36 Art 2099 c.c – Retribuzione.
4.1 Riferimenti normativi riguardo alla retribuzione
In Italia la questione dell’aumento di produttività, è spesso al centro del confronto tra le forze sociali e delle proposte legislative. Dal punto di vista normativo e contrattuale, la retribuzione cosiddetta variabile è oggetto di proposte che spingono principalmente sulla leva fiscale e sulla possibilità di contrattare, a livello aziendale, questa componente del reddito da lavoro dipendente attraverso la cosiddetta contrattazione di secondo livello. La definizione stessa di retribuzione da lavoro dipendente non ha una definizione unitaria tra dottrina e giurisprudenza: “La retribuzione è il corrispettivo del lavoro: o meglio è quanto perviene al lavoratore in ragione dell’esistenza del rapporto”42
. La seconda parte della frase è necessaria in quanto le forme retributive non sono più quelle classiche. La definizione base della retribuzione è data dall’art 2099 del c.civ. in due tipologie: a tempo o a cottimo. L’articolo fa riferimento anche ai modi e ai termini di corresponsione collegandoli al luogo dell’esecuzione della prestazione. Nell’ultimo comma recita: “Il prestatore di lavoro può essere retribuito in tutto o in parte con
partecipazione agli utili o ai prodotti , con provvigione o con prestazioni in natura.” Quest’ultimo comma è quello su cui si basano, come già indicato, i
fringe benefit e le forme di partecipazione agli utili attraverso la cessione di quote azionarie . La Costituzione ha poi fornito il quadro fondamentale entro cui deve rimanere la retribuzione, nell’art 36: “ Il lavoratore ha diritto a una
retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi.”
Sufficienza e proporzionalità sono quindi le caratteristiche fondamentali della
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retribuzione a livello costituzionale: sufficienza nel senso di garantire al lavoratore la possibilità di attuare il programma sociale individuato dall’art 3 della Cost. sia per se che per la propria famiglia. Proporzionalità nel senso che l’ammontare della retribuzione non è relazionata soltanto al lavoro svolto ma anche dalla qualità della prestazione in termini di difficoltà importanza e complessità nonché di responsabilità. Obbligatorietà, determinatezza, corrispettività, continuità sono invece le caratteristiche che la giurisprudenza ha usato per determinare la natura di retribuzione o meno di una elargizione a favore del lavoratore, facendole discendere da norme che parlano di retribuzione intesa in contesti specifici (ad esempio 2120cc per il trattamento di fine rapporto, art 12 comma 4 lett. e, Legge n153 del 1969).
In generale la retribuzione ha, nell’ordinamento italiano, una definizione assai confusa che, per dirla con una sintesi estrema di Giuseppe Pera43 “ è retribuzione tutto il coacervo di quanto si riceve in ragione della mera esistenza del rapporto.” In questi termini e per quanto possa poi risultare complesso definire in termini pratici a fini fiscali o risarcitori l’ammontare che si deve intendere come corrispettivo della prestazione lavorativa, non sembrano esserci vincoli eccessivi riguardo alla possibilità di agire sulla leva retributiva come propulsione del sistema produttivo. Mantenendo come base i contratti collettivi nazionali, la retribuzione di produttività, intesa come possibilità migliorativa della retribuzione, sta entrando sempre di più nella realtà delle medie e grandi imprese (come vedremo anche in seguito). Anzi più volte negli ultimi anni si è cercato di facilitare l’attuazione di politiche industriali a favore della produttività. Basta citare l’ultima legge di Stabilità che rinnova anche per il 2013 la detassazione al 10% per le somme corrisposte come parte variabile della retribuzione (anche se vengono introdotte alcune limitazioni sul tipo di incentivazioni).
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90 4.2 Come facilitare l’incentivazione di produttività.
Disegnato questo breve quadro torniamo ad utilizzare il filtro dei principi economici per pensare a quale sarebbe il quadro ideale per permettere di adottare delle politiche aziendali rivolte alla maggiore produttività
Punto uno: comunicare per sconfiggere il moral hazard.
