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Diamo infine un accenno ad un’ulteriore prospettiva nelle teorie dell’impresa che viene fornita nel 1998 da Rajan e Zingales. Secondo il loro approccio l’impresa viene scelta al posto del mercato, perché all’interno dell’impresa è maggiore il potere di azione di investimento dell’agente : “Transactions take

41 agents who make specific investments. Past literature emphasizes the allocation of ownership as the primary mechanism by which the firm does this. Within the contractibility assumptions of this literature, we identify a potentially superior mechanism, the regulation of access to critical resources. Access can be better than ownership because (i) the power agents get from access is more contingent on their making the right investment and (ii) ownership has adverse effects on the incentive to specialize. The theory explains the importance of internal organization and third-party ownership”22

. Partendo dal lavoro di Grossman- Hart (1986) e Hart – Moore

(1990), e prima ancora dalla citazione di Coase sulle imprese come isole di potere consapevole in un oceano di cooperazione inconsapevole, Zingales e Rajan si interrogano sul ruolo dell’autorità o del potere all’interno dell’impresa. Ruolo che entra in gioco nel definire quei diritti residuali di controllo che hanno la caratteristica di non essere contrattabili, oppure di proteggere e promuovere gli investimenti specifici che hanno un alto valore all’interno dell’impresa e quasi nessuno al di fuori di essa. Infine indagano la connessione e il possesso di quegli asset che, tutti insieme, definiscono l’azienda. Per Zingales-Rajan non è soltanto il possesso degli asset a conferire potere all’interno dell’impresa. La teoria del diritto di proprietà non prende in considerazione, per esempio, i dipendenti dato che non possono essere oggetto di possesso. La loro prospettiva, invece, prende in considerazione aspetti non contrattuali che comunque definiscono un potere: potere di essere capaci di utilizzare un macchinario, di produrre un’idea o di utilizzarne una prodotta all’interno dell’azienda. Il potere può nascere quindi semplicemente dalle relazioni che vengono in essere all’interno dell’impresa e che senza di essa avrebbero ben poca importanza. Più precisamente si parla di possibilità di accedere agli asset specifici o critici che definisce in realtà un potere ancora più alto rispetto al loro possesso. Questa prospettiva va quindi al di là dei diritti di proprietà allargando la definizione di impresa ad un area che va al di la di ciò che può essere definito dai contratti.

22

42 2.9 Teorie dell’impresa e incentivi: una valutazione d’insieme

Come afferma Gibbons 23 ”…all these theories concern incentives in one form

or another”. Che si parli di definire chi ha il controllo degli asset, specifici, dei

diritti residuali di controllo, della gerarchia aziendale o se sia meglio integrare verticalmente fornitore e committente piuttosto che mantenere una situazione di mercato, in tutte le teorie citate si cerca di dare una spiegazione (formale) di quali siano le forze che attivano i meccanismi interni delle aziende. Investire in una particolare abilità o skill, pensando in questo modo di accumulare potere oppure di detenere un asset specifico necessario, è comunque un modo di allineare (o disallineare) gli interessi di due o più parti.

Le teorie si occupano di volta in volta di aspetti particolari senza però riuscire a comprendere tutte le possibili interazioni che si presentano nella realtà. Citando ancora Gibbons24 che a sua volta riprende le parole di Williamson “Similarly, (Williamson, 2000, pp. 604–605) argues that “Formalization is vital to a progressive research agenda, but . . .provision also needs to be made for the possibility that core features of the theory are left out or obscured by the translation.”Williamson then uses the distinction I borrowed in Section 4 – between “ex ante incentive alignment” and “ex post decision governance” – to argue that the formal property-rights theory has obscured one of the central ideas of the informal rent-seeking theory. From these costs and benefits of formalization, I conclude that we want literatures to blend detailed description, informal theory, and formal modeling (as well as persuasive econometrics and experiments, but I am discussing theory here). Unfortunately, I think it is far too easy to understate the value of not only informal theory but especially

23

Gibbons (2005), “Four formal(izible) theories of the firm ?”, Journal of Economic Behaviour & Organization, Vol 58, pag 238

24

Gibbons (2005), “Four formal(izible) theories of the firm ?”, Journal of Economic Behaviour & Organization, Vol 58, pp 239-240

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detailed description, as illustrated by the following confessions of an enthusiastic model-builder”.

Le varie teorie, fondandosi su aspetti formali che le rendono, all’interno delle loro condizioni di partenza, inattaccabili, consentono di creare modelli che possono definire gli incentivi necessari a indirizzare un comportamento piuttosto che un altro. Ma è spesso il loro formalismo a lasciare scoperto il fianco a tutte quegli argomenti che non rispettano esattamente il modello di partenza o lo rendono indefinitamente complesso. La trattazione formale, pur non riuscendo a rispondere in tutto alle necessità delle situazioni reali, le rende però più facilmente interpretabili e consente di proporre soluzioni che ne risolvono gli aspetti principali. Nel prossimo capitolo vedremo come la teoria degli incentivi può fornire degli strumenti per definire la misura degli interventi incentivanti nelle organizzazioni e, nei suoi paragrafi finali, come anche argomenti tipo etica e morale, apparentemente estranei alle prospettive esaminate fino adesso, possano dare un loro contributo fornendo una diversa prospettiva riguardo al tema delle interazioni nelle organizzazioni. Vedremo anche come la costruzione di un sistema di incentivi sia spesso frutto di un giusto mix di interventi, ciascuno dei quali risponde, a ben vedere, alle esigenze ed alle prospettive proposte dalle teorie dell’impresa.

44 CAP3.TEORIEEMODELLIDIINCENTIVI.