25 Milgrom e Roberts (1992) “Economia Organizzazione e Management”
3.6 Alcuni esempi di modelli di sistemi di incentivazione.
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principi da seguire per la costruzione dell’incentivo, siamo partiti dal concetto di rischio e avversione al rischio per definire formalmente dei principi guida sulla costruzione degli incentivi. In un articolo del 199830, Robert Gibbons si distacca da questo tipo di prospettiva ed evidenzia alcuni altri aspetti che vanno oltre il rapporto incentivi - rischio - assicurazione.
G.(Gibbons) parte da una critica pubblicata da Steven Kerr nel 197531 in cui venivano identificate due cause di distorsione negli incentivi, per cui l’azienda non riceveva per quello che stava pagando: l’eccessiva attenzione ai criteri di valutazione oggettiva attraverso cui misurare e compensare la performance, e l’eccessiva enfasi sui comportamenti altamente visibili. G. individua quattro strade che riguardano gli incentivi nelle organizzazioni.
Nuova prospettiva sui modelli basati su misurazioni oggettive di performance.
Influenza dei modelli basati su indicatori e valutazioni soggettive. Incentivi all’ acquisizione di capacità e competenze lavorative.
Incentivazione nei contratti tra imprese (che meno ci interessa dal punto di vista della nostra trattazione ).
G. inizia il ragionamento a partire da un accenno al modello classico della situazione di agenzia, di cui abbiamo già parlato ma che riesponiamo in termini più semplici della trattazione precedente .
Consideriamo un agente che pone in essere un’azione a per produrre un output y. Considerando la funzione di produzione come lineare y = a + dove è il fattore di disturbo. Il principale possiede il prodotto ma decide di dividerne una parte con l’agente inserendo una componente legata alla produzione nella retribuzione (w): w = s+ by dove s è il salario di base e b è il parametro che definisce il bonus e che è influenzato dalla componente di rischio.
I payoff per principale e agente sono:
payoff per agente = w – c(a) 30
R. Gibbons, 1998,” Incentives in Organizations”. ,Journal of Economics Perspectives – Volume 12 , , pagg 115- 132
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65 payoff per principale = y – w
Ponendo che l’agente è avverso al rischio se b ha un valore alto ci sono alti incentivi per l’agente, ma il rischio per il principale aumenta. Nel caso opposto (b basso) ci sono bassi incentivi per l’agente, ma il principale è più “assicurato” riguardo al risultato. Quindi il valore di b verrà definito tra 0 e 1 a seconda di fattori come il valore del fattore di rischio e l’avversione o meno al rischio delle parti. Per mettere in evidenza come non è soltanto il calcolo del guadagno tra rischio e assicurazione a definire gli incentivi più adatti, G. cita l’esempio dei raccoglitori trattato da Lee Alston e Robert Higgs (1982), che utilizzano i dati degli Stati del Sud degli U.S.A del 1910.
In questo caso, in generale, gli agenti utilizzavano tre principali tipologie di contratti con differenti ripartizioni del rischio: uno che definiva semplicemente un salario per il lavoro svolto (nessun rischio per l’agente); uno che prevedeva il pagamento con parte del raccolto (ripartizione del rischio tra principale e agente) secondo un modello che potremmo rimandare al già citato performance related pay; infine attraverso il pagamento di un affitto fisso sul terreno da parte dei raccoglitori (che caricava tutto il rischio sull’agente), che possiamo mettere in relazione con il principio del sell the business, per cui il principale cede all’agente parte del ricavo in cambio di una fee o tassa garantita. Pur trovando alcune variazioni e tendenze nel tipo di contratto prevalentemente usato nelle varie zone e a seconda del tipo di sottoscrittore (se individuo singolo, famiglie o squadre di raccoglitori), si riscontravano situazioni in cui negli stessi campi i raccoglitori non avevano scelto lo stesso tipo di contratto. Quindi la scelta tra incentivi e assicurazione non risultava come l’unico elemento che definisce l’accordo più conveniente, ma evidentemente ci dovevano essere altri fattori che influenzano la scelta. Altro esempio è quello degli incentivi alla H.J, Heinz company (Baker, Gibbons and Murphy 1994, p.1125) che premiavano con dei bonus i managers solo se incrementavano i guadagni rispetto all’anno precedente. Questo li aveva spinti in molti casi a manipolare i tempi di consegna e facendo pagare prima servizi non ancora ricevuti. Oppure alla Dun & Bradstreet, dove i
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venditori non prendevano nessuna commissione a meno che i clienti non avessero sottoscritto dei contratti di fornitura più importanti rispetto a quelli dell’anno precedente. A causa della manipolazione degli ordini la società, nel 1989, si trovò a pagare milioni di dollari di risarcimenti.
