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"MOBBING": QUALI ESPERIENZE, QUALE RISARCIMENTO ? Avv. Lino Greco

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"MOBBING": QUALI ESPERIENZE, QUALE RISARCIMENTO ?

Avv. Lino Greco*

INTRODUZIONE

A distanza di un anno ritorna alla ribalta del decimo Congresso medico-giuridico internazionale, cui ho l’onore di partecipare come relatore, il tema del "mobbing", fenomeno negativo dei luoghi di lavoro sempre più d’attualità e, perciò, preoccupante per la sua diffusione anche in Italia, se si considerano la catastrofe emotiva e il danno alla salute che esso provoca ed i costi sul piano individuale, sociale ed anche aziendale che ne derivano.

E la salute è, nel nostro Ordinamento e nella Costituzione – giova ricordarlo –un bene giuridico primario e diritto inviolabile (artt.2 – 32 Cost.).

Secondo statistiche recenti, che valutano esposto al "rischio" mobbing un 25% di lavoratori nel nostro Paese, i casi di mobbing sono in continuo aumento: lo testimoniano l’elevato numero di persone che si rivolgono, quotidianamente (ben 10 colloqui al giorno in media, oramai) al Centro di Disadattamento Lavorativo della prestigiosa Clinica del Lavoro "L. Devoto" dell’Università di Milano, diretto dal Dott. Renato Gilioli (autore, peraltro, del libro: " Cattivi capi, Cattivi colleghi", Arnoldo Mondadori, gennaio 2000) e "l’attenzione" al fenomeno che viene prestata dal Sindacato e dai mezzi di comunicazione di massa.

Difatti, da una parte la stampa non perde occasione per dare risalto alle notizie che riguardano fatti di persecuzioni e vessazioni sul lavoro ( Corriere della Sera 25/2/2001: "Critica la capoufficio sull’e-mail dell’azienda, sarà licenziata"; sempre Corriere della Sera 8/3/2001: "Licenziata perchè non risponde alla avances del capoufficio"), dall’altra si moltiplicano le iniziative di RSU e dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (risale al 3/4/2001 l’incontro con i dipendenti del

"Gruppo Duomo Assicurazioni" di Milano sul mobbing, con la partecipazione del Dott. Gilioli, del Giudice del Tribunale del Lavoro di Milano Dott. Atanasio e dello scrivente), e si firmano "Accordi di clima": vedasi l’Accordo ATM di Torino del 25/1/2001).

* Avvocato, Milano

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Si vanno aprendo in più luoghi "sportelli" di consultazione sindacale e diversi giornali e riviste aziendali dibattono il fenomeno ("Informatore Inaz" - n.5/2001:

"Mobbing, un campanello d’allarme per l’azienda" a cura di Roberto Merlini).

Non a caso di recente, il Ministro della Sanità Umberto Veronesi ha lanciato un allarme alla Conferenza Nazionale per la Promozione della Salute, svoltasi a Roma nel dicembre 2000: " Fumo e Mobbing: i nemici degli Italiani ". In seguito, lo stesso Ministro dava un’ulteriore comunicazione, pure di rilievo non trascurabile, alla

"Prima Conferenza Nazionale per la salute mentale a Roma (riportata dal Quotidiano Metro di Milano 11/1/2001): "Dieci milioni d’italiani hanno disturbi mentali".

Aumentano altresì i Centri Pubblici specializzati, per la cura del "mal d’ufficio"

(ASL-RM E, la prima struttura per l’Italia Centro Meridionale- peraltro l’unica analoga in Italia alla Clinica del Lavoro "L. Devoto" di Milano - che si affianca a quella di ascolto dell’ISPESL, Istituto della Sanità per la prevenzione e sicurezza sul Lavoro, Roma), ma non paiono sufficienti per far fronte alle richieste d’interventi da più parti d’Italia.

