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Gli attuali sviluppi di alcune problematiche del danno biologico di Alberto Polotti di Zumaglia

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Academic year: 2022

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Gli attuali sviluppi di alcune problematiche del danno biologico

di

Alberto Polotti di Zumaglia*

Conferma delle linee concettuali in tema di danno alla salute

Dall’esame della più recente giurisprudenza in tema di danno alla salute pare potersi delineare la presenza di alcuni indirizzi che si vanno consolidando e di novità che stanno emergendo.

E’ appena il caso di ricordare che è ormai diventata ricorrente l’affermazione per la quale il danno biologico “... è ontologicamente diverso da quello connesso alla diminuita capacità lavorativa e di guadagno delle persone e deve essere pertanto risarcito autonomamente” (v. Cass. 17.3.1995, n. 319 in Mass. Foro it. 1995, 405). Ed il danno inerente alla concreta riduzione del reddito dell’infortunato, laddove la lesione abbia influito sulla sua capacità lavorativa, si ritiene possa venir liquidato solo se rigorosamente provato almeno sull’an, tenuto anche presente “... che la riduzione della attitudine del soggetto leso alla piena esplicazione in futuro delle sue energie psicofisiche integra un pregiudizio generalmente definito come riduzione della capacità lavorativa generica che corrisponde ad una delle molteplici componenti del danno biologico” (v. Cass. 28.12.1995, n. 13146 in Guida al diritto de Il Sole 24 Ore, 23.3.96 p. 20). Viene così confermato il principio per il quale la riduzione della capacità lavorativa generica, intesa come potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di soggetto che non svolge attività produttiva di reddito, né sia in procinto di svolgerla, rientra nel danno biologico (v. Cass. 14.3.1995, n. 2932 in Arch. civ. 1996, 122 ed in precedenza Cass. 19.3.1993, n. 3260 in Resp. civ. e previd. 1993, 268).

Non risultano d’altronde modifiche alla concezione del danno alla salute quale rilevata dalla Corte Costituzionale (v. Corte Cost. 18.7.1991, n. 356 in Resp. civ. e previd. 1991, 689) laddove sulla premessa che la salute è diritto fondamentale dell’individuo nella sua globalità e non solo quale produttore di reddito si è preso atto che tanto impone “... di prendere in considerazione il danno biologico, ai fini del risarcimento, in relazione alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni ed i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana”.

Vengono così fatte rientrare nel danno alla salute tutte quelle figure di danno in precedenza elaborate al fine di allargare l’area del danno risarcibile come il danno alla vita di relazione, il danno estetico non incidente sulla produzione del reddito, il danno alla sfera sessuale e, come già accennato, anche la riduzione della capacità lavorativa generica.

Conseguenza pratica di tale impostazione è stata la ripetuta affermazione che le micropermanenti, non avendo rilevanza come riduzione della capacità di lavoro, rientrano esclusivamente nella liquidazione del danno biologico (v. Cass. 14.11.1995, n. 11810 in Guida al diritto de Il Sole 24 Ore, 16.3.1996, 70 ed in precedenza Cass. 21.1.1995, n. 699 in Mass. Foro it. 1995, 83) e vanno monetizzate “... in via equitativa, tenendo presenti gli esiti invalidanti e le limitazioni psicofisiche delle lesioni subite in relazione all’età dell’infortunato, al suo ambiente sociale ed alla sua vita di relazione” (v. Cass. 4.3.1995, n. 2515 in Mass. Foro it. 1995, 331).

Anche la lesione che incide sulla esplicitazione delle attività ricreative e sociali già qualificata come danno alla vita di relazione viene fatta rientrare nel concetto di danno alla salute e liquidata quindi solo a tale titolo (v. Cass. 22.2.1995, n. 1955 in Mass. Foro it. 1995, 258, Cass. 21.3.1995, n.

3239 in Arch. civ. 1996, 124).

* Resp. Ufficio Contenzioso Sinistri delle SAI Assicurazioni, Torino

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Il danno alla vita di relazione

Riguardo il danno alla vita di relazione è peraltro da ricordare come ne sia stata evidenziata una duplicità di aspetti: uno di natura biopsichica, come tale rientrante nel danno biologico ed uno patrimoniale e quindi valutabile autonomamente.

Con riferimento a questo secondo aspetto si è osservato che i postumi di un fatto lesivo, specie se di carattere estetico, incidendo negativamente sulla vita di relazione, possono essere considerati fonte di danno consistente in un peggioramento delle condizioni psicofisiche del soggetto con conseguenze anche sul piano lavorativo.