G. individua tre modelli (statici) in cui le imprese ricevono quello per cui pagano. Il punto comune è non considerare più y come l’ouput che può essere facilmente misurato, come supposto nel modello classico dell’agenzia, ma piuttosto come il contributo totale che l’agente fornisce al valore totale dell’azienda, includendo in questo valore la formazione, il lavoro di gruppo e tutti i tipi di contributi che difficilmente possono essere misurati.
Date le premesse, i contratti che si basano su questo tipo di misura di y non possono essere fatti valere in tribunale, includendo anche il tipo di contratto lineare per cui w = s + by. In alternativa a tali contratti, possono però essere disponibili altri contratti che possono valere in tribunale e che sono basati sul tipo di relazione w = s + bp, dove p è la misura di performance alternativa individuata. In questo caso l’incentivo è a fornire alte misure di p e non di y come nel modello dell’agenzia.
Il primo modello è quello di Baker (1972), in cui si immagina che l’agente può impegnarsi in due tipi di attività, a1 e a2 . Le due attività danno differenti contributi al beneficio sociale marginale totale dell’azienda, ma non è spesso possibile definire l’incentivo che possa perfettamente causare la massimizzazione di tale beneficio, a causa del fatto che le due azioni possono contribuire in maniera non uguale al totale (per esempio a1 in ragione doppia di a2).
Inoltre la combinazione dei fattori può essere imperfettamente e incertamente correlati a causa del caso. Lazear (1989), nel secondo modello citato, mette in evidenza come incentivi deboli possano essere meglio, talvolta, di incentivi forti ma non funzionali. Il caso è quello degli incentivi a gara o torneo in cui per ottenere il bonus occorre essere il migliore tra i concorrenti. Il comportamento incentivato può dunque essere sia il maggior impegno ma anche l’imbroglio o il sabotaggio della prestazione altrui. Incentivi molto
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ricchi possono provocare sia un grosso contributo aggiuntivo, ma anche un alto rischio di condotte scorrette.
Il modello di Lazear non differisce troppo quindi da quello di Baker in quanto in realtà il problema in entrambi è che non si riesce a trovare la formula contrattuale che consenta di individuare e promuovere totalmente il contributo del singolo agente rispetto al valore totale dell’impresa.
Nei modelli proposti da Milgrom e Holmstrom la performance misurabile, non contribuisce al valore totale dell’azienda: delle due azioni a1 e a2 una soltanto (poniamo a1 ) contribuisce sia a y (valore totale ) che a p (parametro misurabile). Pertanto legare l’incentivo a una situazione del genere porterà l’agente a concentrarsi solo sull’attività monitorabile che ha effetto su p, anche perché il bonus rate b sarà tendenzialmente basso, dato che una sola delle attività è efficacemente controllabile. Il principale può scegliere, in questo caso, di applicare delle restrizioni per cui l’agente viene escluso dall’attività non incentivante .
La conclusione di G, rispetto al classico schema dell’agenzia e dell’incentivo collegato solo a un parametro oggettivamente misurabile, è che in generale gli incentivi di questo tipo non possono essere usati per creare degli incentivi ideali; di conseguenza i bonus rate (b) non possono essere troppo alti; nei casi in cui ci sono più attività a cui l’agente prende parte, è utile creare dei pacchetti di incentivi che includano diversi strumenti, dai premi in contanti alle politiche organizzative indirette e criteri di promozione.
Altro approccio è inserire nei piani di incentivazione delle parti che facciano riferimento alle valutazioni soggettive. In molti casi reali il pagamento di incentivi viene correlato con una valutazione soggettiva. Anche in esempi dove il parametro di valutazione dell’azione è ben monitorabile (ad esempio i traders, alla Citicorp nel mercato valutario) il pagamento dei bonus può dipendere anche dalla valutazione soggettiva del capo dipartimento, come per esempio accade anche alla Lincoln Electric, società famosa per i sui piani di incentivazione basati principalmente sul cottimo.