Alla radice di questo interesse generale per approfondire e conoscere il mobbing, a scopo sia di prevenzione che di repressione, vi è un comune denominatore: far fronte a questa subdola forma di "terrorismo psicologico", grave, consistente in un atteggiamento ostile e non etico, (Heinz Leymann: "Mobbing and psycological terror at workplaces Violence and Victims" 1990; Zapf e Leymann : " The content and development of mobbing at work", 1996) posto in essere da una o più persone (mobbers), con una serie di iniziative vessatorie e persecutorie (mobbing "verticale" o

" bossing" se poste in essere dal datore di lavoro o da superiori gerarchici, e mobbing

"orizzontale" se poste in essere dai colleghi per ragioni di competitività, invidie, gelosie, preferenze del capo, razzismo, fede politica e varie altre ("Il Mobbing", di Ascenzi e Bergagio, Giappichelli Editore, Torino 2000; H. Ege , "Il mobbing in Italia", Pitagora, Editrice, Bologna 1997 ; H. Ege " Cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro", Bologna 1996) e che costituisce, è ormai assodato, una "fonte potenziale di danno psichico alla persona del lavoratore" (in proposito, V. Matto: "Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio professionale", in Dir.

Relaz. Industr., 1999,491) con ripercussioni anche al di fuori dell’ambiente di lavoro) (famiglia, relazioni interpersonali: le c.d. "vittime secondarie" in conseguenza del danno biologico "riflesso": Trib. Milano, sent. n. 1223/2000).

IL MOBBING COME FENOMENO CONTENITORE DI MOLTEPLICI SITUAZIONI LAVORATIVE PREGIUDIZIEVOLI

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Le sudescritte situazioni socio-lavorative ambientali proprie del "fisiologico"

conflitto del mondo del lavoro, ed accentuate dalla globalizzazione e dalle grandi fusioni societarie, vengono ricomprese in un unico concetto contenitore, come espressioni di "mobbing", ed anche se non qualificate o non sempre qualificabili come tali, trovando riscontro nella disposizione generale e di chiusura dell’art. 2087 del codice civile, nella parte in cui impone all’imprenditore di adottare "tutte" le misure necessarie per tutelare la "integrità psico-fisica" e la "personalità morale" del lavoratore, cui si riallaccia il complesso sistema delle fonti giuridiche in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Ci si riferisce, in special modo, all’art. 9 (ed all’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori per il divieto di atti discriminatori), nonché alla Direttiva-Quadro Cee 391/89 e, in attuazione della stessa, al D.Lgsvo n. 626/94, artt. 3 e 4 (come corretto e integrato dal D.Lgsvo n.242/1996) per l’informazione e la prevenzione, nella dimensione individuale e collettiva, nella specie, del "rischio-mobbing", considerato che

"l’iniziativa economica privata, pur essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana" (art. 41,2° comma Cost.).

Alla luce di tali osservazioni, appare pretestuoso e fuori dai tempi l’assunto coltivato da chi, di parte imprenditoriale, asserendolo motivo di locupletazione e speculazione, oppure "ultima trovata della filosofia buonista", (Merlo, in "Mal d’ufficio" in Sette, n.47 del 26/11/98 - Intervista Rai 2, Teleanchio del 17/1/2000 al Direttore delle Risorse Umane della Zanussi) nega persino l’esistenza del mobbing, oppure, di chi, di parte sindacale, anche se voce isolata, lo ha incautamente reputato una "invenzione dei giornalisti alla ricerca di argomenti nuovi", (Sito Internet FIM-CISL Liguria, nel contesto della Rivista elettronica "Metallo pesante", articolo di Bracco, delegato sindacale) e di psico-sociologi bramosi di spazio nei convegni su tanti altri (veri) problemi del lavoro: o, più banalmente, di quei Cipputi, Fantozzi e Bean sempre in cerca di un motivo per piagnucolare (L’articolo è riportato sinteticamente da M.

Meucci in "Violazione da mobbing sul posto di lavoro", Riv. Crit. Dir. Lavoro, aprile - giugno 2000).

IL MOBBING NELLA GIURISPRUDENZA

Dunque, a "dispetto" degli scettici, il mobbing "avanza" – seppure tra alterne vicende - anche nelle aule giudiziarie, tra fusioni e ristrutturazioni societarie ed opinabili gestioni delle Risorse umane, basate sugli esuberi e sulle comunicazioni via e-mail ad un metro di distanza da una postazione di lavoro all’altra, con enorme spreco di carta,

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di energie e di tempo per botta e risposta quasi senza fine, che determinano microconflitti interni quantomai destabilizzanti.

E’ però ancora poca la giurisprudenza formatasi sul mobbing, a volte negativa, a volte positiva, e anche contraddittoria: permangono molti dubbi (leggasi L. De Angelis : " Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore", in Foro It. , n.