Riguardo al nostro argomento, ovvero gli incentivi di produttività nel mondo del lavoro e delle organizzazioni, potremmo dire che immaginando l’azienda come una piccola società che punta ad essere , almeno al suo interno, una società ideale dal punto di vista dell’efficienza, le prime cose da fare dovrebbero essere tutte quelle iniziative che facilitano la comunicazione e la circolazione delle informazioni. Come insegnano Hayeck (1940)(1945), Hurwicz (1960)(1972), Myerson(1979), lo scambio di informazioni è infatti il punto fondamentale per migliorare l’efficienza di un qualsiasi mercato. Le teorie dell’impresa indicano che il funzionamento dell’impresa è senza dubbio da considerarsi, pur con le diverse prospettive, come un insieme di relazioni che in molti casi sono relazioni contrattuali, o di potere, o di possesso di asset. In esse la relazione tipica del mercato è semplificata e resa più efficiente dall’integrazione nella gerarchia aziendale. In questa prospettiva si può capire meglio l’attenzione di molte aziende modello a massimizzare la capacità di comunicare tra diversi livelli gerarchici e anche tra persone di livelli uguali ma con differenti attitudini o capacità lavorative.
Abbiamo già parlato del team working, ma possiamo citare anche nella stessa ottica le diverse indagini interne riguardo al clima aziendale oppure quelle che mirano ad identificare il miglior posto in cui lavorare.44 L’esigenza in questo caso non è solo identificare quegli ideali ambienti di lavoro in cui i dipendenti si sentono più coinvolti e desiderosi di dare il proprio contributo, ma anche conoscere quali sono le maggiori carenze nel rapporto di fiducia che è indispensabile nel rapporto quotidiano. Se l’impresa può essere vista come un insieme di relazioni contrattuali o di asset contrattabili e in ogni caso di
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transazioni di vario tipo e portata, la fiducia nella controparte diminuisce i costi di queste transazioni: il dipendente che sa che verrà trattato in maniera equa ed equilibrata non terrà per se l’informazione di aver commesso un errore che in questo modo potrà essere corretto evitando problemi maggiori.45Il sottoposto che ravvisa un possibile problema nella procedura stabilita dal superiore non si terrà per se l’obiezione che, se non manifestata, avrebbe lasciato andare avanti una procedura problematica. Non si tratta quindi di volontà di giustizia fine a se stessa ma della conferma dell’efficienza economica generale di un atteggiamento equilibrato.
Dovrebbe allora ,una legge che voglia favorire l’efficienza, consentire al datore di lavoro di appropriarsi di tutte le informazioni possibili riguardo all’attività del dipendente in modo da poterne massimizzare l’utilizzo per fini produttivi? Controllare e soprattutto monitorare in modo capillare ed efficace l’attività è sicuramente una prerogativa del datore di lavoro: gli consente di utilizzare al meglio le risorse a disposizione e attraverso una conoscenza il più possibile esatta dei dati di produzione potrà impostare dei sistemi di incentivazione molto precisi e affidabili. Quindi potremmo dire che una legge che autorizza il controllo diffuso dell’attività favorisce i sistemi di incentivazione. Una legislazione del genere potrebbe permettere al datore di lavoro di andare ad appropriarsi di informazioni che nel breve periodo potrebbero essergli utili: potrebbe controllare la salute del dipendente in modo da scoprire se ha una malattia, oppure applicare dei sistemi di video – sorveglianza per vedere se nel suo ufficio lavora o schiaccia un pisolino oppure se ruba il materiale aziendale per portarselo a casa. Ma, ritornando a quello che abbiamo appena detto, c’è da chiedersi se un modello del genere sia realmente produttivo o se invece sia soltanto la strada più facile da intraprendere per un imprenditore senza idee, finendo per creare un clima di sospetto e controllo poliziesco, di informazioni estorte il cui valore potrebbe essere infinitamente inferiore a quelle che i dipendenti sarebbero in grado di
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Riportiamo l’esempio di M-R del pilota collaudatore di aerei che sa che non subirà conseguenze dicendo di aver commesso un errore durante un test. Garantendo questo trattamento l’azienda ottiene che i piloti non segnaleranno falsi difetti tecnici per nascondere propri errori, evitando costose variazioni di progetto.
