COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) CARRIERO Presidente
(NA) SANTAGATA DE CASTRO Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) LIACE Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) GENOVESE Membro di designazione rappresentativa
degli intermediari
(NA) GIGLIO Membro di designazione rappresentativa
dei clienti
Relatore ESTERNI - GIUSEPPE GIGLIO
Seduta del 19/01/2021
FATTO
La ricorrente, titolare di una carta di debito rilasciata dall’intermediario convenuto, nonché lavoratrice dipendente dello stesso, afferma a mezzo legale di essere stata vittima, in data 2/7/2019, nella fascia oraria compresa tra le 8:15 e le 11:30 (fascia oraria di normale accesso dell’utenza) di un furto con destrezza del portafoglio riposto in una borsa depositata nell’armadio alle spalle della sua postazione di lavoro, situata all’interno di un box privo di porta di sicurezza. Sottolinea la necessità, nello svolgimento delle sue mansioni, di recarsi presso i box dei colleghi (cosa avvenuta nel giorno indicato), nonché il fatto che la banca, essendone sprovvista, non le abbia messo a disposizione un armadietto con idoneo dispositivo di chiusura, non accessibile a terzi, per la custodia degli effetti personali.
Il suddetto portafoglio conteneva tra l’altro il documento di identità, la carta bancomat n.
xxx952 e le carte di credito nn. xxx796 e xxx525, emesse dall’intermediario convenuto, di cui la ricorrente era certamente in possesso all’ingresso nel luogo di lavoro.
Avuta necessità alle ore 11:30 di utilizzare la borsa per incombenze personali, si avvedeva della mancanza del portafoglio, provvedendo prontamente alla denuncia del fatto all’Autorità di pubblica sicurezza ed al blocco della carta di debito nella stessa data.
Successivamente dalla verifica degli addebiti la stessa rilevava le seguenti operazioni anomale, con la carta di debito n. xxx952, che disconosce:
ore 10:27: pagamento su circuito internazionale di € 450,00 (senza utilizzo PIN);
ore 10:34: verifica carta senza prelievo;
ore 11:37: prelievo presso ATM di € 250,00;
ore 11:44: prelievo presso ATM di € 1.250,00.
Ritiene evidente, visto il tentativo delle ore 10:34 di verifica senza prelievo, che vi sia stata una “clonazione” del PIN. Sottolinea che non le possa essere imputata l’incauta custodia e la mancata chiusura a chiave dell’armadio, essendo il box privo di porta di sicurezza, dovendo i posti di lavoro essere aperti e privi di privacy e dovendo l’armadio rimanere aperto, secondo disposizioni societarie, per consentire ai colleghi di reperire la documentazione in essi custodita.
Ritendendo pertanto di aver subito una violazione dei suoi diritti di dipendente, ex art.
2087 del codice civile, non essendo stata posta in condizioni di svolgere le sue mansioni senza apprensioni derivanti da attività illecite di estranei, facendo comunque rinvio ad un precedente atto di reclamo con cui chiedeva il rimborso della somma illecitamente sottratta, si rivolge all’Arbitro insoddisfatta della prodromica interlocuzione con l’intermediario al fine di ottenere della convenuta la restituzione degli importi di cui alle operazioni in frode.
L’intermediario, costituitosi, preliminarmente eccepisce l’incompetenza per materia dell’Arbitro, essendogli stata attribuita dalla ricorrente la responsabilità del furto della carta di debito e di conseguenza delle operazioni fraudolente, in quanto datore di lavoro, a causa della mancata assegnazione di un armadietto dotato di dispositivo di chiusura in cui poter riporre in sicurezza i propri effetti personali. La stessa contesta infatti la violazione dei suoi diritti come lavoratrice dipendente, in forza dell’art. 2087 del codice civile.
Sul punto, viste le vigenti “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie” della Banca d’Italia (Sez. I, par. 4), sottolinea che tale rilievo attiene esclusivamente al rapporto di lavoro tra dipendente e datore di lavoro, esulando pertanto dalla competenza dell’ABF.
Nel merito la resistente rappresenta che la prima delle operazioni contestate, poste in essere in data 2/7/2019, è stata effettuata alle ore 10:27 con pagamento di € 450,00 su circuito internazionale presso un esercizio commerciale, mentre le altre due operazioni di prelievo presso ATM, rispettivamente di € 250,00 e € 1.250,00, sono state effettuate alle ore 11:37 e 11:44;
evidenzia innanzitutto la discordanza, nella descrizione delle circostanze in cui è avvenuto il furto, tra quanto dichiarato nella denuncia e quanto indicato nell’invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita; infatti dalla denuncia si evince che la ricorrente è stata vittima di furto del solo portafoglio custodito nella borsa, mentre nel secondo atto sembrerebbe essere stata derubata della borsa e non solo del portafoglio.