1/2000 pg. 1557), ma la ricerca è stata sin qui lodevole e particolarmente significativa specie in alcuni casi, come vedremo nell’esame di alcune pronunce.

Il primo quesito che il giudice si pone, nell’affrontare una causa di mobbing, è: "E’

un caso di mobbing, secondo le conoscenze sociologiche nazionali e internazionali, dottrinali e giuslavoristiche, in virtù delle note teorie ( Gilioli, Ege, Leymann) sull’argomento?"

Per stabilirlo, qualche giudice ha fatto ricorso, molto semplicemente, al principio del

"fatto notorio" ex art. 115, 2° comma c.p.c., tenuto conto di "tutte" le circostanze dedotte in causa dalla parte lavoratrice ricorrente (condotta vessatoria e persecutoria, con molestie, danno psichico certificato, sussistenza del nesso di causalità (Trib.

Torino, 16/11/99, est. Ciocchetti, Erriquez/ Ergom, e 30/12/99, est. Ciocchetti, Stomeo/Ziliani) riconoscendo il danno biologico nel contesto del concetto "unitario"

di mobbing.

In altra recente causa (Mulas / B.N.A.) il Tribunale del Lavoro di Forlì, che ha riconosciuto - ed è un’assoluta novità - il danno psichico patito dal lavoratore come

"danno esistenziale", ha disposto in modo inusuale una "istruzione preventiva" della causa mediante un colloquio preliminare del lavoratore ricorrente con uno specialista della mente (il citato Prof. Ege), per una verifica sulla sussistenza dei presupposti del mobbing, quanto al danno alla salute procuratogli dalla condotta datoriale e dai Superiori Gerarchici, proseguendo il giudizio fino alla sentenza, una volta rilevata la significatività del riscontro peritale in relazione ai fatti dedotti ed alle conseguenze alla salute ed alla professionalità del soggetto leso.

Le pronunce negative sul mobbing (e qui si perviene al secondo quesito che il giudice si pone), hanno riguardato in particolare, sino ad ora, uno degli aspetti più delicati e difficili di questo tipo di causa: l’onere della prova!

Non a caso, si parla di "probatio diabolica".

Poichè non è possibile sottrarsi a tale onere probatorio ex art. 2697 del codice civile, la domanda giudiziale può andare incontro al rigetto (ed è stata per ciò rigettata, in

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sede di giudizio di legittimità, nella causa Casarolli/Ansaldo: Cass. Civ. Sez. Lav. 2 maggio 2000 n. 5491, per difetto di prova del nesso causale). In proposito, segnalo le interessanti osservazioni contenute nell’articolo di Simona Saggese in "Tutela della salute: la prova del danno biologico" in Dir. e Prat. Lav. n.21/1995.

In altro caso, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso non ritenendo provate né l’accusa di molestie sessuali né il conseguente fenomeno del mobbing messo in atto per reazione, causando alla lavoratrice una sindrome depressiva (CASS.

Sez. Lav., 8/1/2000 n.143, Pres. Trezza, est Prestipino in Filonardi/Henkel): tuttavia, questa pronuncia solo apparentemente e marginalmente affronta la questione relativa alla delimitazione dell’area del "diritto di critica" (leggasi, in tal senso, CASS. Sez.

Lav. 16/1/2001, n.519, in "Guida al Lavoro", n.16 del 24/4/2001) in capo alla lavoratrice, in virtù dell’art.21 Cost., (così Donata Gottardi, Vice-Consigliere Nazionale di parità: "Mobbing non provato e licenziamento per giusta causa", in Guida al Lavoro – Il Sole – 24 ORE, n.1/2/2000, pg.25), ignorando la situazione di

"boicottaggio" patita dalla stessa e così trascurando gli effetti professionali e personali di situazioni di mobbing nei rapporti tra dipendente e Superiore Gerarchico e dando invece molto risalto al venire meno dell’elemento della fiduciarietà.

Infine, una volta stabiliti la sussistenza del requisito del mobbing e del nesso di causalità tra il fenomeno e il danno psichico patito dal lavoratore (la prova, dunque) il giudice dovrà rispondere al terzo quesito:

"Come risarcire il danno alla persona?"