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fornire con un altro clima aziendale. L’atteggiamento della legge vigente per esempio sul tema dei controlli a distanza è estremamente chiaro. Citiamo di seguito per esteso un articolo riportato sulla rivista on line filodiritto46del 13 Ottobre 2012: “ Cassazione Lavoro 47
: ultimissime sul controllo a distanza del lavoratore, marcia indietro? In una causa approdata alla Cassazione dopo due pronunce delle corti di merito confermative della legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore di call center, a cui, grazie al sistema informatico Blue’s 2002, era stato addebitato di avere effettuato 460 contatti telefonici di durata inferiore a 15 secondi e 136 telefonate personali, la Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore e ha rinviato la causa per la decisione sulla base dei principi di diritto di seguito enunciati. La Cassazione ha compiuto un excursus sulla più recente giurisprudenza in materia di controllo a distanza del lavoratore, concludendo che: “L’effettività del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori richiede che anche per i cosiddetti controlli difensivi trovino applicazione le garanzie dell’articolo 4 secondo comma Statuto dei Lavoratori, e che, comunque, questi ultimi, così come le altre fattispecie di controllo ivi previste, non si traducano in forme surrettizie di controllo a distanza dell’attività lavorativa dei lavoratori. Se per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, possono essere installati impianti ed apparecchiature di controllo che rilevino dati relativi anche alla attività lavorativa dei lavoratori, la previsione che siano osservate le garanzie procedurali di cui all’articolo 4, secondo comma, non consente che attraverso tali strumenti, sia pure adottati in esito alla concertazione con le r.s.a, si possa porre in essere, anche se quale conseguenza mediata, un controllo a distanza dei lavoratori che, giova ribadirlo, è vietato dall’articolo 4, comma 1”. In definitiva, secondo la Cassazione: “il divieto di controlli a distanza ex articolo 4 della legge n.300 del 1970, implica dunque che i controlli difensivi posti in essere con il sistema
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www.filodiritto.com
93 informatico Blue’s 2002, ricadono nell’ambito dell’articolo 4, comma 2, della legge n.300 del 1970 e, fermo il rispetto delle garanzie procedurali previste, non possono infrangere la sfera della prestazione lavorativa dei singoli lavoratori; qualora interferenze con quest’ultima vi siano, e non siano stati adottati dal datore di lavoro sistemi di filtraggio delle telefonate per non consentire, in ragione della previsione dell’articolo 4, comma 1, di risalire all’identità del lavoratore, i relativi dati non possono essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratore medesimo”.
La domanda che sorge in questo caso è se l’atteggiamento giurisprudenziale non renda più incerta la possibilità di applicazione della tecnologia per l’ottenimento di dati dall’attività lavorativa. Già in altri casi48l’utilizzo di
software per la misurazione della prestazione lavorativa è stata punita dai giudici ed è sempre più evidente che, soprattutto nelle grandi compagnie, la tecnologia è l’unico mezzo a disposizione per un controllo di attività spesso interconnesse fra loro (anche in località geografiche differenti). Quindi, tornando all’idea di voler identificare una legislazione che favorisca i sistemi di incentivazione della produttività occorrerebbe avere una normativa che sia in grado di dare al giudice uno strumento che consenta di distinguere chiaramente l’atteggiamento poliziesco dal controllo all’interno delle prerogative del datore di lavoro. La definizione di parametri e dati il più possibile certi e affidabili è, come abbiamo visto direttamente correlata con l’intensità possibile di un incentivo e quindi con la sua capacità di incidere sulla funzione di produzione. L’altra domanda, più generale, che c’è da porsi, è perché un sistema di relazioni industriali e un ordinamento costruiscano e applichino delle norme piuttosto che delle altre, e se, in qualche modo, non si possano riutilizzare i criteri dell’efficienza e della libertà di contrattazione per trovare una spiegazione. Lasceremo questo quesito in sospeso per il momento per occuparci dell’altra anomalia che rende inefficiente un mercato ovvero lo
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Caso IBM, su cui v.Pret. Milano 5 dicembre 1984, in Foro it.,1985,II,285.In esso si ammise che un software che era in grado di registrare il codice di identificazione del lavoratore, il numero dei lavori svolti e non , la durata dei medesimi etc, rientrasse entro il divieto normativo, anche i dirigenti della società vennero assolti per l’assenza di ogni consapevolezza del disvalore ‘sociale’ del controllo.
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sbilanciamento del potere di mercato.