Si avrebbe allora “... una menomazione della cosiddetta capacità di concorrenza dell’individuo rispetto ad altri soggetti nei rapporti sociali ed economici, limitandone le possibilità di espansione e di affermazione sia nel campo professionale che in quello extralavorativo” (Cass. 23.1.1995, n. 755 in Arch. civ. 1995, 1412).

Nel caso di specie si trattò della perdita totale della capigliatura da parte di una bambina.

Ma se è vero che il danno patrimoniale va sempre provato ed in un caso del genere si potrebbe solo presumere un più difficile inserimento nel mondo del lavoro, resta pur sempre qualche perplessità sulla linea di demarcazione tra il danno biologico ed un danno patrimoniale che in questo caso non parrebbe proprio rigorosamente dimostrato.

Ancor maggior perplessità lasciano però decisioni che diano per scontata l’influenza di un danno estetico sul danno patrimoniale, come è stato fatto in una pronuncia di merito, in cui si è affermato che “... la deformazione del volto... anche se non grave, costituisce sempre danno alla capacità lavorativa, specie in una persona di giovane età” (v. Corte d’Appello di Venezia 18.5.1995, n. 510 da CED Arch. merito PD 285295). Non ci si può infatti non chiedere come si possa dare la prova che ad esempio una modesta cicatrice sulla guancia di un giovane di virile aspetto influisca negativamente sulla sua attività lavorativa futura.

In ogni caso l’insegnamento della Suprema Corte pare limiti l’aspetto patrimoniale della vita di relazione a quei casi in cui il danno estetico abbia sicura incidenza sulla futura attività lavorativa.

L’accertamento del danno alla salute

Se questo è il quadro attuale della concezione del danno alla salute sembrano poi da criticare quelle decisioni che ancora liquidano un quid per riduzione della capacità lavorativa generica in aggiunta al danno biologico o che liquidino, sempre con non motivata duplicazione, anche un qualcosa di aggiuntivo a titolo di danno alla vita di relazione.

Tali decisioni fanno pensare ad una concezione particolare ed errata del danno biologico, concezione che già emerge talora dai quesiti che vengono posti ai CTU.

In certi casi, sono gli stessi CTU che a quesiti magari generici forniscono risposte che portano a liquidazioni non corrette.

Tanto suggerisce l’importanza di porre, in sede di CTU, quesiti adeguati alle reali caratteristiche del danno alla salute, nonché di valutare con attenzione lo stesso elaborato peritale.

Riguardo quest’ultima osservazione si possono ricordare due recenti decisioni del Tribunale di Roma che da un lato sottintendono appunto una valutazione critica dell’operato del CTU e dall’altro richiamano quest’ultimo all’adozione di un metodo obiettivo nella sua valutazione.

Infatti con la prima si è precisato non essere “... condivisibili le conclusioni formulate da un consulente tecnico d’ufficio nell’elaborato peritale, quando esse non siano fondate su elementi oggettivamente rilevanti, ma soltanto sulle dichiarazioni rese dal paziente” (v. Trib. Roma 24.1.1995, n. 1155 in Riv. giurid. circol. e trasp. 1995, 543).

Sempre al fine di un puntuale accertamento del danno effettivo sono poi da ricordare le CTU sul nesso di causalità che talora si rendono opportune in presenza di colpo di frusta proprio per accertare se il danno sia effettivamente riconducibile all’incidente.

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Si tratta di un accertamento tecnico diretto ad accertare la compatibilità delle lesioni riscontrate con l’evento, verificando l’entità delle sollecitazioni subite dai mezzi e dall’infortunato.

Un tale accertamento è stato già disposto in casi in cui la consulenza medica era giunta a risultati non adeguatamente motivati portando alla reiezione di domande che alla luce delle considerazioni svolte nella consulenza meccanica, non sono poi risultate concretamente provate (v. Trib. La Spezia 4.8.1995, n. 373 Est. Ranaldi in causa Gianardi c. Laudani e SAI spa inedita).

Priorità del danno alla salute e surroga di enti previdenziali

E’ il caso a questo punto di ricordare che l’accertamento medico legale diventa vieppiù complesso quando vi sia anche l’intervento dell’INAIL per la presenza di condizioni che fanno rientrare il fatto dannoso nell’ambito di un infortunio sul lavoro.

Si dovrà in tal caso quantificare il danno biologico, il cui risarcimento spetterà all’infortunato, separandolo dalla riduzione della capacità lavorativa risarcita invece con la tutela infortunistica e che dovrà venir rimborsata all’INAIL.

E’ noto infatti che tale Istituto considera l’invalidità permanente parziale avendo riguardo “... al grado di riduzione della attitudine al lavoro (generico) secondo i criteri di cui all’art. 78 T.U. n.