SULLA RISARCIBILITA’ DEL DANNO PSICHICO DA MOBBING

Anzitutto, il principio generale cui occorre attenersi è che il danno andrà risarcito, integralmente:

quale "danno biologico", stante la violazione dell’art. 2087 del codice civile e, se sussistente la fattispecie, ex art. 2049 c.c., dovendo rispondere il datore di lavoro per i danni arrecati dal fatto illecito dei dipendenti, preposti e superiori gerarchici,

"nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti", nonché quale "danno ingiusto", ex art. 2043 del codice civile, suscettibile di tutela, altresì, per la sua rilevanza costituzionale (in virtù delle sentenze della Corte Costituzionale n. 184/1986 e n.

356/1991);

quale " danno patrimoniale" per la violazione dell’art. 2103 del codice civile, in conseguenza del demansionamento patito (lesione della professionalità), in virtù del prevalente criterio adottato dalla giurisprudenza di merito del Tribunale del Lavoro di

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Milano ed anche di altri (una mensilità di retribuzione per ogni mese di demansionamento) oppure, in alternativa, ricorrendo alla liquidazione del danno "in via equitativa" (Trib. Milano, 30/5/97 - Pres. Gargiulo, est. Ruis, in Navasi / Asm;

Trib. Milano 6/7/96, est. Mannacio in Pennati / Unilever I. - Pret. Milano 18/2/99, est.

Martello, in Narcisi / Lombardia I.; Tribunale di Bologna 30 agosto 2000, in Calà/

Cim Spa in "Guida al Lavoro" n.15 del 17/4/2001):

- per "licenziamento", specie se ingiurioso (in quanto lesivo del decoro e della dignità (Cass. Sez. Lav. sent. n. 3147/1999);

- per " dimissioni", suscettibili peraltro di annullamento, per incapacità naturale del soggetto leso (Cass. Sez. Lav. sent. n. 11020 del 23/8/2000 in "Guida al Lavoro" del 10/11/2000);

- per "danno biologico temporaneo": per tutto il periodo di assenza in malattia, a causa della depressione, ed in cura.

- quale "danno morale" (CASS. sent. 4012/98; quanto ai criteri di liquidazione, vedi CASS. sent. 9/1/98 n.134);

- quale "danno esistenziale", che è una nuova voce o categoria di danno "lanciata e molto sostenuta dalla dottrina triestina (Cendon, Ziviz), ed inoltre da Monateri, Libertini, Bellantoni e altri ancora, e che ha trovato sempre più ingresso anche nella giurisprudenza, di recente (Trib.Verona 15/10/90 e 26/2/96 in "Dir. Inf. e Informatica, 1996, 576; Trib. Torino 8/8/95, Trib. Napoli 1/7/97; Trib. Milano 20/10/97 in "Danno e Responsabilità" con nota di Bona; Trib. Milano 21/10/99 in

"Resp. Civile e Prev.", 1999 pg. 1335), e così pure in materia di diritto di famiglia (CASS. sent. n.7713/2000 in Foro It. 1/2001).

Ma il Tribunale di Milano, già nel 1988, si era pronunciato favorevolmente (nota causa Sanna / Arbia), riconoscendo questa voce di danno.

MA, CHE COS’E’ IL DANNO ESISTENZIALE?

E’ la "SOMMA DI RIPERCUSSIONI RELAZIONALI DI SEGNO NEGATIVO"

che per le molteplici e gravose "rinunce a un facere" colpisce la persona per ciò che è, e non per ciò che ha, comprimendone tutte le attività non reddituali.

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Danno perciò lesivo della "personalità" e "serenità familiare" quindi lesivo di un diritto soggettivo della persona, garantito costituzionalmente (art. 32 Cost.) : "danno ingiusto" e quindi, come tale, risarcibile (CASS. sent. n. 11727 del 18/10/99 per il caso di "demansionamento", che costituisce un bagaglio peggiorativo diretto ad intervenire negativamente nelle infinite espressioni della vita).

TALE VOCE DI DANNO SI ATTAGLIA PERFETTAMENTE AL CASO DEL SOGGETTO LESO DAL MOBBING, POICHÈ LA PSICHE (che, secondo la medicina, non è un organo), SE COLPITA DAI "VULNERA", GLI IMPEDISCE IL GODIMENTO DEI BENI DELLA VITA E L’ESERCIZIO DEI DIRITTI AD ESSI CONNESSI.