La convenuta non contesta l’affermazione circa il carattere fraudolento dei prelevamenti, ma la mancata diligente custodia della carta e delle credenziali segrete, riconducibile ad un’ipotesi di colpa grave (cita sul punto, Cass. n. 14456/2001 e Cass. n. 21679/2009).
Sottolinea poi come la condotta tenuta dalla ricorrente appaia lontana dai canoni di ordinaria diligenza, richiesti ai fini della conservazione degli strumenti di pagamento sia in forza di disposizioni di legge che contrattuali, alla luce di alcune dichiarazioni confessorie, dalla stessa rilasciate, circa il fatto di aver riposto la borsa nell’armadietto, senza chiuderlo a chiave; lasciando la borsa, contenente tra l’altro la carta di debito, in luogo incustodito, senza specifiche cautele, infatti, la ricorrente avrebbe posto in essere un comportamento imprudente ed incauto, integrante gli estremi della colpa grave, comportamento che avrebbe agevolato il furto e le operazioni di prelevamento.
Deduce che le operazioni contestate, per complessivi € 1.950,00, risultano correttamente autenticate, registrate e contabilizzate, come da estratti log allegati a sostegno, dall’esame dei quali si evince chiaramente che le operazioni sono avvenute con tecnologia microchip, con corretta digitazione del PIN e sono andate a buon fine al primo tentativo e senza
alcuna evidenza di anomalie. Tale circostanza induce a ritenere che il codice di sicurezza fosse conservato unitamente alla carta e, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, risulta idonea a fondare la presunzione della sussistenza della colpa grave in capo alla ricorrente (giusta decisione del Collegio di coordinamento n. 5304/2013); tutte le carte emesse dall’intermediario invero sono dotate di tecnologia microchip che rende impossibile estrarre il PIN in tempi ristretti, come attestato da una consulenza scientifica resa dal Politecnico di Torino, secondo la quale tale attività richiederebbe tempi lunghissimi e costi elevatissimi.
Infine, contesta la spettanza del ristoro delle spese legali, essendo il ricorso all’assistenza tecnica dovuto ad una scelta volontaria della ricorrente, nonché del risarcimento danni richiesto, non giustificato e non documentato, in quanto, secondo l’orientamento consolidato dei Collegi, grava sul ricorrente ex art. 2697 c.p.c. l’onere della prova dell’esistenza e della consistenza del danno.
In conclusione, la resistente chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato.
Con nota di replica, parte ricorrente assume:
l’infondatezza dell’eccezione di incompetenza per materia sollevata dalla resistente, nonché come siano assolutamente inconferenti le deduzioni che la stessa pretende di trarre dal riferimento alle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie” della Banca d’Italia, in quanto la ricorrente, oltre ad essere dipendente della banca, è altresì sua cliente ed in quanto tale dispone degli strumenti di pagamento oggetto di furto. Fa altresì presente che, costituendo la denuncia un atto di parte con finalità di dare impulso al procedimento penale, non essendo né l’unico mezzo né il punto di arrivo della ricostruzione degli eventi, nulla impedisce all’istante di far valere dinanzi all’Arbitro fatti e diritti che involgono la sua qualità di cliente/utente della banca, nonché i pregiudizi subiti a causa degli eventi descritti, né in subordine, né in alternativa ai diritti da far valere in sede giuslavoristica;
evidenzia inoltre come le ulteriori osservazioni formulate dall’intermediario circa l’illecita sottrazione o meno della borsa sia assolutamente ininfluente ai fini della controversia in oggetto, non dolendosi l’istante della borsa, ma dell’utilizzo illecito degli strumenti di pagamento. Anche la cronologia degli eventi sarebbe coerente e conforme con quanto dichiarato dalla ricorrente, che, riposta la borsa nell’armadietto alle ore 8:15, resasi conto della mancanza del portafoglio nella borsa alle ore 11:30, immediatamente ha provveduto, in meno di 14 minuti, al blocco della carta.