1124/1965 ed alla Tabella ivi richiamata, restando esclusa la possibilità di tener conto, ai fini anzidetti, del c.d. danno biologico o di quello estetico, stante la configurabilità dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come assicurazione finalizzata al risarcimento della perdita o della riduzione della capacità lavorativa dell’assicurato e non al risarcimento del danno secondo la nozione più ampia (e perciò comprensiva del danno biologico ed estetico) ex art. 2043 e segg. c.c.” (v. Cass.

6.5.1994, n. 4412 in Riv. inf. e mal. prof. 1994, fasc.3, 75, v. anche Cass. 1.2.1995, n. 1168 in Not.

giurispr. lav. 1995, 421).

Si è poi anche osservato che il danneggiato da sinistro stradale ha titolo ad ottenere dal danneggiato “... il risarcimento del danno biologico e di quello morale, ove esistenti, anche nell’ipotesi venga escluso qualsiasi suo diritto al risarcimento dei danno patrimoniali (per invalidità temporanea e permanente), ancorché il danneggiato stesso abbia conseguito dall’INAIL le prestazioni ... del caso e l’Istituto previdenziale abbia agito in surroga nei confronti del danneggiante (o della società assicuratrice della responsabilità civile di questo, conseguendo l’intero massimale assicurato)” (Cass. 6.12.1995, n. 12569 in Gazzetta Giuridica, n. 2, 42, v. anche Cass. 15.9.1995, n.

9761 in Mass. Giust. civ. 1995, 1646).

Ulteriore considerazione, ormai ripetuta dalla Suprema Corte, è quella per cui il danno biologico va risarcito il linea prioritaria rispetto ad ogni altro danno e quindi anche rispetto alla surroga INAIL (v. Cass. 11.6.1994, n. 5683 in Assic. 1994, II, 2 mass. n. 75) tanto che in applicazione di tale principio è stata cassata una sentenza di merito “... in base alla quale la compagnia assicuratrice aveva corrisposto al danneggiato solo la metà di quanto liquidatogli per danno biologico prevedendo poi a pagare l’INAIL e l’ente ospedaliero” (Cass. 16.9.1995, n. 9772 in Mass. Giust. civ. 1995, 1651).

Il danno biologico da morte

In una sia pur sommaria analisi delle attuali linee concettuali del danno biologico non si può dimenticare quella giurisprudenza che ha ravvisato la presenza di tale danno anche nel caso in cui l’infortunato deceda, ma sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, attribuendo il relativo risarcimento agli eredi della vittima iure hereditatis (v. Cass. 28.11.1995, n. 12299 in Mass. Foro it. 1995, 1270, v. anche Cass. 29.9.1995, n. 10271 in Mass. Giust. civ. 1995, 1689 con richiami ulteriori).

In punto è da ricordare che il danno si ritiene vada liquidato in relazione alla effettiva menomazione della integrità psicofisica patita dalla vittima per il periodo di tempo suindicato. Sul

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piano della liquidazione si dovrebbe allora tener conto, laddove si utilizzi come criterio quello del tanto a punto (sia sulla base di tabelle che in via equitativa) proprio del fatto che il danno alla salute in tal caso non rileva per tutto l’arco della probabile vita futura della vittima, ma solo per un limitato e noto periodo di tempo, apportando quindi le conseguenti riduzioni dell’onere risarcitorio.

Attuali indirizzi valutativi

Se sul piano concettuale vengono confermati gli indirizzi appena delineati, sul piano della monetizzazione del danno alla salute si può dire siano emerse delle novità nelle decisioni della giurisprudenza di merito e la conferma di un precedente indirizzo da parte della giurisprudenza di legittimità.

La Suprema Corte ha infatti confermato che nella liquidazione equitativa del danno biologico non può essere utilizzato il criterio indicato dall’art. 4, III co. del D.L. 23.12.1976, n. 857 (Convertito in legge 26.2.1977, n. 39) (v. da ultimo Cass. 23.1.1996, n. 477 da Guida al diritto de Il Sole 24 Ore, 6.4.1996, 70).

Tanto consegue alla ribadita affermazione per la quale “poiché il danno biologico è indipendente dal ruolo che i requisiti e gli attributi biologici della persona sono in grado di svolgere sulla capacità di reddito, essendo invece collegato alla sfera di icidenza non patrimoniale di essi, la sua determinazione, essenzialmente equitativa, deve avvenire mediante individuazione del valore umano perduto, attraverso la personalizzazione quantitativa e qualitativa di parametri in linea di principio uniformi per la generalità delle persone” (v. Cass. 18.9.1995, n. 9828 in Mass. Giust. civ. 1995, 1660, v. anche Cass. 15.9.1995, n. 9725 ivi, 1644 e Cass. 13.5.1995, n. 5271 ivi, 996).