Basti pensare allo stato in cui versa il soggetto leso (autosvalutazione di sè - ansia - depressione – nevrosi - attacchi di panico - agorafobia – insonnia – anoressia, bulimia e disinteresse per le cose della vita: nei casi più gravi si parla di suicidio).

Si va ben oltre, quanto alla rilevanza per il soggetto leso da danno psichico derivato dal lavoro, la casistica del Prof. Cendon quale danno all’esistenza derivato da vacanza rovinata, morso del cane, immissioni da rumore (vedi il caso MALPENSA).

Pertanto, il danno esistenziale:

- "non" è danno biologico (o danno alla salute) - "non" è danno psichico (patologia medica)

- "non" è danno morale (pretium doloris) e, non avendo una matrice medico-legale, sara’ risarcibile esclusivamente in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.:

per "danno biologico riflesso" a favore dei prossimi congiunti del soggetto leso dal mobbing, (Trib. Milano sent. n. 1223/2000; Trib. Milano sent. n. 666/2000; Trib.

Milano sent. n. 68/97, Trib. Firenze sent. n. 451/2000, per il "danno edonistico"

(perdita del godimento del congiunto, invocabile nel caso di suicidio da mobbing);

quale "tecnopatia" (malattia professionale), poiché il danno psichico e il mobbing sono strettamente correlati, come il rumore all’ipoacusia, il saturnismo al piombo, l’asbestosi all’amianto e così via ( dello stesso avviso, U. Oliva: "Danno psichico e mobbing", in Tagete n. 2/2000).

Sussistono, difatti, a favore del suddetto riconoscimento:

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- i requisiti di cui agli artt. 2 - 3 T.U. n. 1124/65, nell’ambito della normativa di cui agli artt. 2094 e 2087 c.c.

- l’orientamento espresso ancora di recente dalla Suprema Corte di Cassazione (CASS: sent. n. 9801/1998), riguardo alla riconducibilità al concetto di "occasione di lavoro" di tutto quanto attiene alle "condizioni ambientali" di lavoro;

l’iter percorso dalla Corte Costituzionale a far tempo dalla sentenza n.179 del 10/2/1988 (passaggio per il riconoscimento delle malattie professionali, dal sistema tabellare chiuso a quello misto extra-tabellare, confermato rectius, rafforzato dalla sentenza c.d. "additiva" n.118 del 18/4/1996 in relazione alla pronuncia di incostituzionalità di alcuni articoli della L.210/1992 circa la limitazione temporale, e il conseguente diniego di equo indennizzo, a favore dei soggetti affetti da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati per vaccinazioni antipolio;

il fondamento di cui al D. Lgsvo n. 38 del 23/2/2000 (per il "riordino dell’Inail"), che, nel prevedere l’indennizzo del danno biologico da infortunio sul lavoro e malattia professionale a carico dello Stato, all’art. 10, comma 4°, qualifica come malattie professionali anche "quelle non tabellate".

Da menzionare, altresì, che in quest’ultimo decreto legislativo è prevista una franchigia per il danno biologico permanente sino al 5%, e non è considerato il danno biologico temporaneo, altrettanto meritevole d’indennizzo quanto quello permanente, come invece accade nel risarcimento del danno civilistico, anche secondo la recente legge 5 marzo 2001 n.57 (G.U. 20/3/2001).

Peraltro, la "specifica tabella delle menomazioni" del D.M. 12/7/2000 si integra nel complesso dispositivo normativo del T.U. ed è predisposta per finalità indennitarie secondo le regole da esso previste, prevedendo che, in luogo della rendita erogata dal T.U. (art. 66 punto 2), venga valutata la menomazione comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali, utilizzando una specifica "tabella": dal 6% al 15% viene liquidato un indennizzo in forma capitale, mentre per valutazioni dal 16% e oltre viene costituita una rendita sulla base della "tabella indennizzo danno biologico" (in relazione all’età dell’assicurato).

Un’ulteriore quota di rendita viene erogata per le menomazioni di grado pari o superiori al 16%, per il ristoro del danno patrimoniale, in relazione:

al grado d’invalidità;

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all’importo della retribuzione;

all’indicatore riportato nella "tabella dei coefficienti" di cui al D.M.12/7/2000.

