Un altro tipo di approccio è quello dato da Sanford.J. Grossman, Oliver Hart e John H.Moore. In un articolo del 1986 Grossman e Hart12 affermano che i diritti che derivano dai contratti possono essere di due tipi: specifici o non specifici (o complementari). Nell’incipit dell’articolo definiscono che, se è troppo oneroso definire tutti i diritti specifici che riguardano i beni inclusi nel contratto, allora la soluzione ottimale è che una delle parti acquisti tutti i diritti complementari. In questo modo si crea uno squilibrio: L’azienda 1 acquista l’azienda 2 quando il controllo della produttività da parte del management dell’azienda 1 aumenta la produttività più della diminuzione della produttività provocata all’azienda 2 dalla perdita di controllo del suo management.13
12 Grossman, Sanford J., and Oliver D. Hart. 1986. “The costs and benefits of
ownership: A theory of vertical and lateral integration.” Journal of Political Economy 94(4): 691-719
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“Our theory of costly contracts emphasizes that contractual rights can be of two types: specific rights and residual rights. When it is costly to list all specific rights over assets in the contract, it may be optimal to let one party purchase all residual rights. Ownership is the purchase of these residual rights. When residual rights are purchased by one party, they are lost by a second party, and this inevitably creates distortions. Firm 1 purchases firm 2 when firm l's control increases the productivity of its management more than the loss of control decreases the productivity of firm 2's management.”.Grossman,Hart (1986.)” The costs and benefits of
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Per GH quindi assorbire all’interno dell’azienda un fornitore può essere addirittura dannoso , anzi questa teoria dei diritti di proprietà dei beni mira a fornire le indicazioni affinché i diritti residuali vengano allocati in modo efficiente. La teoria entra in una valutazione approfondita delle affermazioni di Coase (1937) sui maggiori costi di transazione del mercato rispetto ad una organizzazione gerarchica e di Williamson sulla possibilità di comportamenti opportunistici tra venditore e acquirente data l’impossibilità di scrivere un contratto completo. In secondo luogo cerca di definire che cosa si intenda con integrazione e con grado di integrazione: si può dire che un’azienda è più integrata di un’altra perché in una, per esempio, i venditori vengono chiamati impiegati e hanno un salario mentre in un'altra sono agenti monomandatari e in esclusiva e vengono pagati per commissioni ? Inoltre GH vogliono approfondire quali sono i motivi per cui l’integrazione delle transazioni all’interno dell’impresa dovrebbe essere più efficiente .
Quindi che cosa è l’impresa ? E’ l’insieme degli asset di cui ha la proprietà o di cui detiene il controllo14. Non si distingue quindi tra proprietà e controllo e si definisce virtualmente la proprietà come il potere di esercitare il controllo. Per esempio, nel caso delle assicurazioni, una società può utilizzare sia dei venditori indipendenti che dei venditori assunti dalla compagnia stessa: la differenza che conta, dal punto di vista di GH, non è tanto come questi venditori ricevono lo stipendio, ma chi ha il controllo della lista dei clienti. Quindi se in tutte e due i casi è la compagnia che controlla la lista, il livello di integrazione delle due società è lo stesso.
Altro esempio citato nell’articolo è il caso delle manifatture di scarpe del XVIII sec. In quel periodo molte delle manifatture passarono dal sistema del lavoro a cottimo a domicilio a quello in fabbrica: nel primo caso la scarpa veniva assemblata a casa dal lavoratore che veniva pagato a pezzo; nel
ownership: A theory of vertical and lateral integration.” Journal of Political Economy 94(4): pag 691.
14 “We define a firm to consist of those assets that it owns or over which it has control; we do not distinguish between ownership and controlWe define a firm to consist of those assets that it owns or over which it has control; we do not distinguish between ownership and control”GH 1986, pp 693-694.
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secondo il lavoro veniva fatto in fabbrica dato che le aziende avevano acquistato macchinari specifici. In tutti e due i casi il sistema di pagamento era lo stesso, ma nel caso della lavorazione in fabbrica l’integrazione era maggiore . L’impresa è tale solo perché degli asset specifici appartengono allo stesso proprietario. L’allocazione di questi investimenti i cui diritti di decisione (decision rights, DR) sono inalienabili o non contrattabili è il centro di questa prospettiva: la contrattazione serve a ripartire la parte di surplus che l’asset specifico garantisce al suo proprietario e determinare l’incentivo a investire dell’agente.
Se l’impresa 1 assorbe l’impresa 2 c’è il rischio di un suo sovra investimento e un sotto investimento sull’impresa 2. Se ognuna delle due rimane per se si rischia che entrambe investano meno di quanto potrebbero. La struttura di proprietà ottimale è quella che minimizza la perdita di surplus totale che viene prodotta dalla distorsione degli incentivi all’investimento in un caso o nell’altro.
Riepilogando: se due parti concludono un contratto per avere un ritorno economico, potrebbero in teoria specificare, in tutte le circostanze presenti e future, chi ha i diritti di controllo sugli asset specifici. Se è troppo costoso e difficile elencare tutti i diritti complementari nelle varie situazioni può essere ottimale, per una delle parti, acquistare tutti i diritti complementari esclusi quelli specifici menzionati nel contratto. La proprietà è quindi l’acquisto dei diritti complementari di controllo. L’integrazione verticale sarà quindi l’acquisto dei diritti complementari (o residuali) di controllo da un fornitore (o acquirente).
