda diritti e beni inalienabili, in altri casi comunque la non integrazione è meno peggio dell’integrazione. Anche nel caso della Fisher Body,in effetti, la rent seeking theory non dice nulla su come fosse la vita interna al dipartimento aziendale che si occupava solo di General Motors, prima e dopo l’acquisizione.

2.4 Teoria dei Diritti di proprietà.

Un altro tipo di approccio è quello dato da Sanford.J. Grossman, Oliver Hart e John H.Moore. In un articolo del 1986 Grossman e Hart12 affermano che i diritti che derivano dai contratti possono essere di due tipi: specifici o non specifici (o complementari). Nell’incipit dell’articolo definiscono che, se è troppo oneroso definire tutti i diritti specifici che riguardano i beni inclusi nel contratto, allora la soluzione ottimale è che una delle parti acquisti tutti i diritti complementari. In questo modo si crea uno squilibrio: L’azienda 1 acquista l’azienda 2 quando il controllo della produttività da parte del management dell’azienda 1 aumenta la produttività più della diminuzione della produttività provocata all’azienda 2 dalla perdita di controllo del suo management.13

12 Grossman, Sanford J., and Oliver D. Hart. 1986. “The costs and benefits of

ownership: A theory of vertical and lateral integration.” Journal of Political Economy 94(4): 691-719

13

“Our theory of costly contracts emphasizes that contractual rights can be of two types: specific rights and residual rights. When it is costly to list all specific rights over assets in the contract, it may be optimal to let one party purchase all residual rights. Ownership is the purchase of these residual rights. When residual rights are purchased by one party, they are lost by a second party, and this inevitably creates distortions. Firm 1 purchases firm 2 when firm l's control increases the productivity of its management more than the loss of control decreases the productivity of firm 2's management.”.Grossman,Hart (1986.)” The costs and benefits of

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Per GH quindi assorbire all’interno dell’azienda un fornitore può essere addirittura dannoso , anzi questa teoria dei diritti di proprietà dei beni mira a fornire le indicazioni affinché i diritti residuali vengano allocati in modo efficiente. La teoria entra in una valutazione approfondita delle affermazioni di Coase (1937) sui maggiori costi di transazione del mercato rispetto ad una organizzazione gerarchica e di Williamson sulla possibilità di comportamenti opportunistici tra venditore e acquirente data l’impossibilità di scrivere un contratto completo. In secondo luogo cerca di definire che cosa si intenda con integrazione e con grado di integrazione: si può dire che un’azienda è più integrata di un’altra perché in una, per esempio, i venditori vengono chiamati impiegati e hanno un salario mentre in un'altra sono agenti monomandatari e in esclusiva e vengono pagati per commissioni ? Inoltre GH vogliono approfondire quali sono i motivi per cui l’integrazione delle transazioni all’interno dell’impresa dovrebbe essere più efficiente .

Quindi che cosa è l’impresa ? E’ l’insieme degli asset di cui ha la proprietà o di cui detiene il controllo14. Non si distingue quindi tra proprietà e controllo e si definisce virtualmente la proprietà come il potere di esercitare il controllo. Per esempio, nel caso delle assicurazioni, una società può utilizzare sia dei venditori indipendenti che dei venditori assunti dalla compagnia stessa: la differenza che conta, dal punto di vista di GH, non è tanto come questi venditori ricevono lo stipendio, ma chi ha il controllo della lista dei clienti. Quindi se in tutte e due i casi è la compagnia che controlla la lista, il livello di integrazione delle due società è lo stesso.

Altro esempio citato nell’articolo è il caso delle manifatture di scarpe del XVIII sec. In quel periodo molte delle manifatture passarono dal sistema del lavoro a cottimo a domicilio a quello in fabbrica: nel primo caso la scarpa veniva assemblata a casa dal lavoratore che veniva pagato a pezzo; nel

ownership: A theory of vertical and lateral integration.” Journal of Political Economy 94(4): pag 691.

14 “We define a firm to consist of those assets that it owns or over which it has control; we do not distinguish between ownership and controlWe define a firm to consist of those assets that it owns or over which it has control; we do not distinguish between ownership and control”GH 1986, pp 693-694.

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secondo il lavoro veniva fatto in fabbrica dato che le aziende avevano acquistato macchinari specifici. In tutti e due i casi il sistema di pagamento era lo stesso, ma nel caso della lavorazione in fabbrica l’integrazione era maggiore . L’impresa è tale solo perché degli asset specifici appartengono allo stesso proprietario. L’allocazione di questi investimenti i cui diritti di decisione (decision rights, DR) sono inalienabili o non contrattabili è il centro di questa prospettiva: la contrattazione serve a ripartire la parte di surplus che l’asset specifico garantisce al suo proprietario e determinare l’incentivo a investire dell’agente.

Se l’impresa 1 assorbe l’impresa 2 c’è il rischio di un suo sovra investimento e un sotto investimento sull’impresa 2. Se ognuna delle due rimane per se si rischia che entrambe investano meno di quanto potrebbero. La struttura di proprietà ottimale è quella che minimizza la perdita di surplus totale che viene prodotta dalla distorsione degli incentivi all’investimento in un caso o nell’altro.