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valutazione di tipo soggettivo della prestazione: l’azienda potrebbe in teoria rifiutarsi di pagare l’incentivo dato che non ci sono parametri rilevabili che possono esser fatti valere in una causa in tribunale da parte del dipendente. Di fatto però, il non pagamento comporterebbe che tutti i dipendenti smetterebbero di fornire il loro extra sforzo per creare un extra profitto da quel momento in poi. La scelta dell’azienda se pagare o non pagare è influenzata, secondo G, dalla rendita alternativa che potrebbe avere attraverso un altro tipo di investimento, rendita che viene misurata attraverso il tasso di interesse corrente.
In generale se i tassi di interesse sono bassi l’azienda potrebbe puntare di più sugli incentivi e pagare dei bonus più alti. Se invece sono medi, l’azienda e l’azienda decide di pagare un incentivo medio; se sono alti, allora l’azienda potrà pagare solo incentivi bassi creando un bassa o nulla attesa di profitto aggiuntivo e persino decidere di non creare incentivi. Questo tipo di contratti, che G. chiama relazionali, perché non si basano su una previsione espressa sono stati spesso influenzati dall’andamento generale dell’economia. Viene citato il caso della IBM dove per molto tempo è esistito una sorta di accordo, mutualmente riconosciuto ma non scritto, sulla non licenziabilità. Tali accordi, proprio perché possibili grazie alle condizioni di mercato, rischiano di fallire con il variare delle condizioni di mercato: nello specifico quando la diffusione dei personal computer portò più concorrenza nel mercato prima dominato da IBM con i mainframe, la società cambiò policy abbandonando il patto descritto sopra. I contratti relazionali, proprio per queste loro caratteristiche, sono spesso utilizzati per bilanciare le distorsioni degli incentivi basati su misurazioni oggettive. Aziende come la già citata Lincoln Electric utilizzano questo tipo di accordi insieme proprio per questo motivo. Dentro una logica del genere possono essere utilizzati come incentivo anche le prospettive di carriera o, come vedremo, l’acquisizione di particolari capacità lavorative.
Altro caso è quello in cui l’impresa valuta le competenze e le capacità acquisite. L’impresa, quando assume un nuovo dipendente, potrebbe dover
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valutare non tanto il suo contributo potenziale al momento dell’assunzione, ma quello che il lavoratore potrebbe dare una volta acquisite le competenze specifiche (skills) che sono richieste per un certo tipo di lavoro. Gli incentivi sono dunque legati ad una valutazione soggettiva che viene concordata in un contratto di tipo relazionale. Se infatti può risultare difficile definire un parametro oggettivo per misurare una attività che già il lavoratore sta svolgendo, si può immaginare come sarebbe ancora più difficile definirne uno per una situazione in divenire, soprattutto se è specifica per quella azienda (firm specific). Il lavoratore sarà incentivato a investire energia , attenzione e tempo nell’acquisizione del nuovo skill se l’incremento del suo stipendio, una volta raggiunta la qualifica, è maggiore del valore delle attività a cui deve rinunciare e al maggiore stress che deve subire. Per l’azienda, invece, l’investimento nella sua formazione sarà profittevole se il valore della sua attività, una volta raggiunto il livello di abilità richiesto, sarà maggiore del costo della formazione. Il problema di questo modello, definito “up or stay” (promosso o bocciato), è che la differenza tra la produttività nel nuovo e quella nel vecchio, anche se positiva, potrebbe non essere sufficiente a giustificare l’investimento nella formazione. Quindi nel caso di piccole differenze di produttività o lavori tecnologicamente e intellettualmente simili , tale differenza potrebbe non essere sufficiente da incentivare in alcun modo il lavoratore a investire e l’impresa a ricompensarlo.
G. conclude che la lezione che si ricava dalla letteratura dell’economia delle organizzazioni è che gli incentivi debbono essere complementari tra loro e adattarsi alla situazione aziendale. Se qualche volta è necessario imporre restrizioni alle attività per ridurre le distrazioni dalla prestazione che si vuole incentivare, allora sarà complementare a questo atteggiamento una bassa incidenza degli incentivi. “L’utilizzo di incentivi di basso livello, anche se può essere uno svantaggio delle organizzazioni interne può essere anche veicolo di maggior coordinamento e collaborazione". L’economia delle organizzazioni entra in contatto ormai sempre più spesso con situazioni e modelli di organizzazione che possono sembrare, in apparenza non
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strettamente legate all’aspetto economico.