Il confronto che si deve fare, pensando all’efficienza totale in termini di surplus, non tra un contratto completo e una non integrazione, ma tra come vengono allocati i diritti complementari tra le parti. L’integrazione infatti, pur riducendo la distorsione di incentivi all’investimento dovuta alla possibilità di comportamenti opportunistici tra le parti, non la elimina. Sia per i contratti completi che per quelli incompleti, sia per l’integrazione che per la non integrazione, è insomma la modalità di distribuzione dei diritti residuali a
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determinare come sono allocati rischi e investimenti. Capire qual è la mappatura di questi diritti può dunque aiutare a capire i meccanismi di funzionamento di un contratto o di un’ azienda.
Oliver Hart e John Moore entrano più nel dettaglio delle dinamiche interne dell’azienda e soprattutto di chi ci lavora15
.Mentre G.H. si occupano principalmente di come l’integrazione o la non integrazione possano influenzare gli incentivi dei manager o dei proprietari, H.M entrano nel particolare di come il controllo su asset interni (es capacità di svolgere un certo lavoro all’interno del ciclo di produzione) possa influenzare le iniziative di datori di lavoro e impiegati o operai. Con un esempio tutto americano i due autori differenziano così integrazione e non integrazione: “We argue that the
crucial difference for party 1 between owning a firm(integration) and contracting for a service from another party 2 who owns this firm (non integration) is that, under integration, party 1 can selectively fire the workers of the firm (including party 2) if he dislikes their performance, whereas under non integration he can "fire" (i.e.,stop dealing with) only the entire firm: the combination of party 2, the workers, and the firm's assets. We use this idea in a multi-asset, multi-individual economy to study how changes in ownership affect the incentives of non owners of assets (employees) as well as the incentives of owner-managers”
La loro analisi si concentra dunque su come possono variare gli incentivi degli agenti coinvolti (manager/proprietari e impiegati/operai) con il variare dei livelli di integrazione: a seconda di come si concentra il controllo degli asset complementari c’è una diversa disponibilità ad agire in un modo o in un altro. Per esempio: se un gruppo di lavoratori è specializzato nello svolgere un’attività che è fondamentale per il processo produttivo, e questa attività è difficilmente sostituibile, è chiaro che il peso dell’essere depositari di questa particolare capacità cambia la loro possibilità di contrattare diverse condizioni retributive. Quindi la capacità lavorativa che il lavoratore acquisisce oggi, attraverso l’eseguire il proprio lavoro (e magari aumentando le proprie
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Oliver Hart, John Moore (1990), “Property Rights and the nature of firm”;Journal of Political Economy,Vol. 98, No.6. pp 1119-1158
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capacità attraverso attenzione impegno e formazione) condiziona in un certo modo la sua capacità contrattuale nel futuro in un senso non definibile nel contratto iniziale.
Partendo dalla critica che Alchian e Demesetz fanno della teoria di Coase,16, H. M evidenziano anche come alcuni aspetti, al di la di quelli tangibili come la tecnologia, la posizione o il portafoglio dei clienti , possano influenzare la distribuzione degli asset: parliamo per esempio della buona volontà , della dedizione ma anche autorità e controllo sono elementi difficilmente quantificabili e non tangibili ma gli autori stessi , introducono l’idea che possano essere trattati allo stesso modo degli asset tangibili.
H.M. evidenziano alcuni limiti della loro analisi dovuti al fatto che si basa su una contrattazione ex ante per ottenere il first best :in questo modo però, cercando di eliminare le inefficienze al tempo T0 della transazione, si
provvede già a immaginare le possibili inefficienze successive. Inoltre, non prendendo in considerazione fattori come la disparità di informazioni, l’avversione al rischio o la possibilità di variazioni della situazione economica, disegnano un lavoratore che sa già che cosa fare in maniera autonoma e non va istruito dal datore di lavoro ovviamente questo non sempre può essere vero.
Dati questi aspetti critici, la teoria si propone di evidenziare quali sono i collegamenti che definiscono il funzionamento dell’azienda, principalmente nei rapporti interni alla catena di produzione e a quella dei fornitori, investigando come tali rapporti influenzano gli investimenti.
2.5 Teoria del nesso dei contratti
Un altra teoria che prova ad analizzare la black box disegnata dagli
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Alchian – Demesetz (1972). Coase differenziava tra lavoratori dipendenti e non dipendenti dicendo che per i dipendenti il datore di lavoro poteva dire loro che cosa fare mentre verso i lavoratori autonomi doveva utilizzare la contrattazione e la definizione di un prezzo per la prestazione. A. e D. evidenziano come il datore di lavoro non possa in alcun modo forzare il lavoratore a fare cosa vuole: il fatto di poterlo licenziare non rende in effetti la loro relazione molto differente da quella che ci può essere tra un cliente e il fruttivendolo, per cui se il cliente non è soddisfatto della merce può “licenziarlo” non comprando più i suoi prodotti.