Riepilogando: se due parti concludono un contratto per avere un ritorno economico, potrebbero in teoria specificare, in tutte le circostanze presenti e future, chi ha i diritti di controllo sugli asset specifici. Se è troppo costoso e difficile elencare tutti i diritti complementari nelle varie situazioni può essere ottimale, per una delle parti, acquistare tutti i diritti complementari esclusi quelli specifici menzionati nel contratto. La proprietà è quindi l’acquisto dei diritti complementari di controllo. L’integrazione verticale sarà quindi l’acquisto dei diritti complementari (o residuali) di controllo da un fornitore (o acquirente).

Il confronto che si deve fare, pensando all’efficienza totale in termini di surplus, non tra un contratto completo e una non integrazione, ma tra come vengono allocati i diritti complementari tra le parti. L’integrazione infatti, pur riducendo la distorsione di incentivi all’investimento dovuta alla possibilità di comportamenti opportunistici tra le parti, non la elimina. Sia per i contratti completi che per quelli incompleti, sia per l’integrazione che per la non integrazione, è insomma la modalità di distribuzione dei diritti residuali a

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determinare come sono allocati rischi e investimenti. Capire qual è la mappatura di questi diritti può dunque aiutare a capire i meccanismi di funzionamento di un contratto o di un’ azienda.

Oliver Hart e John Moore entrano più nel dettaglio delle dinamiche interne dell’azienda e soprattutto di chi ci lavora15

.Mentre G.H. si occupano principalmente di come l’integrazione o la non integrazione possano influenzare gli incentivi dei manager o dei proprietari, H.M entrano nel particolare di come il controllo su asset interni (es capacità di svolgere un certo lavoro all’interno del ciclo di produzione) possa influenzare le iniziative di datori di lavoro e impiegati o operai. Con un esempio tutto americano i due autori differenziano così integrazione e non integrazione: “We argue that the

crucial difference for party 1 between owning a firm(integration) and contracting for a service from another party 2 who owns this firm (non integration) is that, under integration, party 1 can selectively fire the workers of the firm (including party 2) if he dislikes their performance, whereas under non integration he can "fire" (i.e.,stop dealing with) only the entire firm: the combination of party 2, the workers, and the firm's assets. We use this idea in a multi-asset, multi-individual economy to study how changes in ownership affect the incentives of non owners of assets (employees) as well as the incentives of owner-managers”

La loro analisi si concentra dunque su come possono variare gli incentivi degli agenti coinvolti (manager/proprietari e impiegati/operai) con il variare dei livelli di integrazione: a seconda di come si concentra il controllo degli asset complementari c’è una diversa disponibilità ad agire in un modo o in un altro. Per esempio: se un gruppo di lavoratori è specializzato nello svolgere un’attività che è fondamentale per il processo produttivo, e questa attività è difficilmente sostituibile, è chiaro che il peso dell’essere depositari di questa particolare capacità cambia la loro possibilità di contrattare diverse condizioni retributive. Quindi la capacità lavorativa che il lavoratore acquisisce oggi, attraverso l’eseguire il proprio lavoro (e magari aumentando le proprie

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Oliver Hart, John Moore (1990), “Property Rights and the nature of firm”;Journal of Political Economy,Vol. 98, No.6. pp 1119-1158

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capacità attraverso attenzione impegno e formazione) condiziona in un certo modo la sua capacità contrattuale nel futuro in un senso non definibile nel contratto iniziale.

Partendo dalla critica che Alchian e Demesetz fanno della teoria di Coase,16, H. M evidenziano anche come alcuni aspetti, al di la di quelli tangibili come la tecnologia, la posizione o il portafoglio dei clienti , possano influenzare la distribuzione degli asset: parliamo per esempio della buona volontà , della dedizione ma anche autorità e controllo sono elementi difficilmente quantificabili e non tangibili ma gli autori stessi , introducono l’idea che possano essere trattati allo stesso modo degli asset tangibili.

H.M. evidenziano alcuni limiti della loro analisi dovuti al fatto che si basa su una contrattazione ex ante per ottenere il first best :in questo modo però, cercando di eliminare le inefficienze al tempo T0 della transazione, si

provvede già a immaginare le possibili inefficienze successive. Inoltre, non prendendo in considerazione fattori come la disparità di informazioni, l’avversione al rischio o la possibilità di variazioni della situazione economica, disegnano un lavoratore che sa già che cosa fare in maniera autonoma e non va istruito dal datore di lavoro ovviamente questo non sempre può essere vero.

Dati questi aspetti critici, la teoria si propone di evidenziare quali sono i collegamenti che definiscono il funzionamento dell’azienda, principalmente nei rapporti interni alla catena di produzione e a quella dei fornitori, investigando come tali rapporti influenzano gli investimenti.

2.5 Teoria del nesso dei contratti

Un altra teoria che prova ad analizzare la black box disegnata dagli

16

Alchian – Demesetz (1972). Coase differenziava tra lavoratori dipendenti e non dipendenti dicendo che per i dipendenti il datore di lavoro poteva dire loro che cosa fare mentre verso i lavoratori autonomi doveva utilizzare la contrattazione e la definizione di un prezzo per la prestazione. A. e D. evidenziano come il datore di lavoro non possa in alcun modo forzare il lavoratore a fare cosa vuole: il fatto di poterlo licenziare non rende in effetti la loro relazione molto differente da quella che ci può essere tra un cliente e il fruttivendolo, per cui se il cliente non è soddisfatto della merce può “licenziarlo” non comprando più i suoi prodotti.

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