Osserva a tal proposito il Prof. Marino Bargagna che, pur attenendosi all’orientamento della giurisprudenza sia costituzionale (sent. 372/1994) che di legittimità, il nuovo sistema indennitario suscita notevoli perplessità riguardo al confronto delle "menomazioni" - secondo le nuove tabelle Inail - con la realtà forense (Guida al Diritto – Il Sole 24 Ore, n.32 del 2/9/2000).

Potrebbero anche adottarsi, ai nostri fini, Protocolli d’intesa tra l’INAIL e le forze sociali al pari di quello del 12/12/1991, siglato per i criteri valutativi dell’ipoacusia professionale, a garanzia ulteriore della tutela della salute ed a salvaguardia del dovere di solidarietà (art.2 Cost.) e della sicurezza sociale (art.38 Cost.), con l’autorevole e competente cooperazione dei Patronati.

CONCLUSIONI

E’ certo che il mobbing, fenomeno negativo sempre più diffuso nei luoghi di lavoro, danneggia la salute gravemente, e a volte forse irreparabilmente.

Il cittadino della strada, lavoratore o lavoratrice, ormai sta imparando a conoscerlo e identifica nel termine "mobbing" tutto il disagio, il malessere e lo stress nell’ambito lavorativo.

Occorre che la società civile si faccia carico del problema, anche perchè il fenomeno sta emergendo anche in ambienti diversi dal lavoro, come nella famiglia (Corte d’Appello di Torino 21/2/2000 in Foro It. n.5/2000 pg.1555 e CASS. sent.

n.7713/2000, cit.) e in molti altri ambienti, anche insospettabili come quello del calcio multimiliardario (il Corriere della Sera del 22/8/2000 riportava la vicenda del giovane diciassettenne calciatore italiano, figlio di un noto portiere, Niccolò Galli, recatosi in Inghilterra per fare fortuna, discriminato e messo fuori squadra dall’Arsenal dove militava, perché italiano, perché al pub non beveva birra come gli altri giocatori, perché amava indossare scarpe belle ritrovandosele infangate dai compagni di squadra, venendo emarginato e preso di continuo a gomitate dagli stessi compagni in campo, tanto da indurlo a ritornare in Italia, dove poi è deceduto su di un guard-rail mentre alla guida di una moto si recava al campo d’allenamento del Bologna).

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Equivalenti fenomeni da mobbing sono il bullismo (bullying, tra i giovani) e il nonnismo, da sempre presente nelle caserme.

Il mobbing, per gli sconquassi che determina alla psiche del soggetto leso e anche a tutti coloro, tra i familiari e i congiunti, che lo circondano, va identificato, combattuto ed opposto fermamente, non essendo di sicuro sottovalutabili dalla collettività le conseguenze di quella che può divenire nei casi più gravi una malattia mentale fino a manifestazioni estreme.

Bisogna prenderne atto, per gli opportuni interventi preventivi, e non solo repressivi, (fa ben sperare il testo unificato delle varie proposte di legge) ricorrendo a codici o decaloghi di comportamento e ad accordi sindacali come quelli suaccennati, magari evitando la previsione di un apposito reato essendo già perseguibili penalmente le fattispecie di reati quali lesioni personali, maltrattamenti, violenza privata.

Si potrebbero introdurre benefici previdenziali, come avviene in Germania, dove il danno psichico da mobbing è motivo di prepensionamento.

E poi, siamo sicuri che sia bisognoso di cure e d’interventi terapeutici, psicologici e psichiatrici solo il mobbizzato, e non anche, specie nei casi di molestie, violenze morali e fisiche, il portatore di mobbing, ovvero il mobber?

Non accorgersi anche di questo potrebbe costituire un’altra espressione dell’"ingiustizia del danno", rientrando sovente nella condotta dei datori di lavoro (a prescindere dalla solidale responsabilità con il preposto od il collega del mobbizzato, sovente affermata dai Giudici del Lavoro), la prassi di non perseguire il superiore gerarchico o il dipendente per il danno procurato al lavoratore vittima del mobbing:

pertanto, una doppia ingiustizia!