Nella giurisprudenza di merito si notano invece sentenze che effettuano liquidazioni sulla base di criteri difformi.

Nell’area genovese si utilizzano le note tabelle basate sul triplo della pensione sociale con l’aumento previsto dall’art. 2, 1.n. 544/88. Si ha così una pensione sociale “pesante” ora ammontante a £. 19.521.450 capitalizzata sulla base dei più recenti dati sulla mortalità e dell’attuale tasso di interesse.

Altri tribunali adottano il conteggio “classico” utilizzando il triplo della pensione sociale “pesante”

ed effettuando la capitalizzazione con i coefficienti di cui al R.D. 9.10.1922, n. 1403 come ad esempio alcune sezioni del Tribunale di Roma; altre sezioni dello stesso tribunale hanno invece adottato il sistema a punto.

Quest’ultimo sistema della liquidazione a punto in via equitativa, che può farsi risalire alla Scuola Pisana, è adottato da numerosi tribunali. Oltre ovviamente a quello di Pisa si può ricordare anche quello di Ancona (v. da ultimo Pret. Jesi 11.7.1995, n. 136 in Orientamenti giurisprud. marchigiani, 1996, I, 38) nonché altri tribunali che pur senza richiamare tale scuola adottano in pratica lo stesso sistema come il Tribunale di Torino, quello di Piacenza e quello di Parma.

Altro sistema di liquidazione che si è visto adottare è infine quello basato su tabelle che attribuiscono un determinato e progressivamente crescente valore ad ogni punto di invalidità con correlative riduzioni in relazione al crescere dell’età dell’infortunato. E si possono allora ricordare tra le più note e complesse, le tabelle elaborate dai Tribunali di Milano, Firenze e Savona.

Il sistema tabellare

E’ da questo punto da evidenziare che in questi ultimi mesi si è assistito al deposito di decisioni di vari tribunali che, richiamando esplicitamente le tabelle milanesi, ne fanno concreta applicazione al caso concreto.

Tanto si è visto al Tribunale di Como (sent. 31.10.1995, n. 1101 Est. M. Croci in causa Davanzo c. Berluti, Porro e SAI spa inedita), Tribunale di Sulmona (sent. 10.2.1996, n. 48 Est. O.

Bonavitacola in causa Di Cesare c. Pizzacalla, Fusco e SAI spa inedita), Tribunale di Terni (sent.

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15.12.1995, n. 560 Est. P. Panariello in causa Svevo c. Passalacqua, USL Unità Sanitaria Locale della Conca ternana, Piergentili e Toro Assicurazioni spa inedita), Tribunale di Perugia (sent.

28.7.1995, n. 1765 est. G. Petrazzini in causa Bolognesi c. Coppola e Lloyd Adriatico spa inedita), Tribunale di Latina (in ordinanza ex. art. 24.1., n. 990 in causa Rizzi e Centola c. Cardianli e SAI spa) nonché il Pretore del lavoro di Massa (v. sent 25.1.1996, rel. Spanò in causa Podestà c. Sammi srl e SAI).

E’ poi di recente la notizia che al Tribunale di Roma è stata divulgata una tabella grosso modo adeguata a quella di Milano e che, se utilizzata, porterà quindi ad un mutamento della giurisprudenza di tale tribunale.

In questo quadro è anche da registrare una voce contraria che con accenti critici ha testualmente precisato: “L’adozione di costanti parametriche, orientative del giudizio equitativo, riflette l’esigenza di coerente indirizzo e di temperamento di divaricazioni arbitrarie. Peraltro, in difetto di una adeguata indagine scientifica ed in attesa di opportuno intervento del legislatore, auspicabilmente a quella correlato, non appare saggio adottare, per contagio di esempio o suggestione di novità o servile imitazione, tabelle di varia affermazione giurisprudenziale ...”. Nel caso di specie, osservato ancora che “Il Tribunale non è in grado di convocare un congresso scientifico e di supplire alla vacatio normativa”, si è ritenuto “non .... abdicativo utilizzare ...” il conteggio basato sul triplo della pensione sociale senza ulteriori maggiorazioni (v. Trib. Bolzano 7.2.1996, n. 136 est. Delerba in causa Zelger c. Mayr e SAI spa inedita), triplo di pensione che dal 1.1.1996 ammonta, come noto, a

£. 14.646.450.