Sostiene che l’ulteriore assunto di controparte secondo cui sarebbe stata la ricorrente a non chiudere l’armadietto, sarebbe falso e tendenzioso, essendo lo stesso armadietto, non di esclusivo utilizzo della stessa, non dotato di dispositivo di chiusura, ma, su disposizione societaria, accessibile anche ad altri colleghi ed essendo altresì la postazione di lavoro della ricorrente deputata anche al ricevimento dell’utenza; pertanto le richiamate circostanze (libera accessibilità del luogo di lavoro, armadietti di fruizione non esclusiva e privi di dispositivi di chiusura, postazione di lavoro deputata anche al ricevimento dell’utenza) hanno indotto la ricorrente negli anni a non tenere in vista gli effetti personali (quali gli strumenti di pagamento), ma a riporli in borsa, in luogo non direttamente, né facilmente accessibile ad estranei, dovendo supplire alle carenze predette e non potendo, nello svolgimento delle mansioni lavorative, porre in essere attività di vigilanza della postazione di lavoro.
Dato il riconoscimento anche da parte della resistente del carattere fraudolento delle operazioni de quibus, in relazione alla contestazione di aver posto in essere una condotta negligente, rappresenta di non aver mai conservato le credenziali di sicurezza nella borsa;
come si evince, invece, dalla molteplicità e non contestualità delle operazioni poste in essere, il PIN sarebbe stato individuato dall’autore dell’attività criminosa tramite un primo
tentativo (l’operazione di pagamento delle ore 10:27 mirata “tecnicamente” ad individuare il codice di sicurezza), confermato dalla seconda operazione (prelievo delle ore 11:37), cui avrebbe fatto seguito il terzo e definitivo maggior prelievo (alle ore 11:44);
contesta l’affermazione circa l’impossibilità di ricavare il PIN in tempi ristretti, non essendo chiaro cosa debba intendersi per “tempi ristretti” e potendo essere trascorsa più di un’ora dall’appropriazione fraudolenta della carta all’utilizzo della stessa.
DIRITTO
La parte ricorrente chiede la restituzione della somma di euro 1.950,00, corrispondente all’importo di due prelievi ATM e di un pagamento, disconosciuti a seguito di furto dello strumento di pagamento.
La stessa chiede altresì il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, gli interessi legali, la rivalutazione monetaria e le spese legali.
L’intermediario eccepisce l’incompetenza per materia dell’Arbitro, avendo la ricorrente attribuito la responsabilità del furto, alla mancata assegnazione di un armadietto dotato di dispositivo di chiusura, in cui poter riporre in sicurezza i propri effetti personali ed avendo la stessa contestato la violazione dei suoi diritti come lavoratrice dipendente, in forza dell’art. 2087 del codice civile.
Sul punto, osserva il Collegio che da un lato la domanda della ricorrente, nell’atto di reclamo del 18/5/2020, cui si fa rinvio nel ricorso, viene articolata “nella qualità di lavoratrice dipendente”, dall’altro nello stesso atto di messa in mora/reclamo del 18/5/2020, così come nel ricorso, si rinvia anche ad un primo reclamo dell’8/7/2019 in cui parte ricorrente semplicemente “chiede il rimborso della somma di € 1.950,00 riveniente da furto con destrezza”.
La doppia veste di dipendente e di cliente della banca convenuta, dunque, ad avviso del Collegio non impedisce il proponimento di un’azione concernente gli strumenti di pagamento oggetto di furto.
Osserva poi il Collegio che le operazioni disconosciute sono sottoposte alla disciplina dal d.lgs. n. 11/2010, modificato a seguito dell’entrata in vigore, in data 13/1/2018, del d.lgs. n.
218/2017, di recepimento della direttiva (UE) 2015/2366 (c.d. PSD2) relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno.
Parte ricorrente ha contestato, disconoscendole, tre operazioni, eseguite tutte in data 2/7/2019, per l’importo complessivo di € 1.950,00, con la carta di debito n. ***952, di cui è titolare, nello specifico un pagamento eseguito alle ore 10.27 di € 450,00 e due prelievi di contante rispettivamente alle ore 11:37 per l’importo di € 250,00 e alle ore 11:44 per l’importo di € 1.250,00.
La carta veniva bloccata il giorno stesso.
Nel caso di specie, l’intermediario ha depositato dei log senza legenda, in parte non leggibili da cui si evince che:
le due operazioni di prelievo delle ore 11:37 e delle ore 11:44 sono state poste in essere, utilizzando il PIN, in assenza di anomalie;
non risultano, invece, versati in atti log o altre evidenze informatiche atte a dimostrare la corretta e regolare autenticazione dell’operazione di pagamento posta in essere alle ore 10:27, tramite la medesima carta di debito, per € 450,00.
A tale riguardo, si rammenta che i Collegi territoriali sono soliti ritenere che la mancanza anche parziale della prova di autenticazione è risolutiva e dirimente rispetto alla valutazione di eventuali profili di colpa ascrivibili al cliente.