Appare sorprendente, peraltro, il clamore suscitato dalla notizia apparsa sul quotidiano "La Repubblica" del 14/9/2000 riguardo al riconoscimento dell’indennizzo da parte dell’INAIL ai primi 4 lavoratori colpiti da sindrome del tunnel carpale, (il "mal di mouse e tastiera"), mentre il danno psichico da mobbing viene tuttora sistematicamente respinto dall’Istituto, sebbene trattasi di una vera e propria "patologia professionale".

Orbene, per concludere, di tutte le voci di danno suesposte, le sentenze favorevoli al lavoratore in materia di mobbing hanno ora riconosciuto il danno come danno biologico (Tribunale di Torino), ora come danno esistenziale (Tribunale di Forlì).

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SULLA RISARCIBILITA’ DEL DANNO COPERTO DALL’INAIL

Pur permanendo dubbi, in considerazione del florilegio delle voci di danno, appare fondato poter sostenere la risarcibilità sotto entrambi i profili, l’uno (il danno esistenziale) come effetto dell’altro (il danno biologico); e quanto al primo, con liquidazione in via equitativa e quanto al secondo, con la quantificazione tabellare essendo valutabile in sede medico-legale, in considerazione anche del fatto che la riforma dell’INAIL non prevede alcun risarcimento per il danno biologico temporaneo (periodo di inabilità temporanea) e per le microlesioni fino al 5%, ed un indennizzo per capitale solo per il danno biologico dal 6% al 15%, e l’indennizzo in rendita più quota aggiuntiva per le conseguenze patrimoniali dal 16% in su, e, soprattutto, nulla prevede, quanto al ristoro, oltre al danno biologico.

Ciò comporta, pertanto, il diritto del lavoratore di richiedere al datore di lavoro con apposita azione il danno non coperto dall’INAIL, ovvero, il danno morale e le altre voci di danno ivi non previste (leggasi anche in tal senso Note Informative - CGIL - n. 19 dicembre 2000), al fine di conseguire l’esatto risarcimento del danno. Può costituire una valida alternativa, ai limiti del sistema indennitario INAIL anche la liquidazione del danno sotto forma di "equo indennizzo", come da legge 210/92. Si osserva, all’uopo, che le Tabelle INAIL risultano inferiori alle Tabelle del danno biologico del Tribunale di Milano gennaio 2000, cui la maggior parte dei Tribunali d’Italia, per ultimo il Tribunale di Genova, si sono adeguati (Guida al Diritto - "

Tribunale: nella Tabelle dei risarcimenti sempre più metodi parlano milanese" giugno 2000, dossier / 6, pg. 3 Tribunale di Genova , sent. 28/9/98, in Giur. Cost. e Civ. Foro It. - pg. 984).

RAFFRONTO TABELLE INDENNIZZO DANNO BIOLOGICO INAIL ETA’

INVALIDITA’ PERMANENTE DANNO BIOLOGICO

DANNO MORALE (1/2 del d.b.)

25 anni 15%

42.750.000 21.365.000

40 anni 15%

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36.000.000 18.000.000

50 anni 15%

31.500.00 15.750.000

60 anni 15%

27.000.000 13.500.000

TABELLE DANNO BIOLOGICO TRIBUNALE DI MILANO - GENNAIO 2000 ETA’

INVALIDITA’ PERMANENTE DANNO BIOLOGICO

DANNO MORALE (1/2 del d.b.)

25 anni 15%

51.724.000 25.862.000

40 anni 15%

47.316.000 23.658.000

50 anni 15%

44.377.000 22.188.500

60 anni 15%

41.438.000 20.719.000

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SULLA TUTELA GIUDIZIARIA

Restano salve le possibili azioni inibitorie od ordinarie, quali strumenti di tutela individuale, essendo prospettabile il ricorso ex art. 700 c.p.c. nei confronti del comportamento del datore di lavoro che integri la violazione degli obblighi di sicurezza o che leda la libertà o la dignità del lavoratore, in special modo in presenza di pregiudizi irreparabili alla sfera professionale del prestatore di lavoro, come nel caso di demansionamento.

Ma, più di tutto, forse conterà, a salvaguardia della salute, della personalità e della professionalità, il ripristino nei luoghi di lavoro dei principi della democrazia e della solidarietà, volti a prevenire oltrechè reprimere il mobbing ed i suoi perniciosi effetti, evitando il rischio anche al Sindacato di divenire, a sua volta, vittima del mobbing.

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