Di fatto alle tabelle milanesi (come quelle simili di altri tribunali) si deve riconoscere il merito di consentire una maggior prevedibilità del quantum risarcitorio con auspicabile riduzione del contenzioso. Altro aspetto positivo è anche quello di aver effettuato una differenziazione dei valori a seconda della gravità dell’invalidità e dell’età dell’infortunato comprimendo realisticamente le liquidazioni per quelle invalidità, che per la loro ridotta entità, finiscono per avere ben scarsa importanza nella vita dell’infortunato.

Si pone peraltro a questo punto un interrogativo e cioè se le tabelle elaborate nella realtà milanese possano considerarsi adattabili anche alle realtà sociali ed economiche, talora ben diverse, di altre regioni.

In dottrina già si è rilevato che la tabellazione milanese “... sembra scaturire quale sintesi ponderata delle liquidazioni precedentemente operate dalle diverse sezioni del Tribunale di Milano.

Sintesi, dunque, operata tra i valori espressi da quella Corte e sulla base dei casi decisi da quella Corte. L’adozione tout court della tabella milanese, e soprattutto la sua applicazione meccanica conducono verso una inesorabile quanto contraddittoria standardizzazione del quantum risarcitorio per danno alla salute ... La tabellazione milanese probabilmente si rivela un buon farmaco per curare la patologia “anarchia del dopo principio” interna al Tribunale che la ha prodotta, ma un suo uso rigido o da altri pazienti (tribunali) per i quali non è pacificamente prescrivibile e può produrre degli effetti collaterali non trascurabili ...” 1.

Ci permettiamo a nostra volta osservare che il risarcimento di un danno mediante l’equivalente pecuniario non può ripristinare la situazione preesistente.

Il danneggiato mediante il denaro potrà soltanto conseguire altri vantaggi e soddisfazioni personali, oltre ad essere compensato in diversi settori della sua vita.2 In effetti il denaro si pone come mezzo di misura dei valori economici e strumento di acquisto di altri beni patrimoniali.

Ed allora se ci è consentito un paragone sia pur grossolano, ipotizzando che un danneggiato con i soldi del risarcimento ottenuto acquisti un immobile nella periferia della città ove risiede, si vede che chi risiede a Milano dovrà pagare £. 3.900.000 al mq. mentre diversi valori si avranno a Como (£.

1 v. G. Comandè, “Le tabelle milanesi per la liquidazione del danno alla persona”, in Danno e Responsabilità, 1996, n. 1, 40 ss.

2 v. A. De Cupis, Il danno - Teoria generale della responsabilità civile, vol. II, Milano, Giuffrè, 1970, p. 233.

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2.500.000 al mq.), a Terni (£. 1.500.000 al mq.), a Perugia (£. 2.000.000 al mq.), a Latina (£.

1.600.000 al mq.), a Massa (£. 2.300.000 al mq.) ed a Roma (£. 3.500.000 al mq.).3

Non è peregrina dunque la constatazione che con la stessa somma di denaro si possono acquistare maggiori o minori beni a seconda del luogo di acquisto.

Senza voler estremizzare il ragionamento, ma per completezza di ricerca, si ritiene di segnalare come in un caso di risarcimento del danno di un cittadino sloveno si sia osservato che nella monetizzazione del danno biologico “... un serio progetto risarcitorio non può trascurare caratteristiche e modalità di riparazione della compromissione della capacità espansiva della personalità individuale. Ne deriva che utilità sostitutive e beni riparatori andranno valutati con riferimento agli inferiori costi sloveni di acquisizione al fine di mantenere un analogo tenore di vita”.

Nel caso di specie si è ridotto di un terzo il risarcimento pure che la diversità di trattamento appare equa “... in quanto si correla ad obiettive differenze, apparendo per contro iniquo un trattamento eguale nella diversità delle condizioni; né assume carattere discriminatorio, in quanto si riferisce all’oggettività del contesto socioeconomico ...” (Corte d’Appello di Trieste, 25.1.1995 in L’assic.

internaz. dei veicoli, 1995, 153 ss. con nota).

Con queste ultime osservazioni non si intende certo muovere una critica ad un lavoro serio e complesso come quello operato dagli ottimi giudici milanesi e dagli illustri luminari della medicina legale che li hanno affiancati, ma suggerire semplicemente dei motivi di riflessione perché ogni tribunale scelga la via risarcitoria più adeguata alla realtà in cui opera e parta da un valore a punto che trovi comunque una ragione in quella realtà.

3 I dati sono stati desunti dalle tabelle dei valori immobiliari a pag. 1331 e segg. de l’Annuario Immobiliare 1996 di F.

Tamborrino - Il Sole 24 Ore Pirola 1996

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