Per consolidato orientamento dei Collegi ABF, a fronte del disconoscimento di operazioni fraudolente da parte dell’utente, incombe sul prestatore di servizi di pagamento l’onere di
provare che l’operazione è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. 11/2010, che così statuisce: “Qualora l'utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l'operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti”.
In mancanza di tale dimostrazione, l’intermediario sopporta - in ogni caso - integralmente le conseguenze delle operazioni disconosciute (Collegio di Napoli decisione n.
21093/2019; Collegio di Roma decisione n. 26210/2019), non assumendo alcuna rilevanza la circostanza dedotta in questa sede secondo cui la parte istante ha prima dichiarato di aver subito il furto della solo portafogli e poi di aver subito il furto di una borsa, in cui era collocato il portafoglio.
Non può essere revocato in dubbio che la convenuta debba restituire l’importo (euro 450,00) dell’operazione per la quale non ha fornito la richiesta prova di registrazione di contabilizzazione come, per converso, può presumersi senta possibilità di smentite che le ulteriori 2 operazioni contestate siano state agevolate dal fatto che il PIN sia stato rinvenuto dai malfattori assieme alla carta (dotata di microchip) in quanto:
a) nessuna prova è stata in alcun modo fornita dalla attrice che accenna alla clonazione della carta, senza poi fornire alcun elemento a supporto
b) la vicinanza dell’ora del furto (da collocarsi tra le 8,15, e le 10.25 circa) e le operazioni, effettuate alle 10.27 alle 11.37 ed alle 11:44, rende improponibile l’ipotesi della
“estrazione” del PIN.
In questo senso, il Collegio di Coordinamento nella decisione n. 24366 del 2019:
“…Il tempo presumibilmente trascorso rende comunque del tutto improbabile che il PIN sia stato ricavato dalla carta trafugata, essendo la stessa dotata di “microchip”, come precisato dall’intermediario convenuto, mentre può presumersi che il ricorrente non abbia ottemperato all’obbligo di adottare misure idonee a proteggere le credenziali di sicurezza personalizzate. Una conferma di questo assunto può trarsi dalla circostanza per cui delle tre carte di pagamento oggetto di furto soltanto una, quella emessa dall’intermediario convenuto, sia stata di fatto utilizzata, lasciando presumere che gli ignoti malfattori abbiano acquisito, unitamente alla carta, la disponibilità del PIN che ne ha consentito, a differenza delle altre, l’utilizzo”.
Anche nel caso di specie nella borsa vi erano altre carte e solo per una di detta carte è stato possibile effettuare operazioni
Quindi, rileva il Collegio la sussistenza della colpa grave della attrice che ha violato le norme che impongono ai clienti di custodire le chiavi di accesso ed i PIN delle carte, per cui resta esclusa la possibilità del rimborso delle 2 operazioni di euro 250,00 e di euro 1.250,00, rispetto alle quali la convenuta ha invece fornito prova della registrazione e della contabilizzazione corretta.
La richiesta di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore rispetto all’importo delle operazioni riconosciute, non può trovare accoglimento.
Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, seguito dall’Arbitro, “la tesi del danno in re ipsa snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo: i.e. al risarcimento verrebbe assegnata una funzione esclusivamente sanzionatoria, mentre esso possiede, radicata nella tradizione differenzialista, una principale funzione compensativa, quantunque eventualmente concorrente con altre plurime funzioni (sanzionatoria, deterrente, consolatoria eccetera)
riconosciute al sistema della responsabilità civile.” (Cass., 25 gennaio 2017, n. 1931; cfr.
anche Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass., 8 febbraio 2012, n. 1781;
Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183, Cass., 5 marzo 2020, n. 6167).
Essendo dunque onere di parte ricorrente provare la sussistenza e l’entità del danno patrimoniale, così come anche del danno non patrimoniale, anche tramite elementi presuntivi, si evidenzia che non consta in atti documentazione comprovante i danni subiti, ulteriori rispetto alle somme asseritamente sottratte in maniera illecita.
Sulla richiesta di rivalutazione monetaria, oltre al difetto di preventivo reclamo, giova precisare che l’importo richiesto ha natura di debito di valuta non suscettibile di rivalutazione secondo gli orientamenti condivisi tra i Collegi (cfr. ex multis, Collegio di Napoli, decisioni nn. 13490/2020 e 11176/2016).
Nulla per le spese di assistenza in virtù del rigetto di due delle tre domande principali, oltre che della domanda di danni e di rivalutazione
P.Q.M.
In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio dichiara l’intermediario tenuto alla restituzione dell’importo di € 450,00.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1